Adunanza
Plenaria n. 3 del 2011.
Il giudice
amministrativo nella modernità
di
Gianluigi
Pellegrino
avvocato
pubblicato sul sito il 30 marzo
2011
Sommario: 1.
Il completamento del codice. 2. L’interesse legittimo e la pienezza della
tutela. 3. Non la pregiudizialità ma la leale collaborazione e il divieto di
abuso del diritto come argini a scelte opportunistiche. 4. La realizzazione del
ruolo costituzionale del G.A. 5. Conclusioni. Più forti nella
modernità.
1.
Il completamento del codice.
Una
decisione, quella della Plenaria, di grande equilibrio ed insieme di illuminata
modernità. Correndo il consapevole rischio di qualche enfasi, diremmo
l’architrave del ruolo del giudice amministrativo in questi nostri giorni
conflittuali e sbandati.
A
Varenna (settembre 2010, con il coordinamento
scientifico del pres. Coraggio),
dopo aver sottolineato sia i motivi
di speranza che le molte timidezze leggibili nel nuovo codice, avevamo auspicato
che fosse ancora una volta la forza pretoria del
giudice amministrativo a prendere
per mano il cpa per fargli percorrere la strada lungo
la quale era rimasto un po’ azzoppato. (Sia consentito richiamare oltre alla
relazione di chi scrive quelle di L. Torchia, M. Lipari, e le conclusioni del pres. De Roberto).
Come grani di un possibile rosario, segnalavamo le
singole norme che proprio perché in qualche modo “defilate” erano sopravvissute
ai diversi interventi di riscrittura,
potendo costituire per l’attento interprete i punti di appoggio utili
affinchè il
giudice amministrativo dalle alte spalle della sua tradizione guardasse
ancora in avanti, senza paure né
tentennamenti.
Ed
è questo che con illuminata sintesi di modernità ed equilibrio sembra a chi
scrive che abbia fatto
2.
L’interesse legittimo e la pienezza della
tutela.
Sulla stretta connessione tra le ragioni che già prima
del codice imponevano di abbracciare una sicura autonomia della tutela
risarcitoria della lesione dell’interesse legittimo, da un lato, e, dall’altro,
la realizzazione del disegno costituzionale del ruolo del g.a. (si vedano le note e ribadite riflessioni di A. Pajno; infra
sub. 4) quale giudice a tutto tondo del legittimo esercizio della funzione pubblica, basti riportare i
seguenti passi della decisione
della Plenaria, che qualsiasi commento rischierebbe solo di rendere meno chiari:
“3.1. Il riconoscimento dell’autonomia,
in punto di rito, della tutela risarcitoria si inserisce - in attuazione dei
principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della
tutela giurisdizionale richiamati dall’art. 1 del codice oltre che dei criteri
di delega fissati dall’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - in un ordito
normativo che, portando a compimento un lungo e costante processo evolutivo
tracciato dal legislatore e dalla giurisprudenza, amplia le tecniche di tutela
dell’interesse legittimo mediante l’introduzione del principio della pluralità
delle azioni. Si sono, infatti, aggiunte alla tutela di annullamento la tutela
di condanna (risarcitoria e reintegratoria ex art.
30), la tutela dichiarativa (cfr. l’azione di nullità del provvedimento
amministrativo ex art. 31, comma 4) e, nel rito in materia di
silenzio-inadempimento, l’azione di condanna pubblicistica (cd. azione di esatto adempimento)
all’adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi consentiti,
della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, commi da 1 a
3).
Deve, inoltre,
rilevarsi che il legislatore, sia pure
in maniera non esplicita, ha ritenuto esperibile, anche in presenza di un
provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di
profili di discrezionalità amministrativa e tecnica, l’azione di condanna volta
ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto. Ciò è desumibile dal
combinato disposto dell’art. 30, comma 1, che fa riferimento all’azione di
condanna senza una tipizzazione dei relativi contenuti (sull’atipicità di detta
azione si sofferma la relazione governativa di accompagnamento al codice) e
dell’art. 34, comma 1, lett. c), ove si stabilisce che la sentenza di condanna
deve prescrivere l’adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva
dedotta in giudizio (cfr., già con riguardo al quadro normativo anteriore, Cons.
Stato, sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; 9 febbraio
2009, n. 717). In definitiva, il disegno
codicistico, in coerenza con il criterio di delega fissato dall’art.
44, comma 2, lettera b, n. 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la
tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello
impugnatorio, ammettendo l’esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce
dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della
parte vittoriosa.
Di qui, la
trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l’ostacolo
dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica
amministrazione, da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la
legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza
del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal
medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale
azionata.
Alla stregua
di tale dilatazione delle tecniche di protezione, viene confermata e potenziata
la dimensione sostanziale dell’ interesse legittimo in una con la centralità che
il bene della vita assume nella struttura di detta situazione soggettiva.
Come osservato
dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 500/1999, l’interesse legittimo non
rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di
legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si
risolve in un mero interesse alla legittimità dell’azione amministrativa in sé
intesa, ma si rivela posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo
intimo e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della
vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda
che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può concretizzare un
pregiudizio…. Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo,
l'interesse effettivo che l'ordinamento intende proteggere è quindi sempre
l'interesse ad un bene della vita che l’ordinamento, sulla base di scelte
costituzionalmente orientate confluite nel disegno codicistico, protegge con tecniche di tutela e forme di
protezione non più limitate alla demolizione del provvedimento ma miranti, ove
possibile, alla soddisfazione completa
della pretesa sostanziale”.
Ed
ecco spazzate via le mille paure e le troppe timidezze che avevano accompagnato
la nascita del codice. Eliminare la norma che disciplinava e metteva a sistema
le azioni dichiarative, era vano e soltanto dannoso in quanto si eliminava una
norma che regolamentava lo strumento
non già l’esistenza di forme di tutela ormai acquisite dall’ordinamento; analogo
discorso può almeno in parte replicarsi per l’azione di adempimento come pure
evidenziato dalla Plenaria.
La
definitiva affrancazione dell’interesse legittimo da posizione di mera
legittimazione processuale a dignità autentica di posizione sostanziale, grazie
proprio alla capacità pretoria del giudice amministrativo non poteva che portare
con sé la dotazione di un intero armamentario di tutela, adeguato alla
peculiarità dell’interesse ma non dissimile da quello tradizionalmente posto
a servizio del diritto soggettivo,
rispetto al quale l’interesse è sì distinto, ma non meno degno di una tutela piena e completa.
A
bene vedere la sfida recata dai nuovi mezzi di tutela doveva costituire per il
GA null’altro che la fisiologica evoluzione delle conquiste che esso giudice
amministrativo per primo aveva
contribuito ad acquisire. Da qui la
sostanziale incomprensibilità delle troppe timidezze registrate su questo
terreno.
Peraltro
tali ubbie si manifestavano più sul versante del riconoscimento teorico, che su
quello dell’applicazione pratica dove la forza dei casi concreti e la necessità
di erogare giustizia spingono lo stesso GA ad un illuminato uso di ogni utile
strumento.
Ma
era il fronte della pregiudiziale di annullamento il terreno dove le timidezze
di inquadramento teorico continuavano, in un certo filone giurisprudenziale, ad
avere agio sulla tradizionale
vocazione del GA ad erogare una giustizia effettiva e sostanziale (per brevità
può rinviarsi a G. Pellegrino “Pregiudiziale: il GA non abbia paura”,
giustamm.it giugno 2007).
Non
a caso quindi la soluzione dello specifico tema ha richiesto alla Plenaria un
inquadramento più complessivo del ruolo e dei poteri del giudice amministrativo
per superare in tal modo le non condivise conclusioni cui si era giunti con la
nota AP n. 12/07 (per le immediate critiche che quella decisione provocò in
punto di pregiudiziale cfr. de Lise in “Le nuove frontiere del giudice
amministrativo” – Lecce 2007; Clarich “Conflitto con
Se
l’interesse legittimo è una posizione giuridica sostanziale e se è assistito sia
dalla tutela annullatoria che da quella risarcitoria,
non vi è alcuna ragione – e non vi era nemmeno prima del codice - di ritenere
che la seconda sia (persino in rito) subordinata alla prima. E ciò anche in
coerenza con principi di diritto comunitario ampiamente citati dalla Plenaria e
principi generali del nostro ordinamento.
Sul
punto quindi
Il
che conduce
Deve infatti ritenersi – afferma
Peraltro sorprendeva come potesse sfuggire quanto odioso
fosse per la giustizia amministrativa validare la sensazione che determinati
ambiti di tutela erano più pieni quando il giudice della giurisdizione li
riteneva di competenza
In
realtà anche a voler vedere nell’indirizzo assunto dalle Sezioni Unite una sfida
al giudice amministrativo, appariva evidente come la stessa andasse raccolta,
affrontata e governata, giammai (un po’ ciecamente) rifiutata. E ciò per la intuibile ragione che presto o
tardi l’ordinamento non avrebbe tollerato un sostanziale rifiuto di tutela
3.
Non la pregiudizialità ma la leale collaborazione e il
divieto di abuso del diritto come argini a scelte
opportunistiche.
In
questi anni di acceso dibattito, la teorica della pregiudiziale cercava di far
leva sulla suggestiva argomentazione, che l’autonomia della tutela risarcitoria
fosse idonea ad aprire lo spazio a comportamenti opportunistici in danno delle
pubbliche finanze.
Avevamo provato
a segnalare come si trattasse di un’argomentazione nobile nella parte in
cui esigeva che si evitassero comportamenti sleali (il che vale in generale tra
le parti e non solo quando una parte è pubblica); e tale argomento ci appariva
utilizzato ad usbergo di un assioma sostanzialmente ideologico o comunque
motivato da altre e differenti esigenze. Ed infatti come le stesse Sezioni Unite
avevano sin dall’inizio indicato, l’esame del singolo caso concreto era idoneo a
consentire di valutare l’omessa attivazione dello specifico strumento di tutela
annullatorio
come rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 1227
cc.
Sicchè in
presenza di principi e strumenti già tipici del diritto comune, atti a
paralizzare comportamenti opportunistici, la rivendicazione della pregiudiziale
di annullamento ci appariva francamente strumentale. Ed anzi inidonea allo scopo
apparentemente dichiarato, atteso che come noto è ben possibile formalmente
proporre un’azione di annullamento ma poi non sollecitarne la definizione
affidandosi agli ordinari tempi lunghi e così attendendo che l’atto produca
irreversibili effetti, formulando all’esito la domanda risarcitoria. Ed allora
non era dato comprendere per quale ragione un siffatto comportamento dovesse
ritenersi più leale di quello del danneggiato da un provvedimento illegittimo
che immediatamente e motivatamente solleciti
Per
questo tra le varie versioni della norma ora inserita nell’art. 30 del codice,
avevamo preferito quella infine approvata che fa riferimento a tutti gli
strumenti di tutela e non soltanto alla impugnazione giurisdizionale, come era
nello schema di decreto legislativo in un primo tempo approvato dal
Governo.
Certo la norma se guardata non con le lenti positive
dell’equilibrio e del buon senso, ma con quelle necessariamente deformate
dall’acceso confronto che l’aveva preceduta, rischiava di prestarsi ad una
lettura che l’avrebbe resa sostanzialmente irrazionale, ove si fosse ritenuto in
una logica di assoluto automatismo che la mancata proposizione della tutela
annullatoria precludesse nel merito, senza se e senza
ma, l’accoglimento di quella risarcitoria.
Equivaleva ad affermare che la tutela autonoma era stata
sì prevista ma per essere sempre e comunque rigettata (sic!). Voleva dire aver
riconosciuto la sussistenza di un diritto, quello all’autonoma pretesa risarcitoria, ma allo
stesso tempo averne negato in radice la tutelabilità.
Con un cortocircuito del buon senso prima ancora che di basilari principi di
diritto.
E
siccome per singolare che potesse apparire tale ipotesi prendeva ad
affacciarsi,
Se
l’ordinamento appresta uno strumento tipico volto ad evitare gli effetti dannosi
dell’attività provvedimentale della pubblica
amministrazione, la mancata attivazione di tale forma di tutela può e deve
essere considerata dal giudice, caso per
caso (e giammai ancora in
termine assoluti di preclusione al rimedio risarcitorio) nella valutazione complessiva del comportamento tenuto della parte
danneggiata.
In
questo
Nell’ambito di tale canone, osserva
Dovendosi pertanto escludere tale onere tutte le volte
in cui l’adempimento al medesimo onere sia inutile ai fini di evitare l’effetto
dannoso (ad esempio provvedimenti già eseguiti, previsione normativa della
intangibilità degli effetti dell’atto come è il contratto per le opere
strategiche, ecc.), oppure eccessivamente gravoso (non tale essendo la semplice
proposizione di un ricorso per l’annullamento in sede amministrativa o
giurisdizionale o una motivata istanza di riesame, atteso che come giustamente
rileva
In
particolare, evidenzia
E
specularmente la riduzione del danno risarcibile (sino all’annullamento
dell’effetto causale) dovrà direttamente risentire di tale complessivo
apprezzamento. Del resto una PA che sia stata tempestivamente e emotivamente
edotta dalla parte della evidente illegittimità del proprio atto e ciononostante
non l’abbia rivisto non può certo invocare i canoni di diligenza per vedere
ridotta (e tanto meno azzerata) la propria responsabilità
risarcitoria.
Non a caso
nella vicenda decisa dalla Plenaria, il Collegio pur dopo aver puntualmente
apprezzato l’illegittimità dell’atto causativo del danno, conclude per il
rigetto della domanda in quanto la parte non solo aveva omesso la tempestiva
impugnazione dell’atto (il che di per
sé non basterebbe a ritenere non integrata l’ordinaria diligenza) ma si era anche astenuta da tempestive
iniziative in sede amministrativa, proponendo peraltro l’azione risarcitoria
oltre due anni dopo l’atto lesivo (sul punto la motivazione della sentenza è
specifica e ribadita).
Sicchè la
domanda risarcitoria ancorchè ritualmente proposta in
via autonoma ed anche nel termine che come evidenziato dalla Plenaria prima del
cpa non poteva che essere quello prescrizionale, viene
rigettata per assenza dell’elemento della causalità interrotto non già dal dato
statico e formale della omessa impugnazione giurisdizionale, bensì dalla
complessiva assoluta carenza di leale collaborazione da parte del
danneggiato.
Evidente è anche qui l’equilibrio della decisione
che:
-
abbandona il totem della
previa impugnazione valorizzandola per quello che legittimamente può essere in
chiave di risarcimento e cioè un elemento da apprezzare sul versante della leale
collaborazione;
-
garantisce la effettiva
sussistenza di una tutela piena e completa pur prevenendone gli
abusi.
Sul
punto deve richiamarsi l’efficace e
raffinato rinvio all’elaborazione delle Sezioni Unite sull’abuso del diritto integrato dalla
ridondanza degli strumenti di tutela (la nota fattispecie della frammentazione
del credito e delle relative azioni monitorie).
4. La realizzazione del ruolo costituzionale del
G.A.
Alla stregua di tutto quanto precede si materializza
nella decisione della Plenaria e all’esito di un ragionamento di logica
consequenzialità, una tutela piena e completa ed insieme il miglior argine a
comportamenti opportunistici. Il tutto nel quadro organico di un’evoluzione
ordinamentale che ci consegna un interesse legittimo
definitivamente elevato a posizione soggettiva diversa ma di dignità analoga a
quella del diritto soggettivo, e un giudice amministrativo compiutamente
attrezzato e pronto a garantire a tale posizione tutte le idonee forme di
tutela.
Da qui,a bene vedere, la piena realizzazione del disegno
costituzionale articolato in due grandi giurisdizioni distinte ma funzionalmente
coordinate, l’una dedicata alla tutela dei diritti, l’altra a quella degli
interessi (cfr. A. Pajno, “Per una
lettura unificante delle norme costituzionali sulla giustizia
amministrativa” in
Astrid – Rassegna” n. 26 del 2006). Risultando così evidente come la soluzione sulla sin
troppo dibattuta questione della pregiudizialità, non poteva che
fisiologicamente inserirsi come uno dei naturali corollari di tale organica
prospettiva di insieme.
*
(Per inciso e per completezza, in tema di autonomia
della tutela risarcitoria da lesione di interesse legittimo, la sola questione
che tutt’al più può ritenersi ancora aperta e da approfondire è forse quella
della congruità del termine di decadenza ora fissato in 120 giorni dal codice;
termine che peraltro non assumeva
rilievo nella vicenda all’esame della Plenaria. E ciò soprattutto una volta che
la stessa Plenaria ha giustamente condiviso il precedente assoggettamento della
tutela al termine prescrizionale. Peraltro i richiamati principi in tema di
leale collaborazione e rilievo sostanziale della mancata attivazione degli
specifici strumenti di tutela amministrativi o giurisdizionali volti alla
rimozione degli effetti dannosi, potrebbero essere utili anche a
“sdrammatizzare” il confronto sul termine e sull’istanza da più parti avanzata
di un suo adeguamento).
5.
Conclusioni. Più forti nella modernità
Nei
primi scambi di opinione è stato efficacemente detto che questa decisione della
Plenaria traghetta definitivamente il giudice amministrativo fuori dai secoli
scorsi, proiettandolo nel nuovo millennio.
Ovviamente i commenti a caldo sono i più esposti al
rischio di eccessivi entusiasmi e di formule retoriche, però a me sembra che in
effetti si è in presenza di una pronuncia che consacra e consolida un percorso
che la migliore giurisprudenza del GA, in staffetta con novelle normative pur
incompiute o imperfette, ha costruito negli ultimi
decenni.
Il messaggio del resto
era stato chiaro già nelle parole di insediamento del Presidente de Lise
(settembre 2010). “Grazie anche al
conforto della giurisprudenza costituzionale - aveva osservato - si è ormai chiarito che il giudice
amministrativo non è un giudice
speciale, ma è il giudice ordinario del potere pubblico, in una visione di unità
funzionale – non organica – della giurisdizione, che si fonda sull’art. 24 della
Costituzione. Il che vuol dire che noi siamo i giudici che devono tutelare i
cittadini e le imprese a fronte del non corretto esercizio del potere, ed
assicurare, dinanzi ad esso, la piena realizzazione dei loro
diritti”.
Era
in fondo ciò che i criteri della legge delega sul codice ci avevano indotto a
sperare che venisse cristallizzato nel nuovo strumento
normativo.
Ma
era forse ingenuo pensare che tale processo di consolidamento avvenisse senza
paure, timidezze, tentennamenti. Il rischio avvertito era se mai che la parte
non sfruttata dell’occasione che il codice prestava, segnasse un deteriore punto
di arresto in questo cammino, come talvolta avviene alle occasioni (anche in
parte) perdute.
E’
qui a bene vedere il grande complessivo merito di questa decisione: aver letto
sia l’evoluzione del sistema delle tutele conosciuta negli ultimi decenni, sia
il nuovo codice nella chiave più aperta e lungimirante, gettandosi alle spalle
paure e timidezze che a ben vedere rischiavano, esse sì, di azzoppare il giudice
amministrativo e il ruolo irrinunciabile che ha saputo
conquistarsi.
Non
so, e non ho armamentario sufficiente per dire se in effetti questa
decisione proietti il GA nel terzo
millennio; sembra però evidente che contribuisca a rafforzare le gambe con cui
tutti noi, anche in questo spicchio di mondo, dobbiamo cercare di procedere nella
complessa modernità. Che certo e fatalmente ci consegna sempre
sfide nuove, rispetto alle quali però l’unico rimedio è affrontarle e governarle
con equilibrio. Non fuggirle.