Soccorso istruttorio in sede processuale: la carenza documentale dell’aggiudicataria non sempre porta all’annullamento dell’aggiudicazione

Soccorso istruttorio in sede processuale: la carenza documentale dell’aggiudicataria non sempre porta all’annullamento dell’aggiudicazione


Contratti della Pubblica amministrazione – Soccorso istruttorio – Ratio.   

Processo amministrativo – Rito appalti – Impugnazione dell’aggiudicazione per carenze della documentazione allegata all’offerta – Proposizione ricorso incidentale – Necessità – Esclusione – Deduzione difensiva diretta a dimostrare la sussistenza del possesso dei requisiti sostanziali di partecipazione – Sufficienza.   

Contratti della Pubblica amministrazione – Soccorso istruttorio – Prima della aggiudicazione – Necessità.   

Processo amministrativo – Rito appalti – Impugnazione dell’aggiudicazione per carenza documentale dell’offerta – Poteri del giudice – Violazione formale e non sostanziale – Verifica in giudizio dell’effettivo possesso del requisito – Conseguenza.   

Processo amministrativo – Rito appalti – Impugnazione dell’aggiudicazione per carenza documentale dell’offerta – Violazione sostanziale e non formale – Conseguenza.      

   

         In sede di gara pubblica, l’istituto del soccorso istruttorio tende ad evitare che irregolarità e inadempimenti meramente estrinseci possano pregiudicare gli operatori economici più meritevoli, anche nell’interesse del seggio di gara, che potrebbe perdere l’opportunità di selezionare il concorrente migliore, per vizi procedimentali facilmente emendabili (1). 

         L’aggiudicataria di una gara pubblica, nei cui confronti è stata dedotta l’illegittima ammissione alla gara per carenze della documentazione allegata all’offerta, per poter validamente invocare in sede processuale il principio del soccorso istruttorio, al fine di paralizzare la doglianza diretta ad ottenere la sua esclusione dalla gara, non deve necessariamente proporre ricorso incidentale ma può limitarsi ad una deduzione difensiva, diretta a dimostrare, che, in ogni caso, sussiste il possesso dei requisiti sostanziali di partecipazione (2). 

         In sede di gara pubblica, se é vero che le irregolarità formali sono sempre sanabili, non può nondimeno sostenersi che l’art. 38, comma 2 bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 sia espressione di un principio per il quale la sostanza prevale sempre sulla forma, atteso che i difetti di forma (quelli essenziali) devono essere sempre emendati prima dell’aggiudicazione; ed invero, si tratta di irregolarità che pretendono e necessitano di un’obbligatoria sanatoria, in ciò differenziandosi dalle mere irregolarità contemplate dall’art. 21 octies, l 7 agosto 1990, n. 241, con la conseguente inapplicabilità nei giudizi sulle procedure di appalto della regola della “non annullabilità” del provvedimento irregolare, sulla quale si fonda il citato art. 21-octies  (3).  

         In sede di gara pubblica, ove in giudizio sia dedotta l’illegittimità dell’aggiudicazione per carenza della produzione dell’aggiudicataria, il giudice amministrativo si può limitare ad accertare, all’esito del processo, i termini della dedotta irregolarità essenziale e, ove risulti provato che ad essa non si accompagni anche una carenza sostanziale del requisito (alla cui dimostrazione la documentazione omessa o irregolarmente prodotta era finalizzata), può dichiarare, alla luce della prognosi postuma fatta, che il vizio era sanabile e che l’offerente aveva interesse a sanarlo, previo pagamento della sanzione pecuniaria (4).   

         In sede di gara pubblica, l’illegittimità dell’aggiudicazione per carenza sostanziale della produzione dell’aggiudicataria dedotta in giudizio comporta l’annullamento dell’aggiudicazione; ove il giudice sia certo, in ragione della natura vincolata dell’accertamento, che il requisito non sussista, l’annullamento dell’aggiudicazione comporta l’accoglimento delle richieste del secondo graduato di subentrarvi, ma se le valutazioni che si richiedono dinanzi al dubbio sono invece connotate da discrezionalità, l’accoglimento del ricorso comporta l’annullamento dell’ammissione del concorrente, con la conseguente regressione del procedimento alla fase dell’invito alla regolarizzazione e delle pertinenti verifiche e valutazioni in sede amministrativa di quanto prodotto (5).

 

(1) V. anche analoga sentenza Cons. St., sez. III, 2 marzo 2017, n. 976.

La sentenza n. 975 del 2017 ha evidenziato come sia stata la giurisprudenza amministrativa a delineare la portata oggettiva e sistematica della disciplina del soccorso istruttorio, la quale, attuando nell’ordinamento nazionale un istituto del diritto europeo dei contratti pubblici a recepimento facoltativo, ha enfatizzato l’impostazione sostanzialistica delle procedure di affidamento. La disciplina della procedura di gara non deve essere concepita come una sorta di corsa ad ostacoli fra adempimenti formali imposti agli operatori economici e all’amministrazione aggiudicatrice, ma deve mirare ad appurare, in modo efficiente, quale sia l’offerta migliore, nel rispetto delle regole di concorrenza, verificando la sussistenza dei requisiti tecnici, economici, morali e professionali dell’aggiudicatario.

 

(2) Ha chiarito la Sezione che l’appellante è gravata dall’onere, ex art. 2697 c.c., della dimostrazione della natura meramente formale dell’errore contenuto nella dichiarazione: può validamente spendere tale argomento difensivo solo dimostrando in giudizio di disporre del requisito fin dal primo momento, e cioè da quando ha reso la dichiarazione irregolare. In sostanza, secondo il Consiglio di Stato, deve superare la “prova di resistenza”, non potendo pretendere di paralizzare l’azione di annullamento, adducendo, solo in via ipotetica, la violazione del principio del soccorso istruttorio, ma deve dimostrare in giudizio che, ove fosse stato attivato, correttamente, tale rimedio l’esito sarebbe stato ad essa favorevole, disponendo del requisito in contestazione.

In caso contrario, non soltanto sarebbe violato il principio dell’onere della prova, che è immanente nel processo, ma verrebbe frustrata finanche la finalità di accelerazione che permea le controversie in materia di contratti pubblici.

 

(3) Ad avviso della Sezione è questo ultimo passaggio che rende la disposizione contenuta nell’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 diversa dall’art. 21-octies, l. 7 agosto 1990, n. 241.

Ed invero, l’art. 21 octies, l. n. 241 del 1990 è espressione di un principio di irrilevanza, ai fini dell’annullamento (in sede giurisdizionale o amministrativa), delle violazioni di forma o di procedimento nell’emanazione di atti a contenuto vincolato quando esse non abbiano inciso sulla sostanza. Esso non richiede alcun procedimento di regolarizzazione poiché è la giusta regolazione autoritativa del rapporto a rilevare ai fini della legittimità.

L’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 ha invece diversa portata. Esso discrimina tra irregolarità essenziali e non essenziali e solo alle seconde implicitamente riserva una trattamento del tutto simile a quello previsto dall’art. 21 octies, sancendone l’irrilevanza ai fini della legittimità. Per le irregolarità che sono (sempre formali, ma) essenziali prevede invece, come sopra visto, un obbligatorio procedimento di sanatoria, ossia di produzione, integrazione, correzione, con effetto sanante.

Ciò si spiega per la circostanza che le procedure concorsuali, seppure chiaramente finalizzate alla scelta della migliore offerta o del miglior candidato, operano all’interno di un quadro di regole poste a garanzia della leale e trasparente competizione, che devono essere rispettate nei limiti in cui ragionevolmente assolvano alla funzione di dirigere la competizione verso il risultato finale, e non si risolvano piuttosto in mere prescrizioni formali prive di aggancio funzionale o in meri ostacoli burocratici da superare. È la competizione il discrimen rispetto alla generale ipotesi di cui all’art. 21 octies, ed essa giustifica l’esigenza del rispetto di regole di ingaggio certe e ragionevoli, pur se formali, ossia concernenti la produzione di documenti entro un certo termine a prescindere dai contenuti degli stessi.

In questa chiave di lettura, ha ancora chiarito il Consiglio di Stato, l’art. 38 bis, proteso verso il meritorio obiettivo di consentire sempre la scelta della migliore offerta, ha attenuato il rigore sanzionatorio delle regole formali di gara, imponendo all’amministrazione, ove sia rilevato una irregolarità comunque “essenziale”, di accettare la regolarizzazione in luogo dell’esclusione, sembra che avvenga in un termine dato ed inderogabile.

Concludendo sul problema relativo alla conseguenze in termini giuridici della irregolarità essenziali, può dirsi che esse sono irregolarità che pretendono e necessitano di un’obbligatoria sanatoria (ovviamente sempre che l’offerente abbia interesse a proseguire la gara), in ciò differenziandosi dalle mere irregolarità contemplate dall’art. 21 octies della legge generale sul procedimento, con la conseguente inapplicabilità nei giudizi sulle procedure di appalto della regola della “non annullabilità” del provvedimento irregolare, sulla quale si fonda l’art. 21 octies.

  

(4) Ha preliminarmente chiarito il giudice di appello che la scelta sostanzialistica del legislatore, diretta ad impedire – con la previsione introdotta dall’art. 38, comma 2-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 - l’esclusione per vizi formali nella dichiarazione, quando vi è prova del possesso del requisito, deve applicarsi anche quando l’incompletezza della dichiarazione viene dedotta come motivo di impugnazione dell’aggiudicazione da parte di altra impresa partecipante alla selezione (non essendone avveduta la stazione appaltante in sede di gara), ma è provato che la concorrente fosse effettivamente in possesso del prescritto requisito soggettivo fin dall’inizio della procedura di gara e per tutto il suo svolgimento. In tale caso, infatti, l’irregolarità della dichiarazione si configura come vizio solo formale e non sostanziale, emendabile secondo l’obbligatoria procedura di soccorso istruttorio.  

Dunque, a fronte di una carenza documentale dedotta in giudizio la conseguenza dovrebbe essere l’annullamento dell’aggiudicazione, in quanto conseguentemente viziata, sancendo, in via conformativa, la riedizione del procedimento, a partire dall’ultimo segmento valido.

La successiva correzione, o integrazione documentale della dichiarazione non viola affatto il principio della par condicio tra i concorrenti, in quanto essa mira ad attestare, correttamente, l’esistenza di circostanze preesistenti, riparando una incompletezza o irregolarità che la stazione appaltante, se avesse tempestivamente rilevato, avrebbe dovuto comunicare alla concorrente, attivando l’obbligatorio procedimento di soccorso istruttorio.

Né possono sussistere problematiche connesse alla segretezza delle offerte, in quanto la dichiarazione integrativa non attiene all’offerta, al suo contenuto tecnico ed economico, in relazione ad elementi oggetto di valutazione comparativa tra i concorrenti, ma al concreto possesso dei requisiti di partecipazione alla gara, i quali possono essere verificati anche in un momento successivo, fermo restano l’onere, per i partecipanti, di rispettare i vincoli minimi, di carattere formale, necessari per essere ammessi alla procedura selettiva.

L’esito demolitorio, in tali perentori termini, si rivelerebbe tuttavia contrario allo spirito che ha pervaso la novella dell’art. 38 ed all’impianto di fondo del nuovo processo amministrativo, nella parte in cui esso, alla luce del principio di effettività e satisfattività della tutela, consente al giudice a) un pieno accesso al fatto; b) un pieno accesso al rapporto, quando il potere dell’amministrazione si presenti vincolato. A ciò deve aggiungersi la necessità di pervenire alla rapida definizione della corretta graduatoria della procedura selettiva, evitando defatiganti rinnovazioni di singoli segmenti dell’iter. E non v’è dubbio che l’accertamento della completezza documentale ai fini dell’ammissione alla gara sia il frutto di un’attività vincolata.

In tali casi il giudice amministrativo ben potrebbe “limitarsi” ad accertare, all’esito del processo, i termini della dedotta irregolarità essenziale e, ove risulti provato che ad essa non si accompagni anche una carenza sostanziale del requisito (alla cui dimostrazione la documentazione omessa o irregolarmente prodotta era finalizzata), dichiarare, alla luce della prognosi postuma fatta, che il vizio era sanabile e che l’offerente aveva interesse a sanarlo, previo pagamento della sanzione pecuniaria.

Un tale accertamento renderebbe inutile l’ulteriore pronuncia costitutiva deputata a privare d’effetto l’aggiudicazione, poiché l’ulteriore procedimento amministrativo che ne scaturirebbe non potrebbe che essere una mera riproduzione, in forma amministrativa, del percorso giudiziale già effettuato nel contraddittorio della parti sotto la supervisione del giudice così come descritto in sentenza. Nondimeno, l’accertamento conserverebbe una sua autonoma utilità, poiché è in grado di vincolare l’amministrazione, determinando, in virtù del connesso effetto conformativo, l’obbligo di ingiungere la sanzione.

Ad avviso della Sezione non osta in tale direzione né la mancanza di una esplicita domanda di accertamento da parte dell’appellante, posto che la domanda di annullamento implica sempre e necessariamente l’accertamento di una violazione, né la peculiarità della posizione giuridica dell’offerente, comunque ricompresa nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa, né il “dovere” di annullare l’atto quando il ricorso è accolto, come deducibile dall’art. 34, comma 1, lett. a), atteso che la medesima disposizione, al comma 3, espressamente prevede che “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

Tale ultima norma è espressione di un principio per il quale a) il mero accertamento rientra tra i poteri del giudice; b) la domanda di accertamento rientra implicitamente nel contenuto della domanda di annullamento, talché ove vengano meno i presupposti della seconda, perché non più utile, può rimanere in piedi la prima. La norma deve ritenersi applicabile non solo nei casi di perdurante interesse risarcitorio, ma anche in tutti i casi in cui perdura un interesse qualificato e processualmente rilevante; e tale, invero, è da considerare l’interesse del ricorrente ad ottenere la sottoposizione del concorrente al procedimento di soccorso istruttorio e alla connessa sanzione pecuniaria.

 

(5) La Sezione si è soffermata su quali siano gli strumenti per accertare che alla violazione delle forma si accompagni, o meno, anche una sostanziale carenza dei requisiti.

Ha chiarito che la sussistenza o meno del requisito - a differenza dell’accertamento della produzione o meno del documento che lo comprova - non è una valutazione necessariamente vincolata (si pensi solo per fare un esempio al concetto di “grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara”), ragion per cui, ove il giudice sia certo, in ragione della natura vincolata dell’accertamento, che il requisito non sussista, egli deve annullare l’aggiudicazione ed accogliere le richieste del secondo graduato di subentrarvi, ma se le valutazioni che si richiedono dinanzi al dubbio sono invece connotate da discrezionalità, la soluzione non può che essere l’annullamento dell’ammissione del concorrente, con la conseguente regressione del procedimento alla fase dell’invito alla regolarizzazione e delle pertinenti verifiche e valutazioni in sede amministrativa di quanto prodotto.

E’ invece da escludere la regressione del procedimento - limitatamente alla posizione dell’aggiudicatario - alla fase pregressa della regolarizzazione, con applicazione della sanzione pecuniaria e successiva verifica e valutazione da parte dell’amministrazione, se  non sono emersi, neanche nel processo (stante la mancata produzione di qualsivoglia documento in grado di ingenerare discussione sui contenuti e sulla sostanza dei requisiti sottostanti la dichiarazione omessa) profili di approfondimento necessitanti di ulteriore delibazione in sede amministrativa. In sintesi, l’aggiudicatario non ha sfruttato nel processo, attraverso le regole dell’onus probandi, le potenzialità di regolarizzazione (ossia di comprova tardiva dei requisiti) che la norma sul procedimento di cui all’art. 38, comma 2 bis, gli concedeva e che, in sede amministrativa, non si erano potute ab origine attivare a cagione del mancato rilievo da parte dell’amministrazione.


Veröffentlichungsjahr:

2017

Sachbereich:

GIUSTIZIA amministrativa

CONTRATTI pubblici e obbligazioni della pubblica amministrazione, SOCCORSO istruttorio

Typ:

Fokus Rechtsprechung u. Gutachten