È illegittimo la differente disciplina per la procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, a carico del Servizio sanitario regionale, rispetto a quella omologa

È illegittimo la differente disciplina per la procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, a carico del Servizio sanitario regionale, rispetto a quella omologa


Sanità pubblica – Procreazione medicalmente assistita – Eterologa e omologa – Limite nella procreazione medicalmente assistita eterologa del quarantatreesimo anno di età e del limite massimo di tre cicli – Illegittimità.

    È illegittima la delibera di Giunta che introduce una disciplina differenziata per la procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, a carico del Servizio sanitario regionale, rispetto a quella omologa, essendo irragionevole e discriminante la previsione, per la prima, del limite del quarantatreesimo anno di età e del limite massimo di tre cicli  (1).

 

(1) La Sezione ha preliminarmente ricordato che si ha procreazione medicalmente assistita tutte le volte in cui il concepimento non è conseguenza naturale del rapporto tra un uomo e una donna ma l’effetto di un intervento di assistenza tecnica curato da sanitari specializzati. 

La PMA può essere «omologa», se il materiale biologico appartiene ai genitori del nascituro, e «eterologa», se invece il materiale biologico non appartiene ad uno dei due genitori o a nessuno dei due.
Nel caso all’esame della Sezione la Regione ha argomentato la pretesa coerenza del regime differenziato cui è stata sottoposta la PMA eterologa con i dati rinvenienti dalla letteratura scientifica di settore, in base ai quali l’ovodonazione costituirebbe di per sé un fattore di rischio che diviene significativo raggiunti i 43 anni della donna e altamente significativo dopo i 45.
In effetti però tali ragioni non erano indicate nella impugnata delibera regionale, che si sia limitata piuttosto a dare attuazione al documento approvato dalla Conferenza  delle Regione che, però, quanto ai requisiti soggettivi, e con specifico riferimento all’età, sembrerebbe – smentendo quanto qui dedotto dall’appellante – accreditare come controindicata una soglia di età (50 anni) ben diversa da quella qui predicata (43), dal momento che si legge testualmente nell’apposito paragrafo relativo ai requisiti soggettivi che “su suggerimento delle Società Scientifiche, si sconsiglia comunque la pratica eterologa su donne di età >50 anni per l’alta incidenza di complicanze ostetriche”.  

E’ vero che in detto documento la Conferenza, nel sottolineare l’urgente necessità dell’inserimento nei LEA delle tecniche di PMA omologa e di quella eterologa, per quanto riguarda i cicli di omologa, ha proposto “..dei criteri di accesso a carico del SSN, che comprendono l’età della donna (fino al compimento del 43 anno) ed il numero di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche (massimo 3), e propone gli stessi criteri d’accesso anche per la PMA eterologa”. Tuttavia, ad avviso della Sezione, tale proposta, avente oltretutto una valenza meramente programmatica, risulta formulata in una prospettiva diversa e più ampia e costituisce la sintesi evidente di esigenze organizzative e finanziarie e non può, dunque, ritenersi espressione di una valutazione di carattere rigidamente tecnico – scientifico quale soglia limite per definire il concetto normativo di “età potenzialmente fertile”.
Aggiungasi, ed il rilievo ha carattere assorbente, che nell’economia del documento  in argomento le condizioni di accesso proposte – sia rispetto ai cicli che alla soglia di età – erano le medesime per entrambe le tecniche, di guisa che, nel limitare siffatte condizioni alla sola PMA eterologa (e non replicandole per quella omologa), la Regione Lombardia, con la delibera in argomento, si è posta in contrasto con le stesse indicazioni operative compendiate nel documento suddetto di fatto introducendo una differenziazione di regime tra le due species di PMA in esso non contemplate.
In definitiva, ad avviso della Sezione, se ha una sua plausibilità logica l’affermazione di principio secondo cui i rischi connessi alla gravidanza aumentino con l’avanzare dell’età della donna e possano ragionevolmente incrementarsi nel caso di ovodonazione, allo stesso tempo non può dirsi qui sufficientemente dimostrato che il limite di età, fissato nel quarantatreesimo anno, costituisca la soglia limite oltre la quale le tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo perdano la loro efficacia ovvero si rivelino finanche pericolose sì da poter ancorare, in modo rigido, a tale soglia di età (43 anni) la previsione più elastica mutuabile dal dato normativo di riferimento che recepisce come criterio discretivo quello dell’“età potenzialmente fertile” dei soggetti. Tale parametro non può che essere ponderato alla luce delle risultanze scientifiche che tengano conto dell’utilità della tecnica e delle possibili complicanze che può ingenerare una gravidanza in età eccessivamente avanzata; da qui il suggerimento di sconsigliare comunque la pratica eterologa su donne di età superiore a 50 anni, come espressamente affermato nel documento in argomento. E d’altro canto, le singole Regioni hanno adottato soluzioni differenziate in ordine al parametro dell’età della donna, non tutte essendosi uniformate alla proposta – proprio perché sganciata da univoche evidenze scientifiche ma ancorata a profili di programmazione finanziaria – di valorizzare il limite di 43 anni indicato dalla Conferenza, a conferma della inettitudine del suddetto limite ad orientare valutazioni concludenti sulla capacità della tecnica in argomento di mantenere la propria efficacia ovvero sufficienti margini di sicurezza.
Giova aggiungere che il d.P.C.M. 12 gennaio 2017, recante la “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1, comma 7, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502”, ha inserito nelle prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale deve garantire anche quelle relative alla fecondazione assistita di tipo eterologo e ha stabilito che le coppie che si sottopongono alle procedure di PMA eterologa contribuiscono ai costi delle attività nella misura fissata dalle Regioni e dalle Province Autonome. Detto d.P.C.M. vale a definire i Livelli Essenziali di Assistenza (c.d. LEA) ai sensi dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 502 del 1992, ossia quelle prestazioni che devono essere garantite dal Servizio Sanitario, in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, e che sono erogate o a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, nelle forme e secondo le modalità previste dalla legislazione vigente (art. 1, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992).
È pur vero che è, poi, mancato il decreto di fissazione delle relative tariffe; ciò nondimeno nemmeno può essere obliato che in esso, ad oggi, non è dato cogliere né una differenziazione nelle condizioni di accesso tra PMA omologa e PMA eterologa né rigide limitazioni quanto ai cicli di terapia ovvero alla soglia di età.
La Sezione non ha poi ritenuto condivisibile l’assunto difensivo secondo cui la  scelta regionale di fissare requisiti di accesso agganciati al limite di età con un limite massimo di cicli fruibili riposerebbe su uno studio di fattibilità all’uopo condotto dalla Regione Lombardia per assicurare la terapia in argomento nei limiti delle ridotte risorse disponibili e si muoverebbe, anche per il profilo qui in rilievo, nel solco delle coordinate tracciate dal documento approvato dalla più volte citata Conferenza.
La Sezione (20 luglio 2016, n. 3297) ha infatti affermato che il diritto alla salute, cui è ricondotto il ricorso alla PMA anche eterologa, non è assoluto e incontra limiti sia esterni, posti dall’esistenza di diritti costituzionali di pari rango, che interni, posti dall’organizzazione del Servizio sanitario nazionale.
Ha chiarito che è vero che l’organizzazione dell’amministrazione si scontra con il limite della capacità finanziaria e che dunque deve contemperare l’esercizio del diritto alla salute da parte del singolo assistito in accordo con l’eguale riconoscimento a parità di sostanziali condizioni, da parte degli altri aventi diritto, in un contesto nel quale alla crescita, per qualità e per quantità della domanda sanitaria corrisponde la limitatezza delle strutture pubbliche e il sempre più rigoroso contenimento delle  risorse finanziarie sottoposte a vincoli di bilancio assai stringenti. La Regione deve garantire ragionevolmente il medesimo trattamento a tutti i soggetti che versino nella stessa sostanziale situazione di bisogno, a tutela del nucleo irriducibile del diritto di salute (art. 32 Cost.), quale diritto dell’individuo e interesse della collettività, o di altri costituzionalmente rilevanti ed in applicazione, comunque del superiore principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 Cost..
​​​​​​​In conclusione, sempre ad avviso della Sezione, fatta salva la discrezionalità dell’Amministrazione, le scelte operate devono comunque fondarsi su un criterio discretivo contraddistinto da intrinseca coerenza logica, specie nel caso in cui ineriscano alla sfera dei diritti fondamentali. Tanto non è a dirsi nel caso qui in rilievo rispetto alla distinzione di regime tracciata dalla Regione tra PMA omologa e PMA eterologa quanto ai presupposti e ai limiti di accesso, posto che lo studio di fattibilità richiamato dalla difesa regionale non appare idoneo a provare le ragioni di tale scelta, costituendo un ordinario strumento ricognitivo delle previsioni di spesa connesse alla organizzazione del servizio e che, però, non reca affatto evidenza del distinto e più significativo profilo dei limiti di sostenibilità economica all’interno degli equilibri di bilancio della Regione. Non può, dunque, un generico richiamo alle esigenze finanziarie di contenimento della spesa fondare, attraverso la previsione di sbarramenti rigidi di accesso alla PMA eterologa, una così significativa disparità di trattamento tra interventi che vanno considerati complementari sul piano dell’assistenza terapeutica quali species di un medesimo genus.


Veröffentlichungsjahr:

2020

Sachbereich:

SANITÀ pubblica e sanitari

Typ:

Fokus Rechtsprechung u. Gutachten