Ottemperanza al giudicato civile formatosi su una controversia di lavoro e corresponsione di interessi

Ottemperanza al giudicato civile formatosi su una controversia di lavoro e corresponsione di interessi


Processo amministrativo - Giudicato - Interessi legali – Omessa indicazione nel dispositivo della sentenza di  condanna – Controversia di lavoro – Sono dovuti.

        Anche se nel dispositivo della sentenza ottemperanda relativa ad una controversia di lavoro manchi una condanna espressa alla corresponsione degli interessilegali, gli stessi devono essere corrisposti, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., trattandosi di “accessori che costituiscono elemento naturale del capitale” ;  ciò deve coordinarsi con il principio della non integrabilità del giudicato civile ottemperando dalgiudice amministrativo, con la conseguenza che andranno corrisposti solo gli interessi maturati successivamente al giudicato se il giudice civile abbia omesso la pronuncia sugli interessi anteriori ed il relativo capo di sentenza non sia stato impugnato (1).

 

 

 

(1) Ha chiarito la Sezione che in presenza di debiti di valuta - quali sono le obbligazioni pecuniarie fondate su un rapporto contrattuale, avendo ad oggetto quale prestazione principale il pagamento di una somma di denaro - la domanda di condanna al pagamento degli interessi si atteggia, di regola, quale domanda diversa da quella riferita al capitale, in quanto sorretta da una causa petendi (ritardo nella corresponsione di somme dovute) non coincidente con quella fondante la domanda principale (riferita al capitale) cui accede (Cass., sez. I, ord. 15 marzo 2019, n. 7500).

Pertanto, qualora la parte abbia proposto in sede giurisdizionale due domande cumulate, connesse da un vincolo di accessorietà, tendenti ad ottenere - a fronte di una condotta inadempiente tenuta dalla controparte contrattuale - il pagamento sia del capitale, che degli interessi, ove il giudice adito statuisca esclusivamente sulla domanda principale, si realizza una fattispecie di omessa pronuncia sulla domanda accessoria (riferita alla debenza degli interessi). Per l’effetto, la domanda non esaminata, non può ritenersi accolta in sede giurisdizionale, non concorrendo, pertanto, a delineare l’ambito oggettivo del giudicato da eseguire.

Con riferimento ai crediti fondati in un rapporto di lavoro, come valorizzato dall’appellante, vige un regime eccezionale, dettato dall’art. 429, comma 3, c.p.c. che, prescindendo dalla domanda di parte, impone al giudice di riconoscere d’ufficio gli accessori sulla somma liquidata, costituenti, dunque, una componente dell’importo complessivamente dovuto.

Qualora, tuttavia, il giudice adito, disattendendo l’art. 429, comma 3, c.p.c., pur condannando la parte datoriale al pagamento di quanto richiesto dal ricorrente a titolo di capitale, ometta di pronunciare sulla debenza degli interessi, la relativa questione non può ritenersi compresa nella portata applicativa del giudicato.

Per l’effetto, il riconoscimento degli interessi non compresi nell’oggetto della condanna giudiziale richiederebbe un’integrazione del giudicato, mediante la spendita di un potere avente natura cognitoria, precluso a questo Consiglio, chiamato, nella specie, ad assicurare l’ottemperanza di una sentenza del giudice civile, come tale riferita a rapporti sostanziali sottratti alla giurisdizione amministrativa.

La giurisprudenza ordinaria, nel pronunciare sulla possibilità di riconoscere d’ufficio, in sede impugnatoria, gli interessi legali dovuti ex art. 429, comma 3, c.p.c., ove gli stessi non siano stati oggetto di condanna da parte del giudice a quo e il lavoratore non abbia proposto al riguardo specifico motivo di impugnazione, distingue a seconda che il lavoratore sia risultato soccombente o vittorioso nel precedente grado di giudizio in relazione alla domanda di condanna al pagamento del capitale.

In particolare, qualora il lavoratore sia risultato soccombente, l’impugnazione diretta contro il solo capo di sentenza riferito al capitale, rimettendo in discussione, altresì, la debenza degli accessori, ove accolta, impone al giudice del dell’impugnazione di pronunciare, anche d’ufficio, pure sugli interessi dovuti.

Qualora, invece, il lavoratore sia risultato vittorioso con riferimento alla domanda di condanna al pagamento del capitale e il giudice a quo abbia omesso di pronunciare sugli interessi -anche in tale caso a prescindere da una domanda di parte, risultando gli interessi una componente della somma all’uopo da liquidare, ai sensi dell’art. 429, comma 3, c.p.c. - si realizza una violazione del combinato disposto degli artt. 112 c.p.c. e 429, comma 3, c.p.c., che onera il lavoratore alla proposizione di specifico motivo di impugnazione, pena la formazione di un giudicato preclusivo alla futura richiesta degli interessi.

Come precisato dalla Corte di cassazione, “[è ]pur vero che già la pronuncia di primo grado aveva omesso di applicare la rivalutazione monetaria ex art.429 c.p.c., u.c. senza che A.F. proponesse specifico motivo d'appello a riguardo. Ed è altresì vero che l'applicabilità d'ufficio della rivalutazione monetaria ex art.429 c.p.c., u.c. trova il proprio limite nell'acquiescenza e nella conseguente formazione del giudicato sulla questione non investita da apposito mezzo di gravame (cfr. Cass. n 17353/10; Cass. n. 7395/10; Cass. n. 16484/09; Cass. n. 15878/03; Cass. n.4943/95).

Tuttavia, ciò presuppone pur sempre che si sia verificata ex art. 329 cpv. c.p.c. acquiescenza sul relativo capo autonomo della sentenza, mentre nel caso di specie la rivalutazione monetaria ha seguito la sorte del credito cui inerisce, vale a dire quella del credito per indennità varie, in prime cure fatto valere in via riconvenzionale dall'odierna ricorrente e poi coltivato con appello incidentale.

In altre parole, avendo l'appello incidentale coinvolto la sorte capitale, la statuizione relativa agli accessori non poteva separatamente passare in cosa giudicata, non costituendo di per sè capo autonomo della sentenza suscettibile di formare giudicato parziale per intervenuta acquiescenza ex art. 329 cpv. c.p.c. Infatti, come tale deve intendersi soltanto quella statuizione idonea a conservare la propria efficacia precettiva anche ove vengano meno le altre (cfr., ex aliis, Cass. n. 10043/06; Cass. n. 20143/05; Cass.n. 14634/01; Cass. n. 6655/2000; Cass. n. 431/99; Cass. n. 3271/96; Cass. n. 12062/92; Cass. n. 2399/88), mentre è indubbio che la statuizione sugli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) non può sopravvivere senza quella avente ad oggetto il credito principale.

Diversamente opinando, si dovrebbe affermare che la riforma o la cassazione del capo di sentenza relativo alla sorta capitale non si estende, malgrado l'art.336 c.p.c., a quello concernente rivalutazione e interessi, che resterebbero dovuti pur non essendo più dovuta la sorte capitale, conclusione - questa all'evidenza inaccettabile.

Pertanto, l'impugnazione sulla quantificazione del credito principale proposta da A.F. ha impedito il formarsi del giudicato sui relativi accessori.

E, in assenza di giudicato, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare d'ufficio (anche) la rivalutazione ex art.429 c.p.c., u.c..

Nè, a ben vedere, osta a tale ricostruzione la giurisprudenza (espressa da Cass. n. 1028/80, Cass. n. 4868/85, Cass. n. 1925/94 e da altre successive conformi) secondo cui il creditore vittorioso in primo grado, ma soccombente riguardo alla rivalutazione monetaria, ha l'onere di appellare specificamente, in via principale o incidentale, tale capo sfavorevole, sia che il giudice di primo grado (da detta norma investito del dovere di rivalutare il credito anche d'ufficio) abbia pronunciato in senso negativo sulla rivalutazione sia che abbia omesso di pronunciare, non potendo il giudice del gravame attribuire all'appellato la rivalutazione ormai esclusa per effetto dell'intervenuto giudicato interno.

Infatti, tale orientamento muove da un differente presupposto, ossia quello del giudicato interno formatosi sul capo relativo alla sorta capitale, non impugnato dal creditore (mentre nel caso odierno la sorte capitale era stata investita da gravame ad opera della stessa A.F.), sicchè la mancata applicazione della rivalutazione sul credito principale rende inapplicabile d'ufficio - vale a dire in assenza di apposita impugnazione l'accessorio costituito dalla rivalutazione medesima” (Cass., sez. lav., 29 settembre 2016, n. 19312).

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia l’infondatezza dell’appello, nella parte in cui è diretto ad ottenere la condanna dell’Amministrazione al pagamento degli interessi maturati anteriormente alla pubblicazione della sentenza ottemperanza.

Né a diversa conclusione potrebbe giungersi sulla base dell’indirizzo accolto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1075 del 2010, tenuto conto che tale precedente è intervenuto con riferimento all’ottemperanza di un giudicato amministrativo (decisione del Consiglio di Stato n. 6229 del 2005), riferendosi, quindi, ad un giudizio in cui, stante il contenuto composito dell’ottemperanza (valorizzato da Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2), il giudice amministrativo, avendo giurisdizione altresì sul rapporto sostanziale, ha la possibilità di completare il giudicato ottemperando, mediante l’esercizio di un potere avente anche natura cognitoria.

Nel caso sottoposto all’esame della Sezione, invece, il giudicato azionato dagli odierni appellanti è sceso su una sentenza del giudice ordinario, ragion per cui sarebbe preclusa a questo Consiglio la possibilità di integrare il giudicato civile, mediante l’esercizio di un potere cognitorio, riconoscendo una componente del credito (interessi) su cui il giudice del lavoro non ha pronunciato (Cass., sez. un., 14 dicembre 2016, n. 25625).

Ne deriva che la domanda di ottemperanza non può essere accolta con riferimento agli interessi legali sugli arretrati indebitamente trattenuti dal Ministero, maturati a decorrere dall’esigibilità del credito per capitale, non liquidati dal giudice della cognizione con la sentenza ottemperanda.


Anno di pubblicazione:

2020

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri