a cura di
Roberto
Garofoli
(Consigliere
di Stato)
Pubblicato
sul sito il 17 novembre 2010
SOMMARIO.
1. Premessa:
le alterne vicende della giurisdizione esclusiva tra mito dell’unità della
giurisdizione e concreta evoluzione del sistema di giustizia amministrativa. 2. La delimitazione della giurisdizione
del giudice amministrativo nel segno della dovuta continuità. 3. Il riferimento alle controversie
riguardanti i comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di
tale potere. 4. Le ipotesi
problematiche. 4.1. I comportamenti
e la materia espropriativa (l’art. 133, lett. g), C.p.a.). 4.2. Potere, comportamenti e diritti c.d. inaffievolibili (art.
133, lett. c) e p), C.p.a.). 4.2.1. Le posizioni della
giurisprudenza della Corte costituzionale e delle magistrature superiori in
tema di diritto all’ambiente salubre, produzione energetica, ciclo dei rifiuti. 4.2.2.
Le posizioni della giurisprudenza in tema di servizi pubblici. 4.2.2.2. Controversie nelle quali è in
contestazione l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. 4.2.2.3. Controversia
azionata per ottenere che, in assenza del consenso dei genitori, si vieti agli
istituti scolastici di impartire ai minori lezioni di educazione sessuale in
classe. 4.2.2.4. Controversie
azionate da chi non ha ottenuto il rimborso delle spese sanitarie sostenute per
il ricovero in strutture sanitarie altamente specializzate situate al’estero. 5. La positivizzazione del canone della concentrazione. 6. Estensione della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo e controllo della Corte di Cassazione
sulle sentenze del giudice amministrativo, tra mito e storia.
1.
Premessa: le alterne vicende della giurisdizione esclusiva tra mito dell’unità
della giurisdizione e concreta evoluzione del sistema di giustizia
amministrativa.
La giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo è stata al centro, negli ultimi dodici
anni, di alterne vicende: ne è scaturito un dibattito che, lungi dal riguardare
la sola delimitazione del suoi confini, ha coinvolto il ruolo stesso del
giudice amministrativo, addirittura l’opportunità di un mantenimento di un
sistema duale di giurisdizioni.
Giova tenerne conto nel
ricostruire le disposizioni che il Codice del processo amministrativo dedica
alla perimetrazione di tale ambito della giurisdizione propria del giudice
amministrativo.
Su un primo fronte, di
fonte legislativa, è stata sperimentata un’operazione che, volta a trasformare qualitativamente e ontologicamente, non solo quindi quantitativamente, l’oggetto della cognizione demandata al giudice
amministrativo in sede esclusiva, presupponeva e implicava un radicale
ripensamento della fisionomia stessa del sistema di giustizia amministrativa,
della sua missione ordinamentale e della sua collocazione nel più ampio quadro
degli assetti giurisdizionali.
Il riferimento è
scontatamente all’introduzione, con gli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80 del 1998,
del criterio di riparto fondato sui c.d. blocchi di materie.
A tale operazione di
fonte normativa è corrisposta quella condotta sul versante della speculazione
scientifica da chi, proprio cogliendo la portata qualitativa e copernicana di
quell’ampliamento legislativo delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, ha
ritenuto di trarne argomenti per rispolverare e rilanciare il mito dell’unità
della giurisdizione.
Il riferimento è a
quanti, sul rilievo della intervenuta “civilizzazione” del giudice
amministrativo[1],
sempre più spesso chiamato ad occuparsi al pari del giudice ordinario (prima
dello storico intervento di Corte cost.
n. 204 del 2004) di diritti talvolta a
contenuto spiccatamente patrimoniale, hanno preso con forza a sostenere
l’inattualità di un sistema duale di giurisdizione, propugnando il ritorno
all’idea di Calamandrei dell’unità della giurisdizione ovvero, in subordine, a
quella (sempre di Calamandrei) di un’estensione del controllo della Cassazione
sulle sentenze del Consiglio di Stato, non più limitato ai motivi di
giurisdizione (come è nell’attuale formulazione dell’art. 111, co. 8, Cost.),
ma ampliato alla violazione di legge: tanto al fine di assicurare una
“nomofilachia” soggettivamente unitaria e oggettivamente “eguale” a fronte del
contenzioso involgenti i diritti soggettivi[2].
Ebbene, a spiazzare
tutti, legislatore e giuristi innamorati dell’unità della giurisdizione, è
intervenuta
Proprio tale continuità
si intende porre in risalto per poi passare a dare atto dei profili
interpretativi più problematici che il Codice del processo amministrativo
prospetta; in conclusione, si tornerà sulle posizioni espresse da chi sostiene la
necessità di por mano all’art. 111, co. 8, Cost., con l’estensione ai motivi di
violazione di legge del controllo della Corte di Cassazione sulle sentenze del
Consiglio di Stato.
2.
La delimitazione della giurisdizione del giudice amministrativo nel segno della
dovuta continuità.
L’art. 44, comma 2, lett.
b), n. 1), l. 18 giugno 2009, n.
Nel verificare, allora,
se l’indicato criterio di delega possa considerarsi correttamente attuato nelle
norme che nel Codice del processo amministrativo si occupano di delimitare
l’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, inclusa quella
esclusiva, occorre riassumere le principali indicazioni desumibili, negli
ultimi anni, dalla giurisprudenza costituzionale e delle Magistrature superiori
in punto di giurisdizione.
Non è consentito, al
riguardo, non prendere le mosse dalle note coordinate tracciate nelle sentenze della
Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n.
In particolare, con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204, intervenuta sulla questione relativa alla
compatibilità degli artt. 33 e 34, d.lgs. n. 80 del 1998, con l’art. 103 della
Carta fondamentale, a tenore della quale le ipotesi di giurisdizione esclusiva
possono essere dal legislatore individuate solo limitatamente a “particolari
materie”,
Ad avviso della Corte,
invero, “il vigente art. 103, primo comma, Cost., non ha conferito al
legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità
nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari
materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione”
investe “anche” diritti soggettivi».
Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle
situazioni soggettive sarebbe espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce
che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla
giurisdizione generale di legittimità: devono quindi partecipare della loro
medesima natura.
Il legislatore ordinario ben può ampliare quindi l’area
della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal
senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur
sempre, in quanto vi opera
La sentenza n. 204 del 2004, nel pretendere quindi l’inerenza all’esercizio del
potere della controversia di cui può conoscere, anche in sede di giurisdizione
esclusiva, il G.A., e nell’escludere che quest’ultimo possa occuparsi del
contenzioso involgente i “comportamenti” e le relative implicazioni
risarcitorie, ha dato adito a non poche dispute, in larga parte svoltesi attorno
alla perimetrazione della nozione di “comportamento”, come tale sottratto
all’ambito cognitorio del giudice amministrativo.
Si è
per lo più ritenuto, al riguardo, che nel pensiero dei giudici costituzionali
il comportamento, quello cioè di cui
Detto
altrimenti, premesso che non vi è comportamento laddove vi sia esercizio del
potere, si è preso atto del fatto che non sempre l’esercizio del potere si
materializza nell’adozione di una determinazione provvedimentale.
L’eliminazione
dal testo dell’art. 34 del riferimento ai comportamenti ha costituito infatti
la logica conseguenza del principio secondo cui la giurisdizione esclusiva può
radicarsi solo a condizione che nella vicenda l’amministrazione agisca come
autorità. Il comportamento, allora, è il contrario di autorità, non già di atto
o provvedimento.
Con
maggiore impegno esplicativo, non può escludersi che l’amministrazione agisca
con modalità autoritative, senza tuttavia adottare alcuna determinazione
attizia: non si sarà al cospetto, in tali ipotesi, di un “comportamento”
dell’amministrazione, ma di un intervento autoritativo, ancorché non
materializzatosi nell’adozione di una determinazione provvedimentale.
Del
resto, l’assunto è parso ancor più persuasivo atteso che la cancellazione del
riferimento ai comportamenti ha avuto luogo con riferimento ad un settore,
quello dell’edilizia e dell’espropriazione (ricompresa nella nozione lata di
urbanistica), nel quale non è certo infrequente che l’amministrazione ponga in
essere meri comportamenti materiali, quali un’occupazione protratta al di là
dei termini consentiti o uno sconfinamento nel fondo confinante in sede di
esecuzione dei lavori.
All’interno
della nozione di comportamento, si è allora distinto tra comportamenti in senso
stretto (questi, certo, sottratti, alla cognizione del G.A.) e comportamenti
“amministrativi”, per tali essendo intese quelle condotte dell’amministrazione,
non destinate a sfociare nell’adozione di un atto, e ciò nonostante legate a
filo doppio all’esercizio del potere.
Si è
chiarito quindi che, nell’ambito della nozione di “comportamento”, è necessario
distinguere i comportamenti in senso tecnico, per tali intendendosi le condotte
dell’amministrazione del tutto svincolate dall’esercizio del potere, dai
comportamenti c.d. “amministrativi” che, collegati all’esercizio, pur se
illegittimo, di un pubblico potere, continuano a rientrare nella giurisdizione
del giudice amministrativo.
La distinzione tra
comportamenti meri e amministrativi è stata fatta propria da Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, che,
nel definire la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1,
del d.P.R. n. 327 del 2001, laddove, in tema di espropriazione per pubblica
utilità, devolveva «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi per oggetto», oltre che «gli atti, i provvedimenti, gli
accordi», anche «i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti
ad esse equiparati», ne ha riconosciuto il contrasto con l’art. 103 Cost. nella
parte in cui, con l’espressione “comportamenti”, prescindendo da ogni qualificazione,
non escludeva dal perimetro di quella giurisdizione le condotte non riconducibili,
nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere..
Viceversa, hanno
soggiunto i giudici della Consulta, nelle ipotesi in cui i “comportamenti”
causativi di danno ingiusto – e cioè, nella specie, la realizzazione dell'opera
– costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi
(dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono
quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la
norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo
anche tali “comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della
funzione pubblica della pubblica amministrazione.
In sintesi, è stata ritenuta
conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” collegati
all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, non anche di
“comportamenti” posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero
fatto.
Ebbene, l’art. 7, comma
Tale ambito di
giurisdizione è qualificato dalla tipologia delle controversie elencate dal
comma 1 dell’art. 7 del Codice: nell’ambito della giurisdizione delimitata
avendo riguardo al criterio della natura di diritto della posizione dedotta in
giudizio, invero, possono venire in rilievo le sole controversie concernenti «l'esercizio o il mancato esercizio del
potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti
riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere
da pubbliche amministrazioni».
Evidente, allora, la
linea di netta continuità della formulazione testuale dell’art.
Ciò posto, occorre andare
più a fondo nella disamina della nuova previsione normativa, con l’intento di
verificare l’effettiva ampiezza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
dalla stessa prevista.
3.
Il riferimento alle controversie riguardanti i comportamenti riconducibili
anche mediatamente all'esercizio di tale potere.
I principali problemi
interpretativi sono senza dubbio posti dal riferimento alle controversie
riguardanti i comportamenti riconducibili anche mediatamente
all'esercizio di tale potere.
Come è stato osservato[3],
diversamente dalla Corte che, soprattutto nella sentenza n. 204 del 2004, aveva utilizzato in negativo il riferimento ai comportamenti, escludendo che alla
giurisdizione esclusiva potessero essere attratti quei comportamenti oggetto di
controversie «… nelle quali la pubblica amministrazione non esercita – nemmeno
mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente
privatistici – alcun pubblico potere», l’art.
Ecco, allora, che diventa
centrale l’esatta identificazione dei comportamenti che, legati mediatamente al
potere, vanno assoggettati al vaglio del giudice amministrativo.
La questione va esaminata
considerando che lo stesso art. 7 del Codice devolve alla giurisdizione
amministrativa anche le controversie nelle quali venga in discussione «il mancato esercizio del potere
amministrativo».
La previsione si presta a
due contrapposte opzioni interpretative.
Su un primo fronte,
aderendosi ad un’interpretazione, al contempo rigorosamente testuale e tuttavia
oltre modo sconsideratamente estensiva, può ritenersi che, con il riferimento
alle controversie riguardanti «il mancato
esercizio del potere amministrativo», l’art. 7, comma
Per differente e
restrittiva opzione, il riferimento al «mancato esercizio» del potere richiama
le sole ipotesi in cui
Senonché, nell’esaminare
la questione prospettata occorre tenere conto della necessità di attendere ad
un’interpretazione costituzionalmente orientata del citato art.
Con maggiore impegno
esplicativo, occorre evitare che, nell’interpretare quella previsione, si
pervenga ad esiti che comportino il contrasto della norma non solo con l’art.
103 Cost. ma anche con l’art. 76 Cost., il citato art. 44, l. n. 69 del 2009, avendo attribuito al Governo
la facoltà di riordinare le norme sulla giurisdizione con il limite della
conformità al diritto vivente, e segnatamente della giurisprudenza delle magistrature superiori.
Ebbene, la giurisprudenza
della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, dope le richiamate pronunce
della Consulta e prima del Codice, ha concordemente sostenuto che, perché possa ritenersi radicata la
giurisdizione esclusiva amministrativa, la condotta materiale
dell’Amministrazione deve essere correlata all’esistenza di atti amministrativi
dei quali si chieda accertarsi la legittimità o meno[4],
la condotta materiale dovendo avere una “copertura” provvedimentale, essere
cioè «sorretta» dalla pregressa adozione di provvedimenti amministrativi.
Le Sezioni Unite, in
specie, hanno sostenuto che la tutela giurisdizionale contro l'agire
illegittimo della Pubblica amministrazione spetta al giudice ordinario quante
volte il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere
esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l'azione della
Pubblica amministrazione non trovi rispondenza in un precedente esercizio del
potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi
ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento «e
non come mera via di fatto»[5].
Per
Ancorché gli esiti
applicativi cui è talvolta giunto siano stati diversi da quelli cui è approdata
Il
Consiglio di Stato, in specie nel definire le questioni di giurisdizione nelle
vicende espropriative, ha invero
sostenuto che sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le
controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini complementari
della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un
bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, con essa congruenti
e ad essa conseguenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono
state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero sia
caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi[6].
In
specie, con riguardo alle note vicende delle controversie azionate per il
ristoro dei danni conseguenti ad occupazione appropriativa, da un lato, e ad
occupazione usurpativa c.d. spuria, dall’altro, i giudici amministrativi hanno
affermato che le vicende patologiche del procedimento, quali la mancata
adozione del provvedimento espropriativo entro il termine fissato dalla
dichiarazione di pubblica utilità ovvero la protrazione dell'occupazione oltre
il termine di efficacia della dichiarazione medesima (nell’appropriativa) e
l’illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità acclarata con
l’annullamento dal giudice amministrativo (nell’usurpativa spuria) non
conducono a dequalificare la valenza giuridica di un'attività appunto espletata
nel corso ed in virtù di un procedimento, che la dichiarazione ha ab origine funzionalizzato a scopi
specifici e concreti di pubblica utilità.
In
entrambi i casi gli effetti retroattivi naturalmente conseguenti alla pronuncia
giurisdizionale o quelli derivanti dalla mancata conclusione del procedimento
non travolgono a posteriori il nesso
funzionale che ha comunque legato l'attività dell'Amministrazione alla
realizzazione del fine di interesse collettivo individuato all'origine.
Ovviamente
distinto, invece, il caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità ovvero
altri provvedimenti a contenuto e finalità appropriative della proprietà
privata manchino del tutto, venendo allora in rilievo un «mero comportamento
per vie di fatto o, se si vuole, un intollerabile atto d'arroganza, una vera
usurpazione del diritto soggettivo di proprietà, in nessun modo e nemmeno
mediatamente funzionalizzato e rapportato all'esercizio di un effettivo potere
degradatorio e traslativo»[7].
Volendo sintetizzare, la
giurisprudenza costituzionale e delle magistrature superiori, prima del varo
del Codice del processo amministrativo,
si è espressa sostenendo che l’adozione di un atto amministrativo (anche
ove annullato o divenuto inefficace), in quanto manifestazione ed epifania del
potere, realizza quel collegamento «mediato» col potere stesso, sufficiente per
radicare la giurisdizione esclusiva amministrativa.
Di tale giurisprudenza
occorre oggi tener conto in sede di interpretazione del comma 1 dell’art.
Come osservato, invero,
l’art. 44, l. n. 69 del
Ebbene, un approccio
interpretativo volto ad evitare che quel riferimento testuale alle controversie
riguardanti il «mancato esercizio del
potere» comporti un contrasto certo della principale disposizione del
Codice del processo amministrativo con l’art. 76 Cost. (prima ancora che con
l’art. 103 Cost.) non può non escludere che con esso si sia inteso avere
riguardo alle controversie nelle quali vengano in contestazione le voie de fait, la condotta materiale
priva di base legale, destinata a restare sottratta alla giurisdizione
amministrativa, pena la plateale contraddizione dell’intero impianto
argomentativo della giurisprudenza costituzionale e delle magistrature superiori,
alla quale, per vincolo di delega, il Codice deve attenersi rigorosamente[8].
4.
Le ipotesi problematiche.
Ciò chiarito in merito ai
rapporti tra comportamento e potere giova passare all’esame delle ipotesi più
problematiche.
Vengono in rilievo fondamentalmente
due fronti.
Su un primo versante, il
tema dei comportamenti posti in essere dall’amministrazione nell’uso del
territorio, ed in specie nel settore espropriativo.
Su altro fronte, la
questione, delicatissima e particolarmente dibattuta, dei rapporti tra potere e
quei diritti a lungo intesi, in dottrina e in giurisprudenza, come destinati a
resistere ad ogni forma, anche minima, di degradazione: i c.d. diritti
incomprimibili.
4.1.
I comportamenti e la materia espropriativa (l’art. 133, lett. g), C.p.a.).
Quanto al primo dei due
fronti indicati, l’art. 133, lett. g), C.p.a. riconduce alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i
provvedimenti, gli accordi e “i
comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico
potere”, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per
pubblica utilità.
Si
tratta della riproposizione della previsione contenuta nell’art. 53, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001,
adeguata alla indicata sentenza n. 191
del 2006 con cui
Resta da comprendere se
con l’esplicita riproposizione -nella disposizione specificamente volta a
perimetrare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia
espropriativa- del riferimento alle controversie concernenti comportamenti
anche mediatamente riconducibili all’esercizio del potere il legislatore del
2010 abbia risolto l’unica questione interpretativa sulla quale, quanto al tema
dei danni da occupazioni illegittime, non si è registrata una convergenza di
posizione tra le magistrature superiori.
Quella concernente
l’individuazione del giudice innanzi al quale proporre domanda di ristoro dei
pregiudizi conseguenti:
·
non
ad occupazione usurpativa, mai preceduta da dichiarazione di pubblica utilità
(certo da portare al vaglio del G.O.);
·
non
ad occupazione usurpativa c.d. spuria, preceduta da dichiarazione di pubblica
utilità, tuttavia impugnata ed annullata (da portare al vaglio del G.A.);
·
ma
da occupazione appropriativa, preceduta da dichiarazione di pubblica utilità,
tuttavia non seguita dalla tempestiva adozione del decreto di esproprio e
quindi venuta meno ex lege, con effetto
retroattivo.
Fattispecie,
quest’ultima, in relazione alla quale anche di recente le Sezioni unite,
disattendendo la posizione ripetutamente espressa dalla Plenaria del Consiglio
di Stato, hanno concluso per il radicarsi della giurisdizione ordinaria.
Ha invero di recente
sostenuto Cass.civ., s.u., 2 luglio 2009, n. 15469, che “sono chiaramente ascrivibili alla
giurisdizione ordinaria le forme di occupazione usurpativa, caratterizzate dal
tratto che la trasformazione irreversibile del fondo si produce in una
situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto. E alla
stessa conclusione si deve pervenire nel caso in cui il decreto di
espropriazione è pur stato emesso, e però in relazione a bene, la cui
destinazione ad opera di pubblica utilità la si debba dire mai avvenuta
giuridicamente od ormai venuta meno, per mancanza iniziale o sopravvenuta
scadenza del suo termine d’efficacia”.
4.2. Potere, comportamenti e diritti
c.d. inaffievolibili (art. 133, lett. c)
e p), C.p.a.).
Acquisito che anche nelle
materie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è
necessario, perché la controversia non debba essere devoluta al giudice
ordinario, che nella stessa sia in contestazione l’esercizio del potere, come
ora espressamente prevede l’art. 7, comma
Può ancora ammettersi una
incomunicabilità tra taluni “diritti” e “potere” amministrativo, sicché laddove
vengono in rilievo i primi per ciò solo non può ammettersi l’esistenza del
potere, con la conseguenza, sul versante processuale, della necessaria
ascrizione al giudice ordinario della giurisdizione per le controversie nelle quali
viene in considerazione l’incisione ad opera dell’amministrazione di quelle
posizioni soggettive?
Può ammettersi
un’insanabile contraddizione tra carattere fondamentale di talune posizioni
soggettive e riconoscimento di un potere discrezionale della P.A.?
Può sostenersi che “non
c’è potere perché c’è diritto soggettivo” fondamentale, sicchè sarebbe da
escludere la configurabilità di un potere amministrativo capace di incidere su
un diritto primario?
Il tema non è nuovo e non
si può certo ripercorrere in questa sede il complesso ed articolato dibattito
che attorno allo stesso si è registrato.
E’ utile, tuttavia, dare
atto dei più recenti chiarimenti che, soprattutto con talune note pronunce, la
giurisprudenza costituzionale e delle magistrature superiori hanno al riguardo fornito.
L’utilità di tale
ricognizione si avverte soprattutto in sede di definizione dell’estensione da
riconoscere a due ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo:
·
quella
di cui alla lett. c), che ha riguardo alle “controversie
in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi,
escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero
relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore
di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora
relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo
nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle
assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti,
alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”;
·
quella prevista dalla successiva lett. p), per le
controversie “aventi ad oggetto le
ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di
emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992, n. 225, e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di
gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della
pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un
pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”[9].
Con la richiamata lett.
p), quindi, il legislatore pare aver dato diretta risposta agli interrogativi
prima enunciati.
Sussiste un’insanabile
contraddizione tra carattere fondamentale di talune posizioni soggettive e
riconoscimento di un potere discrezionale della P.A.? Può sostenersi che “non
c’è potere perché c’è diritto soggettivo” fondamentale.
Il legislatore del Codice
si mostra all’evidenza di contrario avviso laddove, alla lett. p), assegna alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie attinenti alla complessiva azione di gestione del
ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica
amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico
potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati”.
Si tratta di soluzione in
linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale e delle magistrature
superiori, come prescritto dal criterio di delega di cui all’art. 44, comma 2,
lett. b), n. 1), l. 18 giugno 2009, n. 69?
4.2.1.
Le posizioni della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle
magistrature superiori in tema di diritto all’ambiente salubre, produzione
energetica, ciclo dei rifiuti.
Può
sostenersi che è stata ripensata, nella giurisprudenza recente, la tesi,
teorizzata dalla Sezioni unite nella sentenza 9 marzo 1979, n. 1436 (resa con riferimento a controversia nella
quale si faceva questione della lesione del diritto alla salute),
dell’esistenza di diritti soggettivi assoluti non suscettibili di degradazione
per effetto dell’intervento dell’amministrazione.
Tesi
in forza della quale nelle fattispecie interessate dal fenomeno
dell’inaffievolibilità, l’amministrazione non dispone del potere di degradare
il diritto incomprimibile, sicché laddove incide sullo stesso “agisce nel
fatto”, con un mero comportamento illecito, onde il radicarsi della
giurisdizione del giudice ordinario sulla relativa controversia[10]:
è quanto la giurisprudenza ha sostenuto, dapprima in tema di diritto alla
salute, o meglio all’ambiente salubre, e poi progressivamente anche nel campo
dei diritti primari fondati sulle libertà costituzionalmente garantite, come la
libertà di coscienza e di religione[11].
Per
vero, già in passato l’assunto dell’assoluta incomprimibilità di talune
posizioni soggettive, a fronte delle quali pertanto non sarebbe in nessun caso
concepibile una posizione di potere dell’amministrazione, è stato oggetto di
ripensamento, dottrinale e giurisprudenziale.
Per
ciò che riguarda in particolare il diritto che ha costituito il paradigma su
cui negli anni è stata costruita la teoria della non degradabilità, ovvero il
diritto alla salute, merita ricordare che sulla questione relativa
all’individuazione del giudice chiamato a conoscere delle controversie inerenti
alla lesione della posizione giuridica in parola da parte dell’amministrazione
si sono registrate differenti posizioni così schematizzabili:
a)
secondo una parte della giurisprudenza il diritto alla salute costituirebbe
sempre una posizione non affievolibile, sicché la cognizione in tale materia
spetterebbe sempre al G.O., senza necessità di ulteriori distinzioni;
b) altro
orientamento ritiene di dover distinguere due differenti ipotesi.
Su un
primo fronte vengono in considerazione i casi in cui il diritto alla salute
presenta un contenuto prevalentemente oppositivo, da intendersi come diritto
assoluto di libertà volto ad impedire lesioni all’integrità fisica: la
posizione del privato avrebbe carattere di diritto soggettivo assoluto non
affievolibile, con la conseguenza che la giurisdizione su spetterebbe sempre al
G.O.
Su altro versante, invece, i casi in cui il
diritto alla salute ha un contenuto prevalentemente pretensivo, come diritto a
perseguire un miglioramento delle proprie condizioni, ad es. ad ottenere un
determinato livello di prestazioni a carico del S.S.N.: l’esercizio del diritto
ad ottenere un determinato livello di prestazioni richiederebbe
l’interposizione di un potere pubblicistico discrezionale, ai fini della
valutazione e della comparazione con altri interessi di livello costituzionale
(si pensi alle esigenze di contenimento della spesa a carico del S.S.N.).
In tale seconda ipotesi il privato non vanterebbe una
situazione soggettiva di diritto pieno, essendo titolare di un diritto
condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il
bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi
costituzionalmente protetti; quindi, esistendo e permanendo in capo alla P.A.
il potere discrezionale di valutazione e scelta tra interessi contrapposti, si
produce sicuramente un effetto degradatorio del diritto del privato in interesse
legittimo, con conseguente radicarsi della giurisdizione del G.A. sulle
relative controversie.
c) si
è registrata infine una posizione intermedia, che se ritiene il diritto alla
salute non affievolibile nella sua componente oppositiva, opera invece una distinzione
per quanto concerne la componente pretensiva: la pretesa volta ad ottenere un
determinato livello di prestazioni da parte del S.S.N. avrebbe natura di
diritto intangibile soltanto quando sia dedotta una situazione di rischio
mortale o di sofferenza di particolare gravità. In altre parole, il diritto
alla salute inteso in senso pretensivo presenterebbe un nucleo essenziale
intangibile costituito dal diritto di non morire o di non subire particolari
sofferenze.
Si è
quindi sostenuto il superamento, più o meno radicale, della teoria dei diritti
non degradabili e delle correlate implicazioni in punto di giurisdizione.
Sullo
sfondo, la rimarcata necessità, in base ad una logica relazionale, di operare
una sintesi, un confronto anche dei diritti fondamentali con altri diritti ed
interessi pubblici e privati, mediante l’attribuzione alla legge e alla P.A.
del compito di trovare la migliore soluzione possibile, non esclusa quella che
implichi un vulnus, se pure
preferibilmente limitato, al diritto inviolabile.
In
particolare, si rileva come la teoria dei diritti resistenti a tutta oltranza
si basi sull’inesatto presupposto dell’esistenza di una netta contrapposizione
tra carattere fondamentale del diritto e possibilità per
D’altra
parte,
Si
pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi del diritto alla salute: lo stesso, almeno nella sua dimensione
pretensiva, è tutelato sulla base di scelte rimesse alla P.A., al fine di
tenere conto non solo delle situazioni di urgenza, ma anche della fondamentale
esigenza di contenimento delle spese finanziarie a carico del S.S.N.
Si
faccia riferimento, ancora, alla costruzione di impianti di energia elettrica,
che pure in ipotesi rischiosi per la salute individuale e collettiva, sono
senza dubbio necessari allo sviluppo e al benessere generali; così come gli
impianti di telefonia mobile, la cui ubicazione è spesso autorizzata nonostante
non possa escludersi che le onde elettromagnetiche siano rischiose per la
salute, affidando in proposito la legge quadro sull’inquinamento
elettromagnetico (l. n. 36 del 2001, art. 8) ai comuni e alle regioni il
compito di individuare le soluzioni che impongano al diritto alla salute il
minor sacrificio possibile, per il massimo soddisfacimento dell’interesse
pubblico superiore.
La
questione è stata esaminata da una nota pronuncia della Corte costituzionale, la 27 aprile
2007, n. 140, intervenuta in merito alla legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma
In particolare, il giudice a quo aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale della
normativa in esame proprio con riferimento al carattere di incomprimibilità del
diritto alla salute e alla salubrità ambientale. Si sosteneva, cioè, che dalla
natura inaffievolibile di tale diritto dovesse necessariamente derivare il
radicarsi della giurisdizione in capo al giudice ordinario, non potendo la
deroga all’ordinario criterio di riparto di cui all’art. 103 Cost. operare in
presenza di diritti non degradabili, come quello alla salute.
Ebbene
Soprattutto – osservano i giudici costituzionali – non
osta alla validità costituzionale del “sistema” in esame la natura
“fondamentale” dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che
riservi esclusivamente al giudice ordinario – escludendone il giudice
amministrativo – la tutela dei diritti costituzionalmente protetti.
Peraltro
– puntualizza
Nel
caso in esame, invece, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti
«tipizzati» normativamente.
All’orientamento
della Corte costituzionale si è allineata Cass.
civ., s.u., 28 dicembre 2007, n. 27187,
intervenuta in relazione a provvedimento cautelare, emesso dal Tribunale di
Salerno, con cui si ordinava al Commissario straordinario di governo per
l’emergenza rifiuti in Campania di astenersi dall’installare e porre in
esercizio un impianto di discarica dei rifiuti in una determinata zona, in
presenza di un effettivo pericolo per la salute dei residenti e la salubrità
dell’ambiente.
Le Sezioni Unite esordiscono ricordando che, prima
della devoluzione alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi di
alcune materie, quando il riparto di giurisdizione si fondava solo sulla
tradizionale bipartizione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, la
giurisprudenza di legittimità era effettivamente orientata nel senso di
riservare, in base alla teoria dei diritti inaffievolibili, al giudice
ordinario, in materia di discariche di rifiuti urbani, ogni controversia in
tema di danno alla salute che dalla collocazione nel territorio di tali
infrastrutture potesse derivare.
Tuttavia, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del
1998 (modificato dalla l. n. 205 del 2000) non vi è ragione, secondo
Al
riguardo, i giudici di legittimità richiamano quanto ritenuto dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 140 del
2007.
Evidenziano,
anche, che nella sua nuova formulazione, l’art.
Spetta, dunque, in tali casi, al giudice amministrativo
l’accertamento della sussistenza in concreto dei diritti vantati, il
contemperamento o la limitazione dei suddetti diritti in rapporto all’interesse
generale pubblico, e l’emissione di ogni provvedimento cautelare teso ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della futura decisione finale sulle
richieste inibitorie, demolitorie ed eventualmente risarcitorie dei soggetti
che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o provvedimenti[12].
Sulla stessa lunghezza
d’onda, ancor più di recente, Corte cost.
27 gennaio 2010, n. 35, intervenuta a dichiarare non fondata la questione
di costituzionalità sollevata con riguardo al citato art. 4, d. l. 23 maggio
2008, n. 90, laddove prevedeva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo di tutte le controversie, anche in ordine alla fase
cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti,
seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei
soggetti alla stessa equiparati, ancorché incidenti su diritti
costituzionalmente tutelati.
Del tutto in linea con
gli esposti orientamenti, pertanto, e nel pieno rispetto del criterio di delega
di cui al citato art. 44, comma 2, lett. b), n. 1), l. 18 giugno 2009, n. 69,
l’art. 133, lett. p), C.p.a. devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo per le controversie “aventi
ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della
legge 24 febbraio 1992, n. 225, e le controversie comunque attinenti alla
complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere
con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche
mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a
diritti costituzionalmente tutelati”.
3.2.2.
Le posizioni della giurisprudenza in tema di servizi pubblici.
Il tema relativo ai rapporti tra diritti
fondamentali e potere è destinato a venire in rilievo anche in sede di
delimitazione dell’ambito della giurisdizione esclusiva riconosciuta al giudice
amministrativo nella materia dei servizi pubblici: ipotesi oggi contemplata dal
richiamato art. 133, lett. c) C.p.a., ove è confluita la previsione di cui al
vecchio art. 33, d. lgs. n. 80 del 1998, come manipolato dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 204 del
2004.
4.2.2.2.
Controversie nelle quali è in contestazione l’affissione del crocifisso nelle
aule scolastiche.
Discussa la riconducibilità nell’ipotesi
di giurisdizione esclusiva in esame delle controversie nelle quali è in
contestazione l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
Giova considerare che l’affissione del
crocifisso nelle scuole avviene sulla base di provvedimenti dell’autorità
scolastica conseguenti a scelte dell’Amministrazione, contenute in regolamenti
e circolari ministeriali, riguardanti le modalità di erogazione del pubblico
servizio, e quindi riconducibili, pur nella complessità delle implicazioni e
nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà
organizzatoria della stessa.
Con ordinanza n. 389 del 2004
Si è conseguente ritenuto che:
• in tale quadro di riferimento, segnato
dalla mancanza di una espressa previsione di legge impositiva dell’obbligo di
affissione del crocifisso nelle scuole, trova applicazione ai fini della
giurisdizione l’art. 33 del D.lgs. 80/1998 (ora art. 133, lett. c), C.p.a.),
che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice amministrativo la
giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica amministrazione agisce
esercitando il suo potere autoritativo;
• venendo quindi in discussione
provvedimenti dell’autorità scolastica che hanno dato attuazione a disposizioni
di carattere generale adottate nell’esercizio del potere amministrativo, e
quindi riconducibili alla pubblica amministrazione – autorità, sussiste la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[13].
4.2.2.3. Controversia azionata per ottenere che, in assenza del
consenso dei genitori, si vieti agli istituti scolastici di impartire ai minori
lezioni di educazione sessuale in classe.
Interrogativi in
punto di giurisdizione sono emersi anche con riferimento al contenzioso nel
quale è in discussione la legittimità delle scelte operate dagli istituti
scolastici in ordine all’articolazione dei programmi e dei metodi didattici.
In particolare, ci si chiede a chi spetti la
giurisdizione in ordine ad una controversia azionata per ottenere che, in
assenza del consenso dei genitori, si vieti agli istituti scolastici di
impartire ai minori lezioni di educazione sessuale in classe.
È noto che l’importanza
di una corretta educazione sessuale, nell’ambito del programma formativo dei
giovani studenti, ha indotto talune scuole a modificare l’organizzazione e
l’articolazione dei programmi e dei metodi didattici con l’introduzione, per
l’appunto, della disciplina dell’“educazione sessuale”.
Sulla questione sono emerse due posizioni.
A) Per una prima
tesi, le controversie in questione vanno sottoposte al vaglio del giudice
ordinario. Si ritiene, infatti, che i provvedimenti adottati dagli istituti
scolastici in materia di organizzazione ed articolazione dei programmi didattici,
incidendo sui diritti fondamentali del privato, ed in particolare sul diritto -
dovere dei genitori, sancito dagli artt. 29 e 30 Cost., di provvedere
all’educazione dei figli, non sono idonei a degradare ad interessi legittimi le
posizioni giuridiche dei destinatari.
B) Secondo la tesi
prevalente, invece, occorre tener conto, nel dare soluzione al discusso profilo
della giurisdizione, del fatto che l’esigenza di una corretta ed equilibrata
educazione, in materia sessuale, non corrisponde solo all’interesse del singolo
o del suo nucleo familiare ma anche all’interesse pubblico alla salute ed alla
sanità pubblica.
Ne deriva che un’eventuale
controversia sulla legittimità della scelta, operata dagli istituti scolastici,
in ordine all’introduzione, nei programmi, della disciplina dell’educazione
sessuale, investe in via diretta ed immediata il potere dell’amministrazione in
ordine all’organizzazione ed alle modalità di prestazione del servizio
scolastico, così involgendo una scelta riconducibile, pur nella complessità
delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti,
alla potestà organizzatoria dell’istituzione scolastica, esercitata con
disposizioni riconducibili alla pubblica amministrazione autorità.
Sicché – sostenne Cass.
civ., s. u., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656- trova applicazione, ai fini della
giurisdizione, l’art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sostituito dall’ art.
7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel testo risultante dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte
Costituzionale che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice
amministrativo la giurisdizione esclusiva “se in essa la pubblica
amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo, ovvero si avvale
della facoltà riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in
sostituzione del potere autoritativo”.
In altri termini, il diritto
fondamentale dei genitori di provvedere all’educazione ed alla formazione dei
figli trova il necessario componimento con il principio di libertà
dell’insegnamento dettato dall’art. 33 Cost. e con quello di obbligatorietà
dell’istruzione inferiore affermato dall’art. 34 Cost. Da ciò discende il
potere dell’amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione
istituzionale “con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente
idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi
educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni
politiche esistenti nel suo ambito, non solo nell’approccio alla materia
sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia,
la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che
sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente
alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni
didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli
genitori”.
4.2.2.4. Controversie azionate da chi non ha ottenuto
il rimborso delle spese sanitarie sostenute per il ricovero in strutture
sanitarie altamente specializzate situate al’estero.
Ulteriore questione di
giurisdizione per la cui soluzione si è riproposto il tema delle interferenze
tra potere e diritti fondamentali è quella che si è posta per le controversie
azionate da chi non ha ottenuto il rimborso delle spese sanitarie sostenute per
il ricovero in strutture sanitarie altamente specializzate situate al’estero.
Il problema è venuto in rilievo,
in specie, più che per l’ipotesi in cui al ricovero si sia provveduto in
situazioni di assoluta urgenza che non abbiano consentito la formulazione
dell’istanza di autorizzazione e l’attivazione del relativo “potere”
dell’amministrazione, in relazione al caso in cui la richiesta di
autorizzazione sia stata presentata ma l’amministrazione l’abbia respinta con
atto conseguentemente contestato.
Invero, la
giurisdizione del giudice ordinario relativamente alle domande di rimborso
delle spese sanitarie sostenute da un cittadino italiano all’estero senza la
preventiva autorizzazione della Regione e' stata quasi sempre correlata al
rilievo che, “in caso di ricovero per motivi di urgenza rappresentati dal
pericolo di vita o da possibilità di aggravamenti della malattia o di non
adeguata guarigione, oggetto della domanda e' la tutela del diritto primario e
fondamentale alla salute garantito dall’art. 32 Cost., il cui necessario
contemperamento con altri interessi, pure costituzionalmente garantiti, come le
risorse disponibili del servizio nazionale sanitario, non vale a sottrargli la
consistenza di diritto soggettivo perfetto”[14].
Più
problematica la diversa ipotesi in cui la richiesta di autorizzazione sia stata
presentata dal privato ma disattesa
dall’amministrazione sanitaria.
Talora s’e'
affermato che alla pubblica amministrazione e' riconosciuto “un potere
autorizzativo discrezionale nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi
chieda una prestazione del Servizio sanitario nazionale sia le proprie
disponibilità finanziarie, si che il richiedente risulta titolare di un mero
interesse legittimo”[15].
Su altro
fronte, quelle pronunce con cui si è sostenuto che se certo l’amministrazione
adita dal privato per il rimborso della spesa sostenuta deve apprezzare la
gravità e l’urgenza, eventualmente secondo criteri di discrezionalità' tecnica,
ciò non basta ad alterare la consistenza del diritto soggettivo, giacché
l’inosservanza di criteri tecnici nell’accertamento della concreta sussistenza
di una posizione soggettiva non esprime alcun potere di supremazia, tanto da
essere consueta anche nei rapporti interprivati, e non comporta, quindi, in
quelli pubblici, alcun fenomeno di affievolimento[16].
Sul tema, di
recente, Cass. Sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2867, che tuttavia
ha optato per la persistente giurisdizione ordinaria anche nell’ipotesi in
esame, non tanto sulla scorta di una convinta adesione alla tesi dell’astratta
non affievolibilità del diritto alla salute, quanto, piuttosto, all’esito di un
puntuale esame della disciplina che in concreto regola gli elementi che l’amministrazione
chiamata a vagliare la richiesta di autorizzazione deve valutare ed apprezzare.
Sostengono,
invero, le Sezioni unite che ai fini della giurisdizione deve solo scrutinarsi
se le disposizioni normative che vengono in considerazione consentano di
ritenere che, quando difetti il requisito della comprovata eccezionale gravità
ed urgenza di cui all’art. 7, comma 2, del decreto del ministero della sanità in
data 3.11.1989 e dall’avente diritto all’assistenza sia dunque richiesta la
preventiva autorizzazione, alla pubblica amministrazione sia consentito
concederla o negarla in base a scelte autenticamente discrezionali; ovvero se,
anche in tale caso, alla stessa competa un apprezzamento meramente tecnico in
ordine alla possibilità che gli interventi terapeutici siano adeguatamente e
tempestivamente erogati in Italia dalle strutture sanitarie pubbliche o
convenzionate con il servizio sanitario nazionale. Solo nel primo caso,
infatti, e non anche nel secondo, sarebbe configurabile un affievolimento del
diritto soggettivo.
Ebbene, ha osservato
il giudice della giurisdizione, il terzo e quarto comma dell’ art. 2 del
decreto citato rispettivamente stabiliscono che “è considerata prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia la
prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il
servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con
l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando
il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute
dell’assistito, ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento e delle
cure”; e che “è considerata
prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso
clinico la prestazione che richiede specifiche professionalità, ovvero
procedure tecniche o curative non praticate, ovvero attrezzature non presenti
nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario
nazionale”.
Il successivo
art. 3 prevede che, per ogni branca specialistica, dal Centro regionale di
riferimento sia compiuto “l’accertamento della sussistenza dei presupposti
sanitari che legittimano l’autorizzazione al trasferimento per cure all’estero
e l’erogazione del concorso nelle relative spese e ogni altra valutazione di
natura tecnico-sanitaria”; e l’art. 4, comma 5, precisa che il centro di
riferimento “valutata la sussistenza dei presupposti sanitari per usufruire
delle prestazioni richieste (impossibilità di fruirle tempestivamente ovvero in
forma adeguata alla particolarità del caso clinico), autorizza o meno le
prestazioni presso il centro estero di altissima specializzazione prescelto,
dandone comunicazione all’autorità sanitaria competente”.
Tali
valutazioni sono rimesse dal decreto “ad uno o più presidi e servizi di alta
specialità di cui all’art. 5 della legge 23 ottobre 1985, n.
Tutto induce
allora a ritenere – hanno concluso le Sezioni unite- che, per il tipo di
valutazioni da compiere (sussistenza dei presupposti sanitari) e per la
qualifica di chi è chiamato a farle (medici), l’apprezzamento
dell’amministrazione sia esclusivamente tecnico e non discrezionale in senso
stretto, non implicando l’esercizio di alcun potere di supremazia.
E’ dunque
sulla scorta di un’attenta disamina della disciplina di settore e della
conseguente esclusione che la stessa riconosca all’amministrazione un autentico
potere discrezionale nel valutare le richieste di autorizzazione che le Sezioni
unite hanno concluso che -in materia di richiesta di rimborso delle spese
sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima
specializzazione all’estero per prestazioni che non siano ottenibili in Italia
tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico (art.
5.
La positivizzazione del canone della concentrazione.
Così ricostruita la
disciplina con cui il Codice del processo amministrativo si occupa della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e dato atto dei principali
problemi interpretativi, si impone ancora, prima di chiudere, una constatazione
e una riflessione.
La constatazione ha ad
oggetto l’importante e apprezzabilissima positivizzazione, nel comma 7 dell’art.
Dispone
il citato comma 7 che “il principio
di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice
amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle
particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi”.
Canone di cui non sempre è stata fatta una
esemplare applicazione in un recente passato.
Il riferimento è all’orientamento seguito dalle
Sezioni unite di Cassazione laddove, prima della per vero intempestiva svolta
segnata dall’ordinanza 10 febbraio 2010, n. 2906, hanno sostenuto il radicarsi della giurisdizione
ordinaria per il contenzioso avente ad oggetto la domanda volta a conseguire tanto la
dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia ovvero l'annullamento del
contratto di appalto pubblico, a seguito dell'annullamento della delibera di
scelta del contraente privato, adottata all'esito di una procedura ad evidenza
pubblica[17].
Sulla
questione è tuttavia intervenuto il legislatore con il d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, di
attuazione della direttiva 2007/66/CE, la cui disciplina è ora trasfusa, con
alcune modifiche, negli artt. 120 ss. del Codice.
Facendo
applicazione in via normativa del suddetto canone della concentrazione delle
tutele, dispone, invero, l’art. 133, lett. e), n. 1), che appartengono
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie
relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture,
svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio,
all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei
procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale,
ivi incluse quelle risarcitorie e “con
estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del
contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni
alternative”[18].
6.
Estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e controllo
della Corte di Cassazione sulle sentenze del giudice amministrativo tra mito e
storia.
Una
sintetica riflessione in chiusura volta a chiarire quanto debba ritenersi ormai
tramontata la posizione di chi ha sostenuto che l’evoluzione della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e l’ampliamento delle
ipotesi alla stessa ricondotte dal legislatore impongano di por mano all’art.
111 Cost. laddove dispone che avverso le sentenze del Consiglio di Stato è
consentito ricorrere in Cassazione per soli “motivi inerenti alla
giurisdizione”: è la posizione di chi sostiene si debba, quindi, modificare
l’art. 111 Cost., nella parte in cui non prevede, per i diritti soggettivi
demandati alla giurisdizione del giudice amministrativo, il rimedio del ricorso
per cassazione per violazione di legge.
Si tratta di assunto che
non persuade non solo perché non si condivide il presupposto ideologico che ne
costituisce lo sfondo, ma anche, e prima ancora, perché
non appaiono condivisibili le concrete ragioni che ne costituiscono il
substrato culturale ed argomentativo.
Sul primo versante e come
altrove sostenuto, il recupero dell’idea dell’unità
della giurisdizione, se intesa in senso ordinamentale e non funzionale, è oggi un
esercizio intellettuale antistorico[19].
E’ antistorico perché non
considera l’evoluzione del sistema di giustizia amministrativa, connotata da
una affermazione prepotente dei principi di effettività e pienezza della
tutela, con un solido irrobustimento delle tecniche di tutela sperimentabili
innanzi al giudice amministrativo; ignora che è ormai prevalsa, come
riconosciuto dalla Corte costituzionale nella importante sentenza n. 77/2007 in
tema di translatio iudicii, una
concezione sostanzialmente identica della funzione giurisdizionale, unitaria, pur se articolata su una
pluralità di giudici.
Soprattutto,
però, in disparte gli approcci ideologici, sarebbe davvero paradossale che si
proponesse ancora oggi la indicata riscrittura dell’art. 111 Cost. nonostante
quanto successo con riguardo all’idea stessa di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, a far data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004.
La questione
merita un particolare sforzo di chiarezza espositiva.
Ebbene, il
principale argomento su cui ha fatto a lungo leva l’assunto per il quale si
impone una modifica dell’art.
111 Cost., nella parte in cui non prevede, per i diritti soggettivi demandati
alla giurisdizione del giudice amministrativo, il rimedio del ricorso per
cassazione per violazione di legge è quello tratto dall’ampliamento e dalla
trasformazione ontologica che, fino ad un certo momento, ha connotato la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Per citare uno dei
principali teorizzatori di tale posizione[20], prima del riconoscimento della risarcibilità
dei danni da lesione di interessi legittimi ad opera della Cassazione con la
nota sentenza n. 500 del 1999 e, soprattutto, prima dell’“ampliamento a
dismisura delle ipotesi di giurisdizione esclusiva”, giurisdizione ordinaria e
giurisdizione amministrativa costituivano due “comparti stagni” e “il giudice
amministrativo non era (o quasi mai) chiamato ad interpretare ed applicare
norme c.d. di diritto comune, mentre il giudice ordinario non era mai chiamato
ad interpretare ed applicare norme, speciali, relative al potere
amministrativo”.
Riteneva l’Autore,
quindi, “coerente” che “la nomofilachia, il compito di assicurare l’esatta
osservanza e uniforme interpretazione della legge relativa all’esercizio dei
poteri amministrativi (e all’attività esclusiva vincolata della pubblica
amministrazione)”, fosse affidata al “Consiglio di Stato, magistratura
superiore in tale settore”, e “il compito di assicurare l’esatta osservanza e
uniforme interpretazione della legge c.d. di diritto comune” alla Corte di
Cassazione.
A modificare la indicata
valutazione scientifica di coerenza costituzionale sarebbe stato quindi,
principalmente, l’“ampliamento a dismisura delle ipotesi di giurisdizione
esclusiva”, recante con sé che “l’interpretazione e l’applicazione delle norme
del codice civile in tema di obbligazioni, responsabilità e contratti non è più
riservata al giudice ordinario ma diviene propria anche del giudice
amministrativo”.
L’ampliamento “a dismisura”
cui è stato imputato il cambio di sistema non è, quindi, di tipo quantitativo, ma qualitativo: si è intravisto il profilo centrale del cambiamento
“copernicano” nel fatto che, per effetto delle nuove ipotesi di giurisdizione
esclusiva dal legislatore riconosciute al giudice amministrativo, quest’ultimo
ha smesso di attendere all’interpretazione ed applicazione delle sole norme, speciali, relative al
potere amministrativo, applicando anche, nel contenzioso esteso ai diritti,
norme c.d. di diritto comune.
Ecco, allora, che
giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa avrebbero smesso di
costituire due “comparti stagni”.
Onde la sostenuta
illegittimità costituzionale del sistema così come venutosi a delineare,
assuntamente confliggente con gli artt. 103, comma 1, e 113, ult. comma,
Cost., da cui “si desume il principio
che nel nostro sistema costituzionale la giurisdizione amministrativa può
estendersi a diritti solo in ipotesi eccezionali, davvero particolari”.
Ebbene, se questo è il
substrato teorico della pretesa estensione del controllo da demandare alla
Corte di Cassazione sulle pronunce del Consiglio di Stato pare troppo agevole
osservare che lo stesso sia definitivamente crollato dopo Corte cost. n. 204 del 2004 e l’evoluzione che ne è seguita, come
positivizzata nell’art. 7 del Codice del processo amministrativo, tanto più se
si interpreta in senso restrittivo, come sopra suggerito, il riferimento alle
controversie concernenti “il mancato
esercizio del potere”.
Non può più sostenersi,
invero, che nelle materie di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo,
occupandosi al pari del giudice ordinario di posizioni di diritto soggettivo, applichi
le stesse norme di diritto comune oggetto della normale interpretazione
affidata al giudice ordinario.
Non
è più consentito farlo senza ignorare la portata delle novità introdotte dalle
fondamentali e citate sentenze della Corte Costituzionale.
Anche nelle materie di
giurisdizione esclusiva, invero, la cognizione e la decisione demandata al giudice
amministrativo hanno ad oggetto le modalità con cui il potere è stato
esercitato, come incidenti sulle posizioni, anche di diritto soggettivo, del
privato.
Sicché,
volendo invertire la prospettiva, i diritti soggettivi nei quali si imbatte il
giudice amministrativo nelle materie di giurisdizione esclusiva sono quelli che
trovano la loro disciplina non già nei soli atti di autonomia privata, “bensì
anche nella concorrente potestà dell’amministrazione che è in grado, oltre che
di estinguerli per ragioni di pubblica utilità, di conformarne l’esercizio
per renderlo compatibile con gli interessi collettivi che di volta in volta
interagiscono con quello del privato” [21].
Giurisdizione ordinaria e
giurisdizione amministrativa continuano a costituire, allora, due “comparti
stagni”, se si considera l’oggetto delle rispettive cognizioni.
C’è stata certo una
tendenziale equiparazione del tasso di tutela che i due giudici sono in grado
di assicurare.
Ma, il livellamento,
verso l’alto, del grado di satisfattività e pienezza della tutela oggi
assicurata dal giudice amministrativo non toglie certo che, nelle due
giurisdizioni, la cognizione abbia oggetti chiaramente distinti, sicché diverse
sono le norme che i due giudici sono tendenzialmente chiamati ad applicare.
E’
allora ancora coerente che la nomofilachia, il compito di assicurare l’esatta
osservanza e uniforme interpretazione della legge relativa all’esercizio dei
poteri amministrativi (e all’attività esclusiva vincolata della pubblica
amministrazione), continui ad essere saldamente affidata al Consiglio di Stato,
magistratura superiore in tale settore.
Certo
non può sostenersi che la suddetta estensione (ai motivi di violazione di
legge) del controllo della Corte di Cassazione si imponga per ragioni di
doverosa attuazione del principio di cui all’art. 3 Cost. nelle ipotesi di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L’attribuzione
al giudice amministrativo di una giurisdizione estesa ai diritti soggettivi non
reca con sè, infatti, l’introduzione di una tutela differenziata tra soggetti
titolari della medesima situazione soggettiva, ma solo che, in quelle
“particolari” materie, è assicurata una tutela a chi, pure titolare di diritti,
venga a contatto con il potere dell’amministrazione.
Come
di recente osservato, anzi, l’indicata estensione del controllo della Corte di
Cassazione finirebbe per incidere sull’attuale riparto di giurisdizione, “in
virtù del quale al giudice ordinario è precluso, salvo casi espressamente
previsti, il sindacato sull’esercizio della funzione amministrativa volta ad
incidere sulle situazioni soggettive del privato, siano esse di diritto
soggettivo o di interesse legittimo, al fine di operare il loro giusto
contemperamento con l’interesse pubblico”[22].
E’
allora sulla tutela che a quelle posizioni soggettive il giudice amministrativo
deve garantire che occorre concentrare gli sforzi futuri.
L’unità
della giurisdizione è stata un’idea affascinante[23].
La
storia, però, ha preso un’altra direzione, non meno appassionante.
Si è
trattato di un percorso non privo di fasi e momenti di criticità, manifestatesi
tra l’altro nelle difficoltà registratesi nell’assicurare un punto di
equilibrio tra le giurisdizioni, oltre che nel garantire, al loro interno, sistemi di tutela con adeguato tasso di
effettività e pienezza.
Certo,
non si tratta di difficoltà del tutto superate, neanche dopo il Codice del
processo amministrativo; va tuttavia riconosciuto che passi in avanti, taluni
prodigiosi e impensabili solo fino a
qualche anno fa, sono stati fatti.
E’
da quei risultati, allora, che occorre ripartire per assicurare che il Codice
costituisca occasione per guardare avanti, nel segno del potenziamento delle
tutele, senza ingenue nostalgie per idee connotate certo da un indubbio fascino
intellettuale, ma ormai battute dalla storia.
* Relazione tenuta al Convegno “Il codice del processo amministrativo”, Lecce, 12 novembre 2010.
[1] In tema, CLARICH-ROSSI SANCHINI, Linee evolutive del processo amministrativo:
il lungo cammino (non ancora concluso) dal giudizio sull’atto al giudizio sul
rapporto, in AMATO-GAROFOLI, I tre
assi, Neldiritto editore, 2009.
[2] Per tutti, PROTO PISANI, Riparto della giurisdizione per blocchi di
materia, funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e unicità della
giurisdizione, in Atti del convegno tenutosi presso il C.S.M., 21-23
gennaio 2002.
[3] PAOLANTONIO, Commento all’art.
[4] Cass., s.u., 9 novembre 2009, n. 23679.
[5] Cass., s.u., 2 luglio 2009, n. 15469;
da ultimo, id., 25 marzo 2010, n. 7160 e, prima, id. 12 settembre 2008, n.
23561; id. 19 aprile 2007, n. 9323; id. 2 aprile 2007, n. 8210; id. 28 febbraio
2007, n. 4632; id. 7 febbraio 2007, n. 2688; id. 31 ottobre 2006, n. 23339; id.
13 giugno 2006, n. 13659.
[6] Cons. St., A.P., 30 luglio 2007, n. 9;
id. 22 ottobre 2007, n. 12; di recente, id., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 92.
[7]
Cons.
[8] PAOLANTONIO, Commento all’art. 7, cit.
[9] Previsione, questa,
che rinviene il suo precedente normativo nell’art. 4, d. l. 23 maggio 2008, n.
90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello
smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di
protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008,
n. 123. Tale norma prevedeva, infatti,
la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte
le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla
complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con
comportamenti dell’amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa
equiparati; la predetta norma aggiungeva che la giurisdizione del giudice
amministrativo è estesa anche alle controversie relative a diritti
costituzionalmente tutelati. Su tale disposizione è, di recente, intervenuta
Corte cost. 27 gennaio 2010, n. 35, dichiarando non fondata la relativa
questione di costituzionalità.
[10] Cass.civ., s.u., 20 febbraio 1992, n.
2092.
[11] Cass. civ., s.u., 18 novembre 1997, n.
11432, con cui i giudici di legittimità hanno attribuito alla cognizione del
G.O. la domanda risarcitoria dei danni derivanti da provvedimenti
dell’amministrazione scolastica con cui era stata imposta la frequenza di corsi
alternativi ad alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della religione
cattolica.
[12] In termini, più di
recente, Cass. Civ., s.u., ord. 5 marzo 2010, n.
5290.
[13] Cass,
10 luglio 2006, n. 15614.
[14] Cass. civ,
s.u., nn. 11333 e 11334/2005, 14848/2006.
[15] Cass. civ, s.u., n. 13548/2005.
[16] Cass. civ, s.u., n. 558/2000.
[17] Cass., s.u., 28 dicembre 2007, n.
27169; id., ord., 13 marzo 2009, n. 6068; id. 17 dicembre 2008, n. 29425;
conforme anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St., A.P., 30
luglio 2008, n. 9).
[18] Sul nuovo contenzioso in tema di
appalti pubblici, Ge. FERRARI, Il
contenzioso degli appalti pubblici nel nuovo codice del processo amministrativo,
Neldiritto Editore, 2010.
[19] GAROFOLI,
[20] PROTO PISANI, Riparto della giurisdizione per blocchi di materia, funzione
nomofilattica della Corte di Cassazione e unicità della giurisdizione, in
Atti del convegno tenutosi presso il C.S.M., 21-23 gennaio 2002.
[21] Cfr., in tema, le
osservazioni di VARRONE, Autonomia della politica e giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, in www.giustamm.it
[22] VARRONE, Autonomia della politica e giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, in www.giustamm.it
[23] Confesso di esserne rimasto affascinato
anche io in gioventù: GAROFOLI, Unicità della giurisdizione e indipendenza
del giudice: principi
costituzionali ed effettivo sviluppo del sistema giurisdizionale, in Dir. proc
amm., 1998, 121;