L’aggiudicazione della gara va impugnata con i motivi aggiunti se è stata già impugnata l’esclusione dalla procedura

L’aggiudicazione della gara va impugnata con i motivi aggiunti se è stata già impugnata l’esclusione dalla procedura


Processo amministrativo – Rito appalti – Esclusine dalla gara – Impugnazione – Successiva impugnazione aggiudicazione – Con autonomo ricorso – Inammissibilità.

  E’ inammissibile il ricorso proposto avverso l’aggiudicazione di una gara se era stato proposto separato ricorso avverso l’esclusione dalla procedura selettiva, dovendo l’aggiudicazione essere gravata, ai sensi dell’art. 120, comma 7, c.p.a., con atto di motivi aggiunti (1). 


(1) Ha ricordato la Sezione che ai sensi dell’art. 120, comma 7, c.p.a., “i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti”. La disposizione (che riprende quanto in precedenza stabiliva l’art. 245, comma 2- septies, d.lgs. n. 163 del 2006, inserito dall’art. 8 del d.lgs. n. 53 del 2010) rappresenta una delle varie previsioni che disciplinano, in deroga alle disposizioni generali sul processo amministrativo, il rito speciale delle controversie sugli “atti delle procedure di affidamento … relativi a pubblici lavori, servizi o forniture” (art. 120, comma 1, c.p.a.). Con essa il legislatore ha inteso stabilire in via generale e in forma espressa che tutti i “nuovi” atti o provvedimenti che riguardano la “medesima” procedura di gara, già interessata da un contenzioso medio tempore instaurato, “devono” essere impugnati esclusivamente con “ricorso per motivi aggiunti” (Cons. St., A.P., 27 aprile 2015, n. 5 e 26 aprile 2018, n. 4).

La specifica disciplina della proposizione dei motivi aggiunti contro i “nuovi” atti, ai sensi dell’art. 120, comma 7, c.p.a., si pone in deroga a quella generale prevista nell’art. 43 c.p.a. secondo cui “i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte”. Ai sensi dell’art. 43 c.p.a. costituisce infatti facoltà (“possono”) dell’interessato, e non obbligo, introdurre mediante motivi aggiunti nel processo già instaurato, ad esempio contro un determinato provvedimento, una nuova domanda avente ad oggetto l’impugnazione di un diverso provvedimento (c.d. motivi aggiunti impropri), purché vi sia connessione tra la precedente e la successiva domanda. Rimane comunque salva la possibilità per il giudice, qualora la “domanda nuova” sia stata introdotta con “ricorso separato”, di provvede alla riunione dei gravami ai sensi dell'articolo 70 c.p.a. (art. 43, comma 3, c.p.a.). 

La regola generale sulla facoltà della proposizione dei motivi aggiunti avente ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento è dunque sovvertita dall’art. 120, comma 7, c.p.a., nell’ambito delle controversie sugli “atti delle procedure di affidamento … relativi a pubblici lavori, servizi o forniture” (art. 120, comma 1, c.p.a.). La possibilità di proporre motivi aggiunti aventi ad oggetto la domanda impugnatoria è stata quindi esclusa dal legislatore per lasciare posto al dovere, che va inteso quale onere a carico dell’interessato, di proporre motivi aggiunti. Così come il ricorrente non può proporre un ricorso autonomo e separato, allo stesso modo, per evidenti ragioni di garanzia del contraddittorio, deve ritenersi precluso al giudice, qualora i “nuovi atti” siano stati impugnati con ricorso autonomo e separato, provvedere alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 70 c.p.a.. Si può in conclusione affermare che ciò che nel rito ordinario è eccezione (ossia facoltà di proporre motivi aggiunti) nel rito sugli appalti pubblici diviene regola (ossia onere di proporre motivi aggiunti). Peraltro, l’aver individuato quale unico mezzo di tutela idoneo per gravare gli atti della procedura di gara adottati nel corso di un giudizio già instaurato costituisce una scelta del legislatore, assunta nell’esercizio dell’ampia discrezionalità di cui gode nel conformare i mezzi di tutela delle posizioni sostanziali della parte (artt. 24, 103 e 113 Cost.), che appare improntata, per le ragioni predette, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza ed adeguatezza (Corte costituzionale 25 giugno 2019, n. 160). 

La disciplina dell’art. 120, comma 7, c.p.a., non prevede tuttavia in modo espresso una sanzione per la sua violazione. Ciononostante non è possibile ritenere che la disposizione in esame costituisca un precetto senza sanzione e ciò sia per il principio di non contraddizione dell’ordinamento (che non può vietare una condotta, anche processuale, senza poi lasciare priva di sanzione la condotta che si è posta in essere in violazione del precetto) sia per la peculiare tipologia di controversie che vengono in emersione sia ancora per la natura giuridica della previsione che, in quanto disposizione processuale, ha natura di ordine pubblico interno in alcun modo derogabile. Alla luce degli ordinari criteri di interpretazione letterale, logica e sistematica, è ben possibile per l’interprete individuare le conseguenze giuridiche che l’ordinamento collega alla violazione del precetto sancito nell’art. 120, comma 7, c.p.a.. Sotto il profilo letterale, l’art. 120, comma 7, c.p.a., prevede chiaramente e in forma cogente che tutti i nuovi atti che riguardano la medesima procedura di gara “devono” essere impugnati con “ricorso per motivi aggiunti”. Come si è detto, l’inciso “devono” esprime un onere, e non una facoltà, a carico dell’interessato che, laddove abbia avviato un contenzioso sugli “atti delle procedure di affidamento” che riguardano “pubblici lavori, servizi o forniture”, è tenuto a proporre motivi aggiunti nell’ambito dello stesso giudizio già instaurato e non un autonomo ricorso che dà vita ad un distinto giudizio. Sotto il profilo logico, la previsione contenuta nell’art. 120, comma 7, c.p.a., mira a concentrare nell’ambito del medesimo processo in cui è all’esame una procedura di gara tutti i gravami impugnatori, comunque e da chiunque proposti, che riguardano la medesima procedura (c.d. simultaneus processus). La disposizione è quindi strumentale al conseguimento del più ampio obiettivo perseguito dal legislatore con la disciplina del rito sugli appalti ossia garantire l’accelerazione della definizione dei giudizi che riguardano il settore delle commesse pubbliche che rappresenta un fondamentale volano per l’intera economia nazionale. Inoltre, mira ad assicurare la tempestiva ed utile cognizione del Collegio, nell’ambito di un unico giudizio, sull’intera controversia concernente la procedura di gara. Difatti, la concentrazione dei mezzi di ricorso in un solo giudizio evita la frammentazione dei gravami che sovente accompagnano l’indizione di gare contraddistinte da un significativo numero di lotti (come nel caso di specie), consentendo così al giudice di adottare tempestivamente ogni decisione utile, anche in sede cautelare, a tutela dell’interesse delle parti e, soprattutto, dell’interesse pubblico generale sotteso alla conclusione della procedura. Sotto il profilo sistematico, infine, la regola generale dell’obbligo di proporre motivi aggiunti è in linea con una serie di altre regole processuali che gli artt. 119 e 120 c.p.a., quest’ultimo di recente modificato dall’art. 4, d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (cfr., precedente della Sezione 6 agosto 2020, n. 9044), dettano in deroga a quelle generali sul processo e che hanno come destinatari sia gli operatori del diritto che il giudice. Si tratta di un articolato insieme di disposizioni processuali, a cui si aggiungono a completamento quelle di natura sostanziale contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, che caratterizzano in modo non episodico ma sistemico il rito c.d. appalti che, nei termini qui precisati, cessa di divenire rito speciale per assumere dignità di rito ordinario nelle procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture. All’esito dell’attività ermeneutica sopra svolta e in virtù del principio di non contraddizione dell’ordinamento, l’impiego da parte dell’interessato di un mezzo processuale diverso rispetto a quello stabilito dall’ordinamento non può rimanere senza conseguenze sul piano logico-giuridico. La conseguenza che ne deriva va individuata nell’escludere la possibilità per il ricorrente di giungere ad una pronuncia sul merito della controversia mediante il mezzo processuale eletto in violazione del divieto posto dalla legge. Il risvolto processuale della violazione di tale disposizione non può che essere l’inammissibilità del ricorso così proposto. 

​​​​​​​La causa di inammissibilità appena enucleata rientra tra le “altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito” ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b), c.p.a.. Tale previsione costituisce infatti clausola generale, aperta, di natura processuale, nell’ambito della quale il giudice può individuare in base all’ordinamento ragioni di inammissibilità (“altre ragioni”) che, benchè non codificate dal legislatore, siano accomunate dall’effetto di escludere (“ostative”) comunque la possibilità di pervenire ad una “pronuncia sul merito”. Tra le “altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito”, che comportano in via generale l’inammissibilità del ricorso, rientra, in base alle considerazioni su esposte, la violazione della disposizione dell’art. 120, comma 7, c.p.a.. 


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri