Alla Corte di Giustizia UE quando sussiste un obbligo di rimessione, da parte del giudice di appello, al giudice europeo e l’estensione della revisione prezzi ai cd. settori speciali

Alla Corte di Giustizia UE quando sussiste un obbligo di rimessione, da parte del giudice di appello, al giudice europeo e l’estensione della revisione prezzi ai cd. settori speciali


Processo amministrativo – Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE – Obbligo del giudice di appello – Istanza di parte - Dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo o dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale – Rimessione alla Corte di giustizia UE.

 

Contratti della Pubblica amministrazione – Revisione prezzi – Ambito di applicazione - Contratti afferenti ai cd. settori speciali – Rimessione alla Corte di giustizia UE.

     

     E’ rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione se, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il Giudice nazionale, le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale, è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, anche nei casi in cui tale questione gli venga proposta da una delle parti del processo dopo il suo primo atto di instaurazione del giudizio o di costituzione nel medesimo, ovvero dopo che la causa sia stata trattenuta per la prima volta in decisione, ovvero anche dopo che vi sia già stato un primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (1).

 

     Sono rimesse alla Corte di Giustizia UE le questioni: a) se siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare agli articoli 4, co. 2, 9, 101, co. 1, lett. e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 da esso richiamate – 152, 153, 156 TFUE; articoli 2 e 3 TUE; nonché art. 28 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217, d.lgs. n. 163 del 2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità; b) se – in ragione di quanto innanzi esposto - siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare all’articolo 28 della Carta dei diritti dell’UE, al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall’art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217, d.lgs. n. 163 del 2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità (2).

 

(1) Ha ricordato la Sezione che il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea si rende, quindi, necessario, da parte di questo Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza, alla luce di quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia (cfr. ex plurimis Sez. IV, 18 luglio 2013 C-136/12, laddove essa precisa, par. 25, che : “. . . qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest'ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell'articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato”).

L’esigenza affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia – che determina la Sezione a disporre un nuovo rinvio pregiudiziale, alla luce della questione ex novo proposta dall’appellante – rende, però, necessario sottoporre alla Corte di Giustizia, un primo e preliminare quesito, concernente:

- la sussistenza di obbligatorietà del predetto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ogni qual volta una parte del processo, anche in tempi diversi, sottoponga al giudice nazionale di ultima istanza una questione pregiudiziale di compatibilità del diritto nazionale con il diritto europeo;

- ovvero se il rinvio pregiudiziale su istanza di parte debba ritenersi obbligatorio solo per quelle questioni che le parti propongano con il primo atto di costituzione in giudizio ovvero fino all’ultimo atto processuale consentito prima del passaggio in decisione della causa, e comunque giammai dopo che il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sia intervenuto una prima volta.

La Sezione ritiene, infatti, che l’enunciata obbligatorietà di rinvio pregiudiziale da parte del Giudice di ultima istanza non possa essere disgiunta da un regime di “preclusioni processuali” (che è rimesso alla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia di affermare corrispondentemente), tale da indurre le parti a sottoporre al giudice nazionale “una volta per tutte” gli aspetti del diritto interno applicabile al caso oggetto di giudizio che esse prospettano come contrastanti con il diritto europeo.

Diversamente, la proposizione “a catena” di questioni pregiudiziali – oltre che prestarsi a possibili usi distorti, tali da configurare, in casi estremi, un vero e proprio “abuso del processo” - finirebbe (stante la affermata doverosità di rimessione) per rendere evanescente il diritto alla tutela giurisdizionale ed il principio di celere definizione del giudizio con carattere di effettività.

A ciò aggiungasi che la proposizione di questioni pregiudiziali in momento successivo a quello “consolidato” dalla proposizione dell’impugnazione, si scontra con un sistema di preclusioni immanente al processo, secondo la disciplina nazionale del medesimo, poiché la proposizione del quesito successiva a tale momento viene ad alterare il thema decidendum che si consolida per il tramite dei motivi di impugnazione (soggetti a termine decadenziale) e di quanto eccepito ed opposto dalle parti evocate in giudizio.

 

(2) La Sezione ha richiamato la pronuncia della Corte di Giustizia del 19 aprile 2018., secondo cui “La direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, come modificata dal regolamento (UE) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, e i principi generali ad essa sottesi devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a norme di diritto nazionale, come quelle di cui al procedimento principale, che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva”.

La sentenza ha espresso tale principio facendo riferimento in via generale e complessiva alla citata direttiva, che è stata, pertanto, presa in considerazione nella sua interezza e, quindi, avendosi riguardo anche a quanto previsto dai “considerati” introduttivi della direttiva stessa.

La sentenza ha altresì precisato (considerato n. 30) che:

“parimenti, nemmeno i principi generali sottesi alla direttiva 2004/17, segnatamente il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva, sanciti dall’articolo 10 di tale direttiva, ostano a siffatte norme. Al contrario, non si potrebbe escludere che una revisione del prezzo dopo l’aggiudicazione dell’appalto possa entrare in conflitto con tale principio e con tale obbligo (v., per analogia, sentenza del 7 settembre 2016, Finn Frogne, C 549/14, EU:C:2016:634, punto 40). Infatti, come rileva la Commissione nelle sue osservazioni scritte, il prezzo dell’appalto costituisce un elemento di grande rilievo nella valutazione delle offerte da parte di un ente aggiudicatore, così come nella decisione di quest’ultimo di attribuire l’appalto a un operatore. Tale importanza emerge peraltro dal riferimento al prezzo contenuto in entrambi i criteri relativi all’aggiudicazione degli appalti di cui all’articolo 55, paragrafo 1, della direttiva 2004/17. In tali circostanze, le norme di diritto nazionale che non prevedono la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva sono piuttosto idonee a favorire il rispetto dei suddetti principi”.

La sentenza (n. 32) ha, poi, precisato che: “In secondo luogo, per quanto attiene all’interpretazione dell’articolo 56 TFUE, occorre rilevare che tale articolo sancisce, in materia di libera prestazione dei servizi, i principi di uguaglianza e non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza, rispetto ai quali la compatibilità di norme di diritto nazionale come quelle di cui al procedimento principale è già stata valutata al punto 30 della presente sentenza. Di conseguenza, non occorre procedere nuovamente all’interpretazione, sotto tale profilo, di detto articolo.”.

In definitiva, la citata sentenza della Corte di Giustizia ha escluso sia che le norme nazionali che impediscono la revisione prezzi nei settori qui considerati contrastino con la Direttiva 2004/17/CE, sia che le medesime incidano sui principi di libera prestazione dei servizi, di uguaglianza e non discriminazione e di trasparenza sanciti dall’art. 56 TFUE.

La Sezione ha quindi chiarito che l’appellante espone come la normativa che impedisce (solo per i settori speciali) l’applicazione della revisione prezzi - laddove quest’ultima è determinata dall’aumento del costo del lavoro a seguito di contrattazione collettiva intervenuta durante il rapporto contrattuale, in un settore quale quello delle pulizie, dove il costo del lavoro è la voce prevalente e determinante – si risolve in una violazione delle norme del diritto europeo che tutelano sia il diritto delle parti (imprese e associazioni dei lavoratori) alla libera contrattazione, sia i diritti stessi dei lavoratori.

In tale prospettazione, il divieto di revisione prezzi finirebbe per proporsi, per così dire, come un limite “esterno” alla contrattazione: esso sarebbe un limite determinato dalla “rigidità” imposta alle imprese (e di conseguenza alle associazioni dei lavoratori) conseguente alla immodificabilità delle pattuizioni che regolano la fornitura di servizi nell’ambito di rapporti contrattuali in essere.

Il che costituisce un “fattore” che incide “ab esterno” sulla libertà di contrattazione.

In definitiva, occorre verificare – sotto diverso profilo, secondo quanto ex novo richiesto dall’appellante e come risultante dal quesito come di seguito formulato – la conformità al diritto dell’Unione Europea degli artt. 206 e 217 d.lgs. 163/2006, nella parte in cui essi escludono l’applicazione del precedente art. 115 agli appalti dei settori speciali e anche agli appalti di servizi che, pur non rientrando nei settori speciali (nel caso di specie, appalto di servizi di pulizia), sono a questi legati da un nesso di strumentalità.

Allo stesso tempo l’esclusione della revisione prezzi, come esposto dall’appellante, “finisce per essere una misura (cfr. art. 106 TFUE) che impedisce, restringe e falsa la concorrenza, sino a subordinare la conclusione del contratto all’accettazione da parte del contraente di una prestazione supplementare che non ha alcun nesso con l’oggetto del medesimo contratto (art. 101, co. 1, lett. e) TFUE) negando altresì il valore del mercato (art. 3, co. 3, TUE).


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione, REVISIONE prezzi

UNIONE Europea, RINVIO pregiudiziale alla Corte di giustizia UE

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri