Alla Corte di Giustizia Ue la procedura di valutazione per la chiamata nel ruolo dei professori associati per i ricercatori universitari

Alla Corte di Giustizia Ue la procedura di valutazione per la chiamata nel ruolo dei professori associati per i ricercatori universitari


Università degli studi - Ricercatori - Contratti a tempo determinato - Procedura di valutazione per la chiamata nel ruolo dei professori associati - Artt. 24, commi 5 e 6, l. n. 240 del 2010 – Solo ai ricercatori a tempo determinato ex art. 24, comma 3, lett. b), l. n. 240 del 2010 con abilitazione scientifica e ai ricercatori a tempo indeterminato con abilitazione scientifica – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue

          Deve essere rimessa alla Corte di giustizia la questione se la clausola 4 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, «Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato», intitolata «Principio di non discriminazione», letta unitamente agli artt. 20 e 21 del Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ed anche alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, osta ad una normativa nazionale, quale quella di cui agli artt. 24, commi 5 e 6, l. n. 240 del 2010, che riconosce ai ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. b), che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di cui all’art. 16 della medesima legge, e ai ricercatori a tempo indeterminato, che parimenti abbiano conseguito la predetta abilitazione, rispettivamente il diritto e la possibilità (implementata con l’assegnazione di apposite risorse) di essere sottoposti – i primi alla scadenza del contratto, i secondi fino al 31 dicembre 2021 – ad un’apposita procedura di valutazione per la chiamata nel ruolo dei professori associati, mentre nessun diritto né possibilità analoghi vengono riconosciuti ai ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. a), in possesso della abilitazione scientifica nazionale, malgrado si tratti di lavoratori chiamati a svolgere, tutti indistintamente, identiche mansioni (1).

(1) V. anche la rimessione alla Corte di giustizia disposta dalla Sezione con ord. 10 gennaio 2020, n. 240.

Ha ricordato la Sezione che la sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-331/17 del 25 ottobre 2018 ha chiarito che «poiché la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non consente in nessuna ipotesi, nel settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, essa può instaurare una discriminazione tra lavoratori a tempo determinato di detto settore e lavoratori a tempo determinato degli altri settori, poiché questi ultimi, dopo la conversione del loro contratto di lavoro in caso di violazione delle norme relative alla conclusione di contratti a tempo determinato, possono diventare lavoratori a tempo indeterminato comparabili ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro».

La clausola 4 punto 1, applicabile in quel contesto ed intitolata «Principio di non discriminazione», stabilisce che «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».
La Corte di giustizia in quel caso aveva posto a confronto lavoratori a tempo determinato di diversi settori, e aveva accertato in tal modo la discriminazione subita in particolare da quelli del settore delle fondazioni lirico-sinfoniche.

Più recentemente nella sentenza della Corte di giustizia (Seconda Sezione) 20 giugno 2019 nella causa C‑72/18 sono state definite le «ragioni oggettive» di cui alla clausola 4 punto 1.

La Corte era chiamata a stabilire se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione segnatamente degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto.

La Corte ha quindi richiamato la propria giurisprudenza sull’esatta nozione di «ragioni oggettive» che permettono, senza incorrere in un’ingiustificata discriminazione, un differente trattamento nei confronti di lavoratori a tempo determinato, quanto alle condizioni di impiego, rispetto a lavoratori a tempo indeterminato con mansioni identiche o simili (tenuto conto delle qualifiche/competenze).

Ebbene, secondo la Corte, perché siano ravvisabili tali rilevanti «ragioni oggettive», si «richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenze del 13 settembre 2007, C‑307/05, EU:C:2007:509, punto 53, e del 22 dicembre 2010, - C‑444/09 e C‑456/09, EU:C:2010:819, punto 55, nonché del 5 giugno 2018, C‑574/16, EU:C:2018:390, punto 54)».

Alla luce di tali limpide considerazioni, la Corte ha dichiarato «che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale».

Ha aggiunto la Sezione che il ricercatore a tempo determinato di tipo A, nonostante svolga le stesse funzioni dei ricercatori a tempo determinato di tipo B e di quelli a tempo indeterminato, e abbia vinto un concorso di pari difficoltà e selettività di quello superato da quest’ultimi, incontra una rilevante e preclusiva discriminazione, in pratica una barriera all’ingresso alla carriera di professore di seconda fascia. Infatti, tra quelli in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, solo i ricercatori di tipo B e quelli a tempo indeterminato hanno la possibilità di essere valutati ai fini dell’inquadramento nel ruolo degli associati, a differenza dei ricercatori di tipo A i quali, alla scadenza del contratto, possono al massimo conseguire una proroga biennale.

E ciò senza una giustificazione razionale e/o non discriminatoria.

Quanto ai ricercatori a tempo indeterminato, va rilevato che questi, a differenza dei ricercatori a tempo determinato di tipo A, non hanno l’obbligo di prestare attività didattica (non integrativa), ma viceversa godono di stabilità del rapporto di lavoro, godendo quindi di una migliore prospettiva di carriera, certamente non proporzionata ai requisiti di ingresso nella stessa, ed alla qualità e quantità delle competenze loro affidate.

La rilevata maggiore stabilità del rapporto di lavoro del ricercatore a tempo indeterminato è poi avvalorata dall’art. 31, d.P.R. n. 382 del 1980, che gli consente, qualora dopo il primo triennio non superi il giudizio di conferma, in caso di ulteriore insuccesso al termine del successivo biennio, di avvalersi, a domanda, della facoltà di passaggio ad altra amministrazione. Ed è appena il caso di ricordare che gli ultimi ricercatori a tempo indeterminato avevano ricevuto l’ulteriore benefit di essere assunti con concorsi per soli titoli in base all’art. 1, comma 7, d.l. n. 180 del 2008.

Al contrario, un ricercatore a tempo determinato di tipo A, anche se ha ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale e la proroga biennale a seguito di positiva valutazione dell’attività svolta, alla scadenza del suo contratto perde il lavoro, pur essendogli attribuito il semplice ma sostanzialmente poco utile titolo di precedenza nei concorsi pubblici, in caso di pari collocazione in graduatoria, previsto nell’art. 24, comma 9, l. n. 240 del 2010 (I contratti di cui al presente articolo non danno luogo a diritti in ordine all'accesso ai ruoli. L'espletamento del contratto di cui al comma 3, lettere a) e b), costituisce titolo preferenziale nei concorsi per l'accesso alle pubbliche amministrazioni).


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

UNIVERSITÀ, RICERCATORE

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri