I RITI CAMERALI NEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

 

 

Sommario: 1. La legge delega. 2. L'adeguamento alla giurisprudenza delle Corti. 2.1.1. In materia di ricorso contro il silenzio. 2.1.2. In materia di ricorso contro il diniego di accesso agli atti. 2.1.3. In materia di ricorso per ottemperanza. 2.2. Questioni problematiche in materia di adeguamento alla giurisprudenza delle Corti. 3. Il principio di concentrazione. 4. I riti trattati in Camera di Consiglio. 5. Le differenze nel rito camerale rispetto al regime previgente. 6. Le novità in materia di ricorso contro il silenzio. 6.1. Alcune questioni problematiche. 6.2. La possibile dissociazione tra ricorrente e soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento. 6.3. I motivi aggiunti. 6.4. La natura degli atti di elusione o violazione della sentenza. 7. Le novità in materia di ricorso contro il diniego di accesso agli atti. 8. Le novità in materia di ricorso per ottemperanza. 9. Il controinteressato. 9.1. L'identificazione del controinteressato nel ricorso contro il silenzio. 9.1.1. L'ipotesi in cui il ricorrente sia diverso dal soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento. 9.2. L'identificazione del controinteressato nel ricorso per accesso agli atti. 9.3. L'identificazione del controinteressato nel ricorso per ottemperanza. 10. Il ricorso incidentale. 10.1. L'utilizzo del ricorso incidentale da parte della P.A. resistente. 10.2. L'utilizzo del ricorso incidentale da parte del controinteressato. 10.2.1. Nell'ambito del ricorso contro il silenzio. 10.2.2. Nell'ambito del ricorso contro il diniego di accesso agli atti. 10.2.3. Nell'ambito del ricorso per ottemperanza.

 

 

 

1. La legge delega

I riti camerali (diversi da quello utilizzato nel procedimento cautelare) non trovano alcuna disciplina espressa all'interno della legge delega, non sussistendo criteri direttivi speciali ad essi rivolti. Assumono rilievo dunque unicamente i principi generali, e in particolare tra questi:

-        l'adeguamento delle norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori

-        il riordino dei casi di giurisdizione estesa al merito, anche mediante soppressione delle fattispecie non più coerenti con l’ordinamento vigente

-        la revisione e razionalizzazione dei riti speciali, e delle materie cui essi si applicano

-        la razionalizzazione e, qualora sia opportuno, la riduzione dei relativi termini

-        il principio di concentrazione della tutela

 

2. L'adeguamento alla giurisprudenza delle Corti

L'art. 44 della L. 69/2009 ha fissato quale criterio direttivo al legislatore delegato l'adeguamento delle norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle giurisdizioni superiori. E ciò secondo tre recenti precedenti normativi analoghi[1]:

a)      art. 2 L. 131/2003[2] (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)

b)      art. 6 comma 2 L. 15/2009  [3]   (Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.)

c)      art 44 L. 88/2009  [4]   (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008)

 

Il punto di partenza per comprendere l'effettivo impatto della riforma é dunque quello di ricostruire quale fosse lo stato degli orientamenti giurisprudenziali prima della conclusione dei lavori della Commissione incaricata della redazione della proposta di Codice.

 

2.1.

In tal senso, possiamo così indicare le posizioni interpretative più rilevanti assunte dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione.

 

2.1.1. In materia di ricorso contro il silenzio

- il giudizio disciplinato dall’art. 21-bis, l. Tar postula l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesso legittimo   [5]

- la procedura per la constatazione del silenzio rifiuto non può essere utilizzata per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili   [6]  - non sussiste l’obbligo dell’amministrazione di provvedere  allorquando l’interessato, attraverso la procedura del silenzio  rifiuto, abbia sollecitato l’esercizio del potere di autotutela[7]

- nell’ambito del giudizio sul silenzio, il giudice potrà conoscere della accoglibilità dell’istanza in ordine alla fondatezza: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, e che non postuli accertamenti valutativi complessi e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all’amministrazione e con la precisazione che si potrà solo condannare l’amministrazione ad adottare un provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente l’an della pretesa e nulla di più; b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manifestamente infondata, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la p.a. a provvedere laddove l’atto espresso non potrà che essere di rigetto  [8]

- il giudice ha la facoltà (e non il dovere) di conoscere la fondatezza della pretesa  [9] - il rimedio apprestato dall'art. 21 bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034 non è esperibile nel caso in cui il giudice amministrativo sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto sostanziale e comunque in tutti i casi in cui il ricorrente intenda far valere un diritto soggettivo  [10]

-  i provvedimenti ulteriori, connessi funzionalmente a quelli oggetto del ricorso iniziale non possono essere impugnati con motivi aggiunti ove il ricorso originario sia stato introdotto con il rito speciale ex art. 21-bis, essendo su un piano processuale incompatibile il procedimento camerale con quello ordinario [11]. Nondimeno, ove all'originaria domanda diretta avverso il silenzio inadempimento segua un'azione di tipo impugnatorio introdotta con motivi aggiunti, dall'errore di procedura non consegue un'automatica dichiarazione d'inammissibilità del sopraggiunto gravame, dovendo il giudice amministrativo dare applicazione al principio di cui all'art. 156, co. 2, c.p.c. e verificare se, nel caso concreto, siano stati rispettati i termini e le modalità dettati per il rito ordinario, analogamente a quanto avveniva, ancor prima della l. n. 205 del 2000, nella similare ipotesi dell'erronea impugnazione di un provvedimento con ricorso per esecuzione di giudicato  [12].

- riguardo alla domanda di risarcimento del danno, sul piano processuale e su quello sostanziale non sussiste alcuno dei presupposti di applicazione dell'art. 21 bis della legge n. 1034 del 1971, poiché col rito in esso previsto può unicamente essere impugnato il silenzio serbato dall'amministrazione su una istanza, ma non si può formulare alcuna ulteriore domanda, né quella di impugnazione dell'atto che abbia dato riscontro all'istanza [13] , né quella volta al risarcimento di un danno, poiché - in ragione della natura del rito - non possono essere esaminati gli indefettibili elementi costitutivi dell'illecito (quello oggettivo, l'antigiuridicità e la colpevolezza)  [14].

- se è vero che la regola che impone la notifica del ricorso ai controinteressati, consacrata nell'art. 21, comma 1, legge n. 1034/71, risulta concepita e formulata con specifico riferimento ai giudizi tipicamente impugnatori, è anche vero che essa esprime il principio generale della necessaria instaurazione di un contraddittorio processuale integro, che comprenda, cioè, tutti i soggetti direttamente interessati dall'esito del ricorso, e che, quindi, l'onere con la stessa imposto deve intendersi applicabile a tutti i ricorsi (anche non preordinati, quindi, all'annullamento di un atto amministrativo) in cui risulti configurabile l'esistenza di soggetti titolari di un interesse contrario a quello di chi li propone e che potrebbero, pertanto, restare pregiudicati dall'adozione del provvedimento giurisdizionale invocato dal ricorrente. Ne consegue che va qualificato come controinteressato il soggetto che, nei giudizi di impugnazione del silenzio rifiuto, resta direttamente pregiudicato dalla dichiarazione dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere[15]

 

2.1.2. In materia di ricorso contro il diniego di accesso agli atti

- é affermata la natura di diritto soggettivo del diritto d’accesso[16] con l'ulteriore precisazione che il giudizio ex art. 25, l. n. 241/1990 mira, normalmente, a verificare, in concreto, la fondatezza della pretesa fatta valere dagli interessati e non la legittimità degli atti negativi, espressi o taciti, adottati dall’amministrazione  [17].

- viene statuita l’inammissibilità del ricorso che non sia stato notificato ad almeno uno dei controinteressati  [18].

- la normativa speciale che disciplina il regime processuale delle controversie sull’accesso non è modificata dalla normativa di cui all’art. 23 bis L. 1034/1971, sicché se la domanda di accesso è rivolta ad un’autorità amministrativa indipendente resterà applicabile solo l’ordinario rito – comunque per parte sua già accelerato – dell’art. 25, l. n. 241/1990[19].

- l’art. 25 della legge n. 241 del 1990, nel fissare il termine di trenta giorni per la proposizione dei ricorsi in materia di accesso agli atti della P.A. e nel qualificare in termini di diniego il silenzio serbato sull’accesso, prevede un termine per l’esercizio dell’azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza: la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego, laddove a questo debba riconoscersi carattere meramente confermativo del primo[20].

 

2.1.3. In materia di ricorso per ottemperanza

- Il rimedio del giudizio di ottemperanza, secondo consolidati principi può essere esperito, nei confronti delle sentenze dell'autorità giudiziaria ordinaria passate in giudicato, cui vanno equiparati i lodi arbitrali dichiarati esecutivi che abbiano acquistato efficacia di giudicato[21]

- Nel giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che comunque sarebbero devoluti alla sua giurisdizione, atteso che il giudizio di ottemperanza ha natura mista, di esecuzione e di cognizione, e la regola posta dal giudicato amministrativo richiede il più delle volte da parte del giudice dell'ottemperanza una esplicitazione o un completamento[22].

- in sede di ottemperanza si è sempre ritenuto possibile formulare richiesta di risarcimento solo per i danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni che si riferiscono al periodo precedente al giudicato deve essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado [23]

- Deve escludersi che ogni questione insorta dopo la formazione del giudicato e in esecuzione dello stesso vada sottoposta al vaglio del giudice dell'ottemperanza[24]

- L'atto emanato dall'Amministrazione dopo l'annullamento giurisdizionale può essere considerato adottato in violazione o in elusione del giudicato solo quando da questo derivi un obbligo talmente puntuale che l'ottemperanza ad esso si concreta nell'adozione di un atto il cui contenuto, nei suoi tratti essenziali, è integralmente desumibile dalla sentenza[25]

 

2.2. Questioni problematiche in materia di adeguamento alla giurisprudenza delle Corti

Posta tale premessa, é interessante valutare quale possa essere l'effettivo significato delle scelte legislative contenute nel Codice laddove - per esempio - non sia stata presa posizione in ordine ad orientamenti giurisprudenziali consolidati e pacifici[26]. La domanda che ci si deve porre é: si tratta di una implicita sconfessione di tali orientamenti (e ciò sul presupposto che se il legislatore non li ha recepiti é perché si deve ritenere che non abbia voluto in effetti farlo) oppure di una implicita conferma (e ciò sul presupposto che se il legislatore non li ha recepiti espressamente é perché ha inteso non contrastarli)?

I casi che possiamo indicare (in materia di riti camerali) sono per esempio i seguenti:

- impossibilità di utilizzare il rito del silenzio per far valere posizioni di diritto soggettivo e/o interessi giuridici non rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo

- impossibilità di utilizzare la procedura per la constatazione del silenzio rifiuto per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili

- insussistenza dell'obbligo dell’amministrazione di provvedere  allorquando l’interessato, attraverso la procedura del silenzio  rifiuto, abbia sollecitato l’esercizio del potere di autotutela

- non reiterabilità dell'istanza di accesso a seguito della mancata impugnazione del diniego nel termine

Ancora é interessante valutare se - alla luce dell'esposta direttiva dell'art. 44 citato - non siano costituzionalmente illegittime le disposizioni del Codice introdotte in chiara controtendenza rispetto alla giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione.

Possiamo fare alcuni esempi di orientamenti sconfessati:

- impossibilità di esplicare azione risarcitoria congiuntamente al ricorso contro il silenzio

- impossibilità di esplicare l’impugnazione per motivi aggiunti avverso l’atto sopravvenuto in sede di ricorso proposto contro il silenzio

In teoria, laddove si é deciso di smentire la chiara posizione delle giurisdizioni superiori, si dovrebbe ritenere  violato il criterio direttivo impartito dal legislatore delegante, e si potrebbe pertanto imputare al legislatore un eccesso di delega. Al fine però di effettuare in tal senso la valutazione sulla effettiva sussistenza o meno della legittimità costituzionale della disposizione, si può verificare se la scelta operata dal legislatore delegato sia frutto invece della avvenuta applicazione di altro criterio direttivo (come per esempio, il principio di concentrazione delle tutele) che giustificando l'opzione possa consentire di ritenere legittima la corrispondente disposizione.

 

3. Il principio di concentrazione

E in effetti,  in tal senso, notevole applicazione ha ricevuto il principio di concentrazione. Esso é ispiratore delle seguenti novità:

- la possibilità di proporre all'interno del giudizio di ottemperanza l'azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché la possibilità di proporre ivi anche l'azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione , violazione o elusione del giudicato (art. 112 c. 3 del Codice)

- la possibilità di proporre nel processo di ottemperanza la domanda risarcitoria connessa alla domanda annullatoria che era stata oggetto del ricorso iniziale (art. 112 c. 4 del Codice)

- la qualificazione del commissario ad acta quale organo ausiliario del giudice; dal che deriva che tutte le questioni sugli atti emessi dallo stesso rimarranno decise dal medesimo giudice dell'ottemperanza (art. 113 c. 6 del Codice)

- la possibilità della nomina del commissario ad acta già con la sentenza che definisce il giudizio in materia di silenzio  (art. 117 c. 3 del Codice)

- la attribuzione al Giudice del potere di conoscere tutte le questioni relative alla esatta adozione del provvedimento richiesto, a seguito della sentenza in materia di silenzio (art. 177 c. 4 del Codice)

- la possibilità di impugnazione per motivi aggiunti del provvedimento espresso sopravvenuto o connesso, in materia di silenzio (art. 117 c. 5 del Codice)

- la possibilità (prevista implicitamente dall'art. 117 c. 6 del Codice[27]) di definizione con lo stesso rito camerale sia della domanda avverso il silenzio sia della connessa domanda risarcitoria.

 

4. I riti trattati in Camera di Consiglio

Il Codice fissa un rapporto tra udienza pubblica e camera di consiglio di regola/eccezione; lo si desume chiaramente dalle disposizioni che comminano la nullità nel caso in cui venga utilizzata la camera di consiglio invece dell'udienza pubblica (art. 87 c. 1 del Codice), e che viceversa rendono irrilevante l'errore contrario (art. 87 c. 4 del Codice). Dal che deriva che le fattispecie in cui utilizzare la camera di consiglio sono un numerus clausus, senza possibilità di estensione in via interpretativa o analogica. E dunque solo le seguenti:

a) ricorso contro il silenzio inadempimento

b) ricorso in materia di accesso agli atti

c) ricorso in sede di ottemperanza

d) ricorso in opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio.

Il Codice rinvia poi alle altre fattispecie previste in norme speciali ed ulteriori. Tra queste possiamo indicare:

-                   decisione sul regolamento di competenza (art. 15 del Codice)

-                   emissione di sentenza in forma semplificata (art. 60 del Codice)

-                   decisione dell'appello cautelare (art. 62 del Codice)

-                   decisione dell'appello alle ordinanze di sospensione del giudizio (art. 79 del Codice)

-                   procedimento di correzione di errore materiale (art. 86 del Codice)

-                   decisione dell'appello contro i provvedimenti che hanno declinato la giurisdizione o la competenza (art. 105 del Codice)

-                   procedimento di ricostruzione degli atti o del fascicolo (art. 5 allegato 2 del Codice)

 

5. Le differenze nel rito camerale rispetto al regime previgente

Volendo adesso provare ad operare un raffronto con la disciplina dei riti in camera di consiglio rispetto alla normativa previgente  (nella quale peraltro non esisteva una conformazione unitaria) risultano le seguenti differenze:

a) il termine di deposito del ricorso notificato viene ridotto a 15 giorni. Già in qualche caso, la giurisprudenza aveva individuato tale dimezzamento in via interpretativa, per esempio in riferimento al regolamento di competenza, laddove in mancanza - nel regime previgente - di una esplicitazione del termine di deposito, si era ritenuto che questo fosse dimezzato rispetto a quello ordinario in applicazione di un principio di proporzionalità rispetto al termine di notifica del ricorso. Quest'ultimo infatti era fissato in generale a 30 giorni per espressa previsione di legge (a fronte di quello generale di 60), e dunque il termine per il deposito del ricorso doveva ritenersi corrispondentemente ridotto a 15 giorni[28]. Il principio scaturente da tale posizione non é però mai stato applicato al ricorso contro il diniego di accesso agli atti (pur nella sussistenza dell'elemento comune della mancanza normativa della fissazione del termine di deposito del ricorso). Nel regime previgente il termine di deposito per il ricorso contro il silenzio e per il ricorso per ottemperanza era sempre quello ordinario di giorni 30.

b) tutti i termini processuali vengono dimezzati, tranne quelli per la notifica del ricorso, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Tra questi, quello per la costituzione del convenuto (30 giorni dal perfezionamento della notifica del ricorso nei propri confronti), quello per il deposito di documenti e memorie in vista dell'udienza (rispettivamente 20 e 10 giorni). Nel regime previgente, i termini processuali erano quelli ordinari.

c) la camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate[29]. In precedenza, invece, era previsto che i ricorsi avverso il silenzio-rifiuto e il diniego di accesso venivano decisi in Camera di Consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, mentre la decisione del ricorso per l’ottemperanza avveniva nella prima Camera di Consiglio utile spirato il termine di venti giorni dalla comunicazione della Segreteria alla P.A. competente dell’avvenuto deposito dello stesso

d)  il provvedimento giurisdizionale che definisce il procedimento consiste sempre in una sentenza in forma semplificata. Nel regime previgente, non era così: le sentenze in materia di tutela del diritto di accesso  non lo erano.

e) il termine lungo per proporre appello é quello ordinario ma dimezzato (oggi sei mesi, ridotti pertanto a tre). Nel regime previgente, i termini di appello erano differenziati. Avverso la sentenza che decideva il ricorso contro il silenzio, il termine era di 120 giorni. Avverso la sentenza che decideva il ricorso in materia di accesso il termine era di 30 giorni. Avverso la sentenza che decideva il ricorso per ottemperanza, e nei casi particolari in cui era ritenuto possibile, il termine era  quello ordinario.

f)  è possibile proporre ricorso incidentale. Nel regime previgente, tale possibilità non era espressamente prevista.

g) è possibile proporre ricorso per motivi aggiunti. Nel regime previgente,in generale, non era consentito, e ciò per la specialità del rito, ritenuta incompatibile con l'esplicazione di una azione annullatoria. In particolare, l'impugnazione per motivi aggiunti era esclusa nel caso del ricorso contro il silenzio; ammessa, nel caso di ricorso per accesso agli atti solo laddove si andava a censurare l'eventuale provvedimento confermativo del silenzio rigetto che fosse sopravvenuto[30].  La nozione di motivi aggiunti introdotta dal Codice appare oggi molto ampia ed elastica, manifestando una notevole versatilità nell'ambito dei riti camerali, al di là del contenuto tipico di esplicazione di un'azione annullatoria. In tal senso, nel caso di ricorso per accesso agli atti, é confermata la proponibilità con ricorso per motivi aggiunti dell'azione avverso il provvedimento di diniego espresso sopravvenuto al diniego implicito; nel caso di ricorso contro il silenzio, é proponibile con ricorso per motivi aggiunti l'azione per l'accertamento della fondatezza della pretesa. Nel caso di ricorso per ottemperanza, è proponibile con ricorso per motivi aggiunti l'azione risarcitoria.

 

6. Le novità in materia di ricorso contro il silenzio

Si segnalano in particolare le seguenti previsioni innovative:

-      nel caso in cui nel corso del giudizio avverso il silenzio sopravvenga il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il provvedimento espresso, e l’intero giudizio prosegue con tale rito. In tale ipotesi è prevista una conversione obbligatoria del rito camerale in rito ordinario, essendo sopravvenuto il provvedimento espresso e incentrandosi il contenzioso su quest’ultimo.

-      se insieme all’azione avverso il silenzio viene proposta l’azione di risarcimento del danno per inosservanza dolosa o colposa del termine per provvedere, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e fissare l’udienza pubblica per la trattazione della domanda risarcitoria.

 

6.1. Alcune questioni problematiche

Secondo alcuni commentatori, una lettura coerente del Codice dovrebbe far sposare la tesi di una sorta di effetto espansivo della disposizione enunciata nell'art. 31 c. 3 del Codice, laddove si é specificata la facoltà per il giudice amministrativo di pronunziarsi sulla fondatezza della pretesa in presenza di determinate condizioni. In tal senso, si é riflettuto sul fatto che se tale facoltà viene riconosciuta nel caso del ricorso contro il silenzio, a maggior ragione dovrebbe trovare applicazione  ai casi di illegittimità del diniego. Il fondamento logico di tale interpretazione si scontra però con la chiara disposizione recata dall'art. 34 comma 2 del Codice, laddove si vieta tassativamente al Giudice di pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. La natura di regola generale di tale disposizione rende dunque il potere attribuito dall'art. 31 c. 3 del Codice inapplicabile al di là della fattispecie del ricorso contro il silenzio.

Altra questione é poi quale sia l'ampiezza di tale potere, e cioè se il Tribunale debba limitarsi ad ordinare alla P.A. l'emissione del provvedimento oppure possa direttamente emettere il provvedimento.

E' stato acutamente notato[31] che l'art. 31 c. 3 del Codice da un lato si avvale di un concetto ampio di discrezionalità, tale da comprendere anche la discrezionalità tecnica; dall'altro nel riferirsi alle situazioni in cui non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità, abbraccia tutte le ipotesi intermedie tra i due poli del provvedimento interamente discrezionale e del provvedimento interamente vincolato.

 

6.2. La possibile dissociazione tra ricorrente e soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento

Il Codice ha confermato la possibilità che il ricorrente non sia identificabile in via esclusiva col soggetto nei cui confronti il provvedimento finale produrrà effetti diretti, e - in particolare - che sia legittimato ad agire un soggetto diverso da quello che ha attivato il procedimento. In tal senso depongono indizi come il riferimento normativo alla non necessità della diffida preventiva, al sorgere dell'interesse ad agire alla scadenza del termine per provvedere, a chi "ha interesse" all'adozione dell'atto. Tanto da circoscrivere la platea dei soggetti legittimati ad agire in tutti coloro che rientrano nelle fattispecie di cui agli art.li 7 e seguenti della L. 241/1990. La possibile non coincidenza tra soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento e soggetto che agisce affinché venga accertata la mancata definizione tempestiva dello stesso comporta il sorgere di alcune questioni.

In primo luogo,  emerge da quanto detto che questa tipologia di ricorso non é funzionale solo alla tutela di un interesse legittimo pretensivo; anche il titolare di un interesse legittimo oppositivo può proporlo.

In secondo luogo, il ricorrente potrebbe non quantificare esattamente la corretta scadenza del termine per la definizione del procedimento. E ciò per la mancata conoscenza della data di inoltro dell'istanza di avvio o della avvenuta sospensione dei termini (ai sensi dell'art. 2 c. 4 o dell'art. 10 bis L. 241/1990). Il che può implicare l'avvio prematuro dell'azione. Soccorrono a questo punto due possibili soluzioni utili alla salvezza del ricorso. Si può considerare l'avvenuta scadenza del termine quale condizione dell'azione e non quale presupposto processuale. Oppure, si può dare applicazione all'istituto della rimessione in termini, ma a condizione che il ricorrente abbia tempestivamente proposto istanza di accesso agli atti e la stessa sia stata illegittimamente rigettata. Riteniamo a tal proposito che il Giudice (in caso di mancata impugnazione del diniego esplicito o implicito) possa sindacare in via incidentale la illegittimità dello stesso nonché la sussistenza del diritto di accesso, al solo fine di valutare la concessione della rimessione. Non senza rilevare che se il soggetto é legittimato all'azione contro il silenzio sarà necessariamente titolare del relativo diritto di accesso agli atti.

 

6.3. I motivi aggiunti

La scelta di impugnare per motivi aggiunti l'eventuale provvedimento negativo che dovesse sopravvenire a conclusione (tardiva) del procedimento appare libera e non necessitata; e ciò sotto il duplice profilo della non ostatività della mancata impugnazione rispetto all'applicazione da parte del Giudice (nel ricorso contro il silenzio) del principio di soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese e dell'eventuale accoglimento della domanda risarcitoria; e della possibilità di proporre detta impugnazione con separato ricorso giurisdizionale o in sede di ricorso straordinario. Si tratta dunque di una opzione differente rispetto alla regola di necessaria concentrazione fissata dall'art. 43 c. 3 del Codice per il ricorso per motivi aggiunti da proporre nei riti ordinari.

 

6.4. La natura degli atti di elusione o violazione della sentenza.

Una questione non risolta é quella della natura degli atti che costituiscono elusione o violazione della sentenza. Si devono qui distinguere le due ipotesi:

a) nel caso di sentenza che si limiti ad accertare l'obbligo di concludere il procedimento, rientra in tale tipologia l'emanazione di atti finalizzati a definire il procedimento in modo non tipico. Non sono da considerare invece elusivi i comportamenti di persistente inerzia nonché l'emanazione di un  provvedimento svantaggioso per il ricorrente ma idoneo a definire tipicamente il procedimento

b) nel caso di sentenza che accerti la fondatezza della pretesa e ordini alla pubblica amministrazione  l'emissione del provvedimento, rientra in tale tipologia l'emanazione di un atto in contrasto con la statuizione.

Non si comprende in tal senso se tali atti vadano qualificati come annullabili o nulli e quale sia dunque il relativo potere del giudice. In un'ottica di valorizzazione del principio di concentrazione, la soluzione della nullità risulta preferibile, in quanto sembra più coerente con il principio del mantenimento all'interno dello stesso procedimento giudiziale della soluzione di tutti gli incidenti di percorso[32].

 

7. Le novità in materia di ricorso contro il diniego di accesso agli atti

Le novità relative al ricorso contro il diniego di accesso agli atti sono le seguenti:

- viene espressamente disciplinata l'esigenza di notifica al controinteressato e l'ipotesi della integrazione del contraddittorio, in relazione agli eventuali controinteressati pretermessi

- viene prevista l'esigenza di notifica al controinteressato anche per il ricorso endoprocessuale

- si consente alla pubblica amministrazione di essere rappresentata da un proprio dipendente, anche non di qualifica dirigenziale

- la sentenza va resa in forma semplificata

Il Codice (diversamente dal ricorso per ottemperanza e dal ricorso contro il silenzio) non prevede invece espressamente che il Giudice adito per la tutela del diritto di accesso conosca di tutte le questioni relative alla esecuzione della sentenza. Il che però appare un falso problema, dato che comunque il ricorrente insoddisfatto potrà utilizzare il rimedio dell'ottemperanza.

Per quanto riguarda invece il procedimento incidentale di accesso, le differenze rispetto al regime previgente consistono nel fatto che l'istanza non è più rivolta al Presidente e che é decisa con ordinanza (non più "istruttoria") o direttamente con la sentenza che definisce il giudizio. Non viene più previsto l'utilizzo della camera di consiglio.

 

8. Le novità in materia di ricorso per ottemperanza

Le novità in materia di ricorso per ottemperanza sono le seguenti:

-      l’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione dei lodi arbitrali divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato (art. 112 del Codice);

- il ricorso va necessariamente notificato (e non più solo depositato) e si é eliminata l'esigenza di preventiva notifica della diffida e messa in mora[33]

-  la formula esecutiva non é più necessaria se si opta per la attuazione della sentenza tramite il ricorso per ottemperanza[34]   

- può essere proposta azione di condanna per il pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato; in sede di ottemperanza, è possibile inoltre proporre le connesse domande per il risarcimento del danno derivante dalla illegittimità del provvedimento;

-    l’azione di ottemperanza può essere proposta, da parte della medesima amministrazione, anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza (art. 112 del Codice);

- viene riprodotto l’art. 614-bis, comma 1, c.p.c, come modificato dalla L. 69/2009, che prevede che, su richiesta di parte, il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e non sussistano altre ragioni ostative, fissi la somma di denaro dovuta dall’amministrazione per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo

- viene definito come “ausiliario del giudice” il commissario ad acta, superando il contrasto giurisprudenziale in merito alla sua natura[35]

- non é più possibile la trattazione in udienza pubblica, a seguito di domanda di parte

- la sentenza diviene appellabile, senza la specificazione dei tradizionali limiti.

 

9. Il controinteressato

Il Codice per la prima volta enuncia la necessità che il ricorso in materia di accesso agli atti e contro il silenzio sia notificato al controinteressato.

La disposizione relativa al ricorso contro il silenzio però si presta a molte difficoltà applicative. Premettiamo che sono almeno due le fattispecie in cui sorge il dovere di evocazione del controinteressato.

La prima é quella generale relativa ai ricorsi di tipo fondamentalmente annullatorio; il criterio di identificazione é quello classico, consistente nel dato formale e in quello sostanziale (oltre che in quello cronologico, della sussistenza delle due condizioni al momento della proposizione del ricorso).

La seconda é quella introdotta dalla normativa sulla tutela del diritto di accesso agli atti. Le condizioni per la identificazione sono due: la individuabilità a partire dal documento di cui si chiede l'esibizione, la titolarità del diritto alla riservatezza. La differenza rispetto alla prima consiste nel fatto che il controinteressato é titolare di un diritto contrapposto a quello di accesso, e può anche non essere portatore di una posizione uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente (potrebbe addirittura essere un cointeressato, rispetto agli interessi in gioco).

 

9.1. L'identificazione del controinteressato nel ricorso contro il silenzio

In materia di ricorso contro il silenzio, nel regime previgente sono rare le pronunce che affrontano la questione[36] . Il problema é quello di verificare quale set di condizioni debba utilizzare l'interprete per identificare l'eventuale controinteressato da evocare nel caso di ricorso contro il silenzio. Il problema infatti é che in questo caso non sussiste alcun provvedimento da impugnare; il che rende inutilizzabile il criterio formale. L'emersione del controinteressato sostanziale peraltro può avvenire solo in due circostanze: nel caso in cui l'interessato abbia esplicato un accesso agli atti e nel caso in cui sia stato emesso un provvedimento interlocutorio che non abbia però definito in modo tipico il procedimento. E non senza rilevare che la mancanza dell'elemento formale (secondo la giurisprudenza precedente al Codice) non faceva sorgere il dovere di evocazione in giudizio. Al di fuori di queste ipotesi (ed esclusa la fattispecie della richiesta di un provvedimento in autotutela, che notoriamente non legittima la successiva proposizione del ricorso) l'unico punto di partenza per la identificazione del controinteressato rimane la stessa istanza di avvio del procedimento, inoltrata dall'interessato; questi infatti potrebbe avere direttamente richiamato (nel contesto delle proprie richieste, in genere legate alla soddisfazione di un interesse legittimo pretensivo) la posizione di un terzo soggetto che rispetto alla concessione del provvedimento invocato potrebbe avere interesse uguale e contrario. Il problema però é che una tale indicazione potrebbe non essere sufficiente; e ciò perché la valutazione compiuta dall'istante potrebbe essere errata o non condivisa dalla Pubblica Amministrazione o frutto di informazioni incomplete. Né la esistenza o meno del controinteressato può dipendere dalla formulazione (soggettiva) della istanza di avvio del procedimento. Non rimane dunque che concludere nel senso che la disposizione normativa faccia riferimento solo alle due ipotesi citate (avvenuto accesso agli atti del procedimento - avvenuta emissione di un provvedimento interlocutorio); uniche fattispecie in cui appare possibile configurare in modo certo la sussistenza del controinteressato. Da un lato siamo dunque in presenza di una nozione sui generis di controinteressato; dall'altro appare perfettamente possibile che quest'ultimo emerga processualmente in una fase successiva a quella iniziale (per esempio, nel caso di emissione sopravvenuta di provvedimento): il che implica l'esigenza che nel ricorso per motivi aggiunti lo stesso vada necessariamente evocato.

La soluzione é allora intraprocessuale: l'unico modo certo di verificare se un controinteressato sussista risiede nella valutazione del materiale istruttorio compiuta dal Giudice, il quale prima di assumere la causa in decisione dovrà verificare l'eventuale sussistenza di un terzo che potrebbe essere pregiudicato dalla decisione di esercizio della facoltà ex art.31 c. 3 del Codice.  Si tratterebbe dunque di una ipotesi di intervento ordinato dal Giudice ex art. 49 del Codice, il cui adempimento garantirebbe il pieno rispetto del contraddittorio e la salvezza della sentenza dalla impugnazione ad opera del terzo pretermesso. Non ci sembra che tale situazione sia assimilabile a quella del c.d. controinteressato successivo, il quale - come é noto - é un soggetto che acquisisce tale ruolo dopo l'avvio del giudizio; nella fattispecie che stiamo esaminando tale soggetto era infatti già controinteressato sostanziale al momento della proposizione del ricorso, ma tale qualità viene conosciuta in una fase successiva (per esempio, a seguito delle difese esplicate dalla P.A. convenuta).

Diversamente, nel caso in cui non dovessero sussistere le condizioni per la applicazione della facoltà ex art. 31 c. 3 del Codice,  l'eventuale controinteressato non sarebbe minimamente inficiato da una eventuale sentenza di accoglimento statuente il dovere di provvedere, e ciò in quanto avrebbe garantito il proprio spazio di partecipazione all'interno del successivo segmento procedimentale, propedeutico alla emanazione del provvedimento finale, senza dunque che venga pregiudicata (in senso allo stesso sfavorevole) la decisione finale della Pubblica amministrazione[37]. E' anche vero però che l'art. 117 del Codice sembra abbastanza perentorio nel richiedere l'evocazione del controinteressato, e dunque indipendentemente dalla prospettazione o meno della domanda ex art. 31 c. 3 del Codice.

 

9.1.1. L'ipotesi in cui il ricorrente sia diverso dal soggetto che ha chiesto l'avvio del procedimento

L'unica ipotesi infine in cui invece l'eventuale controinteressato emerge con chiarezza sin dall'inizio del processo é quella in cui il soggetto che agisce non corrisponde a quello che ha avviato il procedimento; é il caso in cui cioè colui "che ha interesse" é un terzo che intende sollecitare la P.A. a definire il procedimento, affinché venga emesso un provvedimento di segno negativo per colui che ha chiesto l'avvio del procedimento. Possiamo fare qui l'esempio di un soggetto che ha richiesto il rilascio di una concessione in sanatoria per un immobile rispetto al quale il confinante é intervenuto nel procedimento e ha fatto valere ragioni ostative; a fronte della inerzia del Comune costui agisce per costringere l'Ente a definire subito il procedimento, confidando nel rigetto dell'istanza. Questo terzo peraltro può anche avere già esplicato un intervento nel procedimento; in tale ipotesi esso é divenuto controinteressato procedimentale. Nelle fattispecie pertanto in cui si verifica una scissione tra soggetto che ha presentato l'istanza di avvio del procedimento e soggetto portatore di un interesse contrario che propone il ricorso, non può sussistere alcun dubbio sulla esistenza del controinteressato e sulla necessità di evocazione tempestiva dello stesso (salvo rimanendo il carattere speciale di tale nozione, dato che continua a non sussistere il c.d. elemento formale nel senso classico del termine).

 

9.1.2. Il termine di evocazione del controinteressato

Sempre in materia di controinteressati, altra specialità del ricorso ex art. 117 del Codice deriva dalla ampiezza cronologica del termine per agire: un anno dalla scadenza del termine per provvedere. La questione che si pone é quella di valutare le conseguenze della mancata evocazione in giudizio del controinteressato al momento della notifica del ricorso. L'art. 117 del Codice impone la notifica contestuale del ricorso ad almeno un controinteressato a pena di inammissibilità, ma "nel termine di cui all'art. 31 comma 2".  La disposizione va letta pertanto secondo l'applicazione giurisprudenziale che aveva già chiarito come l'elemento essenziale per evitare la inammissibilità non fosse la notifica contestuale al controinteressato, ma che questo venisse evocato entro il termine di decadenza per la notifica della impugnazione. Il che implica la possibilità di integrare la notifica del ricorso al controinteressato pretermesso fino a che non sia scaduto detto termine. L'applicazione di questo principio comporta - nel caso del ricorso contro il silenzio - la possibilità di integrare il contraddittorio sino alla scadenza del termine di impugnazione, che nel caso in questione é di un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. La particolarità dunque del ricorso é quella per cui l'omessa evocazione del controinteressato potrà essere agevolmente sanata, anche dietro ordine del giudice, fino alla scadenza del termine annuale, mantenendo così la ammissibilità dell'azione.

 

9.2. L'identificazione del controinteressato nel ricorso per accesso agli atti

Nel regime previgente, la normativa processuale non contemplava espressamente il controinteressato, ma la sua esistenza si fondava sull'art. 22 L. 241/1990, che lo individua nel soggetto, individuato o facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbe compromesso il proprio diritto alla riservatezza. Su tale base, era agevole desumere la necessità della sua evocazione in giudizio, e all'attribuzione allo stesso della possibilità di proporre ricorso incidentale.

La situazione non é dunque sostanzialmente cambiata, rinvenendosi l'unica differenza nella esplicitazione normativa della esigenza di evocazione del controinteressato e nella attribuzione espressa della possibilità di avvalersi del ricorso incidentale.

C'é da dire semmai che il Codice, nel momento in cui stabilisce l'onere di notifica al controinteressato, non restringe la sua identificazione al solo soggetto titolare dell'interesse alla riservatezza di cui al citato art. 22. Si pone dunque la questione se possano sussistere soggetti che potrebbero avere interesse ad opporsi all'accesso per ragioni diverse dalla mera tutela della riservatezza; la risposta sembra però essere negativa.

 

9.3. L'identificazione del controinteressato nel ricorso per ottemperanza

In materia di ricorso per ottemperanza, il controinteressato é tale propriamente non rispetto al ricorso per ottemperanza ma rispetto al ricorso originario; non può che trattarsi dunque del medesimo soggetto che era stato evocato all'inizio del giudizio di cognizione.  La successiva venuta in essere di un giudicato (in ipotesi, favorevole al ricorrente) ha certamente ridotto di molto l'effettivo interesse a contraddire nella fase di esecuzione dello stesso e ha lasciato allo stesso ristretti margini di intervento, se non quelli relativi alla verifica che il Giudice dell'ottemperanza attui puntualmente il Giudicato.

 

10. Il ricorso incidentale

La possibilità di esperire il ricorso incidentale nell'ambito dei riti camerali si carica di un forte valore innovativo, che non ci sarebbe di fatto stato se lo strumento processuale fosse rimasto nell'unica disponibilità del controinteressato. Ma - in virtù dell'art. 42 del Codice - così non é più: oggi anche la pubblica amministrazione convenuta è pienamente legittimata a proporre ricorso incidentale.

Si pone dunque la domanda di quale possa essere - in generale, prima che in particolare - il suo oggetto, e ciò soprattutto tenuto conto che nel catalogo delle azioni esperibili con riti camerali non rientrano quelle di tipo annullatorio[38], per le quali il legislatore prevede sempre a pena di nullità la udienza pubblica; presupponendo pertanto la necessità - di norma[39] - che tali azioni godano di spazi e tempi processuali più ampi.

 

10.1. L'utilizzo del ricorso incidentale da parte della P.A. resistente

Ci sembra di dovere escludere che l'Ente pubblico possa esperire una impugnazione di legittimità avverso atti dallo stesso emanati, al fine di paralizzare l'azione avversaria. In linea di massima, é insostenibile logicamente la possibilità di chiedere al Giudice l'annullamento di provvedimenti che basterebbe ritirare in autotutela[40]. Eppure, scartata tale ipotesi, non si comprende facilmente in che cosa un ricorso incidentale possa essere più utile (per la difesa dell'ente) rispetto alla prospettazione della corrispondente eccezione. Tranne una fattispecie: la proposizione di una impugnazione avverso un provvedimento emesso da altra autorità ed esplicante una efficacia vincolante sull'attività dell'Ente. Per esempio, un regolamento regionale o ministeriale. In tal modo, l'Ente può rendere conforme a legge il proprio atto rimuovendo la difformità con il provvedimento superiore che lo aveva reso illegittimo nella prospettazione del ricorrente principale. In tale eventualità, il ricorso incidentale non viene diretto contro il ricorrente principale: ci si  limita a chiedere al giudice l'annullamento di quella parte del provvedimento superiore che il ricorrente principale aveva utilizzato quale parametro di valutazione della legittimità dell'atto impugnato. In tal modo (ed in caso di esito positivo) si rimuove tale parametro e il ricorso principale rimane privo di fondamento.

La domanda da porsi é allora se il Codice non abbia inteso trasformare il ricorso incidentale in sinonimo di azione riconvenzionale, introducendo quest'ultima in via generalizzata nel processo.

 

10.2. L'utilizzo del ricorso incidentale da parte del controinteressato

Per quanto riguarda invece la posizione del controinteressato,  occorre distinguere le tre fattispecie più importanti in relazione al possibile oggetto del ricorso incidentale.

 

10.2.1. Nell'ambito del ricorso contro il silenzio

L'unica possibile utilità nell'utilizzo del ricorso incidentale si verifica allorquando il ricorrente principale chiede anche l'emissione di una sentenza che accerti la fondatezza della pretesa. In questo caso, il controinteressato potrà far valere ragioni ostative per l'accoglimento della domanda e/o esplicare impugnazione avverso gli atti amministrativi presupposti sui quali l'avversario fonda la sua pretesa. Rimane da superare il problema della compatibilità di una azione annullatoria con il rito camerale; se si rimane però ancorati all'idea che il ricorso incidentale manifesti sostanzialmente la medesima efficacia della eccezione, e che l'unico scopo dello stesso é quello di paralizzare la domanda avversaria, senza in realtà mutare l'oggetto del processo, la compatibilità appare possibile.

 

10.2.2. Nell'ambito del ricorso contro il diniego di accesso agli atti

Il controinteressato può censurare il provvedimento amministrativo regolamentare violato dall'Ente ma a sua volta illegittimo perché introducente una facoltà di accesso in realtà non consentita dalla legge ed in violazione del proprio diritto alla riservatezza. Trattandosi di una fattispecie di Giurisdizione esclusiva nella quale si discute della tutela di diritti soggettivi, non esiste alcuna preclusione per la formulazione (in via di ricorso incidentale) di una domanda di disapplicazione del provvedimento amministrativo. Si può ancora ipotizzare che il controinteressato esplichi il ricorso incidentale per impugnare il provvedimento di accoglimento dell'istanza di accesso, nel caso in cui detto provvedimento non sia stato attuato e il richiedente abbia proposto per tale ragione ricorso[41].

 

10.2.3. Nell'ambito del ricorso per ottemperanza

L'istituto del ricorso incidentale appare di difficile collocazione nell'ambito del ricorso per ottemperanza, non evidenziandosi una effettiva utilità dell'utilizzo da parte dell'eventuale controinteressato. E ciò a fronte della avvenuta cristallizzazione delle posizioni delle parti nell'ambito del giudicato.

 

 

                                                                                  Avv. Vittorio Fiasconaro

 

 



[1]    Senza considerare le numerose leggi delega per il recepimento delle direttive comunitarie, nelle quali si fissa il criterio dell’adeguamento alla (sola) giurisprudenza della Corte di Giustizia.

[2]    rispettare i princìpi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale

[3]    “ridefinire i criteri di conferimento, mutamento o revoca degli incarichi dirigenziali, adeguando la relativa disciplina ai principi di trasparenza e pubblicità ed ai principi desumibili anche dalla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori”

[4]    circoscrivere il recepimento alle disposizioni elencate nel presente articolo e comunque a quanto necessario per rendere il quadro normativo vigente in tema di tutela giurisdizionale conforme alle direttive 89/ 665/CEE e 92/13/CEE, come modificate dalla direttiva 2007/66/CE, previa verifica della coerenza con tali direttive degli istituti processuali già vigenti e già adeguati, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria e nazionale”

[5]    Consiglio di Stato Sezione 5 -  25 febbraio 2009, n. 1116

[6]    Consiglio di Stato Sezione 4 - 15 gennaio 2009, n. 177

[7]    Consiglio di Stato Sezione 6 - 16 dicembre 2008, n. 6234

[8]    Consiglio di Stato Sezione 4 - 12 maggio 2008, n. 2159

[9]    ibidem

[10]  Consiglio di Stato Sezione 5 - 25 febbraio 2009, n. 1116

[11]  C.S. 1497/2008, Consiglio di Stato Sezione 4 - 20 luglio 2005, n. 3911

[12]  Cons. St., sez. V, 4 marzo 2008 n. 897. In questi casi la giurisprudenza riteneva che sussistesse una preclusione non per la trattazione congiunta delle domande, ma per la inidoneità del rito speciale a consentire l’esame della domanda di tipo annullatorio.

[13]  Cons. St. Sez. IV, n. 5310 del 2007

[14]  Cons. St. 1873/2008

[15]  Consiglio di Stato Sezione 4  -  9 agosto 2005, n. 4231; ma già nello stesso senso Consiglio di Stato Sezione 5 - 6 dicembre 1999, n. 2045

[16]  Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 593;  Cons. St. 737/2009. Anche se continuano ad esistere pronunce che qualificano  interesse legittimo la posizione giuridica soggettiva cui si correla il c.d. diritto d'accesso (C.S. 741/2009)

[17]  Cons. St., sez. V, 25 agosto 2008 n. 4033

[18]  Cons. St., sez. V, 20 maggio 2008 n. 2384

[19]  Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5840

[20]  Cons. Stato, Ad. Plen., 20 aprile 2006 n. 7

[21]  Consiglio di Stato Sezione 5 -  12 ottobre 2009, n. 6241

[22]  Consiglio di Stato Sezione 5 -  21 agosto 2009, n. 5013

[23]  Consiglio di Stato Sezione 5  23 novembre 2010, n. 8142

[24]  Consiglio di Stato Sezione 6 -  9 febbraio 2010, n. 633. Ivi é però chiarito che la controversia fra l'Amministrazione e l'amministrato debba trovare a un certo punto una soluzione definitiva, e dunque occorre impedire che l'Amministrazione proceda più volte all'emanazione di nuovi atti, in tutto conformi alle statuizioni del giudicato, ma egualmente sfavorevoli al ricorrente, in quanto fondati su aspetti sempre nuovi del rapporto, non toccati dal giudicato: il punto di equilibrio va determinato imponendo all'Amministrazione - dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo - di esaminare l'affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati.

[25]  Consiglio di Stato Sezione 4 - 13 gennaio 2010, n. 70

[26]  laddove invece la questione non si pone é a fronte dei contrasti giurisprudenziali che il legislatore delegato non ha inteso risolvere. Essi rimarranno tali e quali, pur dopo l'emanazione del Codice.

[27]  con attribuzione al giudice della valutazione concreta della relativa opportunità, in relazione alla complessità della istruttoria necessaria per l'esame della domanda risarcitoria

[28]  Consiglio di Stato 4860/2007.

[29]  A tal proposito, dobbiamo rilevare che molti commentatori fanno decorrere detto termine dalla scadenza del sessantesimo giorno dal termine per il deposito del ricorso. In realtà, in virtù della regola generale del dimezzamento nei riti camerali, il convenuto dovrà costituirsi entro giorni 30 dallo scadenza del termine di deposito del ricorso.

[30]  Consiglio di Stato Sezione 5 -  17 settembre 2010, n. 6953

[31]  Caringella – Protto Codice del nuovo processo amministrativo, Dike Giuridica,  pag. 384

[32]  La soluzione della natura del vizio invalidante non é però semplice. Se da un lato si può argomentare che i casi di nullità sono tassativi alla luce della riforma del 2005, dall'altro la natura di atti annullabili contrasta in effetti con l'applicazione dell'art. 117 c. 4 del Codice. Vedasi in tal senso Caringella - Protto, citato, pag. 1059.

[33]  Secondo quanto esposto nella relazione allegata allo schema di decreto delegato, l’introduzione dell’obbligo di notificare il ricorso ha reso non più necessario l’adempimento della previa diffida e messa in mora, che rimane come facoltà rimessa alla scelta della parte.

[34]  tale disposizione deve fare riflettere, perché costituisce un argomento a favore della inapplicabilità al giudizio di ottemperanza del termine dilatorio introdotto dall'art. 14 c. 1 D.L. 669/1996. Infatti tale disposizione presuppone necessariamente l'avvenuta notifica del titolo in forma esecutiva. La giurisprudenza era divisa sul punto, con prevalenza della tesi sulla applicabilità ma recentemente la Corte di Cassazione ha comunque optato per la inapplicabilità: Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile Sentenza del 24 settembre 2010, n. 20202

[35]  secondo la tesi maggioritaria, il commissario era un organo ausiliario del giudice; secondo altra tesi, era invece qualificabile come organo straordinario dell’amministrazione; secondo una teoria mediana, aveva natura di volta in volta diversa in relazione alla ampiezza del comando giurisdizionale da attuare. Ne conseguiva un diverso regime di impugnazione dei relativi atti: secondo la prima interpretazione, essi erano impugnabili con reclamo al giudice dell’ottemperanza; secondo la seconda interpretazione, invece, seguendo la stessa sorte dei provvedimenti emanati dall’amministrazione, erano impugnabili secondo la procedura ordinaria. Secondo la terza teoria, occorreva valutare caso per caso l'ampiezza del potere esercitato.

[36]  tra queste, possiamo segnalare Tar Lazio-Roma, sez. III-quater, 5 febbraio 2008 n. 959 secondo la quale i controinteressati  coincidono con i soggetti che riceverebbero un pregiudizio dalla pronuncia invocata.

[37]  per tale ragione, nel regime previgente, la giurisprudenza aveva distinto i ricorsi nei quali si chiedeva il solo accertamento dell'obbligo di concludere il procedimento (per i quali non era ritenuta necessaria l'evocazione del controinteressato) dai ricorsi nei quali si chiedeva l'accertamento sulla fondatezza della pretesa (per i quali invece era ritenuta necessaria l'evocazione). Vedasi in tal senso, Cons. Stato 4231/2005 e Tar Campania - Napoli 1947/2009.

[38]  e ciò vale anche nel caso del ricorso contro il diniego di accesso agli atti, nel quale la domanda principale non é la richiesta di annullamento del silenzio rigetto o del provvedimento negativo, ma l'accertamento del diritto in capo al ricorrente.

[39]  tranne il caso della definizione del giudizio con sentenza semplificata in esito all'udienza cautelare,  per la quale però le condizioni applicative sono tali da non bisognare del rito meno sommario dell'udienza pubblica.

[40]  la questione é in realtà più complessa di come appare. Dopo l'introduzione dell'art. 21 nonies L. 241/1990, la Pubblica Amministrazione può annullare d'ufficio un provvedimento solo se non é decorso un termine "ragionevole"; ci sono dunque dei casi in cui il superamento di tale limite cronologico impedisce l'esercizio del potere di autotutela.

[41]  è comunque salva la possibilità per il controinteressato di impugnare direttamente con ricorso di tipo annullatorio il provvedimento di accoglimento dell'istanza di accesso. In questo caso, non potrà essere utilizzato il rito camerale, ma quello ordinario, con tutti i problemi legati alla difficoltà di ottenere una tutela effettiva (in ordine per esempio all'efficacia della tutela cautelare).