Alla Corte costituzionale la legge della Regione Sicilia che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto

Alla Corte costituzionale la legge della Regione Sicilia che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto


Paesaggio – Tutela - Regione Sicilia - Sanzioni amministrative pecuniarie - In caso di vincolo sopravvenuto – Art. 5, comma 3, l. reg. n. 17 del 1994 – Esclusione - Artt. 3, 9, 97 e 117, comma 2, lett. s), Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza. 

 

    E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 comma 3 l. reg. Sicilia n. 17 del 1994, in relazione agli artt. 3, 9, 97 e 117, comma 2, lett. s), Cost., che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto (1). 

 

(1) Prima di affrontare il tema della costituzionalità dell’art. 5 comma 3 l. reg. Sicilia n. 17 del 1994, ritiene utile premettere di ritenere vigente la medesima (sulla scia di C.g.a., sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 149; Id., sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 147; id., sezioni riunite 10 maggio 2021, n. 354) in una duplice prospettiva.
Quanto al primo profilo, si rileva che – secondo gli insegnamenti del Giudice delle leggi - il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale ed automatica in quanto esso produce come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto, che esprime un principio essenziale per il sistema delle fonti (Corte cost. 24 gennaio 2012, n. 13) ed alla tenuta del sistema giuridico, in quanto espressione delle esigenze di sicura conoscibilità delle norme che compongono l’ordinamento.
Esso può pertanto essere ammesso in ipotesi tipiche e molto limitate.
La Corte costituzionale ha ritenuto di poter parlare di reviviscenza nell’ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a sé (Corte cost. 24 gennaio 2012, n. 13).
Nel caso di specie l'art. 17, comma 11, l. reg. n. 4 del 2003 (“Il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso in cui il vincolo sia stato posto antecedentemente alla realizzazione dell'opera abusiva”) ha sostituito l'art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 (“il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva”), offrendo, dell’art. 23, l. reg. n. 35 del 1987, un’interpretazione opposta. Sicché di fatto ha abrogato l’interpretazione contenuta nell’art. 5 comma 3, l. reg. n. 17 del 1994 nella sua originaria formulazione. 
L’inoperatività della reviviscenza renderebbe priva di effetti la pronuncia di incostituzionalità. Fra le due interpretazioni possibili (il vincolo sopravvenuto comporta comunque la necessità di chiedere il nulla osta paesaggistico in caso di abuso, oppure il vincolo paesaggistico sopravvenuto inibisce il potere dell’autorità paesaggistica), avrebbe continuato ad essere applicata la regola dettata dalla disposizione costituzionalmente illegittima: è la stessa Corte costituzionale a rendere conto, nella sentenza n. 39 del 2006, della concezione opposta e inconciliabile recata dalla due disposizioni di legge che si sono succedute (in particolare la seconda, quella dichiarata costituzionalmente illegittima, avrebbe un “significato addirittura opposto a quello che in precedenza si era già determinato come autentico”).
Non potendosi ammettere tale evenienza (cioè che la disposizione costituzionalmente illegittima continui a produrre effetti) non può che ritenersi che, dichiarata costituzionalmente illegittima la sostituzione, riviva la norma che è stata sostituita, posto che il meccanismo sostitutivo evidenzia come non sia venuta meno l’esigenza di normare la specifica materia. 
Né depone in senso contrario, nel caso di specie, la circostanza che la norma sostituita e quella che la sostituisce costituiscono, entrambe, disposizioni di interpretazione autentica (così la richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2006), sicché la regola ermeneutica successiva (e costituzionalmente illegittima) ha prescelto il parametro legislativo opposto rispetto a quello precedente, ma non ha fatto venir meno l’esigenza interpretativa. 
Il C.g.a. ritiene pertanto che sia tuttora in vigore la norma contenuta nell’art. 5, comma 3, l. reg. n. 17 del 1994 nella formulazione precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma 11, l. reg. n. 4 del 2003, anche in considerazione del fatto che l’eventuale non conformità a Costituzione di detta disposizione non si riverbera sul meccanismo della reviviscenza, determinando piuttosto l’illegittimità costituzionale di esso (se riportato in vita dalla precedente declaratoria di illegittimità costituzionale).
Si aggiunge che nell’occasione di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 2006 non è stato valutato l’ultimo periodo dell’art. 5, comma 3, l. reg. n. 17 del 1994 (“nel caso di vincolo apposto successivamente, è esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio”) nella formulazione precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma 11, l. reg. n. 4 del 2003, neppure laddove si afferma (comunque in riferimento a un orientamento giurisprudenziale risalente) che l’interpretazione autentica dell'art. 23, comma 10, l. reg. n. 37/1985, fornita dallo stesso legislatore regionale con l'art. 5, comma 3, l. reg. n. 17 del 1994, ha contribuito al consolidarsi a livello regionale di una interpretazione analoga a quella in uso a livello nazionale rispetto all'art. 32 della legge statale n. 47 del 1985, specie dopo l'intervento dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 22 luglio 1999, n. 20.
Sicché si ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale proprio in relazione a quella proposizione, anche in ragione di quel principio di certezza del diritto (funzionale a rendere conoscibile la norma a tutti gli operatori del diritto, anche all’autorità amministrativa e al privato) cui è preordinato l’orientamento della Corte sulla reviviscenza.
In secondo luogo, il C.g.a, ritiene che l’art. 2 comma 46 l. n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza ha peraltro attribuito portata interpretativa: così il già richiamato arresto, Cons. St., II, 30.10.2020 n. 6678), che esplicita che in caso di condono edilizio resta dovuta l’indennità per danno al paesaggio (“Per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla l. 29 giugno 1939, n. 1497, e al d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 agosto 1985, n. 431, il versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dall'articolo 15 della citata legge n. 1497/1939”), non abbia abrogato la disposizione regionale del 1994. Ciò in quanto, in ambito di competenza legislativa esclusiva devoluta ad una regione a statuto speciale (come è nella specie) ed in presenza di legge regionale, la successiva legge statale (incompatibile) non supporta, fatta salva l’ipotesi del rinvio dinamico, il sistema della successione delle leggi nel tempo nel senso di ritenere implicitamente abrogata la legge precedente il cui contenuto sia incompatibile con il disposto della fonte primaria successiva: osta la competenza legislativa esclusiva della Regione Sicilia (di cui infra) che impone di valutare non solo l’incompatibilità ma anche la portata della successiva norma statale in termini di norma nazionale di grande riforma, richiedendo la pronuncia sul punto della Corte costituzionale.
Mentre l’ordinamento italiano devolve il primo profilo (relativo all’incompatibilità) al giudizio diffuso degli operatori del diritto che si trovino ad applicarla, non avviene così rispetto al secondo profilo di valutazione (appartenenza o meno della norma statale alla categoria delle norme di grande riforma), devoluto, anche in ragione della complessità che lo connota, alla Corte costituzionale, anche nella prospettiva della certezza del diritto. Del resto “i due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale, e i requisiti richiesti perché si abbia abrogazione per incompatibilità secondo i principi generali sono assai più limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge” (Corte cost. 14 giugno 1956, n. 1).
Il rapporto fra l’art. 5, comma 3, l. reg. n. 17 del 1994 e l’art. 2, comma 46, l. n. 662 del 1996, non trovando soluzione nelle regole che governano la successione delle leggi nel tempo, è quindi ricompreso nella questione di legittimità costituzionale che si pone alla Corte costituzionale.
Ritenuto quanto sopra, il C.g.a. intende porre la questione di legittimità costituzionale sull’art. 5 comma 3, l. reg. n. 17 del 1994, con specifico riferimento all’ultimo periodo di detta disposizione, che inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto .
​​​​​​Sembra evidente che l’art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994 (nello stabilire che l’art. 23 comma 10 l.r. n. 37/1985, debba essere interpretato nel senso che “il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva”, dispone che “nel caso di vincolo apposto successivamente, è esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio”) sia volto a impedire che dall’abuso derivino effetti negativi sul proprietario dell’immobile allorquando il vincolo paesaggistico è successivo alla realizzazione dell’abuso (e sembra altresì evidente che, in questa chiave di lettura, tale esenzione ricomprenderebbe anche eredi ed aventi causa, chè altrimenti ci si troverebbe al cospetto di una illogicità incomprensibile: l’autore dell’ abuso verrebbe “privilegiato” rispetto all’avente causa di questi). 
La voluntas legis regionale non pare, in tale prospettiva, attribuire un ruolo decisivo all’uso del termine “sanzione”, ritenendosi piuttosto che essa voglia impedire l’esborso di denaro, indipendentemente dalla qualificazione di quest’ultimo. 
Il termine sanzione delinea la conseguenza di carattere patrimoniale derivante dall’aver realizzato un’opera abusiva ed è coerente con la qualificazione attribuita all’epoca all’indennità in discorso.
In tal senso si ritiene che la possibilità di esperire un’interpretazione costituzionalmente orientata, che, valorizzando l’utilizzo del termine “sanzione”, ritenga non applicabile all’indennità di cui all’art. 167, comma 5 del d. lgs. n. 42/2004 la norma regionale contenuta nell’art. 5 comma 3 della l.r. n. 17/1994, non sia percorribile: osta il principio della certezza del diritto. Il profilo emerge con evidenza se si considera la già richiamata circostanza relativa all’attuale pendenza di ottanta giudizi di contenuto analogo presso il C.g.a., così risaltando la rilevanza che assume il connotato della certezza del diritto non solo per l’organo giurisdizionale ma altresì per l’Amministrazione siciliana e gli abitanti del relativo territorio.
Invero, a tacere del fatto che, se si interpretasse in tal senso la disposizione regionale, si determinerebbe un’ipotesi di norma inutiliter data, si aggiunge che l’art. 5 l.r., per come è stato costantemente applicato, intende riferirsi, laddove utilizza il termine “sanzione”, proprio all’indennità per danno al paesaggio
Si ritiene pertanto che la disposizione regionale della cui legittimità costituzionale si dubita sia riferita all’indennità di cui all’art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 (indipendentemente dalla qualificazione di detta indennità sulla quale ci si è prima soffermati, laddove si ritiene di avere chiarito le ragioni per le quali il Collegio non la ricompresa nella categoria delle sanzioni amministrative pecuniarie normate dalla l. n. 689/1981).
Nondimeno il C.g.a., pur ritenendo che detta qualificazione non abbia un rilievo così determinante in punto di valutazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ancorata alla diversità di disciplina con la normativa statale in punto di abuso paesaggistico (nei termini illustrati infra), come si dirà, non ignora che la qualificazione dell’indennità in parola in termini di sanzione amministrativa pecuniaria non è indifferente per il Giudice ad quem, come si avrà modo di illustrare nel paragrafo 23. 
Premesso ciò, la valutazione della non manifesta infondatezza si articola innanzitutto nel senso che l’art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994, nella formulazione ritenuta vigente, viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli artt. 9 e 117 comma 2, lett. s) della Costituzione, in quanto determina una lesione diretta dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave diminuzione del livello di tutela garantito nell'intero territorio nazionale. La predetta norma regionale interseca la disciplina sulla protezione del paesaggio (in quanto provvede a delineare le conseguenze dell’abuso anche paesaggistico), normativa che, a sua volta, rispecchia la natura unitaria del valore primario e assoluto dell'ambiente, di esclusiva spettanza statale ai sensi dell'art 117 comma 2 lett. s) della Costituzione. 
Ciò in quanto:
- ai sensi dell’art. 9 comma 2, Cost. la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione;
- l’art. 117 comma 2 lett. s), Cost. attribuisce alla Stato la competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali;
- l'art. 14 comma 1 lett. n), dello Statuto speciale della Regione Sicilia, approvato con r.d.l. 15 maggio 1946 n. 455 e successive modificazioni e integrazioni, riconosce una potestà legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche.
In merito alla materia del paesaggio si rileva che:
- l’art. 9 Cost. (la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) ha costituito, in combinato disposto con gli artt. 2 e 32 Cost., l’asse portante per il riconoscimento del diritto primario a godere di un ambientale salubre, e ciò attraverso la lettura effettuata dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 210 e n. 641 del 1987, poi consacrato nel 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione, attraverso i rinvii espressi ad ambiente ed ecosistema introdotti dall’art. 117, secondo comma, lett. s);
- la nozione di paesaggio di cui all’art. 9 Cost. ha così assunto una connotazione che partecipa sia dell’esigenza di cura di singoli beni, quindi dei valori storici, culturali ed estetici del territorio, sia quella di non pretermettere l’interesse alla tutela dell’ambiente, sia quell’attenzione alla materia dell’urbanistica (Corte cost. 21.4.2021 n. 74 e 17.4.2015 n. 64);
- specularmente l’ampia nozione di ambiente, così come è stata ricostruita specie dopo il 2001, ha una morfologia complessa, capace di ricomprendere non solo la tutela di interessi fisico-naturalistici, ma anche i beni culturali e del paesaggio idonei a contraddistinguere in modo originale, peculiare e irripetibile un certo ambito geografico e territoriale (Corte cost. 30.3.2018 n. 66, punto 2.2. del Considerato in diritto).
Detto ciò in punto di norme costituzionali di interesse nella presente controversia si rileva conseguentemente, in relazione alle soggettività coinvolte dalle suddette attribuzioni, che:
- la tutela del paesaggio non si identifica con una materia in senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una materia trasversale (Corte cost. 17.4.2017 n. 77), sulla quale lo Stato esercita, in ragione della portata ascensionale della sussidiarietà, istanze unitarie che trascendono l’ambito regionale (Corte cost. 1.10.2003 n. 303);
- in molteplici occasioni, codesta Corte ha affermato che la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’art. 117 comma 2 lett. s) Cost., alla cura esclusiva dello Stato (Corte cost. 23.7.2018 n. 172);
- l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di tale materia-obiettivo non implica una preclusione assoluta all'intervento regionale, purché questo sia volto all'implementazione del valore ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela (sentenza 23.7.2019 n. 172, punto 6.2. del Considerato in diritto e sentenza n. 178/18, punto 2.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso sentenza Corte cost. 17.4.2017 n. 77, 16.7.2014, 24.10.2013 n. 246, 20.6.2013 n. 145, 26.2.2010 n. 67, 18.4.2008 n. 104 e 14.11.2007 n. 378);
- alle regioni non è consentito modificare gli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, “senza che ciò sia giustificato da più stringenti ragioni di tutela” (Corte cost. 21.4.2021 n. 74);
- fra gli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, che alle regioni non è consentito modificare, deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica (Corte cost. 21.4.2021 n. 74).
Con specifico riferimento alle competenze legislative delle regioni a statuto speciale, la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato che il legislatore statale, tramite l'emanazione delle norme di grande riforma economico-sociale, “conserva il potere - anche relativamente al titolo competenziale legislativo "nella materia 'tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali', di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, [...] di vincolare la potestà legislativa primaria delle regioni a statuto speciale" (sentenza n. 238/2013, punto 2.2. del Considerato in diritto).
Specularmente la Regione Siciliana, con specifico riferimento alla competenza legislativa esclusiva attribuitale dallo Statuto speciale in materia di paesaggio e di urbanistica, deve rispettare, oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le “norme di grande riforma economico-sociale” poste dallo Stato nell'esercizio delle proprie competenze legislative (Corte cost. 8.11.2017 n. 232 con riferimento alla disciplina dell’accertamento di conformità).
A ciò si aggiunge che la definizione dell’ambiente quale materia trasversale porta con sé consente l’attivazione, da parte dello Stato, istanze unitarie che trascendono l’ambito regionale in ragione della portata ascensionale della sussidiarietà, (Corte cost. 1.10.2003 n. 303).
In ragione di quanto sopra si rileva che:
- la l. n. 431 del 1995 è stata qualificata in termini di legge di grande riforma (Corte cost. 27.6.1986 n. 151), così come il d. lgs. n. 42/2004 (Corte cost. 29.10.2009 n. 272): il codice dei beni culturali “detta le coordinate fondamentali della pianificazione paesaggistica affidata congiuntamente allo Stato e alle regioni” (sentenza n. 66/18, punto 2.4. del Considerato in diritto), in coerenza con i principi delineati supra in tema di protezione del paesaggio e di tutela dell'ambiente e della valenza della disciplina statale diretta a proteggere l'ambiente e il paesaggio quale limite alla competenza legislativa in materia anche delle regioni a statuto speciale;
- tale qualificazione discende dal fatto che il codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d. lgs. n. 42/2004 impatta in modo diretto sul valore primario e assoluto del paesaggio (“il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali” (così la sentenza 5.5.2006 n. 182), così come richiamato dall’art. 9 Cost. e dall’art. 117 comma 2 lett. s) Cost., e ne delinea un nuovo assetto, improntato a integrità e globalità, implicante una riconsiderazione del territorio nella prospettiva estetica e culturale, intesa in senso dinamico;
- l’indennità di cui all’art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004, sulla quale è intervenuto l’art. 2 comma 46 l. n. 662 del 1996 nei termini sopra delineati, risulta, -in ragione della funzione riparatoria rispetto all’esternalità negativa prodotta con l’abuso e in funzione general-preventiva, di dissuasione-, direttamente connessa al valore primario e assoluto che il d. lgs. n. 42/2004 attribuisce al paesaggio.
23. A fronte di ciò:
- la disciplina sul condono edilizio è organicamente regolamentata in ambito nazionale prevedendo che l’accertamento postumo (nei termini evidenziati sopra, nei paragrafi 17.3., 17.4. e 17.5.) della compatibilità paesaggistica sia accompagnato dal pagamento dell’indennità di cui all’art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004;
- è stato già illustrato, come il pagamento della somma di denaro connessa all’accertamento della compatibilità paesaggistica costituisca un tratto fondamentale dell’istituto a livello di disciplina nazionale;
- come si è rilevato sopra, l’indennità connessa all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica del manufatto abusivo è dovuta in ambito nazionale, anche se il vincolo paesaggistico è sopravvenuto rispetto alla realizzazione dell’abuso (e ciò indipendentemente dalla qualificazione della medesima come sanzionatoria o risarcitoria);
- ciò in ragione, da un lato, della richiamata Adunanza plenaria n. 20 del 1999 e, dall’altro lato, dell’art. 2 comma 46 l. n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come già illustrato, ha peraltro attribuito una portata interpretativa), che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l’indennità per danno al paesaggio;
- l’art. 5 comma 3 l.r. n. 17/1994, nel prevedere che la sanzione amministrativa pecuniaria non sia irrogabile nel caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico rispetto alla commissione dell’abuso, si discosta dalla disciplina nazionale sopra illustrata lasciando “scoperto” il periodo precedente nel quale l’abuso è stato commesso ma l’accertamento di compatibilità non è ancora avvenuto;
- in tal senso viene assicurata sul territorio siciliano una tutela meno elevata del valore ambiente e paesaggio rispetto a quella garantita sul rimanente territorio nazionale,
- in ambito siciliano, infatti, la conformità attuale alla disciplina paesaggistica consente di superare il precedente abuso senza ulteriori conseguenze negative, sicché viene meno il disvalore ambientale e paesaggistico connesso a quest’ultimo, parificando la posizione di chi non ha commesso abuso alla posizione di chi lo ha commesso ma ha ottenuto l’accertamento positivo di conformità di cui all’art. 167 d. lgs. n. 42/2004 solo dopo averlo realizzato;
- così non avviene, come si è già visto, sul rimanente territorio nazionale, dove la tutela del paesaggio è presidiata a livello general-preventivo anche attraverso il pagamento di un’indennità a copertura delle conseguenze pregiudizievoli dell’abuso commesso;
- tale ultimo aspetto assume una particolare rilevanza nell’ambito dell’istituto di cui all’art. 167 d. lgs. n. 42/2004 (come sopra già illustrato), delineando un procedimento avente due prospettive, quella del superamento di una situazione di non conformità formale alla disciplina paesaggistica in seguito all’accertamento della compatibilità sostanziale del manufatto (questo a presidio di un principio di efficienza e di scarsità delle risorse che accomuna l’intero ordinamento giuridico e non solo la prospettiva pubblicistica) e il contrappeso del pagamento di un’indennità in funzione general-preventiva a presidio del rispetto ex ante delle regole poste a tutela del paesaggio attraverso il pagamento dell’indennità (chè altrimenti viene meno la cogenza delle medesime, con conseguente intaccamento del valore fondamentale dell’ambiente e del paesaggio);
- si è illustrato sopra come il procedimento e la posizione dell’Amministrazione sul punto si giustifichi e trovi le ragioni del proprio canone di azione solo nel bilanciamento fra i due aspetti sopra delineati e come non possa esservi l’uno, senza l’altro. 
L’art. 5 comma 3 ultimo periodo l.r. n. 17/1994, nella formulazione che si ritiene attualmente vigente (come sopra illustrato), laddove non consente l’irrogazione dell’indennità di cui all’art. 167 comma 5 d. lgs. n. 42/2004 in caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico, contrasta, eccedendo dalle competenze attribuite alla Regione Siciliana dall’art. 14 lett. n) dello Statuto in materia di tutela del paesaggio e di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, con le norme di grande riforma economico-sociale contenute nell’art. 167 del d. lgs. n. 42/2004, con conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost. Ciò in quanto comporta una significativa alterazione del meccanismo delineato dal legislatore statale per la tutela dei beni culturali e paesaggistici, così come interpretato, da un lato, dalla richiamata Adunanza plenaria n. 20 del 1999 e, dall’altro lato, dall’art. 2 comma 46 l. n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come già illustrato, ha peraltro attribuito una portata interpretativa), che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta l’indennità per danno al paesaggio anche in caso di vincolo sopravvenuto: non è consentito alla Regione Siciliana adottare una disciplina difforme da quella contenuta dalla normativa nazionale di riferimento che assicura il pagamento dell’indennità di cui all’art. 167, d. lgs. n. 42/2004. 
Il Collegio solleva altresì questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, ultimo periodo, l.r. n. 17/1994, nella ridetta formulazione che si ritiene attualmente vigente, laddove non consente l’irrogazione dell’indennità di cui all’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 in caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost. Ciò, in quanto la norma censurata consente di eliminare qualsiasi conseguenza pecuniaria negativa in caso di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica. Altrettanto non avviene invece sul restante territorio nazionale, pur a fronte della medesima situazione di fatto e di un livello di tutela del paesaggio che non può essere difforme (almeno verso il basso, essendo, come già visto, consentito alle Regioni unicamente di innalzare lo standard di tutela). 
Nel meccanismo disegnato dalla norma regionale della cui costituzionalità il Collegio dubita, la regolarizzazione del fatto lesivo per il paesaggio (certamente sussistente al momento della delibazione dell’amministrazione sulla domanda di condono) avviene senza alcuna conseguenza pregiudizievole per il suo autore. 
Dal che la considerazione che la disciplina qui censurata possa indebolire l’efficacia deterrente del sistema delineato dall’art. 167, d.lgs. n. 42 del 2004, così come interpretato dall’Adunanza plenaria n. 20 del 1999 e dall’art. 2 comma 46, l. n. 662 del 1996, con conseguente incentivazione a tenere il comportamento, confidando nella possibilità di un adempimento successivo, in grado di superare l’illecito paesaggistico commesso: così vanificando l’efficacia deterrente dell’istituto, con conseguente irragionevolezza intrinseca della disciplina e connesso pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione.
Né giustifica la diversità di trattamento del danno al paesaggio sul territorio siciliano la prospettiva di un rapporto tra pubblica amministrazione e consociati imperniato su uno schema dialogico-collaborativo anziché oppositivo, che si tradurrebbe nell’imposizione di un obbligo di “avvertire” il privato circa la necessità di conformarsi al precetto, che imporrebbe la previa imposizione del vincolo paesaggistico sull’area oggetto di abuso rispetto alla realizzazione di questo.
L’argomentazione infatti non spiega la diversità della disciplina siciliana, in quanto un’argomentazione analoga potrebbe articolarsi anche in relazione al rimanente territorio nazionale.
A ciò si aggiunge, in senso inverso, che il valore del paesaggio giustifica piuttosto, per i motivi sopra esposti, l’impostazione opposta.
Non sfugge, tra l’altro, che in riferimento all’ambito del diritto penale la possibilità di riservare maggiore spazio a meccanismi di riduzione o addirittura di esclusione della pena, a fronte di condotte riparatorie delle conseguenze del reato da parte del suo autore, è stata esplorata recentemente anche dal legislatore statale con l’introduzione del nuovo art. 162-ter del codice penale ad opera l. 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), che prevede per l’appunto l’estinzione dei delitti procedibili a querela soggetta a remissione – senza alcuna residua sanzione per il trasgressore – quando, anche in assenza di remissione della querela da parte della persona offesa, questi abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato ed eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose di esso entro l’apertura del dibattimento di primo grado.
Nondimeno nel caso di specie il meccanismo introdotto dal legislatore regionale con l’art. 5 comma 3, l.reg. n. 17 del 1994 non assicura la riparazione del danno in quanto la regolarizzazione della posizione del soggetto istante ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 avviene prescindendo dalla valutazione del pregiudizio arrecato al bene ambiente, che, anzi, tale omissione costituisce l’effetto precipuo della norma regionale sospettata di illegittimità costituzionale. E ciò è ancora più rilevante in quanto l’interesse pubblico al paesaggio presenta le caratteristiche dell’interesse almeno in parte adespota, potenzialmente incidente sulle generazioni future, e le cui violazioni determinano esternalità negative difficilmente apprezzabili (di talché anche la particolare modalità di quantificazione dell’indennità di cui all’art. 167 comma 5).
Non può quindi ritenersi, in uno con la Corte costituzionale, che ha ritenuto che l’introduzione del nuovo art. 162-ter del codice penale corrisponda a legittime opzioni di politica criminale o di politica sanzionatoria (18 gennaio 2021, n. 5), che la scelta operata dal legislatore regionale con l’art. 5 comma 3, l.reg. n. 17 del 1994 non trasmodi nella manifesta irragionevolezza o non si traduca in un evidente pregiudizio al principio del buon andamento dell’amministrazione
L'art. 5 comma 3, l.reg. n. 17 del 1994, eccedendo dalle competenze statutarie della Regione autonoma della Sicilia di cui all'art.14, comma 1, lettera n) e quindi essendo privo di giustificazione, viola quindi anche gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Da ultimo, per completezza espositiva, sarà consentita una considerazione. Si è già chiarito che l’indennità di cui all’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 non riveste, per il C.g.a., i connotati della sanzione amministrativa in ragione delle considerazioni sopra illustrate.
Nondimeno, se anche si ritenesse di attribuire detta qualificazione all’indennità in parola, questo CGARS ritiene che la norma censurata non si presti a una interpretazione adeguatrice, che ne determini la sussumibilità nell’ambito della categoria delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali.
Detta indennità infatti si situa nell’ambito di una fattispecie (quella di cui all’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004) favorevole per il privato istante in quanto consente il superamento di un precedente illecito. Sicché l’analisi concreta delle finalità perseguite rende recessiva, sulla base dei parametri Engel, la finalità punitiva rispetto a quella preventiva, nel senso che l’indennità costituisce una misura a tutela del paesaggio, che consente di superare l’illecito commesso, alla quale risultano estranei gli aspetti meramente afflittivi della pena (potendosi al più rinvenire delle secondarie finalità di deterrenza).
La tecnica di quantificazione, peraltro, basata sul binomio danno arrecato-profitto conseguito, osta a ritenere particolarmente elevato il grado di afflittività in quanto la misura del dovuto non trova giustificazione nella necessità di assicurare l’effetto punitivo ma nel tentativo di rimediare a un danno arrecato.
Nella determinazione dell’indennità non si ha infatti riguardo all’elemento soggettivo del fatto, né all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione e neppure alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche, parametri che il legislatore ha individuato al fine di assicurare la finalità punitiva (art. 11, l. n. 689 del 1981).
Detto ciò in punto di non annoverabilità dell’indennità controversa nell’ambito delle sanzioni amministrative sostanzialmente penali, il C.g.a. ritiene che la riconducibilità della stessa alla categoria delle sanzioni amministrative non consentirebbe comunque di superare le questioni di legittimità costituzionale in ragione dei principi della conoscibilità del precetto e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie (Corte cost. 29 maggio 2019, n. 134).
In altre parole, il C.g.a. ritiene che non possa essere utilizzato, in funzione paralizzante rispetto alla questione di legittimità costituzionale della norma censurata, il rilievo che essa (laddove non consente di irrogare la “sanzione” nel caso di sopravvenienza del vincolo paesaggistico) sarebbe giustificata dalla necessità di allineare la fattispecie alla regola generale di conoscibilità del precetto la cui violazione determina la conseguenza sanzionatoria.
Piuttosto, l’ordinamento suppone (e impone) che colui che realizza un illecito edilizio si assuma la responsabilità delle conseguenze negative che dalla condotta derivano nel corso del tempo, fino a che la posizione del medesimo non risulta nuovamente conforme all’ordinamento giuridico (secondo il canone del versari in re illicita): il precetto da conoscere anticipatamente non è rappresentato dal singolo vincolo paesaggistico ma dal fatto che la realizzazione del manufatto deve avvenire nel rispetto delle regole di settore, pena, quanto meno, il pagamento di un’indennità.
Il settore non risulta esposto né al rischio che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, l’autorità amministrativa o il giudice assuma[no] un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l’illecito, né al rischio di violare la libera autodeterminazione individuale, dal momento che consente al destinatario della norma di apprezzare le conseguenze giuridiche della propria condotta (così non realizzandosi le situazioni che rappresentano la ratio dei principi della conoscibilità del precetto e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie, così (Corte cost. 29 maggio 2019, n. 134).
La disposizione di portata generale di cui all’art. 32, l. n. 47 del 1985 rende infatti rilevanti i vincoli di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, di tutela del patrimonio storico artistico e di tutela della salute che appongono limiti all’edificazione ai fini dell’accertamento di conformità in sanatoria: è la legge che impone quindi una corrispondenza stretta fra il vincolo edilizio e i suddetti vincoli, ritenendoli connessi quanto agli interessi pubblici coinvolti e inestricabilmente compromessi dalla concreta realizzazione illecita del manufatto.
L’Adunanza plenaria ha ritenuto che detta disposizione non rechi alcuna deroga al principio di legalità in quanto “è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l’esercizio della funzione interferisce” e che “la pubblica Amministrazione, sulla quale a norma dell’art. 97 Cost. incombe più pressante l’obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone” (n. 20 del 1999).  
Sicché, una volta che la cura dell’interesse paesaggistico, in uno con la cura degli altri interessi coinvolti nell’operazione, sia così realizzata dall’Amministrazione preposta, questa è tenuta a valutare anche i vincoli sopravvenuti rispetto alla costruzione, fino al momento della propria decisione. Senonché tale incombenza (di considerare anche i vincoli sopravvenuti) non trova ragion d’essere in un comportamento della parte pubblica, essendo piuttosto ascrivibile al fatto che in precedenza il privato abbia agito in assenza di titolo, non consentendo così la verifica di quanto edificato.
Pertanto, se sanzione vi è, essa svolge la funzione di punire il trasgressore non, in via diretta, per avere violato il vincolo paesaggistico, ma per non essersi premunito del titolo edificatorio, esponendolo alle conseguenze negative che nel corso del tempo quella condotta produce, fino al momento in cui il privato non ritiene di porre fine alle conseguenze antigiuridiche della stessa, presentando la domanda di cui all’art. 167, d.lgs. n. 42 del 2004 e l’Amministrazione si pronunci sulla stessa.
Non si pone quindi un tema di conoscibilità del precetto, potendosi al più porre una questione di prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie, che il C.g.a. ritiene superabile in ragione del fatto che gli interessi coinvolti, oltre a quello strettamente edificatorio, sono indicati nell’art. 32 e così sono prevedibili le conseguenze che derivano dalla violazione di detti interessi: l’unico elemento di aleatorietà attiene alla mancanza di sicurezza in ordine al fatto che l’area interessata dall’illecito sia nel corso del tempo sottoposta (o meno) a vincolo.
Detta aleatorietà, peraltro, è contenuta dalla predeterminazione della tipologia di vincoli e di conseguenze che ne derivano, da un lato, e, dall’altro lato, dal fatto che dipende proprio dal soggetto “punito” la possibilità di ridurre, se non azzerare, detta aleatorietà presentando l’istanza di compatibilità (paesaggistica, per quanto interessa nella presente controversia).  

  


Anno di pubblicazione:

2021

Materia:

BENI culturali, paesaggistici e ambientali

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri