Alla Corte costituzionale il requisito di partecipazione per la selezione per l’insegnamento nelle scuole statali all’estero

Alla Corte costituzionale il requisito di partecipazione per la selezione per l’insegnamento nelle scuole statali all’estero


Pubblica istruzione - Scuole statali all’estero – Selezione – Requisito di partecipazione - Art. 31, comma 2, d.lgs. n. 64 del 2017 – Un anno di residenza nel Paese dove si deve svolgere il rapporto – Violazione artt. 3, 51 e 97 Cost. – Rilevanza e non manifesta infondatezza.

 

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 64 del 2017, nella parte in cui prevede, quale requisito di partecipazione per la selezione per l’insegnamento nelle scuole statali all’estero, il possesso di un titolo di residenza pari ad almeno 1 anno nel Paese estero ove dovrebbe svolgersi il rapporto di lavoro, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché per disparità di trattamento tra candidati apprezzabile ai sensi dell’art. 3 Cost. (1).

 

(1) La Sezione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 64 del 2017, laddove si prevede che “Nelle scuole statali all'estero un numero limitato di insegnamenti obbligatori nell'ordinamento italiano può essere affidato a personale italiano o straniero, residente nel paese ospitante da almeno un anno...”.  

Giova al riguardo premettere che la fattispecie dedotta con l’odierno giudizio riguarda il reclutamento dei docenti “locali” delle scuole italiane all’estero cui affidare taluni insegnamenti obbligatori previsti nell’ordinamento italiano (secondo quanto previsto dal menzionato art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del 2017). Secondo la legge alcuni insegnamenti “obbligatori” per l’ordinamento italiano possono essere affidati, nelle scuole italiane (statali) all’estero, “a personale italiano o straniero, residente nel paese ospitante da almeno un anno”.

Ad avviso della Sezione non appare possibile alcuna interpretazione adeguatrice di tale disposizione: essa, secondo la sua chiara lettera, per il fatto stesso di prevedere il criterio restrittivo della residenza almeno annuale, finisce con l’imporlo (a valle) a quelle istituzioni scolastiche estere che vogliano bandire una selezione per il proprio personale c.d. locale, nonché (a monte) alla stessa amministrazione ministeriale chiamata ad adottare l’atto normativo generale previsto dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 31 cit. (secondo cui “Con decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, sono stabiliti, avendo riguardo alle specificità dei contesti locali e delle discipline caratterizzanti i diversi indirizzi di studio, gli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola si applicano le disposizioni del presente comma, nonché i criteri e le procedure di selezione e di assunzione del personale interessato”: si tratta, per l’appunto, del decreto poi varato dal Ministero in data 8 gennaio 2018, n. 3615/2501).

In punto di non manifesta infondatezza, la Sezione ha ritenuto che la menzionata disposizione si ponga anzitutto in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., per le ragioni che si passano a riferire.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, il concorso pubblico – che consente di attuare il principio di uguaglianza nell’accesso ai pubblici uffici di cui all’art. 51 Cost. – costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione di cui all’art. 97 Cost., potendo a tale regola derogarsi solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici e purché le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi (cfr., tra le tante, Corte cost., sent. n. 159 del 2005). In particolare, le deroghe possono essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr., in tal senso, Corte cost., sentt. n. 52 del 2011 e nn. 90 e 177 del 2012).

Con particolare riguardo alle selezioni del personale docente delle scuole, peraltro, la Corte costituzionale ha sempre predicato la preminenza del criterio del merito il quale “costituisce, invero, il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente” (cfr. la sent. n. 41 del 2011 e, più di recente, la sent. n. 251 del 2017). Anche laddove, in alcune più risalenti decisioni, la Corte ha riconosciuto, eccezionalmente, la legittimità costituzionale di disposizioni di legge che restringevano la platea dei candidati in ragione della loro residenza, ciò ha fatto precisando che tale requisito deve risultare “ricollegabile, come mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato” (cfr., in tal senso, le sentt. n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961 e n. 15 del 1960, oltre all’ord. n. 33 del 1988), in tal modo significativamente declinando il presupposto del collegamento funzionale tra il requisito della residenza e le esigenze di buon andamento dell’amministrazione.

Nel caso di specie appare pacifico che la legge sospettata di incostituzionalità ha introdotto un criterio restrittivo per l’accesso all’impiego pubblico (costituito dal posto di docente delle scuole statali all’estero), avendo previsto che alle relative selezioni possano partecipare solo coloro che risultino residenti da almeno un anno nel Paese estero ospitante. Tale restrizione, a giudizio del Collegio, non appare assistita da adeguate ragioni giustificatrici e finisce con il ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea dei possibili candidati: non si rinvengono, invero, quelle “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico” (cfr. sentt. n. 52 del 2011 e n. 137 del 2013) che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, possono consentire legittime deroghe al principio del concorso pubblico; né la restrizione in parola appare propriamente “funzionale” al buon andamento dell’amministrazione scolastica statale all’estero (e, più in generale, al corretto e proficuo raggiungimento degli obiettivi del “sistema della formazione italiana nel mondo”, quali declinati dall’art. 2, d.lgs. n. 64 del 2017, sistema che vede proprio nelle scuole statali all’estero una delle proprie principali articolazioni) in quanto, per un verso, il requisito di residenza è qui imposto per l’insegnamento non delle materie obbligatorie secondo la normativa locale (come è, invece, per la diversa ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 31, d.lgs. n. 64 del 2017) ma per l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo l’ordinamento italiano – con venir meno, pertanto, di ogni possibile collegamento tra tale insegnamento e l’esperienza “di vita” all’estero che tale requisito sembra voler perseguire – mentre, per altro verso, la stessa conoscenza (da parte del docente che abbia vissuto per almeno un anno nel Paese estero) dell’ambiente locale e di eventuali connesse esigenze ambientali non pare ergersi, nel caso di specie, quale adeguato e ragionevole criterio di preselezione, non apparendo esso in alcun modo ricollegabile, come mezzo al fine, all’assolvimento di un servizio (l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo il nostro ordinamento) altrimenti non attuabile o almeno non attuabile con identico risultato, secondo quanto precisato dalla riportata giurisprudenza costituzionale.

Sotto altro profilo, poi, la previsione del requisito della residenza determina una disparità di trattamento tra i candidati, apprezzabile sulla scorta dell’art. 3 Cost.: pur se, secondo la legge (cfr. l’incipit del comma 2 dell’art 31 cit.), gli insegnamenti de quibus possono essere affidati sia a personale italiano sia a personale straniero, il requisito in questione finisce con il far prevalere quest’ultima categoria. E’ evidente, infatti, che i docenti stranieri, ed in particolare quelli che abbiano la cittadinanza del Paese ospitante, hanno maggiori possibilità di soddisfare il requisito della residenza almeno annuale, rispetto ai docenti italiani che generalmente non vivono all’estero. Di conseguenza, quel requisito finisce per indirizzare le selezioni a vantaggio di coloro che, per ragioni legate alla propria nascita e/o alle proprie origini nel territorio straniero, possano vantare un legame di fatto più forte con quel territorio, e ciò a discapito dei candidati, come gli odierni ricorrenti, che hanno cittadinanza italiana (o di qualsiasi altro Paese): ma senza che la preferenza così accordata a quel legame – come già visto – possa dirsi funzionalmente collegata alle esigenze dell’amministrazione.


Anno di pubblicazione:

2019

Materia:

ISTRUZIONE pubblica, SCUOLE italiane all’estero

Tipologia:

Focus di giurisprudenza e pareri