Cura della forma “umida” della maculopatia correlata all’età

Cura della forma “umida” della maculopatia correlata all’età


L’introduzione del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, conv. in legge 16 maggio 2014, n. 79 (cd. “decreto Lorenzin”)  ha consentito, nel pieno rispetto della normativa europea (come accertato dalla Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018) di consentire ai medici di disporre di una maggiore scelta tra i farmaci da somministrare per la cura della forma “umida” della maculopatia correlata all’età, in modo da poter selezionare il prodotto più indicato per ciascun paziente soddisfacendo, nel contempo, l’interesse pubblico al risparmio di spesa che garantisce, a sua volta, la possibilità di utilizzazione delle economie per garantire ulteriori prestazioni sanitarie a favore della collettività (1).

(1) Ha chiarito la Corte di Giustizia UE 21 novembre 2018 che:  conformemente all’art. 168, par. 7, TFUE, il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme miranti a disciplinare il consumo dei prodotti farmaceutici salvaguardando l’equilibrio finanziario dei loro sistemi sanitari (sentenza del 22 aprile 2010, Association of the British Pharmaceutical Industry, C‑62/09, EU:C:2010:219, punto 36); l’art.  4, par. 3, della direttiva 2001/83 e l’articolo 1, secondo comma, del regolamento n. 726/2004 sottolineano che le disposizioni di tali strumenti non pregiudicano le competenze delle autorità degli Stati membri in materia di fissazione dei prezzi dei medicinali né quelle relative all’inclusione dei medesimi nell'ambito d'applicazione dei regimi nazionali d'assicurazione contro le malattie, in base a determinate condizioni sanitarie, economiche e sociali (punto 49).le operazioni di sconfezionamento e riconfezionamento eseguite sull’Avastin in una farmacia autorizzata, a valle della produzione del farmaco, per l’uso individuale su prescrizione medica con somministrazione in ambito ospedaliero non incidono sull’AIC e non necessitano neppure dell’autorizzazione alla fabbricazione prevista dall’art. 40 della direttiva.

Ha ancora chiarito la Sezione che la Corte di Giustizia UE ha chiaramente affermato che nel caso dell’uso off-label dell’Avastin non opera alcuna deroga alla direttiva europea, che è pienamente rispettata, in quanto l’attività di frazionamento e riconfezionamento del prodotto farmaceutico non modificano in modo sostanziale la composizione, la forma o altri elementi essenziali di tale medicinale: tali operazioni di riconfezionamento non sono equiparabili alla «preparazione» di un nuovo medicinale derivato dall’Avastin.

Ciò comporta, ad avviso della Sezione, l’impossibilità di condividere l’impostazione dell’AIFA relativa all’applicazione dell’esenzione galenica magistrale, senza che ne derivino effetti ai fini dell’impugnativa, in quanto pur non potendo sostenersi l’applicazione della c.d. esenzione per formula magistrale, nondimeno le attività di riconfezionamento svolte sul prodotto farmaceutico non implicano comunque la violazione della disciplina recata dall’art. 6, par. 1, della direttiva 2001/83.

Per questa ragione la Corte di Giustizia ha omesso di pronunciarsi espressamente in ordine alla inapplicabilità della deroga recata dall’art. 5 della medesima direttiva, in quanto del tutto superflua: una volta acclarato che l’attività di sconfezionamento e riconfezionamento non incide sull’AIC del prodotto, né richiede il rilascio di una nuova AIC, trattandosi di una mera attività che si pone a valle del processo produttivo, che non incide sulla composizione del prodotto (che, infatti, viene soltanto frazionato), né sulla forma, né su altri elementi essenziali, ma si limita a svolgere sul medicinale mere operazioni di sconfezionamento – frazionamento – riconfezionamento in siringhe monouso per essere utilizzate secondo una modalità differente (iniezioni intravitreali, anziché infusione endovenosa) che non incidono sul prodotto farmaceutico, non era più necessario valutare l’applicabilità del regime derogatorio recato dall’art. 5 della direttiva 2001/83 recepito nell’art. 5, d.lgs. 219 del 2006.

La Sezione ha infine concluso ricordando che una alternativa terapeutica, per poter essere considerata “valida”, deve esserlo “sotto il profilo sia medico-scientifico, sia economico”: se il farmaco autorizzato per una determinata indicazione terapeutica costa talmente tanto da non poter essere dispensato a tutti i pazienti che ne hanno necessità per curarsi, non può ritenersi un’alternativa “valida” perché finisce per “ledere la tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito”.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

SANITÀ pubblica e sanitari

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri