IL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO – LA GESTIONE DEL PROCESSO: NUOVI TERMINI E ADEMPIMENTI.

 

 

Il tema affrontato è vasto al punto che, in questa sede, può essere affrontato solo sommariamente e senza alcuna pretesa di esaustività e completezza.

E’ necessario, subito, evidenziare che il Codice del Processo Amministrativo (approvato con il Decreto Legislativo 2 Luglio 2010  104, entrato in vigore il 16 Settembre 2010) rappresenta un atto legislativo dovuto (che, peraltro, giunge con oltre dieci anni di ritardo) di attuazione dei principi del giusto processo inseriti nell’art. 111 della Costituzione dall’art. 1 della Legge Costituzionale 2 del 1999 e, precisamente, sia del primo comma dell’art. 111, statuente che “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, sancendo una riserva di legge qualificata che rendeva non più procrastinabile l’eliminazione della previgente principale fonte regolatrice del processo amministrativo, di natura regolamentare (R.D. 17 Agosto 1907 642), in vigore da oltre un secolo, sia del terzo comma del medesimo art. 111 secondo cui “La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Ma, a ben vedere, il Codice del Processo Amministrativo costituisce, altresì, la prima doverosa attuazione, da parte di un codice di procedura, dell’art. 117 primo comma della Costituzione (nel testo novellato dalla Legge Costituzionale 3/2001) che impone la presenza nell’ordinamento interno di una legislazione positiva (anche di carattere processuale) in sintonia con il diritto internazionale e sovranazionale.

E’ noto, infatti, che, anche se di solito il “legislatore” comunitario limita il suo intervento all’ambito sostanziale delle materie rientranti nelle sue competenze esclusive e concorrenti (indicate dal Trattato), lasciando ai singoli Stati il compito di stabilire le regole processuali volte a permettere la tutela delle correlate posizioni giuridiche soggettive, tuttavia, la sfera di autonomia processuale dei singoli Stati membri incontra – pur sempre – il rilevante limite della non discriminazione e dell’effettività del risultato: i singoli ordinamenti processuali devono, infatti, necessariamente garantire (in ragione della imperatività del diritto comunitario) alle posizioni giuridiche soggettive derivanti dalle fonti comunitarie un livello di tutela che sia al contempo non inferiore a quello assicurato alle omologhe posizioni create dal diritto nazionale, nonché pieno ed effettivo, tale da non rendere ardua o comunque inadeguata la tutela giudiziaria delle pretese di origine comunitaria.

Inoltre, la Consulta ha definitivamente chiarito che i principi processuali del diritto europeo derivanti dalla C.E.D.U., così come interpretati dalla Corte di Strasburgo, sono direttamente applicabili dal giudice nazionale, ove non si renda necessario un controllo di costituzionalità sulla norma interna incompatibile con la norma europea (Corte Costituzionale, sentenze nn° 348 e 349 del 2007).

Adesso, il Codice del Processo Amministrativo recepisce organicamente e consapevolmente il diritto processuale europeo (della Unione Europea e della C.E.D.U.), ossia la c.d. “rete europea di garanzie”, in linea generale, attraverso l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 1 (rubricato: “Effettività”) alla tutela piena ed effettiva secondo i principi del diritto europeo ed, in particolare, ribadendo e perfezionando (anche per gli appalti “sotto soglia”) l’attuazione della Direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 Dicembre 2007 (c.d. “Direttiva ricorsi”), concernente il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di appalti pubblici, operando alcuni passi in avanti (rispetto al Decreto Legislativo 53/2010) specialmente nella direzione di assicurare pienezza ed effettività alla tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche soggettive azionate dai soggetti titolari del c.d. interesse strumentale, allorquando con l’art. 124 c.p.a. elimina la previgente limitazione dettata dall’art. 12 del Decreto Legislativo 53/2010 in base alla quale, nelle ipotesi in cui il Giudice non dichiara l’inefficacia del contratto, si poteva disporre il risarcimento del danno per equivalente unicamente in favore del ricorrente avente titolo all’aggiudicazione della gara; nonchè, con l’art. 4 dell’Allegato 4, confermando l’abrogazione del c.d. “giudizio immediato”, introdotto dall’art. 20 comma otto del Decreto Legge 29 Novembre 2008 185, convertito dalla Legge 28 Gennaio 2009 2, per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi relativi ai c.d. investimenti pubblici anticrisi, posto che deve ritenersi violare la “ragionevole durata” del processo non soltanto un giudizio lento, ma anche un giudizio eccessivamente (ed ingiustificatamente) veloce (con termini estremamente esigui e adempimenti processuali oltremodo onerosi, normativamente imposti al G.A. ed alle parti in causa, a prescindere dalla complessità o meno della lite).

Nell’affrontare, più specificamente, la tematica oggetto della presente trattazione, dobbiamo – in primis – rammentare che l’art. 44 primo comma della Legge-delega 18 Giugno 2009 69 dispone che il riassetto della disciplina del processo amministrativo deve tendere essenzialmente al fine (oltre che di raggiungere un coordinamento con i principi generali sanciti dal codice di procedura civile) di assicurare la concentrazione delle tutele.

Il secondo comma del citato articolo 44 – nel fissare i principi e i criteri direttivi per il Governo delegato – prevede, poi (per quanto qui interessa): la necessità di assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata dal processo e l’individuazione di misure, anche transitorie, di eliminazione dell’arretrato; l’obbligo di disciplinare, ed eventualmente di ridurre, i termini di decadenza o prescrizione delle azioni esperibili dinanzi al G.A. e di procedere alla revisione e razionalizzazione dei riti speciali, nonché di razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, con la contestuale previsione di un rito abbreviato in Camera di Consiglio per le controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con la data di svolgimento delle predette elezioni.

Passando al Decreto Delegato 104/2010, e invertendo (ma solo apparentemente) l’ordine logico della trattazione, è opportuno – innanzitutto – osservare che l’art. 2 delle disposizioni transitorie contenute nell’Allegato 3 del Codice del Processo Amministrativo (rubricato “Ultrattività della disciplina previgente”) nel prevedere che “Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del Codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”, non intende in realtà prolungare ad epoca successiva al 16 Settembre 2010 l’applicazione degli istituti processuali così come configurati dalla disciplina pregressa (ad esempio: regolamento di competenza) e per l’attivazione dei quali siano ancora in corso i termini di legge alla data di entrata in vigore del C.P.A., ma solo confermare l’ultrattività dell’entità (cioè della misura) dei termini processuali previgenti e non ancora spirati alla predetta data di entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo.

Ciò è confermato, oltre che dell’applicazione dei consueti ortodossi canoni ermeneutici, anche esplicitamente dall’art. 4 dell’Allegato 4 del Codice che abroga l’intero R.D. 17 Agosto 1907 642, oltre alle norme processuali contenute nella Legge 6 Dicembre 1971 1034 e nel R.D. 26 Giugno 1924 1054, con decorrenza dalla data di entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo, rendendo – dunque – impossibile (a partire dal 16 Settembre 2010) l’applicazione degli istituti processuali nelle modalità non più contemplate dalla nuova disciplina codicistica.

Concludendo il discorso sulla disciplina transitoria, si deve sottolineare che – come condivisibilmente segnalato nella nota del Presidente del Consiglio di Stato del 27 Settembre 2010 – in relazione ai termini relativi al deposito di documenti, memorie e repliche, sensibilmente modificati dall’art. 73 primo comma c.p.a., la soluzione interpretativa più plausibile è sicuramente quella di applicare la nuova disciplina codicistica ai ricorsi la cui udienza di merito è stata fissata ad una data tale che l’intervallo temporale tra la data di avviso e la data di udienza ricomprenda l’intero spazio di sessanta giorni previsto dall’art. 71 quinto comma del Codice, da calcolare a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 104/2010, e  - pertanto - per le udienze  di merito celebrate tra il 16 Settembre 2010 e il 15 Novembre 2010 continua a trovare applicazione la pregressa disciplina e, quindi, i termini di venti e dieci giorni per il deposito rispettivamente dei documenti e delle memorie e con l’esclusione della possibilità di presentare le repliche.

Detta conclusione si estende, inoltre, a tutti i riti speciali con termini dimezzati, computando però trenta giorni, anziché sessanta, sempre con decorrenza dal 16 Settembre 2010.

Ad una prima visione complessiva del Codice del Processo Amministrativo, possiamo subito rilevare che l’art. 30 realizza, indubbiamente, la snellezza, la concentrazione e l’effettività della tutela delle posizioni giuridiche soggettive, nonché la ragionevole durata del processo allorquando prevede che: “L’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma” (primo comma); ”La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta (n.d.r.: anche in via autonoma) entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla comunicazione del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo” (terzo comma); “Per il risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3° non decorre fintanto che perdura l’inadempimento. Il termine di cui al comma 3° inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere” (quarto comma); “Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesione di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo” (sesto comma).

Anche se il quinto comma del medesimo art. 30 tempera la realizzazione dei predetti principi direttivi disponendo che: “Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento, la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”.

Dà, invece, piena attuazione ai medesimi principi direttivi il successivo art. 31 che, oltre a confermare che l’azione avverso il silenzio rifiuto può essere proposta non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento amministrativo, stabilisce – del tutto innovativamente – che: “La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni” (salvo che per gli atti posti in essere in violazione o elusione del giudicato) e pur aggiungendo che “La nullità dell’atto può essere sempre opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice”.

Esaminando, poi, il procedimento cautelare, come disciplinato dal Codice del Processo Amministrativo, risulta evidente che “l’incidente cautelare” ha subìto un modesto rallentamento (rispetto alla normativa previgente) nella fase iniziale inerente la fissazione della Camera di Consiglio, posto che l’art. 55 quinto comma dispone che “sulla domanda cautelare il Collegio pronuncia nella prima Camera di Consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione (che si riducono a dieci nelle controversie ex artt. 119 e 120) e, altresì, al decimo giorno dal deposito del ricorso (che diventano cinque nelle controversie ex artt. 119 e 120), ampiamente compensato – però – vuoi dalla introduzione operata dall’art. 61 (per tutte le materie) della tutela cautelare “ante causam”, vuoi soprattutto dalla puntualizzazione e razionalizzazione del rito, con la innovativa previsione che le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della Camera di Consiglio (che diventa uno nelle controversie ex artt. 119 e 120), altrimenti i difensori delle parti possono solo costituirsi nella Camera di Consiglio al fine di esporre oralmente le proprie posizioni, con la precisazione che il Collegio – per gravi ed eccezionali ragioni – può autorizzare la produzione in Camera di Consiglio di documenti, ma non delle memorie difensive.

Viene anche previsto, ex novo: che il T.A.R., in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita fissazione del giudizio di merito, può limitarsi a fissare con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso nel merito; che l’ordinanza con cui è disposta una misura cautelare fissa sempre la data di discussione del ricorso nel merito; che il giudice adito può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria giurisdizione e la propria competenza; che, ai soli fini cautelari, ove la notificazione sia effettuata a mezzo del servizio postale, il ricorrente se non è ancora in possesso dell’avviso di ricevimento, può provare la data di perfezionamento della notificazione producendo copia dell’attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza nel sito internet delle Poste (con salvezza della prova contraria); e che con l’ordinanza che decide sulla domanda il giudice provvede sulle spese della fase cautelare, con una pronuncia che conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.

Per ciò che concerne, in particolare, il regime delle spese del procedimento cautelare sembra più opportuno, nel silenzio sul punto dell’art. 57 del c.p.a., operare un riferimento analogico (“analogia iuris”) al principio generale della soccombenza, piuttosto che (“analogia legis”) alla disciplina specifica dettata dagli artt. 91 e 92 c.p.c. che – notoriamente – consente la compensazione (totale o parziale) delle spese processuali solo se vi sia soccombenza reciproca o se concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni specificamente indicate nella motivazione.

Infine, si segnala che, siccome il Codice del Processo Amministrativo non pare legittimare la preesistente diffusa prassi consistente nell’abbinamento al merito dell’istanza cautelare, si ritiene che attualmente sia consentita solo l’opzione tra la rinuncia alla domanda cautelare (che, però, pone il problema dell’eventuale applicazione analogica alla fase cautelare del principio che pone le spese processuali a carico del rinunciante) e la cancellazione del ruolo della domanda cautelare (anch’essa foriera di taluni inconvenienti come, ad esempio in materia di appalti, dove nell’ipotesi di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva potrebbe lasciare intatto il divieto di stipulare il contratto previsto dall’art. 11 comma 10-ter del Decreto Legislativo 163/2006 e ss.mm.).

Spostando, ora, l’esame ai riti speciali che si svolgono in Camera di Consiglio, si deve segnalare che – rispetto alla disciplina previgente – il Codice del Processo Amministrativo (oltre a sopprimere il procedimento in Camera di Consiglio per i giudizi nei quali si debba soltanto dare atto della rinuncia al ricorso o dichiarare la perenzione o la cessazione della materia del contendere prevedendolo, invece, ex novo per i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio) ha un poco allungato i termini per la fissazione dell’udienza camerale.

In precedenza, infatti, era previsto che i ricorsi avverso il silenzio-rifiuto e il diniego (espresso o tacito) di accesso ai documenti amministrativi erano decisi in Camera di Consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, mentre il ricorso per l’esecuzione del giudicato era fissato nella prima Camera di Consiglio utile spirato il termine di venti giorni dalla comunicazione della Segreteria alla P.A. competente dell’avvenuto deposito del ricorso di ottemperanza, mentre – adesso – l’art. 87 terzo comma del Codice del Processo Amministrativo dispone, invece, che “la Camera di Consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate” (quindi, in pratica, alla prima udienza camerale utile dopo sessanta giorni dalla notifica del ricorso).

Però, il Codice del Processo Amministrativo ha complessivamente accelerato e, soprattutto, razionalizzato i predetti riti camerali stabilendo (all’art. 87) che in essi “tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti”, e (negli artt. 114, 116 e 117) che “il Giudice decide con sentenza in forma semplificata”.

Dunque, mentre secondo la disciplina previgente i difensori delle parti costituite potevano liberamente depositare documenti e memorie sino alla Camera di Consiglio fissata per la decisione dei ricorsi in tema di ottemperanza, silenzio-rifiuto e accesso, ora, –  in base al combinato disposto degli artt. 73 e 87 c.p.a. – dovranno rispettare i termini di venti e quindici giorni liberi prima della udienza camerale.

Va, infine, rilevato che, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 87, per siffatti procedimenti camerali “la trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione”, essendo stata, invece, abrogata la previgente previsione secondo cui “se una delle parti ne faccia richiesta il Presidente ordina che il ricorso si tratti in udienza pubblica”, e che per i giudizi di ottemperanza e avverso il silenzio-rifiuto è contemplato il passaggio al rito ordinario in pubblica udienza, rispettivamente, nelle ipotesi in cui venga proposta la domanda risarcitoria di cui all’art. 30 quinto comma e sia stato impugnato con motivi aggiunti il provvedimento espresso sopravvenuto nel corso del giudizio o un atto connesso con l’oggetto della controversia, mentre l’ultimo comma dell’art. 117 c.p.a. dispone che se l’azione di risarcimento del danno per l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo è proposta congiuntamente all’impugnazione del silenzio-rifiuto, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

Per ciò che attiene la fase di discussione e di decisione del ricorso nel  “rito ordinario”, per ovvie ragioni di sintesi, ci limiteremo ad evidenziare solo talune rilevanti innovazioni introdotte dal Codice del Processo Amministrativo.

Premesso che l’art. 53 c.p.a. consente ora – nei casi d’urgenza e su istanza di parte – l’abbreviazione dei termini previsti dal Codice per la fissazione di udienze (o di camere di consiglio) non oltre la metà dei termini predetti, stabilendo che in tal caso sono ridotti proporzionalmente i termini per le difese della relativa fase, si osserva che l’art. 71 dispone “ex novo” sia che l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione non è revocabile e deve essere presentata (a pena di perenzione) entro il termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo, sia che il decreto di fissazione è comunicato, a cura della Segreteria, a tutte le parti costituite almeno sessanta giorni prima dell’udienza di merito fissata, aggiungendo che tale termine è ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se l’udienza di merito è fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare.

In particolare, quest’ultimo inciso non sembra poter precludere la possibilità della fissazione immediata di un’udienza di merito da celebrarsi anche prima dei predetti quarantacinque giorni, nell’ipotesi in cui tutte le parti costituite esprimano (nella Camera di Consiglio fissata per la delibazione dell’istanza cautelare) la loro rinuncia dei termini a difesa.

Considerato, poi, che l’art. 4 dell’Allegato 4 del Decreto Legislativo 2 Luglio 2010 104 ha disposto l’abrogazione dell’intero R.D. 17 Agosto 1907 642, e quindi anche dell’art. 55 del medesimo R.D. contemplante che “il ricorso nel giorno stabilito è deciso, ancorchè non intervengano le parti né i loro difensori”, si ritiene che, ove nelle udienze di merito celebrate a partire dal 16 Settembre 2010 non siano presenti i difensori delle parti, il Collegio non potrà più introitare la causa per la decisione, ma dovrà disporne la cancellazione dal ruolo (non sembrando applicabile, nemmeno in via analogica, la disciplina dettata dall’art. 309 c.p.c.).

Infine, non può essere obliterata l’importante innovazione introdotta dall’art. 73 quarto comma c.p.a. nel sancire espressamente l’applicabilità al giudizio amministrativo degli artt. 114 quarto comma e 118 quarto comma delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, secondo cui “Il Collegio è formato (sempre) dal Presidente, dal Relatore e dal Giudice più anziano”, e “La scelta dell’estensore della sentenza …. è fatta dal Presidente tra i componenti del Collegio che hanno espresso voto favorevole alla decisione”, anche se va precisato che quest’ultima norma va riferita solo all’ipotesi prevista dall’ultimo comma dell’art. 276 c.p.c., in cui il Presidente si avvale della (eccezionale) facoltà di affidare l’estensione della sentenza ad un giudice diverso dal relatore.

 

Lecce, 8 Novembre 2010                             

Cons. Dr. Enrico d’Arpe