Sulla nozione ed i limiti del “consumo sul posto” nella vendita di prodotti alimentari e distinzione con la ristorazione

Sulla nozione ed i limiti del “consumo sul posto” nella vendita di prodotti alimentari e distinzione con la ristorazione


Alimenti - Servizio di somministrazione – Artigiano alimentare – Secondo la normativa  nazionale – Iscrizione all’Albo – Necessità – Iscrizione al registro degli esercenti il commercio ed autorizzazione amministrativa ex lege n. 426 del 1971 – va esclusa – Condizioni.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Artigiano alimentare – Secondo la normativa regionale -  Vendita di prodotti propri nei locali dell’azienda con possibilità di consumo immediato – Iscrizione all’Albo – Necessità.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Nozione di “gastronomia” – Individuazione.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Attività dell’artigiano alimentare iscritto all’Albo – Soggezione alla disciplina sul commercio – Esclusione – Vendita o consumo sul posto di beni alimentari (gastronomia compresa) che non siano di propria produzione – Esclusione.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Attività dell’artigiano alimentare non iscritto all’Albo – Svolgimento di attività di produzione e trasformazione alimentare –  Scia di laboratorio di gastronomia – Necessità - Consumo sul posto di prodotti di propria produzione – Esclusione.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Attività dell’artigiano alimentare non iscritto all’Albo - Detentore di una licenza di vicinato alimentare – Applicazione norme su esercizio di vicinato e conseguente disciplina commerciale – Vendita di prodotti alimentari (compresi, ai soli fini di asporto, quelli prodotti e trasformati in sede) – Possibilità – Consumo sul posto di prodotti di gastronomia – Possibilità – Consumo sul posto di prodotti diversi dai precedenti – Esclusione.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Consumo sul posto di prodotti artigianali – Esclusione.

Processo amministrativo – Prove - Onere della prova - Alimenti – Dimostrazione dell’iscrizione all’Albo e che la vendita di prodotti alimentari con consumo sul posto avviene in conformità al titolo – Spetta alla parte ricorrente che assuma di essere artigiano alimentare quanto agisce per l’annullamento di un provvedimento con il quale le si ordina la cessazione dell’attività di somministrazione abusivamente intrapresa.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Nozione di ristorazione e di vendita di prodotti alimentari con facoltà di consumo sul posto – Individuazione.

Alimenti - Servizio di somministrazione – Consumo immediato di prodotti da asporto all’interno di esercizi abilitati – Distinzione dalla ristorazione.

 

             Nella normativa statale, artigiano è colui (che “esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo” e) che è iscritto all’Albo previsto dall’art. 5, l. n. 443 del 1985 e nei cui confronti (ex art. 5, comma 7, della medesima legge) “per la vendita nei locali di produzione, o ad essi contigui, dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente di quanto strettamente occorrente all'esecuzione dell'opera o alla prestazione del servizio commessi, non si applicano alle imprese artigiane iscritte all'Albo di cui al primo comma le disposizioni relative all'iscrizione al registro degli esercenti il commercio o all'autorizzazione amministrativa di cui alla l.  11 giugno 1971, n. 426 , fatte salve quelle previste dalle specifiche normative statali”. Tale esclusione, quindi, opera solo per la vendita nei locali aziendali di prodotti propri dell’artigiano oppure per la fornitura di prodotti strettamente accessori ai primi (es., bevande gassate o acqua minerale) (1).

