All’Adunanza plenaria nuovamente la questione se l’erronea declaratoria di improcedibilità o inammissibilità del ricorso comporta l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado

All’Adunanza plenaria nuovamente la questione se l’erronea declaratoria di improcedibilità o inammissibilità del ricorso comporta l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado


Processo amministrativo – Appello – Annullamento con rinvio – Art. 105 c.p.a. – Erronea declaratoria di improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso – Contrasto giurisprudenziale – Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. 

 

        Stante il contrasto giurisprudenziale, vanno rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione se la sentenza d’appello che accerti l’erroneità della declaratoria di inammissibilità e/o di irricevibilità del ricorso, comporti l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado, ex art. 105 c.p.a.; in particolate se: a) l’annullamento della sentenza di inammissibilità e/o di improcedibilità, disvelando che l’omessa trattazione del merito della causa in primo grado ha determinato una ingiusta compressione e dunque lesione del ‘diritto di difesa’ del ricorrente - lesione che verrebbe ulteriormente perpetrata, per la sottrazione alla sua disponibilità di un grado di giudizio, ove la causa fosse trattata (nel merito) direttamente dal Giudice d’appello - non determini la necessità di rinviare la causa, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., al Giudice di primo grado; b) se la pronunzia con cui il Giudice di primo grado abbia dichiarato l’inammissibilità o l’improcedibilità di una domanda giudiziale (rinunciando, dunque, all’esercizio ulteriore del potere giurisdizionale per stabilirne la fondatezza nel merito), possa essere assimilata - ai fini dell’applicazione dell’art. 105, comma 1, c.p.a. e per gli effetti devolutivi ivi previsti - ad una ipotesi di “declinazione” (pur se latu sensu intesa) della giurisdizione; c) se la statuizione con cui il Giudice d’appello “riformi” la sentenza di inammissibilità o di improcedibilità emessa dal Giudice di primo grado debba essere ritenuta - al di là del nomen juris utilizzato nel dispositivo - una vera e propria “sentenza di annullamento”; e se una “sentenza di annullamento” (di una pronuncia di inammissibilità o di improcedibilità) possa essere assimilata ad una sentenza “dichiarativa di nullità” in esito alla quale occorre rinviare la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., perché decida nel merito le questioni precedentemente non trattate (1).

 

(1) Il C.g.a. ha preliminarmente affermato che per stabilire se nella fattispecie per cui è causa ricorra una delle ipotesi di doverosa rimessione ai sensi dell’art. 105 c.p.a., occorre che venga chiarito: a) se la diretta ed immediata trattazione da parte del Giudice di appello di questioni di merito non affrontate dal Giudice di primo grado, perché veicolate da un ricorso da questi dichiarato inammissibile o improcedibile, possa essere ritenuta - o meno - un caso di “lesione del diritto di difesa” indotta dalla privazione di un grado di giudizio; b) se la pronunzia con cui il Giudice di primo grado abbia dichiarato l’inammissibilità o l’improcedibilità di una domanda giudiziale (rinunciando, dunque, all’esercizio ulteriore del potere giurisdizionale per stabilirne la fondatezza nel merito), possa essere assimilata ad una ipotesi di “declinazione” - latu sensu intesa - della giurisdizione; c) se la statuizione con cui il Giudice d’appello “riformi” la sentenza di inammissibilità o di improcedibilità emessa dal Giudice di primo grado debba essere ritenuta - al di là del nomen juris utilizzato nel dispositivo - una vera e propria “sentenza di annullamento”; e, in caso affermativo, se possa essere assimilata ad una sentenza “dichiarativa di nullità”.

Con riferimento alla prima questione sub a) il C.g.a. ha ricordato che dalle sentenze della Corte costituzionale emerge chiaramente: che salve le ipotesi in cui il Legislatore introduca espressamente (s’intende: con legge) casi particolari di giurisdizione in unico grado del Consiglio di Stato (ciò che ben può fare), i gradi ordinariamente previsti nel giudizio amministrativo sono, e devono restare, due;  e che pertanto le questioni per le quali i Tribunali amministrativi regionali sono “funzionalmente” competenti, non possono essere loro sottratte; devono essere inderogabilmente trattate in primo luogo dai predetti Tribunali in quanto giudici naturali precostituiti per legge, e non possono finire con l’essere decise in unico grado - quasi per saltum - direttamente dal giudice d’appello. E’ infatti evidente che se ciò accadesse resterebbe vulnerato proprio il principio posto e salvaguardato dalla Corte costituzionale (con la sentenza in ultimo esaminata).

Ha aggiunto il C.g.a. che nella fattispecie dedotta in giudizio si verte in tema di appalti pubblici e nessuna norma di legge devolve al Consiglio di Stato giurisdizione in unico grado in tale materia, sicchè non appare revocabile in dubbio che - per tutto quanto fin qui osservato - il principio del doppio grado di giudizio affermato dalla Corte Costituzionale debba trovare, proprio nei termini in cui detta Corte lo ha tratteggiato, piena e completa applicazione.

Ad avviso del C.g.a., dunque, nel caso dedotto in giudizio l’annullamento delle statuizioni con cui il Giudice di primo grado aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti (avverso il provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione e dell’intera gara) e l’improcedibilità sia del ricorso principale che di quello incidentale (avverso gli atti di gara presupposti) fa emergere: che la mancata trattazione del merito della causa in primo grado si è risolta in un ingiusto pregiudizio per la società ricorrente, la quale ha visto compresso il suo diritto di difesa (sub specie della violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato); e che la trattazione del merito della causa direttamente in appello si tramuterebbe in una seconda e non meno grave ingiustizia, in quanto la priverebbe di un grado di giudizio, in violazione del principio affermato dalla Corte costituzionale, comprimendo ancora una volta - e inesorabilmente - il suo “diritto di difesa”.

Con riferimento alla questione sub b), consistente - come si è detto - nel verificare se la pronunzia con cui il Giudice di primo grado abbia dichiarato l’inammissibilità o l’improcedibilità di una domanda giudiziale (rinunciando, dunque, all’esercizio ulteriore del potere giurisdizionale per stabilirne la fondatezza nel merito), possa essere assimilata ad una ipotesi di “declinazione” - latu sensu intesa - della giurisdizione. Ad avviso del C.g.a. non sembra che si incorra in un errore logico-giuridico ove si affermi che nell’ambito della generale categoria delle sentenze declinatorie della giurisdizione rientrano: sia quelle nelle quali il Giudice rifiuta di decidere in quanto ritiene che il potere giurisdizionale spetti ad altra Autorità giudiziaria; sia quelle nelle quali il Giudice rifiuta di decidere la causa, in quanto ritiene che non sussistono i presupposti o le condizioni, o esiste qualche impedimento, per l’esercizio del potere giurisdizionale.

Infine, il C.g.a. passa ad esaminare la questione sub c), consistente nel verificare se la statuizione con cui il Giudice d’appello “riformi” la sentenza di inammissibilità o di improcedibilità emessa dal Giudice di primo grado, debba essere ritenuta - al di là del nomen juris utilizzato nel dispositivo - una vera e propria “sentenza di annullamento”; e, in caso affermativo, se possa essere assimilata ad una sentenza “dichiarativa di nullità”, ad una statuizione, cioè, a fronte della quale il Giudice d’appello deve rinviare, per il prosieguo del giudizio, gli atti al Giudice di primo grado ai sensi dell’art. 105 del codice del processo amministrativo. Tale norma prescrive testualmente, infatti, che nel caso in cui il Giudice d’appello dichiara la nullità della sentenza appellata, deve rimettere la questione al giudice di prima istanza.

Ad avviso del C.g.a. nulla impedisce di ritenere che nel prescrivere che il Giudice di appello deve rinviare la causa (per la decisione) a quello di primo grado ogniqualvolta “dichiara la nullità della sentenza”, il Legislatore si sia riferito anche ai casi di “cassazione” - questo sarebbe il giusto termine tecnico da utilizzare - delle sentenze di improcedibilità e di inammissibilità.


Anno di pubblicazione:

2018

Materia:

GIUSTIZIA amministrativa, APPELLO

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri