All’Adunanza plenaria l’interpretazione del d.m. 4 maggio 2012 sui moduli transattivi per indennizzo conseguente a trasfusione con sangue infetto

All’Adunanza plenaria l’interpretazione del d.m. 4 maggio 2012 sui moduli transattivi per indennizzo conseguente a trasfusione con sangue infetto


Sanità pubblica – Sangue infetto – Indennizzo – Transazioni – Art. 5, comma 1, d.m. 4 maggio 2012 – Interpretazione.

 

Va rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla corretta interpretazione della lett. b) dell’art. 5, comma 1, d.m. 4 maggio 2012 – adottato dal Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con la quale sono stati definiti i moduli transattivi, e cioè gli importi da applicare a ciascuna delle categorie di soggetti individuati dalle leggi n. 222 e n. 244 del 2007 – al fine di appurare, in particolare: a) a quali posizioni soggettive tale disposizione faccia riferimento; b) se il termine decennale ivi indicato risulti coerente con i principi civilistici in materia di prescrizione; c) se il sistema transattivo predisposto dalle leggi n. 222 e n. 244 del 2007, così come attuate dal d.m. n. 132 del 2009 e dal d.m. 4 maggio 2012, deve intendersi aperto ai soli diretti danneggiati da trasfusione infetta e ai loro eredi che agiscano iure hereditatis; ovvero anche ai congiunti che agiscano per ottenere il ristoro dei danni patiti iure proprio (1).

 

(1) Ha chiarito la Sezione che A margine delle varie ipotesi di contrasto tra l’art. 5, comma 1, d.m. 4 maggio 2012 e le disposizioni ad esso sovraordinate, si è ventilata la possibilità di una disapplicazione parziale del decreto ministeriale. Si è anche precisato, incidentalmente, che detto decreto viene definito come privo di natura regolamentare dall’art. 5, d.m. n. 132 del 2009 - in attuazione del quale è stato emanato l’art. 5, d.m. 4 maggio 2012 - il quale espressamente dispone che “Per la definizione dei moduli transattivi derivanti dall'applicazione dei criteri di cui all'art. 3, si provvede con decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”.

E’ principio noto, peraltro, che il giudice amministrativo, a meno che non conosca di diritti soggettivi attratti all’ambito della sua giurisdizione esclusiva, può ricorrere alla disapplicazione dell’atto amministrativo solo laddove questo abbia natura regolamentare.

Se, dunque, il d.m. 4 maggio 2012 è privo di natura regolamentare e non è disapplicabile, si profila una possibile causa ostativa all’accoglimento di alcuno degli esiti innanzi ipotizzati, derivante dalla sua mancata impugnazione in via incidentale, da parte dell’amministrazione ministeriale resistente nel primo grado di giudizio.

Il quale esito non eliderebbe la rilevanza delle questioni interpretative già formulate, poiché permarrebbe autonomo l’interesse all’esatta qualificazione del danno oggetto di liquidazione in via transattiva e alla sua riconduzione ad una delle fattispecie elencate al comma 1 dell’art. 5, tutti profili direttamente rilevanti ai fini della soluzione della controversia.

Ai fini della qualificazione del d.m. 4 maggio 2012 pare potersi prescindere, tuttavia, dalla sua denominazione quale atto “non regolamentare” contenuta nel D.M. 132/2009.

Invero, la fonte primaria che legittima il potere regolamentare in materia è l'art. 2, comma 362, l. 31 dicembre 2007, n. 244, il quale dà mandato al Ministero della Salute di fissare i criteri di stipula delle transazioni; il potere regolamentare è stato esercitato con il d.m. n. 132 del 2009, il quale ha rimesso ad un successivo decreto ministeriale (4 maggio 2012) la definizione dei moduli transattivi.

Entrambi i decreti, quindi, presentano una indubbia base legale.

Ciò posto, il solo fatto che il d.m. n. 132 del 2009 rimetta una parte significativa della regolamentazione ad un successivo decreto ministeriale, emanazione della stessa autorità ministeriale, è dubbio che possa portare a differenziare la natura giuridica dei due atti.

Invero, il d.m. 4 maggio 2012 contiene una disciplina della materia di rilievo contenutistico analogo, se non più dettagliato e in parte più incisivo sotto il profilo della innovatività (si consideri appunto la disciplina della prescrizione), di quello espresso dalle disposizioni del d.m. n. 132 del 2009 (indicazioni nel senso della continuità contenutistica e sostanziale equiordinazione dei due decreti in esame sembrano potersi trarre da Cons. St., sez. III, 28 marzo 2014, n. 1501).

L’omogeneità e la continuità della regolamentazione dettata dalle due fonti e tutta afferente ai criteri e modalità di determinazione delle transazioni, induce, dunque, a intenderle in modo unitario e consecutivo, tanto più che la possibilità che il potere regolamentare venga esercitato con più atti è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria, in quanto conseguente “al principio di inesauribilità del potere amministrativo, a sua volta corollario della necessità che la tutela dell’interesse pubblico sia continuamente assicurata” (Cons. St., A.P., n. 9 del 2012, § 5.1.).

Se, quindi, la vera fonte del potere regolamentare, deputata a conferirgli legittimità e nomen iuris, è quella legale, è lecito reputare che i decreti in questione costituiscano estrinsecazione di un medesimo mandato normativo (il già citato art. 2, comma 362, l. 31 dicembre 2007, n. 244).

La qualificazione della fonte ministeriale sembra poter prescindere anche dal fatto che la stessa è stata adottata nell’inosservanza delle regole procedimentali fissate dall’art. 17, l. n. 400 del 1988.

Per un verso, infatti, dette formalità risultano assolte con riguardo al d.m. n. 132 del 2009, della cui continuità con il d.m. 4 maggio 2012 si è già detto. Per altro verso, la giurisprudenza si è imbattuta più volte in decreti ministeriali affetti da analoga inosservanza delle forme previste dall’art. 17, l. n. 400 del 1988 che, pur tuttavia, è giunta a qualificare come “regolamentari” (Cons. St., A.P., n. 9 del 2012, cit., § 6).

E’ infatti in via di consolidazione un orientamento (particolarmente enfatizzato dal giudice di secondo grado) secondo il quale, nella relazione tra i due criteri di identificazione degli atti normativi, quello “sostanziale” riveste una posizione di preminenza, mentre quello “formale” rileva ai fini della interpretazione dei provvedimenti che presentino un contenuto di non semplice decifrabilità, contribuendo, così, ad individuare la stessa natura sostanziale dell’atto (Cons. St., sez. VI, 24 luglio 2017, n. 3665; id., sez. VI, 30 novembre 2016, n. 5035; id., Comm. spec., parere 26 giugno 2013, n. 3014; id., sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812). 

Anche la giurisprudenza costituzionale lascia trasparire una propensione per un’accezione sostanziale del concetto di regolamento: indicativa è, in tal senso, l’enunciazione contenuta in Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278 (§ 16) secondo la quale “non possono essere requisiti di carattere formale, quali il nomen iuris e la difformità procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati in via generale dall’ordinamento, a determinare di per sé l’esclusione dell’atto dalla tipologia regolamentare” (v. nello stesso senso Corte cost. 4 giugno 2012, n. 139).

Con riguardo, appunto, alla natura “sostanziale” dell’atto amministrativo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato consegna all’interprete una regola di orientamento che si fonda sull’apprezzamento dei caratteri di generalità (intesa come sua destinazione ad una pluralità indeterminata di soggetti), innovatività (intesa quale capacità di concorrere a costituire o ad innovare l’ordinamento) e astrattezza (intesa come ripetibilità del comando nel tempo), quali dati qualificanti l’atto normativo; e che, nell’ambito della partizione tra atto normativo e atto amministrativo generale, utilizza il criterio della “indeterminabilità” dei destinatari, rilevando che è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza); mentre è atto amministrativo generale quello i cui destinatari sono indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori, atteso che l’atto in questione è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti.

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, e pur con i limiti connessi al rigore attribuibile ai diversi lemmi poc’anzi richiamati, da un lato si potrebbe sostenere che il d.m. 4 maggio 2012 è destinato a regolare la sorte di un numero di posizioni temporalmente limitate e soggettivamente determinabili, in quanto riferite alle sole vittime di contagio che abbiano azionato domande risarcitorie pendenti alla data di entrata in vigore delle leggi nn. 222 e 244 del 2007; e nello stesso senso si potrebbe aggiungere che il diaframma della determinabilità non viene infranto nemmeno dall’accoglimento dell’ipotesi interpretativa di maggiore latitudine - quale quella che ammette alla transazione anche i danneggiati iure proprio - poiché anche in tal caso si tratterebbe di posizioni non note ex ante ma individuabili ex post, sulla base di dati oggettivi.

Da un alternativo punto di vista, mette conto considerare che nella distinzione tra regolamenti ed atti amministrativi generali, ciò che più rileva non è tanto la “definibilità o meno dei destinatari (apparendo questo aspetto una conseguenza, più che un presupposto)” quanto il “distinto aspetto della astrattezza delle previsioni” e quindi “la causa fondante l’esercizio del potere che, mentre nel caso dei regolamenti è individuabile nella predefinizione astratta della disciplina di un numero indefinito e non determinato nel tempo di casi rientranti nel “tipo normativo”, nel caso degli atti amministrativi generali è invece rappresentata dal concreto perseguimento di un interesse pubblico, programmaticamente circoscritto e temporalmente definito” (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812).

Nella fattispecie, è d’uopo considerare che i decreti del 2009 e del 2012, con un grado di astrazione coerente con la fonte regolamentare ed una vocazione tipicamente “normativa”, si limitano ad individuare per astratte caratteristiche soggettive ed oggettive le tipologie di controversie suscettibili di transazione, demandando ad una successiva fase attuativa la concreta individuazione dei soggetti legittimati; così come è utile considerare che detto sistema regolamentare è solo un segmento di un percorso normativo (la cui continuità è ben evidenziata in Cons. St., sez. III, 28 marzo 2014 n. 1501), avviato nel 2003 - con il d.l. n. 89 del 2003, art. 3, convertito con l. 20 giugno 2003, n. 141 e attuato con il d.m. 3 novembre 2003 - e poi proseguito con successivi stanziamenti finanziari, anche in anni posteriori al 2007, destinati ad alimentare in modo continuativo le diverse fasi del percorso di composizione transattiva delle controversie in essere con le vittime dei contagi.

Può quindi sostenersi che se il fenomeno che questi interventi normativi affrontano è in itinere, essendo destinato a seguire l’inesauribile scia dei fenomeni morbosi causati da negligenze della pubblica amministrazioni; di contro, le leggi e i decreti del 2007 rappresentano una singola frazione di una più ampia e omogenea azione regolatoria che, se esaminata nella sua complessiva prospettiva storica, sembra recuperare appieno quei caratteri di generalità e astrattezza, oltre che di indeterminabilità dei suoi potenziali destinatari, dei quali poco sopra si dubitava. 27.6.) Da ultimo, in alternativa al rimedio della disapplicazione dell’atto, rimane da considerare la possibile nullità della previsione di cui alla lettera b) dell’art. 5 comma 1), ove interpretata in un senso confliggente con le disposizioni sovraordinate di carattere generale e non consentito dalle leggi e dal regolamento in attuazione del quale lo stesso decreto 4 maggio 2012 è stato adottato.

L’introduzione di regole extra ordinem, in difetto di un mandato abilitante alla disciplina in deroga alle norme generali dell’ordinamento, potrebbe profilare un vizio di nullità della disposizione ministeriale per “difetto assoluto di attribuzione” ai sensi dell’art. 21 septies, l. n. 241 del 1990, il che consentirebbe di prescinderne ai fini della decisione della causa, con un esito processuale sostanzialmente corrispondente a quello invocato - sub specie di disapplicazione formale - dalla difesa della parte appellante.

 


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri