All'Adunanza plenaria la modificabilità della misura della penalità di mora in sede di chiarimenti al giudice dell'ottemperanza

All'Adunanza plenaria la modificabilità della misura della penalità di mora in sede di chiarimenti al giudice dell'ottemperanza


Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Chiarimenti – Penalità di mora – Modifica relativa statuizione – Possibilità ed effetti – Rimessione Adunanza plenaria.


               Vanno rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni 1) se e in quali termini sia possibile in sede di c.d. “ottemperanza di chiarimenti” modificare la statuizione relativa alla penalità di mora contenuta in una precedente sentenza d’ottemperanza; 2) se e in che misura la modifica di detta statuizione possa incidere sui crediti a titolo di penalità già maturati dalla parte beneficiata (1).

(1) Ha chiarito la Sezione che condivisibile giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene che l’astreinte costituisca mezzo di coercizione indiretta nel tempo in cui l’amministrazione debitrice permane nella mera condizione di inadempiente con propri mezzi: dunque, dalla pronuncia dell’ordine di ottemperanza alla nomina del commissario ad acta. Ma, una volta intervenuta la surrogatoria nomina del commissario ad acta, “diviene irragionevole ritornare alla più contenuta astreinte” (Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6724). 

L’assunto, che riflette l’immanente principio di utilità, presuppone la maggior efficacia e miglior attitudine satisfattiva del diretto strumento surrogatorio - perché in grado di attribuire direttamente il bene della vita - rispetto all’indiretto strumento sanzionatorio. Implicito postulato di tale predicato è tuttavia che la penalità di mora perduri in misura non iniqua. Diversamente si giungerebbe al paradosso che potrebbe divenire ben più locupletante la maturazione dell’astreinte rispetto al conseguimento dello stesso bene della vita, e cioè la soddisfazione dell’oggetto del petitum sostanziale della originaria domanda giudiziale. E non pare dubbio che, in una siffatta ipotesi, ci si troverebbe di fronte ad un sostanziale arricchimento senza causa generato da un atto del giudice.

È evidente l’effetto distorsivo di un tale meccanismo; per cui è necessario rinvenire all’interno dell’ordinamento processuale la soluzione a situazioni di manifesta iniquità o sussistenza d’altre ragioni ostative all’applicazione dell’astreinte che venissero in rilievo dopo la statuizione sanzionatoria. Non può trovare protezione da parte dell’ordinamento un rimedio compulsorio che nella realtà pratica ed economica viene a porsi come più prezioso dello stesso bene della vita reclamato in giustizia, divenendo un’occasione straordinaria e senza ragione d’ingiustificato arricchimento per l’interessato.

Alla luce di quanto s’è osservato, per la Sezione remittente la soluzione alle questioni emerse riposa nella revisione, in sede di chiarimenti ex artt. 112, comma 5, e 114, comma 7, c.p.a., della misura sanzionatoria precedentemente disposta - sulla base di diversi presupposti fattuali (o giuridici) - con eventuale efficacia correttiva in bonam partem anche per il passato.

Non avendo l’astreinte natura risarcitoria, la revisione nulla sottrarrebbe al risarcimento degli eventuali danni, secondo le regole sue proprie, per il ritardo nell’adempimento.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, GIUDIZIO di ottemperanza

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri