Alla Corte di Giustizia Ue gli oneri a carico degli importatori di energia verde

Alla Corte di Giustizia Ue gli oneri a carico degli importatori di energia verde


Energia elettrica – Fonti rinnovabili - Importatori - Onere pecuniario non applicabile ai produttori nazionali – Compatibilità con disciplina comunitaria – Rimessione alla Corte di Giustizia Ue

        Deve essere rimessa alla Corte di giustizia UE la questione se l’art.18 TFUE, nella parte in cui vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nel campo di applicazione dei Trattati;  gli artt. 28 e 30 TFUE, nonché l’art. 6 dell’accordo di libero scambio CEE – Svizzera, nella parte in cui dispongono l’abolizione dei dazi doganali sulle importazioni e misure aventi effetto equivalente; l’art. 110 TFUE, nella parte in cui vieta imposizioni fiscali sulle importazioni superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari; l’art. 34 TFUE, nonché l’art. 13 dell’accordo di libero scambio CEE – Svizzera, nella parte in cui vietano l’adozione di misure aventi effetto equivalente a restrizioni quantitative sulle importazioni; gli artt. 107 e 108 TFUE, nella parte in cui vietano di dare esecuzione ad una misura di aiuto di Stato non notificata alla Commissione ed incompatibile con il mercato interno; la direttiva 2009/28/CE, nella parte in cui si prefigge di favorire il commercio intra-comunitario di elettricità verde favorendo, altresì, la promozione delle capacità produttive dei singoli Stati membri, ostino ad una legge nazionale che imponga agli importatori di elettricità verde un onere pecuniario non applicabile ai produttori nazionali del medesimo prodotto (1).

 

(1) Ha chiarito la Sezione di ritenere necessario acquisire dalla Corte di Giustizia l’esatta interpretazione da attribuire alle menzionate disposizioni del TFUE e dell’accordo di libero scambio CEE – Svizzera, nonché alla direttiva 2009/28/CE: a fronte delle argomentazioni svolte e delle conclusioni raggiunte in proposito dalla società ricorrente, infatti, potrebbe altresì essere sostenuta una diversa esegesi di tali disposizioni, a cui conseguirebbe la compatibilità della normativa italiana con il quadro europeo.

Quanto, anzitutto, all’assunta natura di aiuto di Stato, la Sezione rileva che nella specie non risulterebbero coinvolte risorse statali, giacché non appare verificarsi alcun diretto od indiretto trasferimento di risorse erariali a favore dei produttori di energia verde operanti in Italia (cfr. Corte di Giustizia, sentenze C‑379/98,PreussenElektra, del 13 marzo 2001, §§ 58 – 59; sentenza C‑262/12, Association Vent De Colère!, del 19 dicembre 2013, §§ 34 – 35; sentenza C-329/15, Enea s.a., del 13 settembre 2017, §§ 25 – 26 e 30; v. anche sentenza C-206/06, Essent Netwerk Noord BV, del 17 luglio 2008, § 74; contra, sia pure in una vicenda diversa da quella di cui alla presente causa, sentenza C-173-73, Italia c. Commissione, del 2 luglio 1974, § 35).

8.1. L’art. 1 l. n. 79 del 1999, vigente sino al 1 gennaio 2016 (ossia sino al momento della definitiva eliminazione dall’ordinamento nazionale del sistema dei certificati verdi), disponeva infatti come segue: ai commi 1 e 2 poneva a carico dei soggetti che immettono in rete energia prodotta da fonti non rinnovabili l’obbligazione di immettere in rete, nell’anno successivo, anche una predeterminata quota di energia verde (da essi stessi prodotta ovvero acquistata presso altri operatori); tale obbligazione poteva, altresì, essere adempiuta, a scelta del debitore (appare ricorrere, nella specie, l’istituto dell’obbligazione facoltativa), mediante l’acquisto di certificati verdi, il cui onere economico, dunque, gravava interamente sul patrimonio degli operatori privati che optavano per tale modalità solutoria; al comma 3 stabiliva che il Gestore dei Servizi Energetici, “al fine di compensare le fluttuazioni produttive annuali o l'offerta insufficiente, può acquistare e vendere diritti di produzione da fonti rinnovabili, prescindendo dalla effettiva disponibilità, con l'obbligo di compensare su base triennale le eventuali emissioni di diritti in assenza di disponibilità”: tale acquisto era effettuato utilizzando il gettito della componente A3 corrisposta in bolletta dai consumatori di energia, cui, dunque, faceva integralmente carico l’onere economico delle eventuali operazioni di acquisto curate dal Gestore.

Ove, viceversa, si intenda in senso ampio il concetto di aiuto di Stato, riconoscendone la ricorrenza anche in ipotesi di imposizione legislativa di obblighi di acquisto a carico degli operatori del settore ovvero di oneri economici a carico dei consumatori, purtuttavia la declinazione nazionale degli obiettivi di consumo di energia pulita chiaramente formulata nella direttiva e, specularmente, la natura meramente facoltativa delle “misure di cooperazione tra Stati” potrebbero, unitariamente considerati, condurre a ritenere che, in subiecta materia, si debba fare riferimento, al fine di valutare la compatibilità europea della normativa interna dei singoli Stati membri, al solo spazio nazionale, recte al solo obiettivo nazionale del singolo Stato membro.

In altre parole, proprio perché la direttiva impone a ciascuno degli Stati membri il conseguimento di sempre maggiori quote di energia verde sul totale consumato, potrebbe apparire conforme a tale direttiva l’adozione, da parte degli Stati, di misure finalizzate ad agevolare esclusivamente i produttori di energia pulita stanziati sul proprio territorio: è evidente, invero, che l’aumento del consumo nazionale di energia verde viene certo facilitato dall’incremento della produzione nazionale di detta energia (cfr. sentenza C-492-14, Essent Belgium NV, del 29 settembre 2016, §§ 105 - 110).

Specularmente, posto che l’energia verde è strumento immediato per il conseguimento della finalità mediata di tutela dell’ambiente, può apparire conforme alla ratio della normativa europea il fatto che ciascuno Stato membro favorisca, appunto tramite l’agevolazione della produzione nazionale di energia pulita, la salubrità ambientale del proprio territorio (cfr. sentenza C-573-12, Ålands Vindkraft AB, del 1 luglio 2014, §§ 53 – 54, 94 – 95 e 130).

Una diversa conclusione, invero, sarebbe coerente con un’impostazione europea tesa alla fissazione di obiettivi continentali di produzione e consumo di energia pulita a prescindere dalla puntuale diffusione su tutto lo spazio europeo: di contro, come visto, la direttiva in commento presceglie un approccio nazionale, prescrivendo obiettivi individuali per ogni Stato parametrati in base alle “situazioni di partenza, alle possibilità di sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili ed al mix energetico”.

Altrimenti detto, poiché la direttiva stabilisce obiettivi prospettici in punto di energia verde per ciascuno Stato membro e contempla espressamente i regimi di sostegno nazionali alla produzione di energia verde, che anzi dichiara di voler “garantire” (cfr. considerando 25), e poiché i regimi di sostegno nazionali prevedono per definizione un trattamento speciale, in senso tecnico-giuridico, a favore dei produttori di energia verde stanziati nel territorio dello Stato membro, potrebbe allora concludersi che tali regimi, lungi dall’introdurre una deroga al “sistema di riferimento” stabilito in sede europea e, come tali, integrare potenzialmente aiuti di Stato (cfr. osservazioni scritte della Commissione, §§ 20 – 24), di contro ne supportino, favoriscano e consentano l’implementazione concreta.

Ha evidenziato la Sezione che la stessa Commissione, nelle proprie osservazioni scritte, sostiene che l’ascrizione ad una misura nazionale della natura di aiuto di Stato presuppone, tra l’altro, la verifica circa il carattere selettivo della misura; pregiudiziale a tale verifica è l’individuazione del “sistema di riferimento”: solo ove deroghi alle regole di tale “sistema”, infatti, una misura presenta un carattere selettivo.

Orbene, il “sistema di riferimento” dettato in subiecta materia dalla direttiva in commento è ex sedichiaratamente e volutamente selettivo, in quanto volto a privilegiare, in ciascuno dei Paesi membri, la produzione di energia verde rispetto al ricorso a fonti non rinnovabili (cfr., del resto, art. 194, comma 1, lett. c, TFUE).

Da tale prospettiva concettuale deriverebbero i seguenti corollari: sulla Repubblica Italiana non gravava alcun dovere di previa notifica alla Commissione a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 28 del 2011; la disciplina italiana non configurerebbe né una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale a danno degli importatori in Italia di energia verde prodotta in altri Stati dell’UE, né una misura equivalente alla restrizione quantitativa all’importazione ed alla libera circolazione dell’energia “verde”.

L’enucleazione di un regime di sostegno a favore dei soli produttori nazionali ed a carico di quanti immettano in rete energia non prodotta in Italia da fonti rinnovabili, infatti, sarebbe la mera declinazione pratica delle finalità generali, stabilite dalla direttiva, di incentivazione della produzione di energia pulita in forma per così dire “diffusa” e capillare nel territorio dell’Unione.

Tale regime, dunque, - oltre a non integrare un aiuto di Stato - non avrebbe né lo scopo di introdurre una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale ai danni dell’importatore di energia verde da altro Stato membro (che, peraltro, ben potrebbe aver beneficiato dei regimi di sostegno eventualmente previsti in tale Paese - cfr., sul punto, l’art. 15, paragrafo 2, direttiva 2009/28/CE), né la finalità di introdurre una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione da altro Stato membro di tale tipo di energia: semplicemente, indirizzerebbe ai soli soggetti nazionali (recte, operativi in Italia) le provvidenze di un regime di sostegno nazionale istituito al fine di conseguire un obiettivo nazionale imposto dal diritto europeo, senza introdurre alcun vincolo od ostacolo (sia esso normativo, tributario, amministrativo o materiale) all’importazione di energia pulita prodotta in altro Stato membro.

In tale ottica, invero, l’obbligo di acquisto di certificati verdi a carico dell’importatore di energia prodotta all’estero sarebbe funzionale al disegno complessivo del regime di sostegno divisato dalla legge italiana, teso ad incentivare la produzione nel territorio nazionale di energia verde con oneri a carico sia dei consumatori (sui quali grava l’onere economico della facoltà di acquisto, in capo al GSE, dei certificati eventualmente invenduti), sia degli operatori che, in qualunque forma, immettano nella rete nazionale energia non prodotta in Italia da fonti rinnovabili.

Tale regime, nell’ottica in commento, sarebbe altresì in linea con gli artt. 18 e 110, comma 1, TFUE, poiché riserverebbe lo stesso trattamento a tutti gli operatori del settore elettrico, siano essi italiani o stranieri, che comunque immettano in rete energia non derivante da fonte rinnovabile italiana.

Di converso, la sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-213/96, Outokumpu Oy del 2 aprile 1998 citata dalla ricorrente a sostegno delle proprie argomentazioni attiene a fattispecie di imposizione tributaria (mentre qui si verte in tema di misure agevolative, ossia di istituti che si collocano in posizione esattamente opposta nell’ampio spettro delle possibili relazioni economiche Stato - privato) e, comunque, è stata emanata prima dell’entrata in vigore della direttiva 2009/28/CE.

Parimenti, la già richiamata sentenza C-492-14,Essent Belgium NV, del 29 settembre 2016 si riferisce alla diversa problematica dell’ammissibilità di una normativa nazionale recante una gratuità selettiva quanto alla distribuzione dell’energia e, comunque, applica la previgente normativa europea (ossia la direttiva 2001/77/CE).

In relazione a tali premesse la Sezione ritiene che sussistano i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE, per plurime considerazioni: a) la società appellante ha invocato la protezione di situazioni soggettive riconosciute dal diritto dell’Unione ed ha dedotto la violazione di principi e diritti dell’Unione; b) la Corte di Giustizia detiene il monopolio interpretativo in ordine al diritto dell’Unione e, conseguentemente, alla compatibilità delle norme interne dei singoli Stati membri con il diritto dell’Unione; c) la Sezione, nel mentre esclude la ricorrenza dei presupposti per procedere alla diretta disapplicazione della normativa nazionale contestata, in quanto le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono né immediate né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate, ravvisa la sussistenza di una questione interpretativa relativa all’esatto ambito interpretativo da riconoscere ad un atto normativo dell’Unione e, conseguentemente, alla compatibilità con esso di un provvedimento legislativo nazionale.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

ENERGIA elettrica ed energia in genere, ENERGIA rinnovabile

ENERGIA elettrica ed energia in genere

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri