I
RITI CAMERALI NEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
Sommario: 1. La legge delega. 2. L'adeguamento alla
giurisprudenza delle Corti. 2.1.1. In materia di ricorso
contro il silenzio. 2.1.2. In materia di ricorso contro il diniego di
accesso agli atti. 2.1.3. In materia di ricorso per ottemperanza. 2.2.
Questioni problematiche in materia di adeguamento alla giurisprudenza delle
Corti. 3. Il principio di concentrazione. 4. I riti trattati in Camera di
Consiglio. 5. Le differenze nel rito camerale rispetto al regime previgente. 6.
Le novità in materia di ricorso contro il silenzio. 6.1. Alcune questioni
problematiche. 6.2. La possibile dissociazione tra ricorrente e soggetto
che ha chiesto l'avvio del procedimento. 6.3. I motivi aggiunti. 6.4.
La natura degli atti di elusione o violazione della sentenza. 7. Le
novità in materia di ricorso contro il diniego di accesso agli atti. 8. Le
novità in materia di ricorso per ottemperanza. 9. Il controinteressato. 9.1. L'identificazione
del controinteressato nel ricorso contro il silenzio. 9.1.1. L'ipotesi
in cui il ricorrente sia diverso dal soggetto che ha chiesto l'avvio del
procedimento. 9.2. L'identificazione del controinteressato nel ricorso
per accesso agli atti. 9.3. L'identificazione del controinteressato nel
ricorso per ottemperanza. 10. Il ricorso incidentale. 10.1. L'utilizzo
del ricorso incidentale da parte della P.A. resistente. 10.2. L'utilizzo
del ricorso incidentale da parte del controinteressato. 10.2.1. Nell'ambito
del ricorso contro il silenzio. 10.2.2. Nell'ambito del ricorso contro
il diniego di accesso agli atti. 10.2.3. Nell'ambito del ricorso per
ottemperanza.
1. La legge delega
I riti camerali (diversi
da quello utilizzato nel procedimento cautelare) non trovano alcuna disciplina
espressa all'interno della legge delega, non sussistendo criteri direttivi
speciali ad essi rivolti. Assumono rilievo dunque unicamente i principi
generali, e in particolare tra questi:
-
l'adeguamento delle norme vigenti alla
giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori
-
il riordino dei casi di giurisdizione estesa al
merito, anche mediante soppressione delle fattispecie non più coerenti con
l’ordinamento vigente
-
la revisione e razionalizzazione dei riti
speciali, e delle materie cui essi si applicano
-
la razionalizzazione e, qualora sia opportuno,
la riduzione dei relativi termini
-
il principio di concentrazione della tutela
2. L'adeguamento alla
giurisprudenza delle Corti
L'art. 44 della L. 69/2009
ha fissato quale criterio direttivo al legislatore delegato l'adeguamento delle
norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle
giurisdizioni superiori. E ciò secondo tre recenti precedenti normativi
analoghi[1]:
a)
art. 2
L. 131/2003[2]
(Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)
b)
art. 6
comma 2 L. 15/2009 [3]
(Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché
disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale
dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.)
c) art 44 L. 88/2009 [4] (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008)
Il punto di partenza per
comprendere l'effettivo impatto della riforma é dunque quello di ricostruire
quale fosse lo stato degli orientamenti giurisprudenziali prima della
conclusione dei lavori della Commissione incaricata della redazione della
proposta di Codice.
2.1.
In tal senso, possiamo
così indicare le posizioni interpretative più rilevanti assunte dal Consiglio
di Stato e dalla Corte di Cassazione.
2.1.1. In materia di
ricorso contro il silenzio
- il giudizio disciplinato
dall’art. 21-bis, l. Tar postula l’esercizio di una potestà amministrativa,
rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesso
legittimo [5]
- la procedura per la
constatazione del silenzio rifiuto non può essere utilizzata per ottenere la
riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per
rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili
[6]
- nell’ambito del giudizio
sul silenzio, il giudice potrà conoscere della accoglibilità dell’istanza in
ordine alla fondatezza: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché
siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è
da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse
soluzioni, e che non postuli accertamenti valutativi complessi e fermo restando
il limite della impossibilità di sostituirsi all’amministrazione e con la
precisazione che si potrà solo condannare l’amministrazione ad adottare un
provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente l’an della pretesa e
nulla di più; b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata,
sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la p.a. a provvedere laddove
l’atto espresso non potrà che essere di rigetto [8]
- il giudice ha la facoltà
(e non il dovere) di conoscere la fondatezza della pretesa [9]
- i provvedimenti ulteriori, connessi
funzionalmente a quelli oggetto del ricorso iniziale non possono essere
impugnati con motivi aggiunti ove il ricorso originario sia stato introdotto
con il rito speciale ex art. 21-bis, essendo su un piano processuale
incompatibile il procedimento camerale con quello ordinario [11].
Nondimeno, ove all'originaria domanda diretta avverso il silenzio inadempimento
segua un'azione di tipo impugnatorio introdotta con motivi aggiunti,
dall'errore di procedura non consegue un'automatica dichiarazione
d'inammissibilità del sopraggiunto gravame, dovendo il giudice amministrativo
dare applicazione al principio di cui all'art. 156, co. 2, c.p.c. e verificare
se, nel caso concreto, siano stati rispettati i termini e le modalità dettati
per il rito ordinario, analogamente a quanto avveniva, ancor prima della l. n.
205 del 2000, nella similare ipotesi dell'erronea impugnazione di un
provvedimento con ricorso per esecuzione di giudicato [12].
- riguardo alla domanda di
risarcimento del danno, sul piano processuale e su quello sostanziale non
sussiste alcuno dei presupposti di applicazione dell'art. 21 bis della legge n.
1034 del 1971, poiché col rito in esso previsto può unicamente essere impugnato
il silenzio serbato dall'amministrazione su una istanza, ma non si può
formulare alcuna ulteriore domanda, né quella di impugnazione dell'atto che
abbia dato riscontro all'istanza [13] , né
quella volta al risarcimento di un danno, poiché - in ragione della natura del
rito - non possono essere esaminati gli indefettibili elementi costitutivi
dell'illecito (quello oggettivo, l'antigiuridicità e la colpevolezza) [14].
- se è vero che la regola
che impone la notifica del ricorso ai controinteressati, consacrata nell'art.
21, comma 1, legge n. 1034/71, risulta concepita e formulata con specifico
riferimento ai giudizi tipicamente impugnatori, è anche vero che essa esprime
il principio generale della necessaria instaurazione di un contraddittorio
processuale integro, che comprenda, cioè, tutti i soggetti direttamente
interessati dall'esito del ricorso, e che, quindi, l'onere con la stessa
imposto deve intendersi applicabile a tutti i ricorsi (anche non preordinati,
quindi, all'annullamento di un atto amministrativo) in cui risulti
configurabile l'esistenza di soggetti titolari di un interesse contrario a
quello di chi li propone e che potrebbero, pertanto, restare pregiudicati
dall'adozione del provvedimento giurisdizionale invocato dal ricorrente. Ne
consegue che va qualificato come controinteressato il soggetto che, nei giudizi
di impugnazione del silenzio rifiuto, resta direttamente pregiudicato dalla
dichiarazione dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere[15]
2.1.2. In materia di
ricorso contro il diniego di accesso agli atti
- é affermata la natura di
diritto soggettivo del diritto d’accesso[16] con
l'ulteriore precisazione che il giudizio ex art. 25, l. n. 241/1990 mira,
normalmente, a verificare, in concreto, la fondatezza della pretesa fatta
valere dagli interessati e non la legittimità degli atti negativi, espressi o
taciti, adottati dall’amministrazione [17].
- viene statuita
l’inammissibilità del ricorso che non sia stato notificato ad almeno uno dei
controinteressati [18].
- la normativa speciale
che disciplina il regime processuale delle controversie sull’accesso non è
modificata dalla normativa di cui all’art. 23 bis L. 1034/1971, sicché se la
domanda di accesso è rivolta ad un’autorità amministrativa indipendente resterà
applicabile solo l’ordinario rito – comunque per parte sua già accelerato –
dell’art. 25, l. n. 241/1990[19].
- l’art. 25 della legge n.
241 del 1990, nel fissare il termine di trenta giorni per la proposizione dei
ricorsi in materia di accesso agli atti della P.A. e nel qualificare in termini
di diniego il silenzio serbato sull’accesso, prevede un termine per l’esercizio
dell’azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza:
la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità
dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego, laddove a
questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo[20].
2.1.3. In materia di
ricorso per ottemperanza
- Il rimedio del giudizio
di ottemperanza, secondo consolidati principi può essere esperito, nei
confronti delle sentenze dell'autorità giudiziaria ordinaria passate in
giudicato, cui vanno equiparati i lodi arbitrali dichiarati esecutivi che
abbiano acquistato efficacia di giudicato[21]
- Nel giudizio di
ottemperanza il giudice amministrativo può adottare una statuizione analoga a
quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo
eventuali problemi interpretativi che comunque sarebbero devoluti alla sua
giurisdizione, atteso che il giudizio di ottemperanza ha natura mista, di
esecuzione e di cognizione, e la regola posta dal giudicato amministrativo
richiede il più delle volte da parte del giudice dell'ottemperanza una
esplicitazione o un completamento[22].
- in sede di ottemperanza
si è sempre ritenuto possibile formulare richiesta di risarcimento solo per i danni
verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa del
ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni che
si riferiscono al periodo precedente al giudicato deve essere richiesto con un
giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado [23]
- Deve escludersi che ogni
questione insorta dopo la formazione del giudicato e in esecuzione dello stesso
vada sottoposta al vaglio del giudice dell'ottemperanza[24]
- L'atto emanato
dall'Amministrazione dopo l'annullamento giurisdizionale può essere considerato
adottato in violazione o in elusione del giudicato solo quando da questo derivi
un obbligo talmente puntuale che l'ottemperanza ad esso si concreta
nell'adozione di un atto il cui contenuto, nei suoi tratti essenziali, è
integralmente desumibile dalla sentenza[25]
2.2. Questioni
problematiche in materia di adeguamento alla giurisprudenza delle Corti
Posta tale premessa, é
interessante valutare quale possa essere l'effettivo significato delle scelte
legislative contenute nel Codice laddove - per esempio - non sia stata presa
posizione in ordine ad orientamenti giurisprudenziali consolidati e pacifici[26]. La
domanda che ci si deve porre é: si tratta di una implicita sconfessione di tali
orientamenti (e ciò sul presupposto che se il legislatore non li ha recepiti é
perché si deve ritenere che non abbia voluto in effetti farlo) oppure di una
implicita conferma (e ciò sul presupposto che se il legislatore non li ha
recepiti espressamente é perché ha inteso non contrastarli)?
I casi che possiamo indicare (in materia di riti
camerali) sono per esempio i seguenti:
- impossibilità di
utilizzare il rito del silenzio per far valere posizioni di diritto soggettivo
e/o interessi giuridici non rientranti nella giurisdizione del giudice
amministrativo
- impossibilità di
utilizzare la procedura per la constatazione del silenzio rifiuto per ottenere
la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per
rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili
- insussistenza
dell'obbligo dell’amministrazione di provvedere
allorquando l’interessato, attraverso la procedura del silenzio rifiuto, abbia sollecitato l’esercizio del
potere di autotutela
- non reiterabilità
dell'istanza di accesso a seguito della mancata impugnazione del diniego nel
termine
Ancora é interessante
valutare se - alla luce dell'esposta direttiva dell'art. 44 citato - non siano
costituzionalmente illegittime le disposizioni del Codice introdotte in chiara
controtendenza rispetto alla giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato
e della Corte di Cassazione.
Possiamo fare alcuni
esempi di orientamenti sconfessati:
- impossibilità di
esplicare azione risarcitoria congiuntamente al ricorso contro il silenzio
- impossibilità di
esplicare l’impugnazione per motivi aggiunti avverso l’atto sopravvenuto in
sede di ricorso proposto contro il silenzio
In teoria, laddove si é
deciso di smentire la chiara posizione delle giurisdizioni superiori, si
dovrebbe ritenere violato il criterio
direttivo impartito dal legislatore delegante, e si potrebbe pertanto imputare
al legislatore un eccesso di delega. Al fine però di effettuare in tal senso la
valutazione sulla effettiva sussistenza o meno della legittimità costituzionale
della disposizione, si può verificare se la scelta operata dal legislatore
delegato sia frutto invece della avvenuta applicazione di altro criterio
direttivo (come per esempio, il principio di concentrazione delle tutele) che
giustificando l'opzione possa consentire di ritenere legittima la
corrispondente disposizione.
3. Il principio di
concentrazione
E in effetti, in tal senso, notevole applicazione ha
ricevuto il principio di concentrazione. Esso é ispiratore delle seguenti
novità:
- la possibilità di
proporre all'interno del giudizio di ottemperanza l'azione di condanna al
pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il
passaggio in giudicato della sentenza, nonché la possibilità di proporre ivi
anche l'azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione ,
violazione o elusione del giudicato (art. 112 c. 3 del Codice)
- la possibilità di
proporre nel processo di ottemperanza la domanda risarcitoria connessa alla
domanda annullatoria che era stata oggetto del ricorso iniziale (art. 112 c. 4
del Codice)
- la qualificazione del
commissario ad acta quale organo ausiliario del giudice; dal che deriva che
tutte le questioni sugli atti emessi dallo stesso rimarranno decise dal
medesimo giudice dell'ottemperanza (art. 113 c. 6 del Codice)
- la possibilità della
nomina del commissario ad acta già con la sentenza che definisce il giudizio in
materia di silenzio (art. 117 c. 3 del
Codice)
- la attribuzione al
Giudice del potere di conoscere tutte le questioni relative alla esatta adozione
del provvedimento richiesto, a seguito della sentenza in materia di silenzio
(art. 177 c. 4 del Codice)
- la possibilità di
impugnazione per motivi aggiunti del provvedimento espresso sopravvenuto o
connesso, in materia di silenzio (art. 117 c. 5 del Codice)
- la possibilità (prevista
implicitamente dall'art. 117 c. 6 del Codice[27]) di
definizione con lo stesso rito camerale sia della domanda avverso il silenzio
sia della connessa domanda risarcitoria.
4. I riti trattati in
Camera di Consiglio
Il Codice fissa un
rapporto tra udienza pubblica e camera di consiglio di regola/eccezione; lo si
desume chiaramente dalle disposizioni che comminano la nullità nel caso in cui
venga utilizzata la camera di consiglio invece dell'udienza pubblica (art. 87
c. 1 del Codice), e che viceversa rendono irrilevante l'errore contrario (art.
87 c. 4 del Codice). Dal che deriva che le fattispecie in cui utilizzare la
camera di consiglio sono un numerus clausus, senza possibilità di
estensione in via interpretativa o analogica. E dunque solo le seguenti:
a) ricorso contro il
silenzio inadempimento
b) ricorso in materia di
accesso agli atti
c) ricorso in sede di
ottemperanza
d) ricorso in opposizione
ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio.
Il Codice rinvia poi alle
altre fattispecie previste in norme speciali ed ulteriori. Tra queste possiamo
indicare:
-
decisione sul regolamento di competenza (art.
15 del Codice)
-
emissione di sentenza in forma semplificata
(art. 60 del Codice)
-
decisione dell'appello cautelare (art. 62 del
Codice)
-
decisione dell'appello alle ordinanze di
sospensione del giudizio (art. 79 del Codice)
-
procedimento di correzione di errore materiale
(art. 86 del Codice)
-
decisione dell'appello contro i provvedimenti
che hanno declinato la giurisdizione o la competenza (art. 105 del Codice)
-
procedimento di ricostruzione degli atti o del
fascicolo (art. 5 allegato 2 del Codice)
5. Le differenze nel rito
camerale rispetto al regime previgente
Volendo adesso provare ad
operare un raffronto con la disciplina dei riti in camera di consiglio rispetto
alla normativa previgente (nella quale
peraltro non esisteva una conformazione unitaria) risultano le seguenti
differenze:
a) il termine di deposito
del ricorso notificato viene ridotto a 15 giorni. Già in qualche caso, la
giurisprudenza aveva individuato tale dimezzamento in via interpretativa, per
esempio in riferimento al regolamento di competenza, laddove in mancanza - nel
regime previgente - di una esplicitazione del termine di deposito, si era
ritenuto che questo fosse dimezzato rispetto a quello ordinario in applicazione
di un principio di proporzionalità rispetto al termine di notifica del ricorso.
Quest'ultimo infatti era fissato in generale a 30 giorni per espressa
previsione di legge (a fronte di quello generale di 60), e dunque il termine
per il deposito del ricorso doveva ritenersi corrispondentemente ridotto a 15
giorni[28]. Il
principio scaturente da tale posizione non é però mai stato applicato al
ricorso contro il diniego di accesso agli atti (pur nella sussistenza
dell'elemento comune della mancanza normativa della fissazione del termine di
deposito del ricorso). Nel regime previgente il termine di deposito per il
ricorso contro il silenzio e per il ricorso per ottemperanza era sempre quello
ordinario di giorni 30.
b) tutti i termini
processuali vengono dimezzati, tranne quelli per la notifica del ricorso, del
ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Tra questi, quello per la
costituzione del convenuto (30 giorni dal perfezionamento della notifica del
ricorso nei propri confronti), quello per il deposito di documenti e memorie in
vista dell'udienza (rispettivamente 20 e 10 giorni). Nel regime previgente, i
termini processuali erano quelli ordinari.
c) la camera di consiglio
è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno
decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate[29]. In
precedenza, invece, era previsto che i ricorsi avverso il silenzio-rifiuto e il
diniego di accesso venivano decisi in Camera di Consiglio entro trenta giorni
dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, mentre la decisione del
ricorso per l’ottemperanza avveniva nella prima Camera di Consiglio utile
spirato il termine di venti giorni dalla comunicazione della Segreteria alla
P.A. competente dell’avvenuto deposito dello stesso
d) il provvedimento giurisdizionale che
definisce il procedimento consiste sempre in una sentenza in forma
semplificata. Nel regime previgente, non era così: le sentenze in materia di
tutela del diritto di accesso non lo
erano.
e) il termine lungo per
proporre appello é quello ordinario ma dimezzato (oggi sei mesi, ridotti
pertanto a tre). Nel regime previgente, i termini di appello erano
differenziati. Avverso la sentenza che decideva il ricorso contro il silenzio,
il termine era di 120 giorni. Avverso la sentenza che decideva il ricorso in
materia di accesso il termine era di 30 giorni. Avverso la sentenza che
decideva il ricorso per ottemperanza, e nei casi particolari in cui era
ritenuto possibile, il termine era
quello ordinario.
f) è possibile proporre ricorso incidentale. Nel
regime previgente, tale possibilità non era espressamente prevista.
g) è possibile proporre
ricorso per motivi aggiunti. Nel regime previgente,in generale, non era
consentito, e ciò per la specialità del rito, ritenuta incompatibile con
l'esplicazione di una azione annullatoria. In particolare, l'impugnazione per
motivi aggiunti era esclusa nel caso del ricorso contro il silenzio; ammessa,
nel caso di ricorso per accesso agli atti solo laddove si andava a censurare
l'eventuale provvedimento confermativo del silenzio rigetto che fosse
sopravvenuto[30]. La nozione di motivi aggiunti introdotta dal
Codice appare oggi molto ampia ed elastica, manifestando una notevole
versatilità nell'ambito dei riti camerali, al di là del contenuto tipico di
esplicazione di un'azione annullatoria. In tal senso, nel caso di ricorso per
accesso agli atti, é confermata la proponibilità con ricorso per motivi
aggiunti dell'azione avverso il provvedimento di diniego espresso sopravvenuto
al diniego implicito; nel caso di ricorso contro il silenzio, é proponibile con
ricorso per motivi aggiunti l'azione per l'accertamento della fondatezza della
pretesa. Nel caso di ricorso per ottemperanza, è proponibile con ricorso per
motivi aggiunti l'azione risarcitoria.
6. Le novità in materia di
ricorso contro il silenzio
Si segnalano in
particolare le seguenti previsioni innovative:
- nel caso in cui nel corso del giudizio
avverso il silenzio sopravvenga il provvedimento espresso, o un atto connesso
con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi
aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il provvedimento espresso, e
l’intero giudizio prosegue con tale rito. In tale ipotesi è prevista una
conversione obbligatoria del rito camerale in rito ordinario, essendo
sopravvenuto il provvedimento espresso e incentrandosi il contenzioso su
quest’ultimo.
- se insieme all’azione avverso il silenzio
viene proposta l’azione di risarcimento del danno per inosservanza dolosa o
colposa del termine per provvedere, il giudice può definire con il rito
camerale l’azione avverso il silenzio e fissare l’udienza pubblica per la
trattazione della domanda risarcitoria.
6.1. Alcune questioni
problematiche
Secondo alcuni
commentatori, una lettura coerente del Codice dovrebbe far sposare la tesi di
una sorta di effetto espansivo della disposizione enunciata nell'art. 31 c. 3
del Codice, laddove si é specificata la facoltà per il giudice amministrativo
di pronunziarsi sulla fondatezza della pretesa in presenza di determinate
condizioni. In tal senso, si é riflettuto sul fatto che se tale facoltà viene
riconosciuta nel caso del ricorso contro il silenzio, a maggior ragione dovrebbe
trovare applicazione ai casi di
illegittimità del diniego. Il fondamento logico di tale interpretazione si
scontra però con la chiara disposizione recata dall'art. 34 comma 2 del Codice,
laddove si vieta tassativamente al Giudice di pronunciare con riferimento a
poteri amministrativi non ancora esercitati. La natura di regola generale di
tale disposizione rende dunque il potere attribuito dall'art. 31 c. 3 del
Codice inapplicabile al di là della fattispecie del ricorso contro il silenzio.
Altra questione é poi
quale sia l'ampiezza di tale potere, e cioè se il Tribunale debba limitarsi ad
ordinare alla P.A. l'emissione del provvedimento oppure possa direttamente
emettere il provvedimento.
E' stato acutamente notato[31] che
l'art. 31 c. 3 del Codice da un lato si avvale di un concetto ampio di
discrezionalità, tale da comprendere anche la discrezionalità tecnica;
dall'altro nel riferirsi alle situazioni in cui non residuano ulteriori margini
di esercizio della discrezionalità, abbraccia tutte le ipotesi intermedie tra i
due poli del provvedimento interamente discrezionale e del provvedimento
interamente vincolato.
6.2. La possibile
dissociazione tra ricorrente e soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento
Il Codice ha confermato la
possibilità che il ricorrente non sia identificabile in via esclusiva col
soggetto nei cui confronti il provvedimento finale produrrà effetti diretti, e
- in particolare - che sia legittimato ad agire un soggetto diverso da quello
che ha attivato il procedimento. In tal senso depongono indizi come il
riferimento normativo alla non necessità della diffida preventiva, al sorgere
dell'interesse ad agire alla scadenza del termine per provvedere, a chi
"ha interesse" all'adozione dell'atto. Tanto da circoscrivere la
platea dei soggetti legittimati ad agire in tutti coloro che rientrano nelle
fattispecie di cui agli art.li 7 e seguenti della L. 241/1990. La possibile non
coincidenza tra soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento e soggetto che
agisce affinché venga accertata la mancata definizione tempestiva dello stesso
comporta il sorgere di alcune questioni.
In primo luogo, emerge da quanto detto che questa tipologia
di ricorso non é funzionale solo alla tutela di un interesse legittimo
pretensivo; anche il titolare di un interesse legittimo oppositivo può
proporlo.
In secondo luogo, il
ricorrente potrebbe non quantificare esattamente la corretta scadenza del
termine per la definizione del procedimento. E ciò per la mancata conoscenza
della data di inoltro dell'istanza di avvio o della avvenuta sospensione dei
termini (ai sensi dell'art. 2 c. 4 o dell'art. 10 bis L. 241/1990). Il che può
implicare l'avvio prematuro dell'azione. Soccorrono a questo punto due
possibili soluzioni utili alla salvezza del ricorso. Si può considerare l'avvenuta
scadenza del termine quale condizione dell'azione e non quale presupposto
processuale. Oppure, si può dare applicazione all'istituto della rimessione in
termini, ma a condizione che il ricorrente abbia tempestivamente proposto
istanza di accesso agli atti e la stessa sia stata illegittimamente rigettata.
Riteniamo a tal proposito che il Giudice (in caso di mancata impugnazione del
diniego esplicito o implicito) possa sindacare in via incidentale la
illegittimità dello stesso nonché la sussistenza del diritto di accesso, al
solo fine di valutare la concessione della rimessione. Non senza rilevare che
se il soggetto é legittimato all'azione contro il silenzio sarà necessariamente
titolare del relativo diritto di accesso agli atti.
6.3. I motivi aggiunti
La scelta di impugnare per
motivi aggiunti l'eventuale provvedimento negativo che dovesse sopravvenire a
conclusione (tardiva) del procedimento appare libera e non necessitata; e ciò
sotto il duplice profilo della non ostatività della mancata impugnazione
rispetto all'applicazione da parte del Giudice (nel ricorso contro il silenzio)
del principio di soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle
spese e dell'eventuale accoglimento della domanda risarcitoria; e della
possibilità di proporre detta impugnazione con separato ricorso giurisdizionale
o in sede di ricorso straordinario. Si tratta dunque di una opzione differente
rispetto alla regola di necessaria concentrazione fissata dall'art. 43 c. 3 del
Codice per il ricorso per motivi aggiunti da proporre nei riti ordinari.
6.4. La natura degli atti
di elusione o violazione della sentenza.
Una questione non risolta
é quella della natura degli atti che costituiscono elusione o violazione della
sentenza. Si devono qui distinguere le due ipotesi:
a) nel caso di sentenza
che si limiti ad accertare l'obbligo di concludere il procedimento, rientra in
tale tipologia l'emanazione di atti finalizzati a definire il procedimento in
modo non tipico. Non sono da considerare invece elusivi i comportamenti di
persistente inerzia nonché l'emanazione di un
provvedimento svantaggioso per il ricorrente ma idoneo a definire
tipicamente il procedimento
b) nel caso di sentenza
che accerti la fondatezza della pretesa e ordini alla pubblica
amministrazione l'emissione del
provvedimento, rientra in tale tipologia l'emanazione di un atto in contrasto
con la statuizione.
Non si comprende in tal
senso se tali atti vadano qualificati come annullabili o nulli e quale sia
dunque il relativo potere del giudice. In un'ottica di valorizzazione del
principio di concentrazione, la soluzione della nullità risulta preferibile, in
quanto sembra più coerente con il principio del mantenimento all'interno dello
stesso procedimento giudiziale della soluzione di tutti gli incidenti di percorso[32].
7. Le novità in materia di
ricorso contro il diniego di accesso agli atti
Le novità relative al
ricorso contro il diniego di accesso agli atti sono le seguenti:
- viene espressamente
disciplinata l'esigenza di notifica al controinteressato e l'ipotesi della
integrazione del contraddittorio, in relazione agli eventuali controinteressati
pretermessi
- viene prevista
l'esigenza di notifica al controinteressato anche per il ricorso
endoprocessuale
- si consente alla
pubblica amministrazione di essere rappresentata da un proprio dipendente,
anche non di qualifica dirigenziale
- la sentenza va resa in
forma semplificata
Il Codice (diversamente
dal ricorso per ottemperanza e dal ricorso contro il silenzio) non prevede
invece espressamente che il Giudice adito per la tutela del diritto di accesso
conosca di tutte le questioni relative alla esecuzione della sentenza. Il che
però appare un falso problema, dato che comunque il ricorrente insoddisfatto
potrà utilizzare il rimedio dell'ottemperanza.
Per quanto riguarda invece
il procedimento incidentale di accesso, le differenze rispetto al regime
previgente consistono nel fatto che l'istanza non è più rivolta al Presidente e
che é decisa con ordinanza (non più "istruttoria") o direttamente con
la sentenza che definisce il giudizio. Non viene più previsto l'utilizzo della
camera di consiglio.
8. Le novità in materia di
ricorso per ottemperanza
Le novità in materia di
ricorso per ottemperanza sono le seguenti:
- l’azione di ottemperanza può essere
proposta per conseguire l’attuazione dei lodi arbitrali divenuti inoppugnabili
al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione
di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato (art. 112 del
Codice);
- il ricorso va necessariamente
notificato (e non più solo depositato) e si é eliminata l'esigenza di
preventiva notifica della diffida e messa in mora[33]
- la formula esecutiva non é più necessaria se
si opta per la attuazione della sentenza tramite il ricorso per ottemperanza[34]
- può essere proposta
azione di condanna per il pagamento di somme a titolo di rivalutazione e
interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione
di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione
del giudicato; in sede di ottemperanza, è possibile inoltre proporre le
connesse domande per il risarcimento del danno derivante dalla illegittimità
del provvedimento;
- l’azione di ottemperanza può essere
proposta, da parte della medesima amministrazione, anche al fine di ottenere
chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza (art. 112 del Codice);
- viene riprodotto l’art.
614-bis, comma 1, c.p.c, come modificato dalla L. 69/2009, che prevede che, su
richiesta di parte, il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e non
sussistano altre ragioni ostative, fissi la somma di denaro dovuta
dall’amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per
ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo
esecutivo
- viene
definito come “ausiliario del giudice” il commissario ad acta, superando il
contrasto giurisprudenziale in merito alla sua natura[35]
- non é più possibile la
trattazione in udienza pubblica, a seguito di domanda di parte
- la sentenza diviene
appellabile, senza la specificazione dei tradizionali limiti.
9. Il controinteressato
Il Codice per la prima
volta enuncia la necessità che il ricorso in materia di accesso agli atti e
contro il silenzio sia notificato al controinteressato.
La disposizione relativa
al ricorso contro il silenzio però si presta a molte difficoltà applicative.
Premettiamo che sono almeno due le fattispecie in cui sorge il dovere di
evocazione del controinteressato.
La prima é quella generale
relativa ai ricorsi di tipo fondamentalmente annullatorio; il criterio di
identificazione é quello classico, consistente nel dato formale e in quello
sostanziale (oltre che in quello cronologico, della sussistenza delle due
condizioni al momento della proposizione del ricorso).
La seconda é quella
introdotta dalla normativa sulla tutela del diritto di accesso agli atti. Le
condizioni per la identificazione sono due: la individuabilità a partire dal
documento di cui si chiede l'esibizione, la titolarità del diritto alla riservatezza.
La differenza rispetto alla prima consiste nel fatto che il controinteressato é
titolare di un diritto contrapposto a quello di accesso, e può anche non essere
portatore di una posizione uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente
(potrebbe addirittura essere un cointeressato, rispetto agli interessi in
gioco).
9.1. L'identificazione del
controinteressato nel ricorso contro il silenzio
In materia di ricorso
contro il silenzio, nel regime previgente sono rare le pronunce che affrontano
la questione[36]
. Il problema é quello di verificare quale set di condizioni debba utilizzare
l'interprete per identificare l'eventuale controinteressato da evocare nel caso
di ricorso contro il silenzio. Il problema infatti é che in questo caso non
sussiste alcun provvedimento da impugnare; il che rende inutilizzabile il
criterio formale. L'emersione del controinteressato sostanziale peraltro può
avvenire solo in due circostanze: nel caso in cui l'interessato abbia esplicato
un accesso agli atti e nel caso in cui sia stato emesso un provvedimento
interlocutorio che non abbia però definito in modo tipico il procedimento. E
non senza rilevare che la mancanza dell'elemento formale (secondo la
giurisprudenza precedente al Codice) non faceva sorgere il dovere di evocazione
in giudizio. Al di fuori di queste ipotesi (ed esclusa la fattispecie della
richiesta di un provvedimento in autotutela, che notoriamente non legittima la
successiva proposizione del ricorso) l'unico punto di partenza per la
identificazione del controinteressato rimane la stessa istanza di avvio del
procedimento, inoltrata dall'interessato; questi infatti potrebbe avere
direttamente richiamato (nel contesto delle proprie richieste, in genere legate
alla soddisfazione di un interesse legittimo pretensivo) la posizione di un
terzo soggetto che rispetto alla concessione del provvedimento invocato
potrebbe avere interesse uguale e contrario. Il problema però é che una tale
indicazione potrebbe non essere sufficiente; e ciò perché la valutazione
compiuta dall'istante potrebbe essere errata o non condivisa dalla Pubblica
Amministrazione o frutto di informazioni incomplete. Né la esistenza o meno del
controinteressato può dipendere dalla formulazione (soggettiva) della istanza
di avvio del procedimento. Non rimane dunque che concludere nel senso che la
disposizione normativa faccia riferimento solo alle due ipotesi citate
(avvenuto accesso agli atti del procedimento - avvenuta emissione di un
provvedimento interlocutorio); uniche fattispecie in cui appare possibile
configurare in modo certo la sussistenza del controinteressato. Da un lato
siamo dunque in presenza di una nozione sui generis di
controinteressato; dall'altro appare perfettamente possibile che quest'ultimo
emerga processualmente in una fase successiva a quella iniziale (per esempio,
nel caso di emissione sopravvenuta di provvedimento): il che implica l'esigenza
che nel ricorso per motivi aggiunti lo stesso vada necessariamente evocato.
La soluzione é allora
intraprocessuale: l'unico modo certo di verificare se un controinteressato
sussista risiede nella valutazione del materiale istruttorio compiuta dal
Giudice, il quale prima di assumere la causa in decisione dovrà verificare
l'eventuale sussistenza di un terzo che potrebbe essere pregiudicato dalla
decisione di esercizio della facoltà ex art.31 c. 3 del Codice. Si tratterebbe dunque di una ipotesi di
intervento ordinato dal Giudice ex art. 49 del Codice, il cui adempimento
garantirebbe il pieno rispetto del contraddittorio e la salvezza della sentenza
dalla impugnazione ad opera del terzo pretermesso. Non ci sembra che tale
situazione sia assimilabile a quella del c.d. controinteressato successivo, il
quale - come é noto - é un soggetto che acquisisce tale ruolo dopo l'avvio del
giudizio; nella fattispecie che stiamo esaminando tale soggetto era infatti già
controinteressato sostanziale al momento della proposizione del ricorso, ma
tale qualità viene conosciuta in una fase successiva (per esempio, a seguito
delle difese esplicate dalla P.A. convenuta).
Diversamente, nel caso in
cui non dovessero sussistere le condizioni per la applicazione della facoltà ex
art. 31 c. 3 del Codice, l'eventuale
controinteressato non sarebbe minimamente inficiato da una eventuale sentenza
di accoglimento statuente il dovere di provvedere, e ciò in quanto avrebbe
garantito il proprio spazio di partecipazione all'interno del successivo
segmento procedimentale, propedeutico alla emanazione del provvedimento finale,
senza dunque che venga pregiudicata (in senso allo stesso sfavorevole) la
decisione finale della Pubblica amministrazione[37]. E'
anche vero però che l'art. 117 del Codice sembra abbastanza perentorio nel
richiedere l'evocazione del controinteressato, e dunque indipendentemente dalla
prospettazione o meno della domanda ex art. 31 c. 3 del Codice.
9.1.1. L'ipotesi in cui il
ricorrente sia diverso dal soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento
L'unica ipotesi infine in
cui invece l'eventuale controinteressato emerge con chiarezza sin dall'inizio
del processo é quella in cui il soggetto che agisce non corrisponde a quello
che ha avviato il procedimento; é il caso in cui cioè colui "che ha
interesse" é un terzo che intende sollecitare
9.1.2. Il termine di
evocazione del controinteressato
Sempre in materia di
controinteressati, altra specialità del ricorso ex art. 117 del Codice deriva
dalla ampiezza cronologica del termine per agire: un anno dalla scadenza del
termine per provvedere. La questione che si pone é quella di valutare le
conseguenze della mancata evocazione in giudizio del controinteressato al
momento della notifica del ricorso. L'art. 117 del Codice impone la notifica
contestuale del ricorso ad almeno un controinteressato a pena di
inammissibilità, ma "nel termine di cui all'art. 31 comma 2". La disposizione va letta pertanto secondo
l'applicazione giurisprudenziale che aveva già chiarito come l'elemento
essenziale per evitare la inammissibilità non fosse la notifica contestuale al
controinteressato, ma che questo venisse evocato entro il termine di decadenza
per la notifica della impugnazione. Il che implica la possibilità di integrare
la notifica del ricorso al controinteressato pretermesso fino a che non sia
scaduto detto termine. L'applicazione di questo principio comporta - nel caso
del ricorso contro il silenzio - la possibilità di integrare il contraddittorio
sino alla scadenza del termine di impugnazione, che nel caso in questione é di
un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. La
particolarità dunque del ricorso é quella per cui l'omessa evocazione del
controinteressato potrà essere agevolmente sanata, anche dietro ordine del
giudice, fino alla scadenza del termine annuale, mantenendo così la
ammissibilità dell'azione.
9.2. L'identificazione del
controinteressato nel ricorso per accesso agli atti
Nel regime previgente, la
normativa processuale non contemplava espressamente il controinteressato, ma la
sua esistenza si fondava sull'art. 22 L. 241/1990, che lo individua nel
soggetto, individuato o facilmente individuabile in base alla natura del
documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il
proprio diritto alla riservatezza. Su tale base, era agevole desumere la
necessità della sua evocazione in giudizio, e all'attribuzione allo stesso
della possibilità di proporre ricorso incidentale.
La situazione non é dunque
sostanzialmente cambiata, rinvenendosi l'unica differenza nella esplicitazione
normativa della esigenza di evocazione del controinteressato e nella
attribuzione espressa della possibilità di avvalersi del ricorso incidentale.
C'é da dire semmai che il
Codice, nel momento in cui stabilisce l'onere di notifica al controinteressato,
non restringe la sua identificazione al solo soggetto titolare dell'interesse
alla riservatezza di cui al citato art. 22. Si pone dunque la questione se
possano sussistere soggetti che potrebbero avere interesse ad opporsi
all'accesso per ragioni diverse dalla mera tutela della riservatezza; la
risposta sembra però essere negativa.
9.3. L'identificazione del
controinteressato nel ricorso per ottemperanza
In materia di ricorso per
ottemperanza, il controinteressato é tale propriamente non rispetto al ricorso
per ottemperanza ma rispetto al ricorso originario; non può che trattarsi
dunque del medesimo soggetto che era stato evocato all'inizio del giudizio di
cognizione. La successiva venuta in
essere di un giudicato (in ipotesi, favorevole al ricorrente) ha certamente
ridotto di molto l'effettivo interesse a contraddire nella fase di esecuzione
dello stesso e ha lasciato allo stesso ristretti margini di intervento, se non
quelli relativi alla verifica che il Giudice dell'ottemperanza attui
puntualmente il Giudicato.
10. Il ricorso incidentale
La possibilità di esperire
il ricorso incidentale nell'ambito dei riti camerali si carica di un forte
valore innovativo, che non ci sarebbe di fatto stato se lo strumento
processuale fosse rimasto nell'unica disponibilità del controinteressato. Ma -
in virtù dell'art. 42 del Codice - così non é più: oggi anche la pubblica
amministrazione convenuta è pienamente legittimata a proporre ricorso
incidentale.
Si pone dunque la domanda
di quale possa essere - in generale, prima che in particolare - il suo oggetto,
e ciò soprattutto tenuto conto che nel catalogo delle azioni esperibili con
riti camerali non rientrano quelle di tipo annullatorio[38], per le
quali il legislatore prevede sempre a pena di nullità la udienza pubblica;
presupponendo pertanto la necessità - di norma[39] - che
tali azioni godano di spazi e tempi processuali più ampi.
10.1. L'utilizzo del
ricorso incidentale da parte della P.A. resistente
Ci sembra di dovere
escludere che l'Ente pubblico possa esperire una impugnazione di legittimità
avverso atti dallo stesso emanati, al fine di paralizzare l'azione avversaria.
In linea di massima, é insostenibile logicamente la possibilità di chiedere al
Giudice l'annullamento di provvedimenti che basterebbe ritirare in autotutela[40].
Eppure, scartata tale ipotesi, non si comprende facilmente in che cosa un
ricorso incidentale possa essere più utile (per la difesa dell'ente) rispetto
alla prospettazione della corrispondente eccezione. Tranne una fattispecie: la
proposizione di una impugnazione avverso un provvedimento emesso da altra
autorità ed esplicante una efficacia vincolante sull'attività dell'Ente. Per
esempio, un regolamento regionale o ministeriale. In tal modo, l'Ente può
rendere conforme a legge il proprio atto rimuovendo la difformità con il
provvedimento superiore che lo aveva reso illegittimo nella prospettazione del
ricorrente principale. In tale eventualità, il ricorso incidentale non viene
diretto contro il ricorrente principale: ci si
limita a chiedere al giudice l'annullamento di quella parte del
provvedimento superiore che il ricorrente principale aveva utilizzato quale
parametro di valutazione della legittimità dell'atto impugnato. In tal modo (ed
in caso di esito positivo) si rimuove tale parametro e il ricorso principale
rimane privo di fondamento.
La domanda da porsi é
allora se il Codice non abbia inteso trasformare il ricorso incidentale in
sinonimo di azione riconvenzionale, introducendo quest'ultima in via
generalizzata nel processo.
10.2. L'utilizzo del ricorso
incidentale da parte del controinteressato
Per quanto riguarda invece
la posizione del controinteressato,
occorre distinguere le tre fattispecie più importanti in relazione al
possibile oggetto del ricorso incidentale.
10.2.1. Nell'ambito del
ricorso contro il silenzio
L'unica possibile utilità
nell'utilizzo del ricorso incidentale si verifica allorquando il ricorrente
principale chiede anche l'emissione di una sentenza che accerti la fondatezza
della pretesa. In questo caso, il controinteressato potrà far valere ragioni
ostative per l'accoglimento della domanda e/o esplicare impugnazione avverso
gli atti amministrativi presupposti sui quali l'avversario fonda la sua
pretesa. Rimane da superare il problema della compatibilità di una azione
annullatoria con il rito camerale; se si rimane però ancorati all'idea che il
ricorso incidentale manifesti sostanzialmente la medesima efficacia della
eccezione, e che l'unico scopo dello stesso é quello di paralizzare la domanda
avversaria, senza in realtà mutare l'oggetto del processo, la compatibilità
appare possibile.
10.2.2. Nell'ambito del
ricorso contro il diniego di accesso agli atti
Il controinteressato può
censurare il provvedimento amministrativo regolamentare violato dall'Ente ma a
sua volta illegittimo perché introducente una facoltà di accesso in realtà non
consentita dalla legge ed in violazione del proprio diritto alla riservatezza.
Trattandosi di una fattispecie di Giurisdizione esclusiva nella quale si
discute della tutela di diritti soggettivi, non esiste alcuna preclusione per
la formulazione (in via di ricorso incidentale) di una domanda di
disapplicazione del provvedimento amministrativo. Si può ancora ipotizzare che
il controinteressato esplichi il ricorso incidentale per impugnare il provvedimento
di accoglimento dell'istanza di accesso, nel caso in cui detto provvedimento
non sia stato attuato e il richiedente abbia proposto per tale ragione ricorso[41].
10.2.3. Nell'ambito del
ricorso per ottemperanza
L'istituto del ricorso
incidentale appare di difficile collocazione nell'ambito del ricorso per
ottemperanza, non evidenziandosi una effettiva utilità dell'utilizzo da parte
dell'eventuale controinteressato. E ciò a fronte della avvenuta
cristallizzazione delle posizioni delle parti nell'ambito del giudicato.
Avv.
Vittorio Fiasconaro
[1] Senza considerare le numerose leggi delega per il recepimento delle direttive comunitarie, nelle quali si fissa il criterio dell’adeguamento alla (sola) giurisprudenza della Corte di Giustizia.
[2] “rispettare i princìpi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale”
[3] “ridefinire
i criteri di conferimento, mutamento o revoca degli incarichi dirigenziali,
adeguando la relativa disciplina ai principi di trasparenza e pubblicità ed ai
principi desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e delle
giurisdizioni superiori”
[4] “circoscrivere
il recepimento alle disposizioni elencate nel presente articolo e comunque a
quanto necessario per rendere il quadro normativo vigente in tema di tutela
giurisdizionale conforme alle direttive 89/ 665/CEE e 92/13/CEE, come
modificate dalla direttiva 2007/66/CE, previa verifica della coerenza con tali
direttive degli istituti processuali già vigenti e già adeguati, anche alla
luce della giurisprudenza comunitaria e nazionale”
[5] Consiglio di Stato Sezione 5 - 25 febbraio 2009, n. 1116
[6] Consiglio di Stato Sezione 4 - 15 gennaio 2009, n. 177
[7] Consiglio di Stato Sezione 6 - 16 dicembre 2008, n. 6234
[8] Consiglio di Stato Sezione 4 - 12 maggio 2008, n. 2159
[9] ibidem
[10] Consiglio di Stato Sezione 5 - 25 febbraio 2009, n. 1116
[11] C.S. 1497/2008, Consiglio di Stato Sezione 4 - 20 luglio 2005, n. 3911
[12]
Cons.
[13]
Cons. St. Sez. IV, n. 5310
[14] Cons. St. 1873/2008
[15] Consiglio di Stato Sezione 4 - 9 agosto 2005, n. 4231; ma già nello stesso senso Consiglio di Stato Sezione 5 - 6 dicembre 1999, n. 2045
[16] Cons.
[17] Cons.
[18] Cons.
[19] Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5840
[20] Cons. Stato, Ad. Plen., 20 aprile 2006 n. 7
[21] Consiglio di Stato Sezione 5 - 12 ottobre 2009, n. 6241
[22] Consiglio di Stato Sezione 5 - 21 agosto 2009, n. 5013
[23] Consiglio di Stato Sezione 5 23 novembre 2010, n. 8142
[24] Consiglio di Stato Sezione 6 - 9 febbraio 2010, n. 633. Ivi é però chiarito
che la controversia fra l'Amministrazione e l'amministrato debba trovare a un
certo punto una soluzione definitiva, e dunque occorre impedire che
l'Amministrazione proceda più volte all'emanazione di nuovi atti, in tutto
conformi alle statuizioni del giudicato, ma egualmente sfavorevoli al
ricorrente, in quanto fondati su aspetti sempre nuovi del rapporto, non toccati
dal giudicato: il punto di equilibrio va determinato imponendo
all'Amministrazione - dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere
o la facoltà di provvedere di nuovo - di esaminare l'affare nella sua
interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga
rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure
in relazione a profili non ancora esaminati.
[25] Consiglio di Stato Sezione 4 - 13 gennaio 2010, n. 70
[26] laddove invece la questione non si pone é a fronte dei contrasti giurisprudenziali che il legislatore delegato non ha inteso risolvere. Essi rimarranno tali e quali, pur dopo l'emanazione del Codice.
[27] con attribuzione al giudice della valutazione concreta della relativa opportunità, in relazione alla complessità della istruttoria necessaria per l'esame della domanda risarcitoria
[28] Consiglio di Stato 4860/2007.
[29] A tal proposito, dobbiamo rilevare che molti
commentatori fanno decorrere detto termine dalla scadenza del sessantesimo
giorno dal termine per il deposito del ricorso. In realtà, in virtù della
regola generale del dimezzamento nei riti camerali, il convenuto dovrà
costituirsi entro giorni 30 dallo scadenza del termine di deposito del ricorso.
[30] Consiglio di Stato Sezione 5 - 17 settembre 2010, n. 6953
[31] Caringella – Protto Codice del nuovo processo amministrativo, Dike Giuridica, pag. 384
[32] La soluzione della natura del vizio invalidante non é però semplice. Se da un lato si può argomentare che i casi di nullità sono tassativi alla luce della riforma del 2005, dall'altro la natura di atti annullabili contrasta in effetti con l'applicazione dell'art. 117 c. 4 del Codice. Vedasi in tal senso Caringella - Protto, citato, pag. 1059.
[33] Secondo quanto esposto nella relazione allegata allo schema di decreto delegato, l’introduzione dell’obbligo di notificare il ricorso ha reso non più necessario l’adempimento della previa diffida e messa in mora, che rimane come facoltà rimessa alla scelta della parte.
[34] tale disposizione deve fare riflettere, perché
costituisce un argomento a favore della inapplicabilità al giudizio di
ottemperanza del termine dilatorio introdotto dall'art. 14 c. 1 D.L. 669/1996.
Infatti tale disposizione presuppone necessariamente l'avvenuta notifica del
titolo in forma esecutiva. La giurisprudenza era divisa sul punto, con
prevalenza della tesi sulla applicabilità ma recentemente
[35] secondo la tesi maggioritaria, il commissario
era un organo ausiliario del giudice; secondo altra tesi, era invece
qualificabile come organo straordinario dell’amministrazione; secondo una
teoria mediana, aveva natura di volta in volta diversa in relazione alla
ampiezza del comando giurisdizionale da attuare. Ne conseguiva un diverso
regime di impugnazione dei relativi atti: secondo la prima interpretazione,
essi erano impugnabili con reclamo al giudice dell’ottemperanza; secondo la
seconda interpretazione, invece, seguendo la stessa sorte dei provvedimenti
emanati dall’amministrazione, erano impugnabili secondo la procedura ordinaria.
Secondo la terza teoria, occorreva valutare caso per caso l'ampiezza del potere
esercitato.
[36] tra queste, possiamo segnalare Tar Lazio-Roma, sez. III-quater, 5 febbraio 2008 n. 959 secondo la quale i controinteressati coincidono con i soggetti che riceverebbero un pregiudizio dalla pronuncia invocata.
[37] per tale ragione, nel regime previgente, la
giurisprudenza aveva distinto i ricorsi nei quali si chiedeva il solo
accertamento dell'obbligo di concludere il procedimento (per i quali non era
ritenuta necessaria l'evocazione del controinteressato) dai ricorsi nei quali
si chiedeva l'accertamento sulla fondatezza della pretesa (per i quali invece
era ritenuta necessaria l'evocazione). Vedasi in tal senso, Cons. Stato
4231/2005 e Tar Campania - Napoli 1947/2009.
[38] e ciò vale anche nel caso del ricorso contro il diniego di accesso agli atti, nel quale la domanda principale non é la richiesta di annullamento del silenzio rigetto o del provvedimento negativo, ma l'accertamento del diritto in capo al ricorrente.
[39] tranne il caso della definizione del giudizio
con sentenza semplificata in esito all'udienza cautelare, per la quale però le condizioni applicative
sono tali da non bisognare del rito meno sommario dell'udienza pubblica.
[40] la questione é in realtà più complessa di come
appare. Dopo l'introduzione dell'art. 21 nonies L. 241/1990,
[41] è comunque salva la possibilità per il controinteressato di impugnare direttamente con ricorso di tipo annullatorio il provvedimento di accoglimento dell'istanza di accesso. In questo caso, non potrà essere utilizzato il rito camerale, ma quello ordinario, con tutti i problemi legati alla difficoltà di ottenere una tutela effettiva (in ordine per esempio all'efficacia della tutela cautelare).