     Nella normativa della Regione Lazio (l. reg. n. 33 del 1999) l’attività dell’artigiano iscritto all’Albo previsto dall’art. 5, l. n. 443 del 1985 è esclusa dalla disciplina delle attività commerciali dall’art. 3,  comma 2, lett. “f”. Analoghe previsioni si riscontrano nella l. reg. Lazio n.3 del 2015 (“Disposizioni per la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo dell'artigianato nel Lazio”) che prevede, all’art. 6, comma 5, l’esclusione nei confronti delle imprese artigiane delle disposizioni vigenti in materia di esercizio di attività commerciali, e cioè delle disposizioni relative alla vendita sul posto, aggiungendo però la seguente previsione al c. 6 “Le imprese artigiane del settore alimentare possono effettuare l'attività di vendita dei prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, in materia di inquinamento acustico e di sicurezza alimentare”. Tali imprese artigiane facoltizzate al consumo sul posto devono essere iscritte all’Albo di cui all’art.15 della stessa novella regionale (1).

 

             Nella nozione di “gastronomia” - per adottare lettura coerente con la vocazione dell'esercizio (che offre una celere e semplice opportunità di assumere bevande ed alimenti) - vanno considerati compresi tutti gli alimenti che siano stati “altrove confezionati” e che vengano offerti, pronti al consumo, previa quella semplice operazione di riscaldamento (a piastra od a forno) che è l'unica consentita in quel genere di esercizi, nel mentre dalla species dei prodotti in questione dovranno certamente esulare tutte le ipotesi di cibi che siano cucinati nel locale, e non rileva se preventivamente od a richiesta del cliente, posto che la presenza di una organizzazione per la preparazione dei pasti (locali, macchinari, personale) è propria e peculiare dell'esercizio di ristorazione (1).

            L’artigiano alimentare iscritto all’Albo svolge attività non soggetta alla disciplina sul commercio ma regolamentata da apposite disposizioni legislative (statali e regionali) che gli consentono, senza munirsi di alcun titolo commerciale (Scia, Dia, autorizzazione, ecc.) di effettuare l'attività di vendita, nei locali di lavorazione, o in quelli adiacenti, dei beni di produzione propria; la medesima disciplina gli permette il consumo sul posto, immediato, dei medesimi beni utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, in materia di inquinamento acustico e di sicurezza alimentare. Non può, anche se iscritto all’Albo, vendere o consentire il consumo sul posto di beni alimentari (gastronomia compresa) che non siano di propria produzione, salvo che si munisca di una licenza di vicinato alimentare (oggi Scia) (1).

            L’artigiano alimentare non iscritto all’Albo altro non è che un soggetto che svolge attività di produzione e trasformazione alimentare per la quale necessita di una Scia di laboratorio di gastronomia (termine questo da intendere giuridicamente nel significato sopra delineato e non nell’accezione comune); la relativa Scia non permette il consumo sul posto di prodotti di propria produzione ed è, ben diversamente, il titolo necessario per avviare un’attività di produzione e trasformazione alimentare (che non lo abilita alla vendita dei relativi prodotti e quindi neppure al consumo sul posto) (1).

            L’esercente attività di laboratorio non iscritto all’Albo, ma detentore di una licenza di vicinato alimentare è soggetto, giuridicamente, equiparato a detto esercente di vicinato e la relativa attività, conseguentemente, è sottoposta alla disciplina commerciale. Può vendere prodotti alimentari (compresi, ai soli fini di asporto, quelli prodotti e trasformati in sede) ma l’art. 3, comma 1, lett. f-bis), d.l. n.223 del 2006 (Bersani), convertito con modificazioni dalla l. n. 248 del 2006, gli permette di far consumare sul posto i soli prodotti di gastronomia; non può far consumare sul posto i prodotti alimentari di propria produzione: nessuna norma lo abilita a tanto ed ove eserciti tale attività – utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda e pur con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione - intraprende una somministrazione non consentita in quanto non detentore di una licenza di cui alla lett.a) dell’art. 5, l. n.287 del 1991 (1).

            L’esercente di vicinato alimentare, oltre a poter vendere tutti i prodotti alimentari, può far consumare sul posto solo i prodotti di gastronomia; non gli è consentito, in alcun modo, il consumo sul posto dei prodotti che eventualmente produce a livello artigianale avvalendosi della Scia di laboratorio; ed anche qui la violazione del precetto – utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda e pur con l'esclusione del servizio assistito – genera un servizio di somministrazione che, in assenza della relativa abilitazione (e dunque di una licenza di tipo a) sopra richiamata), deve ritenersi abusivamente condotto (1).

            Laddove la parte ricorrente, assumendo di essere artigiano alimentare, agisca per l’annullamento di un provvedimento con il quale le si ordina la cessazione dell’attività di somministrazione abusivamente intrapresa e la stessa parte opponga che la propria attività è condotta con rispetto dei limiti del proprio titolo, assumendo di essere abilitata alla vendita di artigianato alimentare, la stessa parte ricorrente è onerata di allegare la dimostrazione dell’avvenuto rispetto dei limiti propri del titolo che invoca (oltre che della iscrizione al relativo albo) (1).

             Nella ristorazione il servizio che l’azienda predispone ed offre al pubblico è funzionalmente rivolto a consentire al cliente di accedere al locale allo scopo di trattenersi in esso e consumare i pasti (caldi o freddi, a seconda dell’offerta); in questo caso, la preparazione dell’alimento e la sua somministrazione sono oggetto di un contratto di compravendita mista all’erogazione di un servizio, laddove quest’ultimo è prevalente sulla prima e la fornitura di prodotti alimentari è assorbita nella lavorazione degli stessi al fine della consumazione immediata (il che si riflette sulla complessiva organizzazione dei mezzi produttivi, dal personale alle strumentazioni ed arredi); nella vendita di prodotti alimentari con facoltà di consumo sul posto, invece, lo schema dell’attività è capovolto: si tratta di una attività che ad oggetto funzionalmente la compravendita, ovvero la fornitura al cliente di un prodotto alimentare grezzo, (solo) eventualmente già trattato (cucinato), ma comunque destinato all’asporto, ovvero al consumo presso luoghi diversi dall’azienda (abitazione e quant’altro). In questa fattispecie, il “consumo” immediato (nei locali dell’azienda fornitrice) è solamente “consentito”, ovvero è oggetto di un servizio accessorio, che non muta causalmente il negozio, pur arricchendone l’utilità per il cliente (il quale, se sceglie di consumare il prodotto acquistato immediatamente, può farlo nel locale del venditore); l’esclusione del “servizio assistito” ai tavoli si rivela quindi una nozione identificativa di un elemento di organizzazione dell’azienda che è volto ad assicurare che - nell’assetto di interessi - la fornitura di prodotto alimentare rimanga (economicamente e funzionalmente) prevalente rispetto al servizio (1).

            Ai  sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f bis), d.l. n.  223 del 2006, il consumo immediato di prodotti da asporto all’interno di esercizi abilitati, si distingue dalla ristorazione (e dunque non è soggetto ai relativi presupposti e requisiti abilitanti) secondo un criterio sostanziale di accessorietà rispetto alla vendita da asporto, che deve mantenere un carattere prevalente e funzionale; in questo senso, l’assenza di servizio assistito, che la norma prefigura quale parametro di riferimento per la identificazione della fattispecie, va intesa come criterio “funzionale”, che rinvia ad un concreto assetto dell’organizzazione dell’offerta – quindi da accertarsi caso per caso – rivolto a mantenere il consumo sul posto come una semplice facoltà della clientela; ben lungi dal potersi esaurire nella semplice presenza o assenza di camerieri, è nozione rivolta a consentire la più ampia qualificazione della organizzazione dell’impresa, includendovi tutto quello che è necessario al consumo tipico della somministrazione ordinaria, quindi sia il personale sia le attrezzature, sia soprattutto, le concrete dinamiche ed interrelazioni tra le componenti oggettive del locale (inclusi quindi gli arredi, nonché le modalità di presentazione ed offerta dei prodotti (1).

 

Con la sentenza in commento, il Tar Lazio ha ribadito il proprio orientamento in tema di elementi distintivi della vendita di prodotti alimentari con possibilità di un loro “consumo sul posto” rispetto alla ristorazione, evidenziando come la nozione di “servizio al tavolo”, che connota quest’ultima e che deve essere escluso nel primo caso, non possa ricondursi alla semplice attività dei camerieri e postuli, invece, una dimensione “funzionale”, da accertarsi caso per caso, così da verificare che il “consumo sul posto” rimanga accessorio e non prevalente rispetto alla vendita per asporto.

La sentenza evidenzia come la distinzione abbia rilevanti ricadute in termini di parità di trattamento e tutela della concorrenza in quanto le ristorazioni sono soggette a penetranti limiti (puntualmente analizzati nella motivazione) e, nel territorio della Città Storica di Roma Capitale, ad un altrettanto severo contingentamento; mentre, poiché ad essi non sono soggette le aziende di vendita di prodotti alimentari, nell'ambito del relativo mercato l’attivazione del consumo sul posto (che dovrebbe costituire solo una modalità di una fruizione aggiuntiva e sussidiaria rispetto alla vendita per asporto), si è di fatto ampliata fino a costituire il rischio di evidenti elusioni dei vincoli rigorosi imposti alle attività di ristorazione.

La sentenza riporta anche come la casistica avesse consentito di enucleare una molteplicità di indicatori da osservarsi nell’indagine funzionale sull’organizzazione dell’azienda erogatrice (quali la tipologia degli arredi, l’offerta degli alimenti a porzione con menu di tipo ristorativo, la presenza di mescita di bevande alcoliche e così via), che il Regolamento locale di Roma Capitale (art. 5 della D.A.C. n. 47 del 2018) aveva recepito ed approfondito.

Il Consiglio di Stato, con le sentenze variamente richiamate dalla decisione in commento ed in particolare la decisione n. 2280 del 2019, ha invece ritenuto che il “servizio al tavolo” non possa che identificarsi con la presenza di camerieri, così da considerare irrilevanti le ulteriori e differenti modalità di erogazione del servizio che si sono dapprima indicate e, sulla base di tale presupposto, ha annullato l’art. 5 del Regolamento n. 47 del 2018 (sentenze nn. 139 e 141 dell’8 gennaio 2020).

Tuttavia, lo stesso giudice di appello, con sentenza n. 8923 del 31 dicembre 2019 (passata in decisione successivamente alle sentenze dapprima indicate, ancorchè pubblicata prima) è poi pervenuto ad una conclusione del tutto opposta, confermativa dell’orientamento del TAR e della necessità di una indagine funzionale.

Il Tar, con la sentenza in esame, ha quindi rilevato che l’intervenuto annullamento dell’art. 5 del Regolamento n. 47 del 2018 non ha comportato il venir meno della necessità di identificare, caso per caso, i tratti distintivi dell’istituto, in diretta applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f bis), d.l. n. 223 del 2006, non più mediata dalla fattispecie regolamentare; ed ha confermato il proprio orientamento, non senza criticamente evidenziare i limiti del percorso argomentativo delle contrarie decisioni del Consiglio di Stato e sollecitare la remissione della questione controversa all'Adunanza Plenaria.

A tali fini, il giudice di primo grado si è soffermato su alcuni elementi ulteriori, precisando i limiti dell’istituto  in relazione alle facoltà di vendita degli artigiani alimentari ed alle relative condizioni, individuando i criteri distintivi della nozione di "gastronomia", precisando condizioni e termini della sua vendita o somministrazione a seconda delle modalità di preparazione (se fredda o calda ed in dipendenza delle modalità di cucina) ed approfondendo la distinzione sotto il profilo dei "tipi negoziali" tra la vendita e la ristorazione (nelle quali prevalgono, rispettivamente, la compravendita ed il servizio).


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

ALIMENTI

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri