Alla Corte di Giustizia la riduzione o ritardo nella corresponsione degli incentivi concessi per legge

Alla Corte di Giustizia la riduzione o ritardo nella corresponsione degli incentivi concessi per legge


Energia elettrica - Fotovoltaici - Energia elettrica da conversione fotovoltaica - Incentivi già concessi per legge – Corresponsione – Riduzione o ritardo - Art. 26, commi 2 e 3, d.l. n. 91 del 2014 - Rimessione alla Corte di Giustizia UE.

 

     E’ rimessa alla Corte di Giustizia UE la questione se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 26, commi 2 e 3, d.l. n. 91 del 2014, come convertito dalla l. n. 116 del 2014, che riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a., società pubblica a tal funzione preposta; in particolare se tale disposizione nazionale sia compatibile con i principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed effetto utile; con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art. 216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla Carta europea dell’energia (1).

 

(1) L’art. 26, comma 2 e 3, d.l. n. 91 del 2014, della cui compatibilità con l’ordinamento europeo si dubita, è parametro normativo necessario, stante il tenore dei motivi di ricorso, ai fini della valutazione della fondatezza delle domande proposte dalla parte ricorrente, alla luce della (incontestata) titolarità di impianti di produzione di energia di potenza superiore a 200 kW che usufruiscono degli incentivi previsti dagli artt. 7, d.lgs. n. 387 del 2003 e 25, d.lgs. n. 28 del 2011, oggetto di convenzioni stipulate con il GSE.

Le domande formulate nel giudizio hanno infatti a oggetto il diritto di conservare le condizioni contrattuali stabilite nella convenzione stipulata e l’annullamento dei provvedimenti attuativi delle disposizioni di legge riportate recanti una revisione degli incentivi e delle relative modalità di corresponsione.

La Corte costituzionale con la citata sentenza n. 16 del 2017 per i profili di diritto europeo, concernenti la lesione dell’affidamento dei fruitori degli incentivi ha giudicato non arbitrario né irragionevole – e dunque legittimo - l’intervento del legislatore italiano sulle dette posizione consolidate.

Ad avviso della Corte costituzionale, quello in esame costituisce “un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”.

In particolare poi la Corte ha osservato che “il principio di protezione della proprietà”, esteso ai diritti di credito, di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1958, n. 848, non è di ostacolo ad interferenze da parte della pubblica autorità in presenza di un interesse generale (Corte EDU, sentenza 14 febbraio 2012, Arras e altri c. Italia) e, al fine della verifica di sussistenza di un tale interesse e della congruità delle sue modalità attuative, è riconosciuto, a ciascuno Stato membro, un ampio margine di apprezzamento.

Sempre nella motivazione della Corte costituzionale si legge che “la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella nota sentenza Plantanol GmbH & Co KG c. Hauptzollamt Darmstadt (C-201/08 del 10 settembre 2009), citata anche nelle ordinanze di rimessione, ha riconosciuto che l’abolizione anticipata di un regime di favore rientra nel potere discrezionale delle Autorità nazionali, incontrando ostacolo solo nell’affidamento che nel mantenimento dello stesso potrebbe porre l’«operatore economico prudente e accorto». E, per quanto in precedenza osservato, l’intervento del legislatore, del quale qui si discute, non è stato imprevedibile né improvviso, per cui l’“operatore economico prudente e accorto” avrebbe potuto tener conto della possibile evoluzione normativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno”.

Questo Tribunale, ritenuti irrisolti alcuni profili non oggetto della sentenza del giudice costituzionale, giudica comunque necessario, alla luce delle considerazioni che seguono, ottenere una pronuncia della Corte di Giustizia sulla compatibilità delle descritte previsioni nazionali con il diritto europeo; occorre ad avviso del giudice rimettente chiarire in particolare, anche alla luce del diritto europeo derivato in materia di produzione energetica, se sia consentito al legislatore nazionale - a seguito di una diversa e sopravvenuta valutazione degli interessi in gioco che pure possa portare ad un “equo bilanciamento” tra gli stessi - di intervenire su situazioni già consolidate in forza dei provvedimenti all’ammissione agli incentivi nonché in forza di convenzioni già stipulate con la parte pubblica.

Alla luce di quanto precede, si osserva in primo luogo che l’art. 26, d.l. n. 91 del 2014 rischia di porsi in contrasto con alcuni principi generali dell’ordinamento dell’Unione europea, che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, costituiscono le fondamenta del sistema giuridico dell’Unione.

In tale prospettiva, è possibile sospettare un contrasto dell’art. 26, d.l. n. 91 del 2014 con i principi generali del legittimo affidamento e della certezza del diritto, in quanto l’intervento normativo nazionale ha modificato unilateralmente le condizioni giuridiche sulle cui basi le imprese ricorrenti avevano impostato la propria attività economica (per l’evidenziazione del principio tra le tante Corte di Giustizia sent. 21.02.2008, Netto Supermarkt GmbH & Co. OHG, causa C-271/06; sent. 10.09.2009, Plantanol GmbH & Co. KG, causa C-201/08).

Occorre precisare peraltro che nel caso di specie la modifica legislativa non interviene solo sulla disciplina generale applicabile all’impresa (come nel caso Plantanol riguardante la variazione di uno specifico regime fiscale) ma incide, variandole in senso sfavorevole e prima del termine di scadenza, sulle relative convenzioni individualmente stipulate con la società pubblica GSE spa per la determinazione degli incentivi.

Come è noto il principio dell’affidamento è stato declinato nel campo dei rapporti economici, in relazione al criterio dell’operatore economico “prudente e accorto” ovvero quell’operatore che sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi (punto 53 della menzionata sent. Corte di Giustizia 10 settembre 2009, in causa C-201/08, Plantanol); nella fattispecie questo Tribunale si chiede se la prevedibilità della modifica peggiorativa possa conseguire ad una diversa valutazione degli interessi gioco da parte del legislatore (volta nelle parole stesse della Corte Costituzionale a garantire “la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”), in assenza di circostanze eccezionali che la giustifichino e a fronte di convenzioni stipulate tra la parte pubblica e l’operatore che hanno prestabilito la misura dell’incentivo per un periodo ventennale.

Per le stesse ragioni la disposizione nazionale si porrebbe in contrasto anche con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, segnatamente, con gli artt. 16 (libertà d’impresa) e 17 (diritto di proprietà) in quanto altera le misure di sostegno economico già accordate, determinando un’ingerenza nel diritto ad impostare e condurre la propria attività economica sulla base di posizioni contrattuali predeterminate e riducendo il diritto a percepire le misure di sostegno economico già accordate.

L’art. 26, d.l. n. 91 del 2014 presenta possibili profili di incompatibilità anche con il diritto dell’Unione europea derivato, in particolare con le direttive adottate al fine di armonizzare le normative nazionali relative alla produzione di energia da fonti rinnovabili, nell’ottica del progressivo sviluppo di una politica energetica comune e maggiormente integrata.

La direttiva 2009/28/CE, nel porre la disciplina per la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, impone agli Stati membri l’obbligo di adottare misure efficaci al fine del raggiungimento della propria quota di energia da fonti rinnovabili (art. 3, par. 2) e, tra dette misure, indica in particolare i regimi di sostegno (art. 3, par. 3, lett. a). La direttiva nel sostenere il ruolo dei regimi nazionali di sostegno alla produzione di energia rinnovabile, ne sottolinea anche i necessari caratteri di stabilità e certezza giuridica.

Essa riconosce infatti la necessità di “creare la stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno per effettuare investimenti razionali e sostenibili nel settore delle energie rinnovabili” (considerando n. 8), stabilendo inoltre che “la principale finalità di obiettivi nazionali obbligatori è creare certezza per gli investitori” (considerando n. 14) e che “uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo fissato dalla presente direttiva consiste nel garantire il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali… al fine di mantenere la fiducia degli investitori” (considerando n. 25).

La disposizione nazionale in questione - il citato art. 26, d.l. n. 91 del 2014 - incidendo in senso sensibilmente peggiorativo sui regimi di sostegno in atto, che dovrebbero essere caratterizzati da stabilità e costanza, non solo colpisce economicamente gli investitori, ma rischia di recare pregiudizio agli obiettivi di politica energetica della direttiva 2009/28/CE, frustrandone l’effetto utile e compromettendo il risultato prescritto dalla direttiva stessa.

Principi analoghi, in merito alla certezza dell’investimento, vengono richiamati nel Trattato sulla Carta europea dell’energia, sottoscritto il 17 dicembre 1994 dalla Comunità europea (da considerare quindi quale “parte integrante dell’ordinamento comunitario” Corte di Giustizia, sent. 30.04.1974, Haegeman, causa C-181/73).

Infatti, ai sensi dell’art. 10 della Carta europea dell’energia, ogni parte contraente “incoraggia e crea condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori … gli investimenti godono inoltre di una piena tutela e sicurezza e nessuna Parte contraente può in alcun modo pregiudicare con misure ingiustificate e discriminatorie la gestione, il mantenimento, l’impiego, il godimento o l’alienazione degli stessi” (art. 10, par. 1).


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

ENERGIA elettrica ed energia in genere, IMPIANTI fotovoltaici

ENERGIA elettrica ed energia in genere

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri