Revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. e identità per oggetto tra pronuncia ottemperanda che decide la controversia all’esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza

Revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. e identità per oggetto tra pronuncia ottemperanda che decide la controversia all’esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza


Processo amministrativo – Revocazione – Revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. – Presupposti – Individuazione. 

Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Verifica del giudice dell’ottemperanza - Individuazione. 

Processo amministrativo – Revocazione – Revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. – Identità per oggetto tra pronuncia ottemperanda che decide la controversia all’esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza – Esclusione. 

 

         Ai fini dell’integrazione del motivo revocatorio ex art. 395, n. 5, c.p.c. (sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione), norma richiamata dall’art. 106, comma 1, c.p.a., devono concorrere, in via cumulativa, due presupposti: a) il contrasto della sentenza revocanda con un’altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata sostanziale; b) la mancata pronuncia sulla relativa eccezione da parte del giudice della sentenza revocanda (1).  

      Il proprium del giudizio di ottemperanza si risolve nell’interpretazione della sentenza ottemperanda, scomponendosi, invero, la decisione da assumere in tale sede in una triplice operazione logica di: a) interpretazione del giudicato al fine di individuare il comportamento doveroso per la Pubblica amministrazione in sede di esecuzione;  b) accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; c)  valutazione della conformità del comportamento tenuto dall’amministrazione rispetto a quello imposto dal giudicato (2).  

         Ai fini dell’integrazione del motivo revocatorio ex art. 395, n. 5, c.p.c. (sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione), norma richiamata dall’art. 106, comma 1, c.p.a.  deve escludersi l’identità per oggetto tra pronuncia ottemperanda che decide la controversia all’esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza per stabilire l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato; infatti, qualora le sentenze poste a raffronto costituiscano l’esito, rispettivamente, del giudizio di cognizione e di quello di esecuzione, ciò che viene dedotto come contrasto fra giudicati è l’interpretazione che il giudice dell’ottemperanza ha dato dell’ambito della statuizione della sentenza da eseguire, onde la richiesta di revocazione si risolve, in realtà, nel chiedere il riesame delle conclusioni, cui detto giudice è pervenuto, non nell’assenza di consapevolezza dell’esistenza di un giudicato facente stato fra le stesse parti, ma proprio nell’espresso apprezzamento dell’ambito di quest’ultimo e degli adempimenti amministrativi necessari per la sua corretta esecuzione (3).

  

(1) L’Adunanza plenaria ha deciso il ricorso proposto per la revocazione della sentenza 9 giugno 2016, n. 11, pronunciata dallo stesso Alto Consesso.

Ha chiarito l’Adunanza plenaria che il presupposto del “contrasto della sentenza revocanda con un’altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata sostanziale” postula che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi su cui si sia espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima. A tal fine dovrà aversi riguardo ai limiti oggettivi del giudicato quali risultano determinati dal decisum, ossia alla questione principale decisa nel giudizio che sorregge causalmente gli effetti scaturenti dal dispositivo della sentenza – con la precisazione che l’individuazione del dispositivo sostanziale deve essere il frutto della lettura congiunta della parte-motiva e della parte-dispositiva della sentenza –, i quali, a seconda della natura della giurisdizione esercitata (di legittimità, esclusiva, di merito), potranno essere effetti di accertamento, di condanna o costitutivi/determinativi (questi ultimi, a loro, volta, potranno essere annullatori-demolitori, ripristinatori e/o conformativi). Infatti ai fini dell’applicazione dell’art. 395, n. 5, c.p.c., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad un precedente giudicato, occorre che le decisioni a confronto risultino fra loro incompatibili in quanto dirette a tutelare beni ed interessi di identico contenuto, nei confronti delle stesse parti, con riferimento ad identici elementi di identificazione della domanda (petitum e causa petendi) confluiti nel decisum.

Inoltre, il contrasto, quale incompatibilità tra due pronunce decisorie che accertino e/o conformino in modo tra di loro antitetico (in tutto o in parte) una stessa situazione giuridica soggettiva, non può che manifestarsi in relazione a sentenze aventi un contenuto decisorio di merito, suscettibili di acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale (art. 2909 c.c.), per cui non è configurabile in relazione a sentenze (o ad altri provvedimenti giudiziali a queste assimilabili) a mero contenuto processuale.

Ha ancora chiarito l’Adunanza plenaria che il presupposto della “mancata pronuncia sulla relativa eccezione da parte del giudice della sentenza revocanda” richiede che il precedente giudicato formatosi sulle sentenze, con le quali la sentenza revocanda si assume essere in contrasto, sia rimasto del tutto estraneo al thema decidendum su cui si sia pronunciata la sentenza revocanda. Ha ancora affermato l’Alto consesso che “essendo, inoltre, la sussistenza della cosa giudicata esterna rilevabile d’ufficio dal giudice, il rimedio della revocazione per contrasto con un precedente giudicato è sperimentabile non per il semplice fatto che non sia stata sollevata in proposito un’eccezione, ma perché la circostanza del mancato rilievo dell’eccezione sia accompagnata da una situazione processuale che non abbia consentito al giudice di rilevarne d’ufficio l’esistenza, ossia dalla mancata allegazione (e produzione) in giudizio della sentenza passata in giudicato prima della pubblicazione della sentenza revocanda, con la quale quest’ultima si assume essere in contrasto” (Con. St., sez. III, 11 febbraio 2015, n. 725;  Cass. civ. 27 luglio 2016, n. 15627). Ne deriva che il mancato rilievo dell’eccezione giustifica la proposizione della revocazione soltanto se la sentenza, assistita dall’autorità della cosa giudicata, sia stata pronunciata in altro separato giudizio, mentre, se la cosa giudicata promana da una sentenza pronunciata nello stesso giudizio, è garantita la rilevabilità anche d’ufficio (facendo i provvedimenti del giudice parte del fascicolo d’ufficio, ai sensi dell’art. 5, comma 3, allegato 2, c.p.a.), sicché anche in tali casi l’eventuale violazione della cosa giudicata (al pari dell’ipotesi in cui l’interessato abbia eccepito il giudicato esterno, ma l’eccezione sia stata erroneamente respinta) si risolve in un error in iudicando (o, a seconda dei punti di vista, in un error in procedendo) sottratto al rimedio della revocazione.  

 

(2) Il problema centrale della concreta individuazione dell’ambito oggettivo del giudicato amministrativo che il giudice dell’ottemperanza, nella fase esecutiva, è chiamato a risolvere si muove, ad avviso dell’Adunanza plenaria, tra il soddisfacimento dell’interesse sostanziale della parte e la salvaguardia della discrezionalità dell’amministrazione, quando la discrezionalità residui all’esito del giudizio. Tale problematica assume una accentuata rilevanza quando (come nel caso sottoposto all’esame della stessa Adunanza plenaria) si verta in materia di giudicato cognitorio sul silenzio, particolarmente esposto alle sopravvenienze, e si tratti di valutare l’incidenza della normativa europea (cui è equiparata la sentenza della Corte di giustizia sulle questioni pregiudiziali) sull’attuazione del giudicato, tenuto conto che l’eventuale omessa considerazione di tale incidenza potrebbe dar luogo, ‘nei casi estremi’, al vizio di eccesso di potere giurisdizionale (Cass.civ., S.U., 8 aprile 2016, n. 6891; id. 6 febbraio 2015, n. 2242). Senza voler considerare che, allo stato, risulta tutt’ora pendente la procedura di infrazione ex art. 258 TFUE promossa proprio in relazione al tenore di alcune delle sentenze di ottemperanza di cui qui si discute.  

 

(3) V. Cons. St., sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2855; id., sez. V, 20 aprile 2015, n. 1997; id., sez. IV, 22 dicembre 2014, n. 6330. 

 


Anno di pubblicazione:

2017

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, IMPUGNAZIONI in genere

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri