Messa in liquidazione di società partecipata

Messa in liquidazione di società partecipata


Giurisdizione – Società – Società partecipata – Messa in liquidazione – Controversia – Giurisdizione giudice amministrativo.

Società – Società partecipata – Messa in liquidazione - Motivazione – Necessità. 

 

 

             Spetta alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente ad oggetto la legittimità (o meno) delle deliberazioni del Consiglio comunale di messa in liquidazione di una società partecipata, adottate nell’ambito degli adempimenti di cui all’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 (“Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche”), in quanto gli atti in questione sono espressione del potere autoritativo delle amministrazioni pubbliche, teso, tra l’altro, all’esigenza di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica (art. 1, d.lgs. n. 175 del 2016); essi involgono posizioni di interesse legittimo finalizzato al corretto esercizio del potere da parte della società, la quale fa per l’appunto valere un interesse legittimo come aspirazione al conseguimento o al mantenimento di un bene o di una utilità in conseguenza dell’azione amministrativa (in tal caso al mantenimento in vita della società) a fronte dell’esercizio del detto potere autoritativo (1).  


          La scelta del Comune di procedere alla messa in liquidazione di una società partecipata a seguito della ricognizione ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 deve essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (nel caso di specie art. 20 comma 2 lett. b) e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla (2). 

 

 

(1) Ha chiarito il Tar che trova conferma nella giurisprudenza amministrativa e delle sezioni unite della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di riparto della giurisdizione, sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l'attività unilaterale e prodromica, di natura pubblicistica, con la quale un ente pubblico delibera di incidere sulle vicende societarie (di costituzione, modificazione ed estinzione della società), mentre sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto gli atti societari che si pongono a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, le quali restano interamente soggette alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2020, n. 3969 e id.  23 gennaio 2019, n. 578;  Cass. civ., S.U., 20 settembre 2013, n. 21588; Tar Milano, sez. I, 19 maggio 2021, n. 1212). 

Va precisato che nel caso di specie non è ravvisabile una ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (come sostenuto, sia pur incidentalmente, dalle sent. Cass. s.u. n. 30167 del 2011 e n. 21588 del /2013, richiamate dalla società ricorrente), atteso che non vi è nella legge (e in particolare nel cod. proc. amm.) alcuna norma che riconosca che controversie quali quella di cui trattasi siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.  

Infatti, le controversie relative a provvedimenti concernenti le “procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali” sono soggette al rito abbreviato di cui all’art. 119, comma 1, lett. c), c.p.a., ma ciò non implica che la cognizione delle relative controversie sia riservata dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, limitandosi detta disposizione a dettare particolari regole (non sulla giurisdizione, ma) di procedura per la trattazione di tali giudizi (v. Tar Palermo, sez. II, 13 settembre 2016, n. 2153; Tar Lecce, sez. II, 12 marzo 2014, n. 751; Tar Catania, sez. III, 30 gennaio 2013, n. 200). 

A quanto esposto consegue che la clausola compromissoria prevista dall’art. 30 dell’atto costitutivo della società ricorrente non può trovare applicazione nel caso di specie ai sensi dell’art. 12 c.p.a. (secondo cui le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai sensi degli artt. 806 e ss. cod. proc. civ.), concernendo, come chiarito, la controversia interessi legittimi e non diritti soggettivi.  

Detta disposizione (art. 12 c.p.a.) è norma di stretta interpretazione, applicabile solo quando la posizione giuridica soggettiva azionata abbia consistenza di diritto soggettivo e sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, di contro, non applicabile quando la posizione giuridica soggettiva azionata abbia natura di interesse legittimo; ciò in quanto l’accordo delle parti, espresso nel patto compromissorio, comporta indirettamente una deroga alla giurisdizione, avendo l’effetto di affidare al giudice ordinario, in sede di impugnazione del lodo, la cognizione di controversie che, in assenza dell’arbitrato, sarebbero devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. ex multis, Cass., s.u. 27 luglio 2004, n. 14090; Tar Palermo, sez. II, 13 settembre 2016, n. 2153).  

In ogni caso – e quindi anche ove in tesi dovesse ritenersi che la questione verta su diritti soggettivi e che la giurisdizione sia esclusiva (il che questo Collegio esclude per quanto sin qui detto) – la clausola compromissoria non potrebbe operare, atteso che l’art. 30 dell’atto costitutivo della società demanda al collegio arbitrale “tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali, comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari”, tra le quali non rientra, all’evidenza, quella in esame, ove l’oggetto è costituito dalle dette deliberazioni consiliari del Comune deputate agli adempimenti di cui all’art. 20 cit., da assumere nell’esercizio di poteri pubblicistici, avendo riguardo, tra l’altro, all’interesse pubblico di riduzione della spesa pubblica (art. 1, d.lgs. n. 175 del 2016).  

 

(2) La Sezione ha ricordato che dall’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 emerge, da una parte, l’obbligatorietà della revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (“I piani di razionalizzazione…sono adottati ove…”) e, dall’altra, la necessità di una motivazione da parte degli enti circa le misure adottate; in altri termini, la ricognizione annuale, incentrata sulla valutazione della ricorrenza dei parametri elencati nell’art. 20 TUSP, costituisce adempimento obbligatorio, mentre gli esiti possono essere vari e sono rimessi alla discrezionalità delle amministrazioni partecipanti, le quali sono tenute a motivare espressamente sulla scelta effettuata, la quale può consistere sia nel mantenimento della partecipazione senza interventi sia in una misura di razionalizzazione, il cui contenuto, a sua volta, può consistere in un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.  

Consegue che la scelta del Comune di procedere alla messa in liquidazione di una società partecipata a seguito della ricognizione ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 deve essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (nel caso di specie art. 20, comma 2, lett. b), e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla.  

Tale adempimento (ossia la relazione tecnica e nel caso di specie il suo adeguamento a seguito dell’emendamento) viene previsto dall’art. 20 cit. come corredo necessario del piano di razionalizzazione (“[i] piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita relazione tecnica”) ed “è funzionale a consentire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione”.  


Anno di pubblicazione:

2022

Materia:

GIURISDIZIONE (in genere, amministrativa)

SOCIETÀ, intermediazione finanziaria

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri