Incarico in organi di Governo e collocamento a riposo nelle more dell’espletamento
Incarico in organi di Governo e collocamento a riposo nelle more dell’espletamento
Governo - Incarico in organi di Governo – Sopravvenienza del collocamento a riposo – Trasformazione rapporto a titolo gratuito.
L'art. 5, comma 9, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, deve essere interpretato nel senso che, qualora il conferimento di un incarico in organi di governo delle amministrazioni sia intervenuto in un momento antecedente al collocamento in quiescenza, allorché sopraggiunga il collocamento a riposo, l’incarico prosegue sino alla scadenza prevista trasformandosi, da tale scadenza, in un rapporto a titolo gratuito (1).
(1) Ha chiarito la Sezione che l’art. 5, comma 9, dl. 6 luglio 2012, n. 95, dispone: «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia».
Il legislatore ha così introdotto limitazioni al conferimento di incarichi di studio, di consulenza, dirigenziali, direttivi o cariche in organi di governo a soggetti, già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza, con l’obiettivo di agevolare il ricambio generazionale (TarValle d’Aosta 14 giugno 2016 n. 27; per Cons. St., sez. V, sentenza 15 novembre 2016 n. 4718 è evidente la ratio “di favorire l’occupazione giovanile”) nelle pubbliche amministrazioni e conseguire risparmi di spesa. Tali incarichi sono consentiti a titolo gratuito con una limitazione temporale per un anno per quelli dirigenziali o direttivi e in tutti gli altri casi senza limiti di tempo.
Tale obiettivo è scolpito nella circolare n. 6/2014 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, secondo cui le modifiche introdotte con l’art. 6 del D.L. n. 90/2014 “sono volte ad evitare che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle amministrazioni pubbliche per continuare ad avvalersi di dipendenti collocati in quiescenza o, comunque, per attribuire a soggetti in quiescenza rilevanti responsabilità nelle amministrazioni stesse, aggirando di fatto lo stesso istituto della quiescenza e impedendo che gli organi di vertice siano occupati da dipendenti più giovani. Le nuove disposizioni sono espressive di un indirizzo di politica legislativa volto ad agevolare il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni”.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 124 del 2017, ha affermato che con tale disposizione «si attua un contemperamento non irragionevole dei principi costituzionali e non si sacrifica in maniera indebita il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto». In via generale, infatti, è indiscutibile che può corrispondere ad un rilevante interesse pubblico il ricorso a professionalità particolarmente qualificate che già fruiscono di un trattamento pensionistico. Tuttavia, il carattere limitato delle risorse pubbliche giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva – e modellata su un parametro prevedibile e certo – delle risorse che l’amministrazione, intesa nel suo complesso, può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni.
Tale ratio ispira, le disposizioni dell’art. 5, comma 9, cit. perché il principio di proporzionalità della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto deve essere valutato in un contesto peculiare che non consente una considerazione parziale della retribuzione e del trattamento pensionistico.
Sulla base di tali considerazioni la Corte costituzionale ha ritenuto, ad esempio, non illegittima la disposizione di legge che pone un tetto alle retribuzioni ancorata a una cifra predeterminata, che corrisponde alla retribuzione del Primo Presidente della Corte di cassazione, perché attua un contemperamento non irragionevole dei princìpi costituzionali e non sacrifica in maniera indebita il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto (Corte cost. 26 maggio 2017 n. 124). In sostanza la libertà di lavoro può subire delle limitazioni in una situazione di difficoltà economica e di problemi occupazionali per i giovani. Il principio di libertà di lavoro, va contemperato in concreto con il favore concesso a chi aspira ad entrare nel mondo del lavoro a danno di chi comunque gode di un trattamento di quiescenza e ha raggiunto l’età per il pensionamento.
Reputa la Sezione che, in via generale, possa condividersi – trattandosi di una norma che limita un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica – l’affermazione per cui non possono essere ammesse interpretazioni estensive o analogiche di siffatta disposizione. La giurisprudenza così ha escluso che tale norma trovi applicazione in relazione alla “attribuzione dei turni vacanti per attività specialistica ambulatoriale e domiciliare” (Cons. St., sez. III, 30 giugno 2016 n. 2949) o ad “un incarico biennale libero professionale di "medico competente" (C.G.A.R.S., sentenza 27 maggio 2019 n. 489) o all’incarico di medico del servizio sanitario a tempo determinato (TAR Sicilia – Palermo, sentenza 18 giugno 2018 n. 1374) mentre altra sentenza ha ritenuto di estenderla all’incarico di difensore civico regionale (Cons. St., sez. V, sentenza 15 novembre 2016 n. 4718).
Venendo alla prima questione prospettata – se l’ISTAT rientri o meno tra le amministrazioni tenute ad applicare l’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – pare opportuna una premessa. Allo stato attuale non esiste una nozione univoca di pubblica amministrazione in senso soggettivo. Infatti, i tradizionali criteri distintivi degli enti pubblici sono stati superati, lasciando spazio, sotto l’influsso dell’ordinamento eurounitario, ad un nuovo concetto di pubblica amministrazione c.d. «a geometrie variabili», che non solo prescinde da omologazioni rigide ma che soprattutto consente di tracciare il perimetro degli enti pubblici in maniera elastica, attraverso la valorizzazione dell’aspetto funzionale, cioè delle finalità perseguite. Non essendo riscontrabile una definizione legislativa di pubblica amministrazione alla quale sia collegata l’operatività di un corpus omogeneo di regole e principi, sopperiscono le molteplici normative amministrative settoriali che definiscono il loro campo d’applicazione rispetto ad un novero di enti, talvolta indicati tassativamente. Tra questi regimi speciali, rientra senz’altro quello posto dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196, che, all’art. 1, comma 2, individua le amministrazioni pubbliche alle quali si applicano le disposizioni in materia di finanza pubblica, le quali per l’appunto «concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea» (comma 1). In altri termini, la nozione di pubblica amministrazione è andata via via ampliandosi, rifuggendo da classificazioni basate sulla mera natura pubblicistica, e ricomprendendo realtà eterogenee, e funzionali al perseguimento di determinate finalità. Ed invero, con riferimento al contesto giuridico qui oggetto di attenzione, la stessa legge 196/2009 ha contribuito all’ampliamento suddetto ai fini finanziari.
Tali conclusioni hanno avuto l’autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria. Nella sentenza 28 giugno 2016, n. 13, il Consiglio di Stato ha, tra l’altro, affermato che non deve dimenticarsi «la linea evolutiva che - a livello nazionale e comunitario - interessa la nozione stessa di "pubblica amministrazione", quale nozione non univoca, ma da ricondurre, di volta in volta, a normative diverse e alle relative finalità (a titolo esemplificativo: d.lgs. n. 163 del 2006 cit. - c.d. codice degli appalti - in tema di procedure ad evidenza pubblica, a cui debbono attenersi diverse figure soggettive, sia pubbliche che private; legge 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 1, in tema di Amministrazioni che concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, in conformità al sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella comunità U.E - c.d. SEC 95 -; d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013, in tema di obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni). Nei vari contesti normativi (quelli sopra indicati caratterizzati, rispettivamente, dal controllo e dal finanziamento pubblico, nonché dal contrasto della illegalità nell'amministrazione) all'apparato - centrale e decentrato - dello Stato ed alle Autonomie locali si aggiungono diverse tipologie di soggetti privati ... Si introduce in tal modo quella nozione funzionale di Stato, che è stata individuata dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia del 20 settembre 1988 (causa 31/87 - Beentjes), che riconduceva a detta nozione personalità giuridiche distinte, ma dipendenti in modo sostanziale dai pubblici poteri, per il perseguimento di interessi che lo Stato stesso intende soddisfare direttamente, o nei confronti dei quali sceglie di mantenere un'influenza determinante».
Alla luce di tali considerazioni, e valutato l’inequivoco dato letterale, non v’è dubbio alcuno che, rientrando l’ISTAT nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009 numero 196, anche questo ente sia tenuto all’applicazione dell’art. 5, comma 9, cit.
Quanto alla possibilità di applicare l’art. 5, comma 9, cit. anche alle nomine che avvengono da parte di organi costituzionali – ai sensi del quale «gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito della propria autonomia» – ritiene il Collegio che il Legislatore ha evidentemente voluto estendere la norma anche a tali organi, lasciando loro la piena libertà di individuare le modalità di adeguamento.
L’ultimo periodo del comma in esame non può tuttavia essere letto come norma che possa trovare applicazione nei confronti dell’ISTAT. Nel caso di specie, pur essendo vero che la nomina del Presidente prevede l’intervento di organi costituzionali (è infatti adottata con decreto del Presidente della Repubblica, così come ricordato nella richiesta di parere), non v’è ragione di ritenere che la disposizione da ultimo citata si riferisca all’ISTAT perché, con tutta evidenza, la nomina non riguarda un incarico presso un organo costituzionale.
La circostanza che nell’iter procedimentale di nomina intervengano organi costituzionali, quali il Presidente della Repubblica e il Parlamento, non vale certamente ad imputare la nomina – in senso proprio – a tali organi.
Ai sensi della legge n. 13/1991 (“Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica”), il Presidente della Repubblica emana, tra gli altri, i provvedimenti di nomina alla presidenza di enti, istituti e aziende a carattere nazionale ai sensi dell'articolo 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400 [(art. 1, comma 1, lettera e)].
E non v’è dubbio – come del resto espressamente previsto dalla rubrica della legge – che tali attribuzioni afferiscano alla funzione amministrativa, si sostanzino, quindi, in atti amministrativi (così come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato) e non siano riferibili – in senso proprio - all’organo costituzionale Presidente della Repubblica o Parlamento.
In modo coerente con tale impostazione, del resto, si pone la previa deliberazione del Consiglio dei ministri e la controfirma del Presidente del Consiglio che – come è noto – vale ad imputare l’atto alla responsabilità dell'intero Governo.
.Venendo alla terza e ultima questione, relativa all’applicabilità del comma più volte citato solo a coloro i quali siano già stati collocati a riposo oppure anche a coloro i quali, nominati quando ancora erano in servizio, siano stati successivamente collocati a riposo, per la Sezione il dato letterale depone a favore della prima opzione.
La norma di legge si riferisce, in modo chiaro, solo ai “soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”, lasciando fuori dal suo campo di applicazione chi, invece, all’atto del conferimento dell’incarico (nelle sue eterogenee forme contemplate dalla legge) non è ancora in quiescenza. Da questo si desume che gli incarichi, le cariche e le collaborazioni contemplati dalla legge in commento possono essere attribuiti a chi è ancora in servizio anche se, prima della scadenza dell’incarico, andrà a riposo.
Tale conclusione trova una prima giustificazione negli ordinari criteri ermeneutici: poiché si tratta di una norma eccezionale che limita la possibilità di conferire incarichi, cariche e collaborazioni è certo che non possa essere oggetto di applicazione analogica (art. 14 Preleggi; si veda pure TAR Sicilia – Palermo, sentenza 18 giugno 2018 n. 1374). In tale senso si è espressa anche la giurisprudenza stabilendo che “incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Un'interpretazione estensiva dei divieti in esame, non coerente con il fine di evitare che soggetti in quiescenza assumano rilevanti responsabilità nelle amministrazioni potrebbe determinare un'irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza in violazione dei princìpi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale che ammette limitazioni a carico dei soggetti in questione purché imposte in relazione a un apprezzabile interesse pubblico”, Cons. St., sez. III, sentenza 5 settembre 2017 n. 4195).
La soluzione ora prospettata è, inoltre, avvalorata dai periodi successivi che permettono di attribuire i predetti incarichi, cariche e collaborazioni, a titolo gratuito, ai lavoratori già collocati in quiescenza e, in alcuni casi, per un periodo limitato di tempo. Ed invero, se l’articolo 5, comma 9, cit. si leggesse nel senso che non può essere conferito incarico a chi prima della sua scadenza andrà a riposo, non si comprenderebbe la ragione per cui lo stesso comma prevede poi la possibilità di conferire incarichi, cariche e collaborazioni a titolo gratuito a chi è già a riposo. Detto in altri termini, se l’incarico legittimamente conferito cessa, e non può proseguire neppure a titolo gratuito, la norma non dovrebbe poi prevedere la possibilità di assegnarlo a titolo gratuito.
Le conclusioni ora raggiunte, però, devono essere precisate allo scopo di evitare applicazioni sostanzialmente elusive della legge (sulla necessità di interpretare correttamente la norma per evitare elusioni, ad esempio, attraverso una diversa denominazione dell’incarico conferito, si veda TAR Lazio – Roma, sez. III-bis, sentenza 14 novembre 2016 n. 11301), in ipotesi, conferendo l’incarico all’interessato poco tempo prima di essere collocato in quiescenza (teoricamente anche un solo giorno prima).
Reputa la Sezione che nell’ipotesi in cui venga conferito incarico ad un soggetto ancora in servizio, per evitare elusioni, al momento della collocazione in quiescenza il rapporto debba trasformarsi in un rapporto a titolo gratuito. Ed invero, ai sensi dell’articolo 5, comma 9, terzo periodo, gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti dello stesso comma 9 sono comunque consentiti a titolo gratuito.
Occorre infine precisare la durata del rapporto a titolo gratuito dopo la collocazione in quiescenza. Il quarto periodo del più volte citato comma 9 stabilisce che «per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione».
Da tale disposizione si ricava allora che detto rapporto può proseguire per la durata di un anno se rientrante nel quarto periodo – ossia se concernente gli incarichi dirigenziali e direttivi – mentre può proseguire sino alla scadenza se riguardante le altre nomine (incarichi di studio e di consulenza o cariche in organi di governo delle amministrazioni).
Anno di pubblicazione:
2020
Materia:
GOVERNO
Tipologia:
Focus di giurisprudenza e pareri