Il rito abbreviato comune a determinate materie nel nuovo codice del processo amministrativo

(Rosanna De Nictolis)

 

Pubblicato sul Sito il 23 settembre 2010

 

Art. 119

Rito abbreviato comune a determinate materie

1. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a:

a) i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti;

b) i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti;

c) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali;

d) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri;

e) i provvedimenti di scioglimento di enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi;

f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale;

g) i provvedimenti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive;

h) le ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali;

i) il rapporto di lavoro del personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell’articolo 22, della legge 3 agosto 2007, n. 124;

l) le controversie comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;

m) i provvedimenti della commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia.

2. Tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all’articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo.

3. Salva l'applicazione dell’articolo 60, il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l'integrazione dello stesso, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti. In caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la fissazione dell'udienza di merito. In tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti.

4. Con l’ordinanza di cui al comma 3, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari. Al procedimento cautelare si applicano le disposizioni del Titolo II del Libro II, in quanto non derogate dal presente articolo.

5. L’ordinanza di primo grado è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione ovvero entro sessanta giorni dalla pubblicazione.

6. Quando almeno una delle parti, nell’udienza discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza, il dispositivo è pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa. La dichiarazione della parte è attestata nel verbale d’udienza.

7. La parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell’esecutività del dispositivo, proponendo appello entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione. La mancata richiesta di sospensione dell’esecutività del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.

8. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo.

 

Sommario:

1. Il rito abbreviato comune in breve.

2. Breve storia del rito abbreviato comune.

3. La specialità del rito.

4. Il campo di applicazione del rito abbreviato quanto a tipo di giudice e fasi processuali.

4.1. In generale.

4.2. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

4.3. Momenti di raccordo tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale.

4.4. Il tribunale superiore delle acque pubbliche.

4.5. Il giudice ordinario: giudizi in materia di esecuzione degli appalti.

5. L’ambito oggettivo del rito speciale: giudizi impugnatori e non impugnatori.

5.1. I <<provvedimenti>>: gli atti autoritativi, gli atti privatistici, i comportamenti.

5.2. I provvedimenti di secondo grado.

5.3. Gli atti diversi da quelli specificamente indicati.

5.4. I giudizi non impugnatori. In particolare il giudizio risarcitorio.

6. Le singole materie oggetto del rito abbreviato comune.

6.1. Gli atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture.

6.2. Gli atti delle Autorità amministrative indipendenti.

6.2.1. In generale.

6.2.2. L’ambito soggettivo: le Autorità indipendenti.

6.2.3. L’ambito oggettivo: i provvedimenti.

6.2.4. Rapporto tra rito speciale e giurisdizione sulle Autorità amministrative indipendenti.

6.2.5. La speciale regola in tema di c.t.u. in caso di provvedimenti sanzionatori di talune Autorità indipendenti.

6.2.6. La tacita abrogazione di altri riti speciali su provvedimenti di autorità indipendenti.

6.3. Le privatizzazioni e le dismissioni.

6.4. I provvedimenti di nomina previa delibera del Consiglio dei Ministri.

6.5. I provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi.

6.6. Le espropriazioni di immobili e di invenzioni.

6.7. I provvedimenti del CONI e delle Federazioni sportive.

6.8. Le ordinanze per situazioni di emergenza ai sensi della legislazione sulla protezione civile.

6.9. Il rapporto di lavoro del personale dei servizi segreti.

6.10. Il contenzioso in materia di energia.

6.11. Il contenzioso sulle misure di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia.

6.12. Le ipotesi previgenti sottoposte al rito abbreviato, non riprodotte nel c.p.a.

6.13. Materie cui non si applica il rito abbreviato comune.

7. Le regole del rito speciale che presuppongono la domanda cautelare e le regole del rito speciale svincolate dalla domanda cautelare.

8. La regola generale del dimezzamento dei termini. I termini sottratti al dimezzamento.

8.1. In generale. I termini non dimezzati.

8.2. I termini dimezzati.

8.2.1. Il termine di deposito di ricorso principale, motivi aggiunti, ricorso incidentale. I termini di costituzione delle altre parti.

8.2.2. I termini dell’incidente sulla competenza.

8.2.3. I termini del procedimento di ricusazione.

8.2.4. I termini per la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.

8.2.5. I termini dell’incidente cautelare.

8.2.6. Definizione del giudizio in esito a udienza cautelare.

8.2.7. I termini per l’udienza di merito e per la sentenza.

8.2.8. I termini per perenzione e estinzione del giudizio.

8.2.9. I termini dei giudizi di impugnazione.

8.2.10. I termini del giudizio di ottemperanza nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

8.2.11. Il termine del periodo feriale.

9. La fissazione dell’udienza di merito con ordinanza resa in udienza cautelare.

10. La tutela cautelare.

11. La pubblicazione del dispositivo e la sua impugnazione.

12. La motivazione della sentenza.

13. Il rapporto tra rito abbreviato e rito immediato.

14. I termini degli altri riti speciali nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

15. Il regime fiscale per le liti dell’art. 119 c.p.a.

16. Disciplina transitoria.

 

1. Il rito abbreviato comune in breve.

Nell’art. 119 c.p.a. viene riassettata la disciplina recata in precedenza art. 23-bis, l. Tar, e dalle disposizioni che ad esso facevano rinvio, con le seguenti innovazioni:

a) disciplina bifasica per tutto il contenzioso relativo ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, al quale si applica la disciplina dell’art. 119 e in aggiunta quella dell’art. 120 c.p.a.;

b) inserimento delle ulteriori materie a cui, dopo il 2000, era stato esteso il rito speciale dell’art. 23-bis, in virtù di svariate leggi;

c) razionalizzazione della disciplina dei termini del rito, con dimezzamento di tutti i termini processuali, salvo quelli per l’introduzione delle domande in primo grado (ricorso, motivi aggiunti, ricorso incidentale) e quelli per la notifica e il deposito dell’appello cautelare (avverso l’ordinanza cautelare) ai sensi dell’art. 62, co. 1, c.p.a.;

e) chiarimento, quanto ai provvedimenti delle Autorità indipendenti, che il rito speciale non riguarda i provvedimenti inerenti il rapporto di servizio del personale dipendente;

f) espunzione di alcune ipotesi marginali a cui in passato si applicava il rito speciale e, segnatamente:

f.1) il ricorso avverso i provvedimenti del Ministero delle comunicazioni adottati sulla base delle disposizioni del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259 e successive modificazioni;

f.2) i ricorsi avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 12, co. 3, l. 29 dicembre 1993 n. 580.

Con riferimento alle singole lettere del comma 1 dell’articolo si segnala che:

1) la lett. a) riproduce, in modo più sintetico, le lett. a), b), c), dell’art. 23-bis, l. Tar, che riguardavano i pubblici appalti;

2) le lettere b), c), d), e) dell’articolo riproducono, rispettivamente, le lettere d), e), f), g), dell’art. 23-bis, l. Tar;

3) nella lettera b) dell’art. 119 c.p.a. oltre a riprodursi la lettera d) dell’art. 23-bis, l. Tar, vengono trasfuse le previsioni degli articoli: 10, co. 10 e 11- quinquies, l. n. 28/2000; 9, d.lgs. n. 259/2003; 24, co. 5, l. n. 262/2005, tutte disposizioni che richiamavano il rito dell’art. 23-bis, l. Tar, per svariate tipologie di provvedimenti di Autorità amministrative indipendenti;

4) la lettera f) dell’art. 119 riproduce le previsioni recate: dall’art. 53, co. 2, d.lgs. n. 325/2001; dall’art. 53, co. 2, d.P.R. n. 327/2001; dall’art. 142, d.lgs. n. 30/2005;

5) la lettera g) dell’art. 119 riproduce le previsioni recate dall’art. 3, d.l. n. 220/2003, conv. in l. n. 280/2003;

6) la lettera h) dell’art. 119 riproduce la previsione di cui all’art. 3, d.l. n. 245/2005, conv. nella l. n. 21/2006;

7) la lettera i) dell’art. 119 riproduce la previsione di cui all’art. 22, l. n. 124/2007;

8) la lettera l) dell’art. 119 riproduce le previsioni di cui all’art. 41, l. n. 99/2009 e di cui all’art. 1, co. 552, l. n. 311/2004;

9) la lettera m) estende il rito speciale abbreviato ai provvedimenti relativi alle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori di giustizia, per i quali ad oggi è previsto (art. 10, co. 2-quinquies, 2-sexies, 2-septies, 2-octies, d.l. n. 8/1991, conv. in l. n. 82/1991) un rito abbreviato distinto ma similare, con abbreviazione dei termini processuali, pubblicazione del dispositivo, tutela di merito a breve distanza dalla tutela cautelare.

Il co. 2 dell’art. 119 c.p.a. disciplina il dimezzamento dei termini processuali e le relative deroghe.

I co. 3 e 4 dell’art. 119 c.p.a. disciplinano l’abbreviazione del rito riproducendo le norme vigenti. Se in udienza cautelare il collegio ritiene che il ricorso presenta profili sia di fumus che di periculum, viene con ordinanza fissata l’udienza di merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termie di trenta giorni dal deposito dell’ordinanza. Se poi ne ricorrono i presupposti, la causa può essere definita con sentenza in forma semplificata già in esito all’udienza cautelare.

E’ allora evidente che la corsia preferenziale, per la celere definizione della lite, esiste solo se il collegio ravvisi profili di periculum e fumus, perché solo in tal caso viene fissata rapidamente l’udienza di merito.

Fuori da tale ipotesi, se la domanda cautelare viene respinta, il ricorso perde la corsia preferenziale per la fissazione del merito e dunque il rito non differisce nel suo svolgimento da un rito ordinario, se si eccettua il dimezzamento dei termini che si applica comunque.

Il co. 5 dell’art. 119 c.p.a. disciplina la pubblicazione del dispositivo, rendendola, rispetto al regime vigente, solo eventuale, su istanza di parte.

E’ sufficiente l’istanza di una sola parte. Essa va formulata nell’udienza di discussione e inserita nel verbale di udienza.

Il co. 6 dell’art. 119 c.p.a. disciplina l’appello sul dispositivo e sulla sentenza, prevedendo per l’impugnazione del dispositivo un unico termine di trenta giorni decorrente dalla sua pubblicazione. La successiva motivazione va impugnata entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza o entro tre mesi dalla sua pubblicazione. Tali termini si osservano anche se è impugnata direttamente la sentenza. L’appello avverso il dispositivo è, come già in passato, un appello cautelare, finalizzato alla sospensione del dispositivo medesimo.

Il co. 7 dell’art. 119 c.p.a. estende il rito abbreviato ai giudizi di impugnazione.

Le novità sono:

l’esclusione del rito abbreviato per alcune ipotesi per le quali era in precedenza previsto;

l’eliminazione della previgente disciplina dei termini di deposito di memorie e documenti calcolati con decorrenza dall’ordinanza che fissa l’udienza di merito;

la pubblicazione solo eventuale del dispositivo di sentenza, se ed in quanto vi sia istanza, resa nell’udienza di discussione, di almeno una delle parti;

il riassetto dei termini in appello:

trenta o sessanta giorni per l’appello su ordinanza cautelare, senza dimezzamento;

trenta giorni dalla pubblicazione per l’impugnazione del solo dispositivo;

trenta giorni dalla notifica o tre mesi dalla pubblicazione per l’appello su sentenza o sulla motivazione dopo l’impugnazione del dispositivo (termine ordinario dimezzato).

 

2. Breve storia del rito abbreviato comune.

L’art. 119 c.p.a. può essere definito figlio del rito abbreviato dell’art. 23-bis, l. Tar, e nipote del rito immediato di cui all’art. 19, d.l. n. 67/1997 di cui a sua volta l’art. 23-bis citato era figlio.

L’art. 19, d.l. n. 67/1997 prevedeva un giudizio immediato (in esito all’udienza cautelare) e non solo abbreviato, solo in materia di opere pubbliche, connotato da un generalizzato dimezzamento dei termini compreso quello di proposizione del ricorso.

A sua volta l’art. 23-bis, l. Tar[1], innovava rispetto all’art. 19, d.l. n. 67/1997, sotto i seguenti profili:

- ambito applicativo più esteso, riferentesi non solo ai pubblici appalti ma anche ad altre materie;

- termine ordinario, e non più dimezzato, per la proposizione del ricorso di primo grado: secondo l’interpretazione che era prevalsa in giurisprudenza in ordine al previgente art. 19, il dimezzamento dei termini processuali riguardava anche quello per il ricorso introduttivo e la Corte costituzionale aveva escluso l’incostituzionalità della previsione;

- giudizio <<abbreviato>>, con rinvio del merito, nell’udienza cautelare, ad un’udienza a breve, mentre il precedente rito contemplava un giudizio <<immediato>> in esito all’udienza cautelare: il giudizio <<immediato>> dapprima previsto solo nell’art. 19, d.l. n. 67/1997, con la l. n. 205/2000 è ammissibile in tutte le materie, in caso di situazioni manifeste.

In prosieguo numerose leggi in modo alluvionale avevano esteso il rito 23-bis a svariate materie, ritenute connotate dall’urgenza.

L’art. 119 c.p.a. ricalca l’art. 23-bis, discostandosene a sua volta sotto i seguenti profili:

razionalizzazione e riduzione delle materie;

chiarimento, secondo l’elaborazione giurisprudenziale, che al dimezzamento dei termini si sottrae non solo il termine per il ricorso introduttivo, ma anche quello per motivi aggiunti e ricorso incidentale;

pubblicazione del dispositivo solo eventuale.

In termini generali, si può osservare che sia nel rito 23-bis previgente che nell’attuale art. 119 c.p.a., quelle per cui è stato previsto il nuovo rito sono tutte materie connotate dall’urgenza a causa dei rilevanti interessi in gioco, di carattere economico o politico[2].

 

3. La specialità del rito.

Il rito si connota come speciale, rispetto a quello ordinario, per la rapida scansione dei tempi processuali.

Viene infatti espressamente definito come “rito abbreviato”.

In sintesi, e salvi i successivi analitici approfondimenti nei paragrafi che seguono, va osservato che l’abbreviazione del rito viene così articolata:

- dimezzamento dei termini processuali, salvo quello per la proposizione del ricorso introduttivo, dei motivi aggiunti, del ricorso incidentale e dell’appello cautelare;

- rapida definizione del merito nel caso in cui il ricorso presenti profili di periculum e di fumus;

- pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla motivazione, se vi è istanza di parte in tal senso;

- dimezzamento dei termini anche per il deposito della sentenza e per la proposizione dell’appello.

Da sottolineare che la generalizzata previsione di termini dimezzati opera anche se in ipotesi la parte proponga un ricorso nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a. senza domandare la tutela cautelare.

Tale generalizzato dimezzamento dovrebbe pertanto imprimere un’accelerazione al rito anche in difetto di domanda cautelare.

Peraltro, una vera accelerazione la si ha solo se, in presenza di domanda cautelare, il giudice ritenga il ricorso assistito da periculum e fumus, e pertanto fissi un’udienza di merito a breve.

In tutti i casi in cui o non c’è domanda cautelare, o, pur essendoci, in sede cautelare il giudice non ritenga il ricorso assistito da periculum e fumus, rimangono fermi i termini dimezzati, ma non si ha l’abbreviazione che dà il nome al rito.

 

4. Il campo di applicazione del rito abbreviato quanto a tipo di giudice e fasi processuali.

 

4.1. In generale.

In relazione al previgente rito di cui all’art. 23-bis, l. Tar, si erano poste una serie di questioni esegetiche quanto all’ambito soggettivo del rito in relazione agli organi giurisdizionali e quanto alle fasi del processo amministrativo che non si svolgono davanti al giudice amministrativo.

Invero, posto che l’art. 23-bis, l. Tar, si riferiva ai giudizi che si svolgono davanti agli <<organi di giustizia amministrativa>>, laddove l’anteriore art. 19, d.l. n. 67/1997 parlava di giudizi davanti al Tar e al Consiglio di Stato, si discuteva se il rito potesse applicarsi nei seguenti casi:

- giudizi amministrativi speciali;

- giudizi davanti al giudice ordinario;

- ricorsi amministrativi;

- giudizi arbitrali;

- fasi e incidenti del processo amministrativo che si svolgono davanti a giudici diversi dai Tar e dal Consiglio di Stato[3].

Dall’esame complessivo della norma, e dal rito in esso delineato, sembrava chiaro che la stessa avesse inteso fare riferimento solo al processo innanzi a Tar e Consiglio di Stato, con esclusione sia di altre giurisdizioni, sia delle fasi (gradi e incidenti) del processo amministrativo che si svolgono davanti a giudici diversi (Cassazione, Corte costituzionale).

Ora, l’inserimento dell’art. 119 nel c.p.a., il cui ambito soggettivo è delineato dall’art. 4, c.p.a., fuga ogni dubbio.

Deve escludersi non solo che il rito speciale possa trovare applicazione a quelle fasi del processo amministrativo (gradi e incidenti) che si svolgono davanti a giudici diversi da Tar e Consiglio di Stato: p. es., regolamento di giurisdizione davanti alla Corte di cassazione, ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, incidente di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale, ma anche che possa applicarsi nei giudizi che vedono come parte la p.a. davanti al giudice ordinario, al giudice arbitrale, nonché nei ricorsi amministrativi.

In sintesi, disciplinando il c.p.a. solo il processo che si svolge davanti ai Tar e al Consiglio di Stato, l’art. 119 si applica solo davanti a tali organi e, quanto al Consiglio di Stato, solo innanzi alle sue sezioni giurisdizionali.

 

4.2. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

Deve anche escludersi l’applicabilità di tale rito in caso di ricorsi amministrativi, per identica ragione.

Per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica si pone però la questione ulteriore dell’ammissibilità del ricorso straordinario nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.; ciò in quanto si ritiene che il ricorso straordinario sia alternativo alla giurisdizione amministrativa ordinaria, e dunque sarebbe inammissibile in caso di materie rientranti in giurisdizioni speciali, o rientranti in riti speciali.

Tuttavia deve ritenersi che l’alternatività del ricorso straordinario sussista con il processo innanzi a Tar e Consiglio di Stato, ossia con la giurisdizione del giudice amministrativo, a prescindere dal tipo di rito, ordinario o speciale, a meno che non vi sia un’espressa esclusione.

Per le procedure di affidamento di pubblici contratti di lavori, servizi, e forniture il c.p.a. sancisce un’espressa esclusione del rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 120, co. 1, c.p.a.).

Se ne desume, per argomento a contrario, che nelle altre materie di cui all’art. 119 c.p.a., il rimedio del ricorso straordinario è in astratto ammissibile.

Comunque, l’ammettere il ricorso straordinario nelle materie oggetto di giudizio abbreviato, ha delicate implicazioni in ordine alla scelta legislativa acceleratoria.

Invero, posto che il rito speciale non si applica in caso di ricorso amministrativo ma solo in caso di ricorso straordinario, ne consegue che per identiche materie, si ha o meno un’accelerazione del contenzioso, a seconda che venga seguita la via giurisdizionale o quella amministrativa.

Il legislatore avrebbe forse dovuto prevedere un rito accelerato anche nel caso di ricorso straordinario nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a., ma sotto tale profilo mancava una delega legislativa per intervenire anche sul rimedio del ricorso straordinario.

 

4.3. Momenti di raccordo tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale.

Il c.p.a. non chiarisce se il rito speciale abbreviato di cui all’art. 119 possa trovare applicazione ai momenti di raccordo tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale, e, in particolare, a:

- trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale;

- silenzio rifiuto sul ricorso gerarchico.

La questione era già discussa nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, e va risolta alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale formatasi, in difetto di soluzione espressa nel c.p.a.

Quanto alla trasposizione, il c.p.a. riproduce invariato il meccanismo di trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale e i relativi termini (art. 10, co. 1, d.lgs. n. 1199/1971, che resta in vigore, e art. 48, co. 1, c.p.a.).

In particolare, quanto al ricorso straordinario e alla sua trasposizione, è sorta questione se il termine per la costituzione in giudizio (c.d. trasposizione), dopo l’opposizione del controinteressato, pari a sessanta giorni, sia o meno soggetto a dimezzamento, nel rito processuale abbreviato.

Per una tesi, si tratterebbe di un termine processuale come tale soggetto a dimezzamento.

Sulla questione, prima del c.p.a., aveva fatto il punto il Consiglio di Stato, ritenendo che nella c.d. trasposizione occorre distinguere tre atti:

- istanza di trasposizione, proposta dal controinteressato, vale a dire la c.d. opposizione;

- notifica dell’atto di trasposizione (da parte dell’originario ricorrente in sede straordinaria);

- deposito in giudizio dell’atto di trasposizione.

Il primo atto è esterno al processo, come è confermato dall’art. 48 c.p.a., che non se ne occupa, e dunque non è sottoposto a dimezzamento.

La notifica dell’atto di trasposizione andrebbe equiparata alla <<notificazione del ricorso>>, menzionata nel citato art. 119 c.p.a., ed espressamente sottratta al dimezzamento dei termini.

Il deposito in giudizio dell’atto di trasposizione andrebbe invece equiparato al <<deposito del ricorso>> che, secondo l’interpretazione data dalla giurisprudenza al previgente art. 23-bis, è soggetto a dimezzamento dei termini[4].

Tale soluzione era da ritenere non condivisibile già nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, e a maggior ragione alla luce del c.p.a.

Infatti tale pronuncia trascura di considerare che, in base al dato testuale normativo (art. 10, d.lgs. n. 1199/1971 e art. 48, co. 1, c.p.a.), entro sessanta giorni occorre sia depositare il ricorso al Tar, sia dare avviso del deposito alle altre parti mediante notificazione. La pronuncia appena citata da un lato afferma che non è dimezzato il termine per la notifica, dall’altro lato considera dimezzato il termine per il deposito, ma trascura di considerare che la norma prevede un termine unico per tali due adempimenti, e che in realtà la norma non prevede la notifica del ricorso, ma solo la notifica dell’avviso di deposito del ricorso, il che si spiega perché si tratta del medesimo ricorso già notificato in sede straordinaria, e solo trasposto (dunque riassunto), in sede giurisdizionale. Sicché, non si comprende come possa, la parte che ha sessanta giorni per la notifica, avvalersi di tale termine se entro trenta giorni deve depositare il ricorso: la soluzione del Consiglio di Stato, a ben vedere, conduce al dimezzamento del termine sia per la notifica che per il deposito dell’atto di trasposizione.

Una lettura fedele al dato testuale impone di ritenere che il rapporto processuale si instaura, in questa peculiare procedura, con il deposito del ricorso in sede giurisdizionale (e non con la sua notifica).

Ma l’art. 119 c.p.a., letto sistematicamente con l’art. 48 c.p.a., sottrae al dimezzamento i termini di notificazione del ricorso, non anche i termini di deposito.

Pertanto, sembrerebbe doversi concludere che nel rito dell’art. 119 c.p.a., il termine di sessanta giorni per la trasposizione, di cui all’art. 48 c.p.a., sia dimezzato a trenta giorni.

Giova ricordare che nel previgente art. 23-bis, si sottraeva al dimezzamento il termine di “proposizione” del ricorso, e si discuteva se per proposizione si intendesse solo la notificazione, o anche il deposito, e si era pervenuti alla soluzione che la norma si riferisse alla sola notificazione.

Nell’art. 119 c.p.a., essendosi chiarito che si sottrae al dimezzamento la notificazione e non anche il deposito del ricorso, la soluzione dovrebbe essere nel senso del dimezzamento.

Giova in tal senso la considerazione che a suo tempo è stato notificato il ricorso straordinario e che in sede di trasposizione non si deve rinotificare il ricorso, ma solo depositarlo, e notificare avviso alle altre parti di avvenuta costituzione.

Va poi osservato che l’art. 48 c.p.a. rispetto all’art. 10, d.lgs. n. 1199/1971, specifica che il termine è perentorio.

E’ da ritenere che nell’unico termine perentorio vada fatto il doppio adempimento del deposito dell’atto di costituzione in giudizio e della notifica dell’avviso alle altre parti.

 

4.4. Il tribunale superiore delle acque pubbliche.

Secondo l’elaborazione dottrinale formatasi prima del c.p.a., il rito dell’art. 23-bis, l. Tar era applicabile anche davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche, nei casi in cui vi fosse giurisdizione di detto Tribunale, per esempio in materia espropriativa, e questo perché l’art. 208, t.u. delle acque pubbliche contiene una norma che espressamente rinvia alle disposizioni processuali dettate per il processo amministrativo davanti ai Tar e il Consiglio di Stato.

Detto rinvio va inteso come <<mobile>>, e dunque esteso alle innovazioni normative della disciplina cui è operato il rinvio, ivi compreso l’art. 23-bis, l. Tar.

Conferma indiretta di questa tesi si desume dall’arresto delle sezioni unite secondo cui in virtù del citato art. 208 si applica innanzi al T.S.A.P. l’art. 21, l. Tar, nella parte in cui prevede l’impugnazione con motivi aggiunti degli atti connessi.

Tale tesi conserva validità dopo il c.p.a. per cui si può affermare che ove nelle materie dell’art. 119 c.p.a. vi sia la giurisdizione del T.S.A.P. può davanti ad esso applicarsi l’art. 119 citato.

 

4.5. Il giudice ordinario: giudizi in materia di esecuzione degli appalti.

Il previgente art. 23-bis, l. Tar, contemplava alcuni tipi di controversie che sembravano rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario, p. es. laddove menzionava le controversie in materia di <<esecuzione>> degli appalti.

Il dubbio esegetico era già stato in passato risolto nel senso che l’art. 23-bis era solo norma sul rito, e che il rito poteva trovare applicazione nei limiti in cui vi fosse la giurisdizione del g.a., e dunque normalmente con esclusione della fase di esecuzione dell’appalto.

Il dubbio esegetico non ha più ragion d’essere perché sia l’art. 119, co. 1, che l’art. 120, co. 1, c.p.a., non menzionano più la fase di esecuzione del contratto.

 

5. L’ambito oggettivo del rito speciale: giudizi impugnatori e non impugnatori.

 

5.1. I <<provvedimenti>>: gli atti autoritativi, gli atti privatistici, i comportamenti.

Prima di passare all’esame delle singole materie in cui si applica il rito speciale, va considerato che in nove delle undici ipotesi contemplate dall’art. 119 c.p.a. (con esclusione delle lett. i) ed l), si parla di <<provvedimenti>>.

Tale espressione pone svariati dubbi esegetici.

In senso stretto, i provvedimenti sono solo gli atti autoritativi, e non anche gli atti negoziali e i comportamenti.

Tuttavia in dottrina[5] si è proposto di interpretare il dato letterale in senso estensivo, inclusivo di tutti gli atti, anche privatistici, e comportamenti, nelle materie indicate, per i quali vi è giurisdizione del giudice amministrativo, sì da far coincidere ambito della giurisdizione (come delineata dall’art. 133 c.p.a.) e ambito del rito.

 

5.2. I provvedimenti di secondo grado.

L’espressione <<provvedimenti>> si riferisce, secondo l’interpretazione fornita dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato[6] in relazione al previgente art. 19, d.l. n. 67/1997, ritenuta estensibile anche all’art. 23-bis, l. Tar[7], e che conserva attualità nel vigore del c.p.a., anche ai provvedimenti di secondo grado e, in particolare, agli atti di autotutela, quale l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione di un appalto.

Più in generale, il rito speciale si estende anche agli atti di annullamento, ritiro o revoca di provvedimenti espressamente individuati dall’art. 119 c.p.a.[8].

 

5.3. Gli atti diversi da quelli specificamente indicati.

L’art. 119 c.p.a., come già il previgente art. 23-bis, l. Tar, fa riferimento, in talune ipotesi (lett. a), c), f), l) non solo ai <<provvedimenti>> in senso stretto, bensì ai <<provvedimenti relativi alle procedure>>.

Ciò implica che il nuovo rito riguarda non solo i provvedimenti finali, ma anche quelli endoprocedimentali, se immediatamente e autonomamente lesivi e, come tali, suscettibili di immediata e autonoma impugnazione.

Rimane però dubbio se il rito abbreviato comune si applichi o meno ad atti di procedimenti connessi, ma distinti, da quelli che sfociano nei provvedimenti contemplati espressamente: p. es., atti di vincolo, atti di programmazione, di finanziamento, atti di conferenze di servizi, e agli atti consensuali, quali accordi di programma, e accordi sostitutivi di provvedimenti.

Il c.p.a. sembra fornire uno spunto a favore della non estensibilità, per connessione, del rito abbreviato a procedimenti e provvedimenti connessi con quelli oggetto del rito abbreviato.

Da un lato, infatti, l’attrazione per connessione è affermata espressamente solo nell’art. 120, co. 1, c.p.a., per estendere le norme di rito speciali per il contenzioso sui pubblici appalti ai “connessi provvedimenti” dell’Autorità di vigilanza, ossia provvedimenti che fanno parte di diverse sequenze procedimentali, ancorché connesse, e che sono in generale e in astratto soggetti al solo rito dell’art. 119 e non anche alle ulteriori disposizioni dell’art. 120, a meno che non vi sia la connessione.

Dall’altro lato, c’è una regola generale in senso radicalmente opposto nell’art. 32, c.p.a., relativo al cumulo di domande connesse. Si afferma infatti che se nello stesso giudizio si propongono diverse azioni, soggette a riti diversi, si applica il rito ordinario a tutte le azioni, salvo quanto previsto dagli artt. 119 e 120 c.p.a., ossia salva l’eccezione appena commentata, e che riguarda solo il rito in materia di appalti e non anche il rito abbreviato in altre materie.

La regola dettata dall’art. 32 c.p.a. sembra implicare pertanto il superamento della tesi dottrinale formatasi prima del codice[9], che proponeva l’estensione del rito abbreviato anche agli atti connessi, osservando che diversamente opinando potrebbero anche prospettarsi dubbi sulla legittimità costituzionale della normativa, nella parte in cui esclude irragionevolmente dal suo ambito applicativo determinate controversie sostanzialmente analoghe a quelle espressamente contemplate dal legislatore, vanificando l’esigenza di uniforme e rapida definizione delle liti suscettibili di ostacolare la pronta attuazione delle opere pubbliche, nonché di quella giurisprudenza che aveva ritenuto l’art. 23-bis, l. Tar applicabile in tutti i casi in cui viene impugnato un provvedimento rientrante tra quelli ivi contemplati, anche se unitamente ad atti di diversa natura[10], e sembra invece dare ragione a quella giurisprudenza che escludeva la possibilità di estendere il rito speciale a provvedimenti diversi da quelli espressamente contemplati, quali, ad esempio, gli atti di pianificazione[11].

 

5.4. I giudizi non impugnatori. In particolare il giudizio risarcitorio.

L’espressione <<provvedimenti>> fa pensare ai soli giudizi impugnatori.

Si pone la questione se il rito abbreviato possa estendersi a giudizi non impugnatori aventi carattere accessorio rispetto a quello principale, quale, ad esempio, il giudizio risarcitorio in materia di opere pubbliche, o l’azione avverso il silenzio.

Tale questione si era già posta nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, era stata rimessa all’esame dell’adunanza plenaria[12], che aveva risolto la questione nel senso che l’art. 23-bis, l. Tar, non si applica ai giudizi risarcitori autonomi[13].

Si dava per scontato che il rito dell’art. 23-bis, l. Tar, si applicasse in caso di domanda risarcitoria proposta congiuntamente alla domanda di annullamento di un provvedimento rientrante nelle materie di cui all’art. 23-bis, l. Tar.

Tale differenziata soluzione, nel senso dell’estensione del rito abbreviato alle domande risarcitorie proposte congiuntamente alle domande impugnatorie, e della non estensione alle domande risarcitorie autonome, va riesaminata alla luce del nuovo c.p.a. per verificarne la perdurante attualità.

Invero, l’art. 23-bis, l. Tar, ancorava il rito speciale ai “giudizi” aventi ad oggetto “i provvedimenti”, e dunque sembrava far riferimento ai soli giudizi impugnatori, l’art. 119 c.p.a. si riferisce “alle controversie relative a” “i provvedimenti”. Pertanto, il riferimento sembra essere a qualunque controversia relativa a “ i provvedimenti” e dunque non solo le azioni impugnatorie, ma anche le azioni risarcitorie relative a provvedimenti, sia proposte congiuntamente, sia proposte autonomamente.

Di ciò si trae indiretta conferma dalla circostanza che la lett. l) dell’art. 119 co. 1 c.p.a. fa riferimento alle “controversie comunque attinenti” alla materia ivi prevista.

Si può ritenere che il rito abbreviato si applica senz’altro se la domanda di risarcimento del danno da provvedimento è proposta congiuntamente alla domanda di annullamento del provvedimento medesimo, secondo l’insegnamento della giurisprudenza anteriore al c.p.a., e segnatamente della plenaria; in tal senso si trae spunto dall’art. 32 co. 1 c.p.a. che in tema di connessione tra domande soggette a riti diversi fa prevalere il rito ordinario, salvo il caso di rito abbreviato, in cui è da ritenere prevalente il rito abbreviato.

Più dubbia è la soluzione da dare al caso della domanda risarcitoria autonoma, in quanto la pronuncia della plenaria riguardava un caso di domanda risarcitoria successiva all’intervenuto annullamento dell’atto, sicché non vi erano ragioni di urgenza che giustificassero l’utilizzo del rito abbreviato. Sembrerebbe diversa l’ipotesi della domanda risarcitoria autonoma proposta entro centoventi giorni, consentita dal c.p.a. (art. 30, co. 3).

Sembra peraltro corretto ritenere che il rito abbreviato, ancorato come è alla tutela cautelare in relazione al provvedimento impugnato, non si applichi in caso di azione risarcitoria autonoma, ancorché proposta a breve distanza temporale dall’adozione dell’atto amministrativo, perché la controversia ha carattere patrimoniale e non si pone un problema di sospensione del provvedimento, che non forma oggetto di impugnazione principale.

Giova ricordare, quanto all’elaborazione formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, in relazione all’estensibilità o meno del rito abbreviato comune alle domande non impugnatorie, che secondo un’opinione dottrinale[14], il rito abbreviato si applicherebbe sia ai giudizi impugnatori, sia a quelli non impugnatori accessori o comunque connessi, per es. il giudizio risarcitorio, quello di ottemperanza, quello per regolamento di competenza.

Il che comporta che anche per tali giudizi e fasi opera il dimezzamento dei termini processuali, salvo quello per la proposizione del ricorso introduttivo e, con l’art. 119 c.p.a., salvi i termini per motivi aggiunti e ricorso incidentale.

Inoltre, in senso favorevole all’applicazione del rito abbreviato anche al giudizio risarcitorio era orientata la giurisprudenza del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana[15] secondo cui la dimidiazione dei termini processuali ex art. 23-bis, l. Tar, trova applicazione anche nei giudizi risarcitori; ciò in quanto il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio, da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

Secondo un diverso indirizzo il citato art. 23-bis, l. Tar (con la dimidiazione dei termini processuali) non trovava applicazione ai giudizi risarcitori, atteso che la norma si riferirebbe solo alle controversie tassativamente elencate[16]. Del resto rispetto ai giudizi risarcitori neppure ricorrerebbe la ratio per la quale il legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi pubblici.

 

6. Le singole materie oggetto del rito abbreviato comune.

 

6.1. Gli atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture.

In tema di campo di applicazione del rito abbreviato comune non vi sono significative innovazioni rispetto al passato.

Come in precedenza, esso si applica anzitutto ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a.).

La formulazione attuale è molto più sintetica rispetto a quella del previgente art. 23-bis, lett. a), b) e c), l. Tar, e differisce parzialmente da quella recata nell’art. 120, co. 1, c.p.a. e nel previgente art. 245, codice appalti di cui al d.lgs. n. 163/2006.

Si deve però subito osservare che, al di là delle diverse sfumature espressive succedutesi (art. 23-bis, l. Tar, art. 245, codice appalti, artt. 119 e 120, c.p.a.), la portata sostanziale delle norme sia rimasta immutata.

E, invero, l’art. 23-bis, l. Tar, enunciava in diverse lettere le procedure di “aggiudicazione, affidamento ed esecuzione” degli incarichi di progettazione, dei lavori pubblici e di pubblica utilità, e delle pubbliche forniture e servizi, includendo espressamente l’impugnazione di bandi e esclusioni e le connesse espropriazioni immobiliari.

A sua volta l’art. 245, codice appalti, come novellato dal d.lgs. n. 53/2010, che aveva altresì abrogato l’art. 23-bis, lett. a), b) e c), l. Tar, usava una formula sintetica, ma non tanto sintetica quanto quella ora utilizzata dagli artt. 119 e 120 c.p.a., in quanto si riferiva a “gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o forniture, di cui all’articolo 244”.

Ora, l’art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a. parla di “provvedimenti” (e non di atti) delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture pubblici, senza ulteriori specificazioni.

A sua volta l’art. 120, co. 1, c.p.a., parla di “atti” e non di “provvedimenti” delle procedure di affidamento, includendovi espressamente le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o forniture”, senza più richiamare la norma sulla giurisdizione (già art. 244, codice appalti, ora art. 133, co. 1, lett. e), c.p.a.).

Dunque, in virtù di passaggi successivi, si sono smarriti:

a) il riferimento espresso a bandi ed esclusioni, tra i provvedimenti delle procedure di affidamento;

b) il riferimento alle connesse espropriazioni immobiliari;

c) il riferimento alla fase di esecuzione degli appalti;

d) il riferimento alle procedure di affidamento ricadenti nella giurisdizione del giudice amministrativo;

e) l’autonomia del riferimento alle procedure di affidamento a incarichi di progettazione, a prescindere dalla connessione con pubblici lavori, servizi e forniture.

Il primo smarrimento è irrilevante, in quanto il riferimento a “provvedimenti” (nell’art. 119) ovvero “atti” (nell’art. 120) delle procedure di affidamento, implica, anche alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale, che il rito speciale abbreviato riguarda tutti gli atti delle procedure di affidamento che abbiano autonoma portata lesiva, ivi compresi, dunque, bandi ed esclusioni.

Il secondo smarrimento è in realtà una ricollocazione della norma, in quanto la lett. f) dell’art. 119 fa onnicomprensivamente riferimento alle espropriazioni di immobili finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità.

La terza omissione è significativa e ha conseguenze pratiche rilevanti, anche se l’intento è stato probabilmente solo quello di fugare dubbi esegetici sollevati dalla norma precedente, la quale poteva far pensare che il giudice amministrativo si potesse occupare anche di contenzioso relativo alla fase di esecuzione degli appalti, tradizionalmente affidato al giudice ordinario.

Già nell’esegesi dell’art. 23-bis, l. Tar, si era osservato che esso non era attributivo di giurisdizione al g.a., ma si limitava a contemplare un rito speciale, se ed in quanto vi fosse giurisdizione del g.a., vuoi nella fase di affidamento, vuoi nella fase di esecuzione dell’appalto.

Pertanto, nei limitati casi in cui il g.a. avesse giurisdizione nella fase di esecuzione dell’appalto (es. alcuni contenziosi in tema di revisione prezzi), si riteneva che dovesse trovare applicazione il rito abbreviato dell’art. 23-bis, l. Tar.

Ora, la scomparsa di tale previsione, da un lato rende chiaro che l’art. 119 è solo norma sul rito, e non anche norma attributiva di giurisdizione, ma dall’altro lato ha per conseguenza che anche nei limitati casi in cui il g.a. abbia giurisdizione sulla fase di esecuzione degli appalti, il rito dovrà essere quello ordinario, e non quello abbreviato, riservato solo alla fase della procedura di affidamento.

Si pensi alla giurisdizione esclusiva del g.a. sul contenzioso in materia di revisione dei prezzi dei pubblici appalti (già art. 244, codice appalti, e ora art. 133, c.p.a.).

La quarta omissione è solo apparente. Invero, essendo l’art. 119 norma sul rito, è implicito che il rito trova applicazione solo se ed in quanto, a monte, vi sia la giurisdizione del g.a., e dunque nell’ambito e nei limiti della giurisdizione del g.a. sulle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture.

Pertanto, l’art. 119, co. 1, e l’art. 120, co. 1, c.p.a., vanno letti in “combinato disposto” con l’art. 133, co. 1, lett. e), c.p.a.

In definitiva conserva validità tutta la precedente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi sull’art. 23-bis, lett. a), b) e c), l. Tar, perché nella sostanza la formulazione dell’art. 119, co. 1, e dell’art. 120, co. 1, c.p.a., vi corrispondono, salvo che per quanto attiene alla circostanza che il rito dell’art. 23-bis, l. Tar poteva applicarsi anche al contenzioso in fase di esecuzione dei contratti, se vi fosse la giurisdizione del g.a., mentre il rito dell’art. 119 non si può applicare a tale contenzioso.

Resta che l’art. 119 co. 1 e l’art. 120, co. 1, hanno una formulazione parzialmente differente laddove il primo si riferisce ai “provvedimenti” e il secondo agli “atti”, ma anche in tal caso si deve ritenere che i due termini siano equivalenti, riferendosi sempre ad atti aventi rilevanza esterna e portata immediatamente e autonomamente lesiva.

 

6.2. Gli atti delle Autorità amministrative indipendenti.

 

6.2.1. In generale.

La lett. b) dell’art. 119 c.p.a. ricalca la lett. d) del previgente art. 23-bis, l. Tar (i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti), con l’aggiunta che il rito speciale non riguarda i provvedimenti inerenti il rapporto di servizio del personale dipendente.

Inoltre in tale norma vengono trasfuse le previsioni degli artt. 10, co. 10 e 11-quinquies, l. n. 28/2000; 9, d.lgs. n. 259/2003; 24, co. 5, l. n. 262/2005, tutte disposizioni che richiamavano il rito dell’art. 23-bis, l. Tar, per svariate tipologie di provvedimenti di Autorità amministrative indipendenti.

Nel caso di atti dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, se impugnati in connessione con atti delle procedure di affidamento, si applicano anche le disposizioni processuali dell’art. 120 c.p.a., viceversa se impugnati autonomamente si applicano solo le disposizioni processuali dell’art. 119 c.p.a.

Giova, sul piano della storia degli istituti, ricordare che il rito abbreviato in relazione agli atti delle Autorità indipendenti è stato introdotto dalla l. n. 205/2000, e che in parte qua tale disposizione processuale era stata preceduta da un vivace dibattito politico sui poteri delle Autorità indipendenti, sulla necessità di garantirne l’indipendenza anche nei confronti del potere giurisdizionale, e sui possibili limiti al sindacato giurisdizionale sugli atti delle stesse.

Si era perciò ventilata la possibilità di un giudizio in unico grado, e dell’esclusione o limitazione del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti delle Autorità.

Ma siffatte proposte non hanno avuto seguito nel testo definitivo della l. n. 205/2000, sicché il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sugli atti delle Autorità indipendenti è quello ordinario di legittimità, in duplice grado, e esteso a tutti i vizi di legittimità degli atti amministrativi (incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge).

Unica novità è la previsione del rito abbreviato.

Il precedente storico immediato della l. n. 205/2000 in parte qua era il rito speciale di cui alla l. n. 249/1997, previsto avverso gli atti dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, identico, nella struttura, a quello di cui all’art. 19, d.l. n. 67/1997, e abrogato dalla l. n. 205/2000, perché sostituito dal rito di cui all’art. 23-bis, l. Tar.

 

6.2.2. L’ambito soggettivo: le Autorità indipendenti.

La norma prevede il rito speciale per i provvedimenti delle Autorità indipendenti.

Gli elementi qualificanti delle Autorità indipendenti sono:

l’indipendenza sostanziale dal Governo;

l’autonomia organizzativa, finanziaria e contabile;

la mancanza di controlli;

la non soggezione alle direttive o all’indirizzo del potere esecutivo;

le garanzie di autonomia dei componenti;

il collegamento con le funzioni dello Stato – comunità e non dello Stato – apparato.

Manca una legge generale sulle Autorità amministrative indipendenti, che ne individui le caratteristiche essenziali e ne fornisca un elenco.

Sicché resta controverso il confine e l’ambito della categoria.

Né il nodo è sciolto, e non poteva esserlo, dal c.p.a.

E’ vero che l’art. 133, co. 1, lett. l), c.p.a. prevede la giurisdizione esclusiva del g.a. sugli atti di talune Autorità, molte delle quali ritenute Autorità indipendenti, ma la disposizione ha l’accortezza di non fornire la qualificazione delle Autorità che elenca come indipendenti.

Sicché, non costituisce un supporto per chiarire l’ambito dell’art. 119, co. 1, lett. b), c.p.a.

Secondo l’elaborazione e il quadro normativo, sono da ascrivere al novero delle Autorità indipendenti:

la CONSOB;

l’ISVAP;

l'Autorità garante della concorrenza del mercato, prevista dalla l. n. 287/1990;

l'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, istituita dalla l. 11 febbraio 1994 n. 109 (c.d. legge Merloni) e attualmente regolata dal codice n. 163/2006, che la ha ridenominata Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;

l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: per quest’ultima era anche previsto un rito speciale in caso di provvedimenti dell’Autorità in materia di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali; secondo un’opinione, tale rito restava in vita pure dopo l’entrata in vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, perché speciale e più accelerato[17], ma esso è stato abrogato dal c.p.a.;

l’Autorità per l’energia elettrica e il gas;

la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sul diritto di sciopero;

l’Autorità per i servizi di pubblica utilità, prevista dalla l. n. 481/1995;

il Garante per la protezione dei dati personali, salvo a verificare se la giurisdizione sui relativi atti spetti solo al giudice ordinario o, talora, anche al giudice amministrativo;

la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione.

In taluni casi è dubbio se si tratti o meno di Autorità indipendenti; così, in particolare, per:

il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA);

i difensori civici, regionali e di enti locali;

l’Autorità per la vigilanza sulle ONLUS (art. 3, co. 191, l. n. 662/1996);

la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP).

Si deve escludere la natura di Autorità indipendente per:

- la Banca d’Italia nata storicamente in epoca in cui le Autorità amministrative indipendenti non erano ancora state istituite;

- il Consiglio di Stato e la Corte dei conti;

- le cosiddette agenzie che stanno proliferando e che sono state valorizzate dai decreti di riforma dell'amministrazione dello Stato, quali strutture di carattere tecnico – operativo: a titolo di esempio, l’A.R.A.N. (agenzia per la rappresentanza negoziale delle amministrazioni nella contrattazione collettiva), l’A.N.P.A. (agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente); l’agenzia per la gestione dell’albo dei segretari comunali;

- l’organismo di regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie ex d.lgs. n. 188/2003.

 

6.2.3. L’ambito oggettivo: i provvedimenti.

Nell’art. 119, co. 1, lett. b), c.p.a., a differenza che in altre lettere del medesimo articolo, non si parla di provvedimenti relativi a procedure, ma solo di provvedimenti.

E’ da ritenere, però, che ogni qualvolta vi siano atti intermedi del procedimento immediatamente impugnabili, gli stessi sono soggetti al rito speciale.

Nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, si riteneva che i provvedimenti delle Autorità indipendenti oggetto del rito speciale non fossero solamente quelli tipici della funzione dell'Autorità - per esempio il provvedimento sanzionatorio in materia di tutela della concorrenza e del mercato -, ma anche i provvedimenti organizzativi interni, per esempio gli atti con cui l'Autorità provvede alla gestione del proprio personale.

Il c.p.a. fa giustizia di tale tesi che ampliava a dismisura e senza ragione l’ambito del rito speciale, escludendo espressamente da esso i provvedimenti relativi al rapporto di servizio con i dipendenti.

Già prima del c.p.a. una parte della giurisprudenza aveva escluso che il rito speciale riguardasse i provvedimenti adottati da un’autorità indipendente in relazione al rapporto di impiego dei propri dipendenti[18].

 

6.2.4. Rapporto tra rito speciale e giurisdizione sulle Autorità amministrative indipendenti.

L’art. 119, co. 1, lett. b), c.p.a. è norma sul rito e non sulla giurisdizione, quindi va coordinata con:

- le norme in tema di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario sui provvedimenti delle Autorità indipendenti;

- le norme che attribuiscono la competenza al Tar Lazio sugli atti di talune Autorità indipendenti.

L’art. 119, lett. b), c.p.a. va inteso nel senso che il rito abbreviato si applica ai provvedimenti delle Autorità indipendenti se ed in quanto il g.a. abbia giurisdizione su di essi, sia che si tratti di giurisdizione esclusiva, sia che si tratti di giurisdizione di legittimità.

Va pertanto anzitutto raccordato con l’art. 133, co. 1, lett. l), c.p.a. che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del g.a. i provvedimenti di alcune Autorità espressamente menzionate, e include tra esse anche la Banca d’Italia.

In particolare, l’art. 133 c.p.a. attrae alla giurisdizione esclusiva gli atti delle seguenti Autorità:

1) Banca d’Italia;

2) Consob;

3) Autorità garante della concorrenza del mercato;

4) Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

5) Autorità per l’energia elettrica e il gas;

6) Autorità per i servizi di pubblica utilità, previste dalla l. n. 481/1995;

7) Autorità di vigilanza sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;

8) Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP);

9) Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione;

10) ISVAP.

Giova osservare che l’art. 133 in parte qua elenca tali Autorità ma non le qualifica come Autorità amministrative indipendenti, mentre l’art. 119 per il rito speciale si riferisce ai provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti.

Inoltre l’art. 133 da un lato non è esaustivo di tutte le Autorità amministrative indipendenti (non vi include, ad es., la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sul diritto di sciopero e il Garante per la protezione dei dati personali, salvo a verificare se la giurisdizione sui relativi atti spetti solo al giudice ordinario o, talora, anche al giudice amministrativo, nonché alcune ipotesi di dubbia qualificazione come Autorità indipendente, come è il caso del CNIPA), e dall’altro lato include tra le Autorità elencate la Banca d’Italia e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, per le quali è dubbio che siano autorità indipendenti.

Ne deriva che non vi è affatto coincidenza e parallelismo tra l’art. 119, lett. b) e l’art. 133 lett. l).

Infatti non si può con certezza affermare che il rito abbreviato si applica agli atti delle Autorità elencate nell’art. 133, lett. l).

Invero, come detto l’art. 133, lett. l), non qualifica le Autorità in esso elencate come Autorità indipendenti, sicché non è un riferimento sufficiente per capire l’ambito dell’art. 119, lett. b).

Vi è una duplice discordanza tra le due disposizioni: da un lato l’art. 133 comprende la Banca d’Italia e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, per le quali è dubbio che siano Autorità indipendenti, sicché, se si perviene alla soluzione esegetica che esse non sono Autorità indipendenti, ne consegue che sui loro atti vi è la giurisdizione esclusiva del g.a., ma non si applica il rito abbreviato ma quello ordinario.

Dall’altro lato, l’art. 133 non abbraccia altre Autorità, che potrebbero essere qualificate come indipendenti, con la conseguenza che sui loro atti, ove autoritativi, vi sarebbe la giurisdizione ordinaria di legittimità, e non esclusiva, del g.a., e altresì il rito abbreviato.

Si deve concludere, allo stato delle norme, che il rito abbreviato dell’art. 119 lett. b) riguarda anche Autorità indipendenti non comprese nell’art. 133, ove sui loro atti il g.a. abbia una giurisdizione di legittimità, e per converso non riguarda quelle Autorità che, pur elencate nell’art. 133, lett. l), non sono Autorità indipendenti.

Per quanto riguarda, in particolare, i provvedimenti dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, giova ricordare che l’art. 244 codice appalti prevedeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo in relazione ai <<provvedimenti sanzionatori>> (art. 244, co. 2, del codice, e in precedenza art. 4, legge Merloni), con la conseguenza che per quanto riguardava gli atti regolamentari adottati dall’Autorità, gli atti organizzativi, gli atti di gestione del proprio personale, non trovava applicazione la giurisdizione esclusiva, ma si applicavano gli ordinari criteri di riparto di giurisdizione.

Il c.p.a. innova anche sotto tale profilo, perché attrae alla giurisdizione esclusiva del g.a. tutti i provvedimenti delle Autorità indipendenti, ivi compresa quella di vigilanza sui contratti pubblici, ed escluse solo le controversie relative a rapporti di impiego privatizzati (art. 133, co. 1, lett. l, c.p.a.).

Va sottolineato che laddove il rapporto di impiego con l’Autorità indipendente non è privatizzato, ricade nella giurisdizione esclusiva del g.a. (come si evince, oltre che dalla lett. l), anche dalla lett. i) dell’art. 133, co. 1, c.p.a.).

Tale rapporto di impiego non privatizzato, tuttavia, pur ricadendo nella giurisdizione esclusiva del g.a., non ricade nel rito speciale dell’art. 119 c.p.a. ma ad esso si applica il rito ordinario.

Perciò non vi è perfetto parallelismo tra ambito della giurisdizione e ambito del rito abbreviato in tema di atti delle Autorità indipendenti.

Si delineano almeno sei regimi diversi per gli atti delle autorità indipendenti:

a) atti inerenti il rapporto di impiego privatizzato: giurisdizione del g.o.

b) atti inerenti il rapporto di impiego non privatizzato: giurisdizione esclusiva del g.a., rito ordinario;

c) altri provvedimenti delle autorità elencate nell’art. 133, lett. l), giurisdizione esclusiva del g.a., rito abbreviato ex art. 119 c.p.a.;

d) provvedimenti dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici impugnati in connessione con atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture: giurisdizione esclusiva del g.a. rito abbreviato ex art. 120 c.p.a.;

e) altri provvedimenti autoritativi di autorità indipendenti non elencate nell’art. 133, lett. l), giurisdizione di legittimità del g.o. e rito abbreviato ex art. 120 c.p.a.;

f) altri provvedimenti autoritativi di autorità indipendenti non elencate nell’art. 133, lett. l) e sottoposti alla giurisdizione del g.o.

 

6.2.5. La speciale regola in tema di c.t.u. in caso di provvedimenti sanzionatori di talune Autorità indipendenti.

L’art. 24, l. 28 dicembre 2005 n. 262, aveva previsto la giurisdizione del giudice amministrativo (con competenza in primo grado del Tar Lazio) avverso le sanzioni amministrative individuali (con alcune esclusioni) irrogate da Banca d’Italia, Consob, Covip, Isvap, Autorità antitrust, e altresì disposizioni processuali, alcune ripetitive dell’art. 23-bis, l. Tar (dimezzamento dei termini processuali, salvo quello per ricorrere; appello al Consiglio di Stato che non sospende l’esecuzione dei provvedimenti amministrativi e giurisdizionali), altre innovative (essenzialmente: i dipendenti delle Autorità i cui provvedimenti sono impugnati, anche se cessati dal servizio, non possono essere nominati c.t.u.).

Le previsioni sono state abrogate dal c.p.a.

Per tali provvedimenti rimane la giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133, co. 1, lett. l), mentre quanto al rito abbreviato, esso riguarda le Autorità indipendenti, sicuramente Antitrust, Isvap e Consob, più dubbio per Banca d’Italia e Covip.

Scompare, senza riproduzione nel c.p.a., la regola peculiare in tema di incompatibilità per i c.t.u.

 

6.2.6. La tacita abrogazione di altri riti speciali su provvedimenti di autorità indipendenti.

Già nel vigore dell’art 23-bis, l. Tar, si doveva ritenere che la previsione di carattere generale che estendeva il rito speciale a tutti i provvedimenti delle Autorità indipendenti, avesse comportato la tacita abrogazione di altri riti speciali dettati per specifici provvedimenti di specifiche Autorità indipendenti. Si doveva perciò già ritenere tacitamente abrogato il rito speciale di cui all’art. 10, co. 10, l. n. 28/2000, in tema di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica.

Ora il c.p.a. lo abroga espressamente (art. 4, n. 22, dell’allegato 4 al d.lgs. n. 104/2010).

 

6.3. Le privatizzazioni e le dismissioni.

La lett. c) dell’art. 119 c.p.a., riproduttivo dell’art. 23-bis, lett. e), l. Tar, contempla “i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali”.

Per il significato delle espressioni provvedimenti e procedure si rinvia a quanto già esposto nei paragrafi che precedono.

Schematicamente, la norma si riferisce ai seguenti atti e procedimenti:

privatizzazione di imprese pubbliche;

dismissione di imprese pubbliche;

privatizzazione di beni pubblici;

dismissione di beni pubblici;

costituzione, modificazione, estinzione di aziende, società, istituzioni, da parte degli enti locali (v. d.lgs. n. 267/1990).

L’espressione <<privatizzazione>> si riferisce alla trasformazione del regime, dal diritto pubblico al diritto privato: p. es. trasformazione di impresa pubblica in società per azioni; sdemanializzazione di bene pubblico.

L’espressione <<dismissione>> si riferisce invece alla vendita dell’impresa o del bene pubblico, con cambiamento della titolarità dello stesso.

La giurisprudenza formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, di perdurante attualità, ha ritenuto applicabile il rito speciale in materia di dismissione di beni pubblici, sia con riferimento ai programmi generali di dismissione, sia con riferimento agli atti attuativi di tali programmi[19], sia con riferimento al caso in cui la vendita di beni pubblici avvenga con gara o comunque previo confronto concorrenziale[20].

Testualmente, la norma si riferisce solo alla privatizzazione di imprese pubbliche, e sembrerebbe non riguardare il caso di privatizzazione di un ente pubblico che non abbia già veste di impresa.

Ma sembra corretta una lettura estensiva della norma, in base alla quale la privatizzazione ivi prevista si riferisce pure al caso di trasformazione in impresa privata di un ente pubblico non imprenditoriale.

Più in generale, l’espressione privatizzazione va intesa in senso ampio, comprensivo sia della privatizzazione puramente formale (mera trasformazione del regime giuridico, da pubblico a privato, immutata rimanendo la titolarità pubblica dell’impresa), sia di quella sostanziale (mediante ingresso di privati, in tutto o in parte, nella titolarità dell’impresa).

Quanto alla <<dismissione>> di beni e imprese, secondo un’opinione la norma si riferisce solo alla procedura pubblicistica, ma non anche al momento privatistico della vendita, quest’ultima rimanendo attratta alla giurisdizione del giudice ordinario, perché la norma in commento disciplina solo il rito, ma non è attributiva di giurisdizione.

Quanto all’applicazione del rito ai casi di trasformazione, costituzione, soppressione di aziende, società, istituzioni, nella parte in cui la norma si riferisce alle società di gestione di servizi pubblici locali, la previsione va interpretata in senso ampio, comprensiva di tutti i provvedimenti di organizzazione dei servizi pubblici mediante società, aziende, istituzioni: dunque sia i servizi pubblici locali, sia i servizi pubblici non locali, sia la gestione diretta di servizi pubblici.

 

6.4. I provvedimenti di nomina previa delibera del Consiglio dei Ministri.

L’art. 119, co. 1, lett. d), c.p.a. è riproduttivo della lett. f) dell’art. 23-bis, l. Tar, e contempla i provvedimenti di nomina adottati previa delibera del Consiglio dei Ministri, senza però più fare riferimento alle nomine ai sensi della l. 23 agosto 1988 n. 400.

Nel vigore dell’art. 23-bis erano contemplati solo gli atti di nomina che:

richiedessero la previa delibera del Consiglio dei Ministri;

fossero contemplati dalla l. n. 400/1988 quali atti richiedenti la previa delibera del Consiglio dei Ministri[21]: in particolare, l’art. 3, co. 1, l. n. 400/1988 dispone che <<1. Le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale, di competenza dell'amministrazione statale, fatta eccezione per le nomine relative agli enti pubblici creditizi, sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri adottata su proposta del ministro competente>>.

Ora è sufficiente che la nomina avvenga previa delibera del Consiglio dei ministri, a prescindere dalla fonte normativa che tale potere di nomina preveda.

La norma si riferisce ai soli provvedimenti di nomina, e non, più in generale, ai provvedimenti relativi a procedure di nomina.

Si deve però ritenere che il rito si estenda anche all’impugnazione degli atti preparatori, connessi e di secondo grado, quali atti di modifica, integrazione, revoca, annullamento della nomina.

 

6.5. I provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi.

L’art. 119, co. 1, lett. e), c.p.a. è riproduttivo della lett. g) dell’art. 23-bis, l. Tar, e riguarda i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi.

La previsione non riguarda i provvedimenti di scioglimento di organi regionali.

La norma in commento si riferisce ai provvedimenti finali, e non anche ai relativi procedimenti, ma è da ritenere consentita un’interpretazione che estende il rito abbreviato agli atti intermedi del procedimento di scioglimento, che siano autonomamente lesivi, nonché agli atti di secondo grado (modifica, revoca, annullamento).

Per espresso dettato normativo, il rito speciale si applica agli atti connessi a quelli di scioglimento, quali nomine degli organi straordinari che sostituiscono interinalmente quelli disciolti.

Non si applica invece a provvedimenti di nomina degli organi che non siano connessi a precedenti provvedimenti di scioglimento, come nel caso di nomina di difensore civico[22].

Da segnalare che per i provvedimenti di scioglimento in commento il c.p.a. ha ex novo previsto la competenza del Tar Lazio – Roma (art. 135, co. 1, lett. q), c.p.a.).

 

6.6. Le espropriazioni di immobili e di invenzioni.

L’art. 119, co. 1, lett. f) contempla “i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale”.

Quanto alle espropriazioni immobiliari, la previsione è riproduttiva dell’art. 23-bis, lett. b), l. Tar e dell’art. 53, t.u. n. 327/2001 (testo unico delle espropriazioni immobiliari): sono soggette al rito speciale anche le impugnazioni aventi ad oggetto le dichiarazioni di pubblica utilità, espresse e implicite[23].

Quanto alle espropriazioni di invenzioni industriali, la previsione è riproduttiva dell’art. 142, co. 5, codice della proprietà industriale di cui al d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30.

Tale previsione, relativa al rito, si raccorda con quelle attributive di giurisdizione esclusiva al g.a. sulle procedure espropriative di immobili e invenzioni, e ferma la giurisdizione del g.o. sulle liti indennitarie (art. 133, co. 1, lett. g) e h), c.p.a.).

 

6.7. I provvedimenti del CONI e delle Federazioni sportive.

L’art. 119, co. 1, lett. g), c.p.a., sottopone al rito abbreviato i provvedimenti del CONI e delle Federazioni sportive, ovviamente nei limiti della giurisdizione del g.a. su tali atti, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. z), c.p.a.

La previsione è riproduttiva dell’art. 3, commi 1, 2 e 3, d.l. n. 220/2003.

 

6.8. Le ordinanze per situazioni di emergenza ai sensi della legislazione sulla protezione civile.

L’art. 119, co. 1, lett. h) sottopone al rito abbreviato le ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, co. 1, l. n. 225/1992, e i consequenziali provvedimenti commissariali.

La previsione è riproduttiva dell’art. 3, d.l. 30 novembre 2005 n. 245, conv. nella l. 27 gennaio 2006 n. 21.

La previsione sul rito si raccorda con quella attributiva al g.a. di giurisdizione esclusiva su tali ordinanze, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. p), c.p.a.

Non vi è però perfetta coincidenza tra ambito della giurisdizione esclusiva e ambito del rito abbreviato, in quanto l’art. 133, co. 1, lett. p) attribuisce alla giurisdizione esclusiva anche il contenzioso sulla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, fattispecie non contemplata dalla norma sul rito.

E, invero, in parte qua l’art. 133 c.p.a. riproduce l’art. 4, d.l. n. 90/2008, conv. nella l. n. 123/2008, che è stato pertanto espressamente abrogato. Tale disposizione prevedeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, facendo salvo l’art. 3, d.l. n. 245/2005. Tale salvezza andava intesa nel senso che solo per i provvedimenti specificamente di protezione civile, contemplati dall’art. 3, d.l. n. 245/2005, si applicava il rito speciale, e non anche per tutti i possibili provvedimenti in materia di gestione dei rifiuti[24].

 

6.9. Il rapporto di lavoro del personale dei servizi segreti.

L’art. 119, co. 1, lett. i) sottopone al rito abbreviato il rapporto di lavoro del personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell’art. 22, l. n. 124/2007.

La previsione è riproduttiva dell’art. 22, l. n. 124/2007.

Il rito trova applicazione se ed in quanto il rapporto di lavoro di tale personale si svolga in regime di diritto pubblico e vi sia, pertanto, la giurisdizione del g.a. (art. 133, co. 1, lett. i), c.p.a.).

Da segnalare che il c.p.a. ha innovativamente previsto, su tale contenzioso, la competenza del Tar Lazio – Roma (art. 135, co. 1, lett. o), c.p.a.).

 

6.10. Il contenzioso in materia di energia.

L’art. 119, co. 1, lett. l) sottopone al rito abbreviato le controversie comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al d.l. n. 7/2002 conv. in l. n. 55/2003, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti.

La previsione riproduce l’art. 41, l. n. 99/2009 e l’art. 1, co. 552, l. n. 311/2004.

Il richiamo agli impianti di cui al d.l. n. 7/2002 implica che il rito speciale abbreviato riguarda solo i provvedimenti relativi a impianti con potenza superiore a 300 MW termici (che sono gli impianti menzionati nel d.l. n. 7/2002), mentre per quelli con potenza pari o inferiore si applica il rito processuale ordinario. Invece, la parallela norma attributiva di giurisdizione esclusiva al g.a. (art. 133, co. 1, lett. o), c.p.a.), non delimita più la giurisdizione in base alla potenza dell’impianto.

 

6.11. Il contenzioso sulle misure di protezione per collaboratori e testimoni di giustizia.

L’art. 119, co. 1, lett. m), c.p.a. estende il rito abbreviato al contenzioso sui “provvedimenti della commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia”.

La previsione è innovativa in quanto tale ipotesi non era contemplata nell’art. 23-bis, l. Tar. Tuttavia, l’art. 10, co. 2-quinquies, 2-sexies, 2-septies, 2-octies, d.l. n. 8/1991, conv. in l. n. 82/1991 contemplava un rito abbreviato simile a quello dell’art. 23-bis, l. Tar, con abbreviazione dei termini processuali, pubblicazione del dispositivo, tutela di merito a breve distanza dalla tutela cautelare.

 

6.12. Le ipotesi previgenti sottoposte al rito abbreviato, non riprodotte nel c.p.a.

Prima del c.p.a., il rito abbreviato di cui all’art. 23-bis, l. Tar era stato esteso da svariate leggi speciali ad ulteriori ipotesi, che non sono state riprodotte nell’art. 119 c.p.a.

Il legislatore del c.p.a. ha infatti ritenuto che il rito abbreviato, connotato da urgenza, deve essere circoscritto alle ipotesi in cui è veramente necessario, non potendosi creare una corsia preferenziale, rispetto al rito ordinario, per un numero eccessivo di ipotesi.

Non sono, pertanto, state riprodotte le seguenti ipotesi cui si applicava in passato l’art. 23-bis, l. Tar:

contenzioso relativo ai provvedimenti del Ministero delle comunicazioni adottati sulla base delle disposizioni del codice delle comunicazioni elettroniche (già art. 9, d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259);

contenzioso relativo ai provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 12, co. 3, l. 29 dicembre 1993 n. 580 (l’estensione del rito abbreviato a tale contenzioso era stata prevista dall’art. 53, l. n. 99/2009).

 

6.13. Materie cui non si applica il rito abbreviato comune.

Dato che l’art. 119 c.p.a. prevede termini dimidiati, è norma di carattere eccezionale che non si applica al di fuori dei casi in essa considerati.

Il rito abbreviato, nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, è stato ritenuto inapplicabile ai provvedimenti in materia urbanistica e a quelli inerenti il mutamento di destinazione d’uso[25], e ai provvedimenti di autorizzazione e di diniego di realizzazione di stazioni radio base[26].

Tale giurisprudenza conserva validità nel vigore del c.p.a.

E, invero, se vi sono numerose materie che sono soggette sia al rito abbreviato ex art. 119 che alla giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a., per molte altre, la previsione della giurisdizione esclusiva non comporta l’applicazione del rito abbreviato: così, il contenzioso sulla l. n. 241/1990, quello sulle concessioni di beni pubblici, sui servizi pubblici, in materia urbanistica ed edilizia, in materia di comunicazioni elettroniche, in materia ambientale (art. 133, co. 1, rispettivamente lett. a), b), c), f), m), s).

Si è inoltre già osservato che per talune ipotesi contemplate sia dall’art. 119 che dall’art. 133 non vi è esatta corrispondenza tra ambito del rito e ambito della giurisdizione, così per quanto attiene al contenzioso sui contratti pubblici, sulle Autorità indipendenti, sulla protezione civile.

 

7. Le regole del rito speciale che presuppongono la domanda cautelare e le regole del rito speciale svincolate dalla domanda cautelare.

Nel rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a. sono previste alcune regole che si applicano per il solo fatto che si verte in una delle materie elencate, a prescindere dalla presentazione o meno di una domanda cautelare, e invece altre regole che si applicano solo se c’è una domanda cautelare.

In particolare, si applicano a prescindere dall’esservi o meno domanda cautelare:

- la regola del dimezzamento di tutti i termini processuali, salvo quelli per il ricorso principale, per i motivi aggiunti, per il ricorso incidentale in primo grado, e per l’appello cautelare;

- la regola della pubblicazione del dispositivo entro sette giorni dall’udienza di discussione se c’è domanda di parte.

Altre regole si applicano invece solo se c’è domanda cautelare.

Si tratta, in particolare, del peculiare meccanismo finalizzato alla celere definizione del merito, in presenza di fumus e periculum, delineato nei co. 3 e 4 (fissazione dell’udienza con ordinanza, in primo grado o da parte del giudice di appello).

Il peculiare meccanismo processuale della fissazione dell’udienza di merito con ordinanza, si applica in appello, come in primo grado, solo se c’è domanda cautelare.

 

8. La regola generale del dimezzamento dei termini. I termini sottratti al dimezzamento.

 

8.1. In generale. I termini non dimezzati.

Chiarendo dubbi esegetici postisi nella disciplina previgente, e recependo gli orientamenti della giurisprudenza, l’art. 119 c.p.a. stabilisce in termini generali che tutti i termini processuali sono dimezzati, sottraendo al dimezzamento soltanto:

- nel giudizio di primo grado, il termine di notifica di ricorso introduttivo, incidentale e motivi aggiunti;

- nel giudizio di appello, i termini di notifica dell’appello avverso ordinanza cautelare.

Nel vigore della precedente disciplina, era stabilito che si sottraesse al dimezzamento solo il termine di proposizione del ricorso: pertanto, si era disputato se si sottrasse al dimezzamento solo il termine di notificazione, o anche quello di deposito del ricorso, e se si sottraessero al dimezzamento, per identità di ratio, anche i termini per la proposizione di motivi aggiunti e ricorso incidentale.

Senza ricordare in questa sede la complessa evoluzione della giurisprudenza, gioverà ricordare che secondo le tesi da ultimo consolidatesi, in relazione al rito dell’art. 23-bis, l. Tar:

- si sottraeva al dimezzamento solo il termine di notificazione, e non anche quello di deposito, del ricorso principale di primo grado[27];

- si sottraeva al dimezzamento anche il termine di notificazione del ricorso incidentale in primo grado[28];

- si sottraeva al dimezzamento anche il termine di notificazione dei motivi aggiunti, quale che fosse la tipologia di atto impugnato con i motivi aggiunti (atto già gravato con il ricorso principale o atto nuovo)[29].

Tale elaborazione giurisprudenziale viene recepita e consolidata con il c.p.a.

In relazione al termine di notificazione del ricorso di primo grado, non dimezzato, deve ritenersi non dimezzabile neppure l’eventuale proroga del termine di notifica nel caso di una delle parti residenti in altro Stato d’Europa o fuori Europa (rispettivamente trenta e novanta giorni) (art. 41, co. 5, c.p.a.).

 

8.2. I termini dimezzati.

 

8.2.1. Il termine di deposito di ricorso principale, motivi aggiunti, ricorso incidentale. I termini di costituzione delle altre parti.

Sono invece dimezzati tutti gli altri termini.

E’ anzitutto dimezzato il termine di deposito, sia di ricorso principale, che incidentale, che per motivi aggiunti.

Il c.p.a. prevede un termine uniforme, pari a trenta giorni (art. 45), che si riduce a quindici nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Tale termine decorre da quando si perfeziona l’ultima notificazione per il destinatario dell’atto. Pertanto, nel caso in cui la notificazione avvenga a mezzo del servizio postale, e dunque si perfezioni in momenti diversi per l’autore e per il destinatario della notificazione, al fine del decorso del termine per il deposito del ricorso occorre avere riguardo al momento in cui la notificazione si perfeziona per il destinatario[30].

Nel caso in cui una delle parti risieda in altro Stato d’Europa o fuori Europa, il termine di deposito è prorogato rispettivamente di trenta e novanta giorni (art. 45, co. 1, c.p.a.).

In virtù del dimezzamento del termine di deposito, previsto nell’art. 119 c.p.a., la proroga sarà, rispettivamente, di quindici e quarantacinque giorni.

Per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente, è previsto nel rito ordinario un termine di sessanta giorni decorrente dal perfezionamento della notificazione per la parte che deve costituirsi (art. 46, co. 1, c.p.a.), termine che diviene trenta giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Anche tale termine è prorogato se una delle parti risiede in altro Stato d’Europa o fuori Europa (art. 46, co. 4, c.p.a.), rispettivamente di trenta e novanta giorni, che diventano quindici e quarantacinque nel rito dell’art. 119 c.p.a.

 

8.2.2. I termini dell’incidente sulla competenza.

La giurisprudenza formatasi nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, riteneva dimezzato il termine per il regolamento di competenza, che è atto rientrante nelle scelte strategiche del difensore, tesi confermata dall’adunanza plenaria[31].

La tesi, da condividere anche nel vigore del c.p.a., va adattata alle nuove modalità del rilievo dell’incompetenza e ai nuovi pertinenti termini.

Infatti mentre nella disciplina previgente il regolamento di competenza era strumento di spettanza delle parti, da proporsi rapidamente, nel c.p.a. sia il giudice che le parti possono sollevare regolamento di competenza finché la causa non è decisa in primo grado (art. 15, co. 2, c.p.a.).

Tale limite temporale non può ovviamente essere dimezzato nel rito dell’art. 119 c.p.a.

E’ però previsto un termine di quindici giorni per il deposito del regolamento di competenza (art. 15, co. 2, c.p.a.), che diviene sette giorni e mezzo, arrotondati a otto, nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Nel rito ordinario, il regolamento di competenza proposto d’ufficio, dal giudice a quo o ad quem, è deciso dal Consiglio di Stato in camera di consiglio, di cui è dato avviso alle parti costituite almeno dieci giorni prima, e le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima.

Nel rito dell’art. 119, l’avviso dell’udienza va dato almeno cinque giorni prima e il deposito di memorie e documenti può avvenire fino a un giorno libero prima (art. 15, co. 6, c.p.a.).

Sempre nel rito ordinario, il regolamento di competenza su istanza di parte, sia quello preventivo, sia quello che costituisce mezzo di impugnazione dell’ordinanza sulla competenza, segue il rito cautelare, espressamente richiamato e in particolare l’art. 55, co. da 5 a 8 c.p.a.

Questo implica: udienza fissata nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e successiva altresì al decimo giorno dal deposito del ricorso; le parti possono depositare memorie fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.

Nel rito abbreviato comune i termini saranno rispettivamente decimo giorno, quinto giorno, un giorno libero.

Se il Consiglio di Stato, nel regolare la competenza, indica un giudice diverso da quello originariamente adito, il giudizio va riassunto, nel rito ordinario, entro un termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza che regola la competenza o di sessanta giorni dalla sua pubblicazione (art. 15, co. 5, c.p.a.). Nel rito dell’art. 119 c.p.a. tali termini si riducono rispettivamente a quindici e trenta giorni.

Se sulla domanda cautelare si è pronunciato il giudice a quo, dichiarato incompetente dal Consiglio di Stato in sede di regolamento di competenza, la pronuncia cautelare perde efficacia dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione dell’ordinanza che regola la competenza, termine che si riduce a quindici giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 15, co. 8, c.p.a.).

Quando il Tar originariamente adito anziché sollevare regolamento di competenza si dichiara senz’altro incompetente con ordinanza, le parti possono:

a) riassumere la causa davanti al giudice dichiarato competente, entro trenta giorni che diventano quindici nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 16, co. 2, c.p.a.);

b) impugnare con regolamento di competenza tale ordinanza, entro trenta giorni dalla sua notificazione o sessanta dalla sua pubblicazione, che diventano rispettivamente quindici e trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 16, co. 3, c.p.a.).

 

8.2.3. I termini del procedimento di ricusazione.

Nel procedimento di ricusazione è previsto che l’istanza si propone almeno tre giorni prima dell’udienza se sono noti i nomi dei magistrati che devono partecipare all’udienza, altrimenti anche all’udienza medesima (art. 18, co. 2, c.p.a.).

La decisione definitiva sull’istanza è adottata entro trenta giorni dalla sua proposizione (art. 18, co. 5, c.p.a.).

Tali termini diventano un giorno e mezzo e quindici giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

 

8.2.4. I termini per la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.

Per la trasposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in sede giurisdizionale, a seguito di opposizione dei controinteressati, è previsto un termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione (art. 48, co. 1, c.p.a.).

Non si tratta di termine di notificazione del ricorso introduttivo, ma di termine di deposito in sede giurisdizionale del ricorso già proposto nella sede straordinaria, pertanto è da ritenere che tale termine si riduca a trenta giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Tale tesi trova conforto nell’elaborazione giurisprudenziale formatasi nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar; si era ritenuto che il dimezzamento riguardasse sia il termine per l’opposizione a ricorso straordinario, proposta dal controinteressato, sia il successivo termine per la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale, ovviamente nel caso di ricorso straordinario nelle materie di cui all’art. 23-bis, l. Tar[32].

 

8.2.5. I termini dell’incidente cautelare.

Mentre per la notificazione dell’appello su ordinanza cautelare si applicano i termini ordinari dell’art. 62, co. 1, c.p.a. (art. 119, co. 2, c.p.a.), tutti gli altri termini dell’incidente cautelare sono dimezzati.

Occorre esaminare distintamente i termini del procedimento cautelare collegiale e di quello monocratico, in corso di causa e ante causam.

I termini del procedimento cautelare davanti al collegio sono scanditi nell’art. 55, co. 5, c.p.a., per il rito ordinario:

sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, successiva al decimo giorno dal deposito del ricorso; le parti possono depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.

Nel rito dell’art. 119 c.p.a. tali termini si riducono, rispettivamente, a dieci, cinque giorni e un giorno libero.

Nel procedimento cautelare davanti al presidente del tribunale, in corso di causa, l’unico termine peculiare è previsto dall’art. 56, co. 5, per il caso in cui il ricorso sia notificato a mezzo fax; la misura cautelare perde efficacia se il ricorso non è notificato per via ordinaria entro cinque giorni dalla richiesta delle misure cautelari provvisorie. Tale termine deve intendersi ridotto a due giorni e mezzo, arrotondati a tre, nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Nel procedimento cautelare ante causam la scansione dei termini è contenuta nell’art. 61, co. 5, c.p.a.

Sono previsti nel rito ordinario i seguenti termini:

il provvedimento di accoglimento della misura ante causam è notificato alle altre parti nel termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni; nel rito dell’art. 119 c.p.a. tale termine deve intendersi non superiore a tre giorni;

il provvedimento di accoglimento della misura ante causam perde comunque efficacia se entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare e detto ricorso non venga depositato nei successivi cinque giorni; il primo termine non sembra dimezzabile perché i termini di proposizione del ricorso introduttivo non sono dimezzati, mentre si riduce a tre giorni il termine di deposito nel rito dell’art. 119 c.p.a.;

in ogni caso la misura cautelare concessa perde effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, che si riducono a trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Per quanto riguarda l’appello cautelare (ossia avverso ordinanza cautelare), l’art. 119 sottrae a dimezzamento il termine di notificazione, che è perciò pari a trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza o sessanta dalla sua pubblicazione.

Non si sottrae invece al dimezzamento il termine di deposito dell’appello cautelare, che pertanto nel rito ordinario è trenta giorni e nel rito dell’art. 119 c.p.a. è quindici giorni.

 

8.2.6. Definizione del giudizio in esito a udienza cautelare.

L’art. 60 c.p.a. nel generalizzare la possibilità di definizione nel merito del giudizio in esito a udienza cautelare, prevede che se una parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice le assegna un termine non superiore a trenta giorni. Tale termine deve intendersi ridotto a quindici giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

 

8.2.7. I termini per l’udienza di merito e per la sentenza.

L’istanza di fissazione di udienza va proposta entro un anno dal deposito del ricorso, nel rito ordinario (art. 71, co. 1, c.p.a.).

Tale termine si riduce a sei mesi nel rito dell’art. 119 c.p.a., salvo che per il contenzioso sui pubblici appalti non occorre istanza di fissazione d’udienza.

Nel rito ordinario, il decreto presidenziale che fissa l’udienza va comunicato alle parti almeno sessanta giorni prima dell’udienza, termine che viene ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se l’udienza di merito viene fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare. Tali termini nel rito dell’art. 119 c.p.a. si riducono, rispettivamente, a trenta e ventitre giorni (art. 71, co. 5, c.p.a.).

Il presidente designa il relatore almeno trenta giorni prima dell’udienza nel rito ordinario, e dunque almeno quindici giorni prima nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 71, co. 6, c.p.a.).

Nel rito ordinario, le parti possono depositare documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi prima, e repliche fino a venti giorni liberi prima (art. 73, co. 1, c.p.a.), termini che nel rito dell’art. 119 c.p.a. diventano, rispettivamente, venti giorni, quindici giorni e dieci giorni.

Se il giudice ritiene vi sia una questione rilevabile d’ufficio, che emerge dopo il passaggio della causa in decisione, il giudice assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie (art. 73, co. 3, c.p.a.), termine che diventa quindici giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Nel rito ordinario, la sentenza deve essere redatta non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla data della decisione della causa, e della sua pubblicazione il segretario dà comunicazione alle parti costituite entro cinque giorni (art. 89 c.p.a.). Tali termini si riducono rispettivamente a ventitre e tre nel rito dell’art. 119 c.p.a.

 

8.2.8. I termini per perenzione e estinzione del giudizio.

Nel rito ordinario, in caso di sospensione del giudizio, va presentata nuova istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa di sospensione (art. 80, co. 1, c.p.a.). Tale termine è pari a quarantacinque giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Il processo interrotto va riassunto entro novanta giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo (art. 80, co. 3, c.p.a.). Tale termine è pari a quarantacinque giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Nel rito ordinario sono poi previste la perenzione annuale e quinquennale (artt. 81 e 82 c.p.a.).

I termini di perenzione devono intendersi ridotti a sei mesi, e a due anni e sei mesi, nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Inoltre la nuova istanza di fissazione di udienza, che ai sensi dell’art. 82 va presentata entro centottanta giorni, va presentata entro novanta giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Quando estinzione o improcedibilità del giudizio sono dichiarati con decreto presidenziale, le parti possono fare opposizione entro sessanta giorni dalla comunicazione del decreto (art. 85, co. 3, c.p.a.), termine che si riduce a trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a.

Il dimezzamento dei termini per perenzione e attività delle parti volte a impedire l’estinzione del giudizio, oltre a trovare il suo fondamento nell’art. 119 c.p.a. trova il conforto nella giurisprudenza formatasi nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, che aveva ritenuto che il dimezzamento riguardasse:

- il termine biennale (ora annuale) per l’istanza di fissazione di udienza[33];

- il termine semestrale (ora di novanta giorni) per la riassunzione del processo interrotto[34];

- il termine per la perenzione del giudizio[35],

 

8.2.9. I termini dei giudizi di impugnazione.

La sottrazione al dimezzamento dei termini opera, ai sensi dell’art. 119 c.p.a., solo nel giudizio di primo grado e, quanto all’appello, solo per la notificazione dell’appello su ordinanza cautelare.

Tutti gli altri termini dei giudizi di impugnazione, sia quanto a notificazione, sia quanto a deposito, sono pertanto dimezzati.

Dispone infatti l’art. 119, co. 7, che le disposizioni contenute nell’art. 119 si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo.

Pertanto, il termine breve di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza (art. 92, co. 1, c.p.a.), si riduce a trenta giorni, e il termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art. 92, co. 3, c.p.a.) si riduce a tre mesi.

Rispetto all’art. 23-bis, l. Tar, si riduce pertanto da centoventi giorni a tre mesi il termine lungo di impugnazione.

Il dimezzamento si estende alle impugnazioni incidentali (art. 96 c.p.a.).

Il termine di deposito delle impugnazioni, che nel rito ordinario è trenta giorni (art. 94, c.p.a.), si riduce a quindici giorni.

Per i termini di costituzione delle altre parti valgono i termini del giudizio di primo grado.

L’estensione del rito abbreviato a tutti i giudizi di impugnazione, ivi compresi revocazione e opposizione di terzo, risolve dubbi esegetici insorti nella disciplina previgente, che disciplinava formalmente solo l’appello[36].

In ogni caso sia nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, sia nel vigore del c.p.a. si deve ritenere sottratto al dimezzamento il ricorso per cassazione, che trova la sua compiuta disciplina nel c.p.c., mentre l’art. 119 c.p.a. incide solo sulle fasi processuali che si svolgono davanti al giudice amministrativo.

 

8.2.10. I termini del giudizio di ottemperanza nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

Quanto al giudizio di ottemperanza, nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, secondo una tesi si sottraeva al dimezzamento solo l’atto introduttivo (sotto il profilo che non si dimezzano i termini per ricorrere), mentre il restante giudizio si svolge con termini dimezzati.

Secondo un’altra lettura, anche il ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza è soggetto a dimezzamento, non trattandosi di ricorso di primo grado e dunque di prima presa di contatto tra parte e giudice.

Secondo altra tesi, tutto il giudizio di ottemperanza è fuori dall’ambito dell’art. 119 c.p.a., non ravvisandosi le stesse esigenze di urgenza.

 

8.2.11. Il termine del periodo feriale.

Nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, si era ritenuto che il dimezzamento dei termini processuali non incidesse sulla durata del periodo feriale, che rimane quella ordinaria[37].

Tale soluzione va mantenuta ferma nel vigore dell’art. 119 c.p.a.

 

9. La fissazione dell’udienza di merito con ordinanza resa in udienza cautelare.

Nel rito ordinario, se viene accolta la domanda cautelare, o se comunque si ritiene vi sia fumus boni juris, viene anche fissata la data dell’udienza di merito, ma non è previsto un termine massimo entro cui l’udienza di merito deve celebrarsi (art. 55, co. 10 e 11 c.p.a.).

Nel rito dell’art. 119 c.p.a., invece, il giudice, se ritiene, all’udienza cautelare, che il ricorso presenta profili di fumus e periculum, fissa con ordinanza la data di discussione del merito, alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell’ordinanza (art. 119, co. 3, c.p.a.).

Se il Tar rigetta la domanda cautelare e il Consiglio di Stato riforma l’ordinanza, la pronuncia di appello viene inviata al Tar per la fissazione dell’udienza di merito, e il termine di trenta giorni decorre dal ricevimento dell’ordinanza da parte del Tar (art. 119, co. 3, c.p.a.).

E’ stato efficacemente osservato che il riconoscimento dell’urgenza si realizza nel rito abbreviato attraverso la decisione del merito: il principio dell’effettività della tutela viene realizzato attraverso lo spostamento del baricentro della tutela stessa nella sede del giudizio di merito, ed è questo uno dei punti più qualificanti della riforma[38].

Il rinvio al merito, fissando un'udienza a breve, si fa con ordinanza collegiale.

L’udienza non può essere anteriore a trenta giorni dal deposito dell’ordinanza, il che consente il rispetto dei termini difensivi (per ricorso incidentale, motivi aggiunti, memorie, regolamento di competenza).

Se poi l’udienza di merito va fissata a seguito di rinvio da parte del Consiglio di Stato che riforma l’ordinanza cautelare di rigetto, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell’ordinanza del Consiglio di Stato da parte della segreteria del Tar, che ne dà avviso alle parti. In tal caso, l’udienza di merito viene fissata al di fuori dell’udienza cautelare e, dunque, è da ritenere, con decreto presidenziale anziché con ordinanza collegiale.

Per la definizione abbreviata non occorre istanza di parte, ma si tratta di un’iniziativa del giudice.

Tuttavia, detta iniziativa:

- può essere sollecitata dalle parti, anche se il rigetto o accoglimento dell’istanza di parte non necessita di specifica motivazione da parte del giudice;

- va comunicata alle parti, nell’ottica del principio di collaborazione processuale e del rispetto del contraddittorio.

L’iniziativa del giudice presuppone in ogni caso, quale condizione implicita, che vi sia istanza di parte di fissazione dell’udienza di merito, perché l’art. 119 c.p.a. non ha innovato la regola generale del processo amministrativo, in base alla quale le udienze di merito vengono fissate solo se c’è domanda di parte di fissazione dell’udienza. Solo per la materia delle procedure di affidamento, non occorre istanza di fissazione di udienza.

In sintesi, presupposti per l’emanazione dell’ordinanza che stabilisce di definire il processo con giudizio abbreviato, fissando la data dell’udienza di merito, sono:

a. che vi sia un’udienza cautelare;

b. che vi sia fumus boni juris;

c. che vi sia periculum in mora, che sia particolarmente pregnante, in quanto evidenziato già ad un primo sommario esame;

d. che vi sia il contraddittorio completo, ovvero lo stesso venga integrato su ordine del giudice: la completezza del contraddittorio va intesa, come nel giudizio immediato, sia come completezza soggettiva (evocazione in giudizio di tutte le parti necessarie) sia come completezza oggettiva (rispetto dei termini a difesa); l’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio può essere contenuto nella medesima ordinanza che fissa l'udienza di merito del giudizio abbreviato;

e. che non vi siano gli estremi per applicare il giudizio immediato di cui all’art. 60 c.p.a.;

f. che vi sia in atti istanza di parte di fissazione dell’udienza di merito[39].

Il contenuto necessario dell’ordinanza collegiale è:

- la motivazione in ordine a fumus e periculum;

- la motivazione in ordine all’assenza dei presupposti del giudizio immediato;

- l’accertamento dell’integrità del contraddittorio;

- la fissazione dell’udienza di merito.

Contenuto eventuale è:

- l’ordine di integrazione del contraddittorio;

- la misura cautelare, da adottarsi nei casi di estrema gravità e urgenza, ai sensi dell’art. 119, co. 4, c.p.a.

L’ordinanza che si limita a fissare l’udienza di merito è, in teoria, appellabile, ma nella pratica ben difficilmente sarà appellata e i relativi vizi saranno fatti valere, se del caso, in sede di appello avverso la sentenza finale.

 

10. La tutela cautelare.

Si è già osservato che l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, fissando l’udienza di merito, solo in via eventuale contiene la misura cautelare.

Invero, l’art. 119, co. 3, c.p.a. si limita a stabilire che l’ordinanza, ravvisati i presupposti di periculum e fumus, fissa la data dell’udienza di merito.

Tuttavia, secondo una tesi, l’ordinanza che fissa l’udienza di merito ha sempre, come contenuto indefettibile, la tutela cautelare, perché non avrebbe senso riconoscere che c'è una situazione di pericolo e di fumo, al solo scopo di fissare l’udienza di merito, senza accordare la tutela cautelare[40].

Il successivo co. 4 dell’art. 119 c.p.a., stabilisce che l’ordinanza che fissa l’udienza di merito può anche disporre le opportune misure cautelari, in caso di estrema gravità ed urgenza.

Al fine della tutela cautelare occorre dunque qualcosa di più del semplice pericolo e fumus, e, in particolare, una situazione di <<estrema gravità ed urgenza>>.

In tal senso si è espressa la giurisprudenza formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, osservando che ai sensi della disposizione è consentito, nell’ipotesi che ad un primo esame il ricorso evidenzi l’illegittimità dell’atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, solo di fissare la data di discussione del merito, nei termini indicati, e non anche di adottare la misura cautelare, ove non sussistano le condizioni di estrema gravità ed urgenza[41].

Siffatta opzione legislativa, di particolare severità dei presupposti per la concessione della misura cautelare, maggiore che per le altre materie, appare giustificata e ragionevole, e va immune da possibili censure di costituzionalità per violazione del diritto di difesa e per l’obliterazione della tutela cautelare.

E’ noto che la Corte costituzionale ha da tempo affermato il principio dell’irrinunciabilità della tutela cautelare: ma qui la tutela cautelare non viene obliterata, ma, solo, vengono resi più severi i presupposti per la sua concessione.

La maggiore severità si spiega considerando che, di regola, la fissazione del merito a breve è già, di per sé sola, uno strumento in senso lato di cautela, perché il rischio di effetti irreversibili nelle more del giudizio di merito viene drasticamente ridotto.

Altrimenti detto, la ratio della tutela cautelare è di evitare i danni connessi ai tempi lunghi del processo di merito: ove i tempi per il merito sono brevi, la tutela cautelare perde, in genere, la sua stessa ragion d’essere, salvi casi particolari, in cui anche un ritardo minimo nella decisione di merito può comportare la produzione di effetti irreversibili.

Siffatta ratio spiega perché la fissazione del merito a breve induce ad una maggiore severità nella concessione della misura cautelare.

Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che è conforme al diritto comunitario che gli Stati membri ancorino la tutela cautelare in materia di appalti alla ragionevole possibilità di successo del ricorso; ha in particolare osservato la Corte che la direttiva 89/665 non osta a che uno Stato membro preveda che l’autorità giudiziaria investita di ricorso in materia di pubblici appalti, nel pronunciarsi su una domanda di misure cautelari, sia obbligata o abbia la facoltà di prendere in considerazione la possibilità di successo del ricorso, a condizione che la disciplina della misura cautelare non sia meno favorevole di quella prevista per la tutela di analoghe situazioni di diritto nazionale o comunque tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto conferito al singolo dall’ordinamento comunitario[42].

In ogni caso nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a., e oggi nel c.p.a. in termini generali, non è possibile accordare tutela cautelare senza contestualmente fissare l’udienza di merito[43].

In maniera particolare si atteggia la concessione della tutela cautelare nel caso in cui la stessa sia negata dal Tar, e l’ordinanza di diniego sia appellata al Consiglio di Stato.

In tal caso, se il Consiglio di Stato ravvisa il periculum in mora semplice, non deve accordare la misura cautelare, ma limitarsi ad affermare che sussistono i presupposti per il giudizio abbreviato, e restituire gli atti al Tar per la fissazione dell’udienza di merito (art. 119, co. 3, c.p.a.).

Nel caso, invece, di periculum e fumus qualificati ai sensi del co. 4 dell’art. 119 c.p.a., vale a dire nei casi in cui il Consiglio di Stato ravvisi l’estrema gravità e urgenza, il giudice di appello deve anche accordare la tutela cautelare, e restituire gli atti al giudice di primo grado per la fissazione dell’udienza di merito.

In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato in relazione all’art. 23-bis, l. Tar, osservando che se il Tar abbia respinto la richiesta di sospensione cautelare in materia soggetta al rito abbreviato, la pronuncia che accolga l’appello contro il diniego di sospensione deve limitarsi a rinviare le parti al Tar perché fissi l’udienza di merito nei termini stabiliti; solo in caso di estrema gravità e urgenza il giudice di appello può disporre direttamente la sospensione[44].

 

11. La pubblicazione del dispositivo e la sua impugnazione.

Mentre nel rito dell’art. 23-bis, l. Tar, la pubblicazione del dispositivo entro sette giorni dall’udienza di merito era indefettibile, nel rito dell’art. 119 c.p.a. diventa eventuale, occorrendo domanda di almeno una parte.

La domanda non può essere contenuta in qualsivoglia atto di parte, ma deve essere resa in udienza e raccolta nel verbale.

Non occorre, peraltro, che vi sia l’accordo di tutte le parti, essendo sufficiente la domanda di una sola parte, e non occorre una specifica motivazione dell’istanza.

Pertanto l’istanza, se proposta, vincola il giudice a pubblicare il dispositivo entro sette giorni.

Lo scopo della tempestiva pubblicazione del dispositivo, prima della motivazione, è di cristallizzare la decisione, impedendo ripensamenti, e di consentire l’immediata formazione di un titolo esecutivo.

Dato lo scopo della previsione, è evidente che l’ambito della pubblicazione del dispositivo si riferisce solo ai provvedimenti a contenuto decisorio, vale a dire sentenze, definitive o parziali.

Non occorre invece la pubblicazione del dispositivo quando il giudice adotti provvedimenti non definitivi, come ordinanze istruttorie, o ordinanze di rimessione all’adunanza plenaria, e simili.

Conserva validità la giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 19, d.l. n. 67/1997 e in relazione all’art. 23-bis, l. Tar, quanto alle conseguenze dell’omessa o tardiva pubblicazione del dispositivo.

La giurisprudenza ha ritenuto che non si verifica alcuna nullità, ma al più si può ipotizzare la responsabilità disciplinare del giudice[45]; ove poi si volesse accedere alla tesi della nullità, si tratterebbe di una nullità relativa che si converte in motivo di gravame, e che non comporta annullamento con rinvio della sentenza; il giudice di appello dichiarerebbe la nullità, ma deciderebbe nel merito[46].

Se, poi, nei sette giorni, anziché pubblicare il solo dispositivo, viene pubblicata la sentenza integrale, non si verifica nessuna nullità[47].

Del pari, se viene pubblicata la sentenza completa nel termine dimezzato di ventitre giorni, nessun vizio deriva dall’omessa pubblicazione del dispositivo[48].

Né il mancato deposito del dispositivo né la violazione del termine dimidiato per il deposito della decisione costituiscono motivi di nullità della sentenza, non rinvenendosi al riguardo alcuna disposizione che disciplini in modo compiuto le eventuali relative conseguenze[49]; l’omessa pubblicazione concretizza pertanto un comportamento omissivo eventualmente rilevante sul piano disciplinare[50].

Nel caso di contrasto tra dispositivo e successiva motivazione, la giurisprudenza ha affermato che quando la legge prevede il deposito e la pubblicazione del dispositivo della sentenza anteriormente al deposito della decisione completa della motivazione, il dispositivo non costituisce un atto puramente interno, modificabile dallo stesso giudice fino a quando la decisione non venga pubblicata, ma è atto di rilevanza esterna che fissa in maniera irreversibile il suo contenuto; pertanto deve ritenersi che il dictum del giudice sia definitivamente quello contenuto nel dispositivo, con l’ulteriore conseguenza che, in caso di contrasto tra dispositivo e decisione successivamente depositata, il primo è destinato a prevalere sulla seconda, sicché il contrasto tra dispositivo e decisione si risolve in una difformità meramente esteriore tra il pensiero del giudice e la sua manifestazione, cui può porsi rimedio avvalendosi della procedura di correzione dell’errore materiale[51].

Secondo altra soluzione, sempre ferma restando la prevalenza del dispositivo sulla motivazione, lo strumento per emendare il contrasto della motivazione non è la correzione di errore materiale, ma la revocazione[52].

Si può dubitare della correttezza in ogni caso della soluzione che dà prevalenza al dispositivo sulla motivazione: l’errore materiale potrebbe annidarsi proprio nel dispositivo, a fronte di una motivazione chiara e argomentata in direzione opposta. Sembra perciò preferibile ritenere che la soluzione della prevalenza del dispositivo o della motivazione, in caso di contrasto tra i due, vada data caso per caso.

In tale prospettiva, la giurisprudenza ha osservato che, in presenza di un errore su un elemento materiale nel dispositivo pubblicato della sentenza, individuato prima che la stessa venga in essere nella sua complessiva identità, nelle materie oggetto di rito abbreviato, il giudice conserva un margine di intervento volto a sanare le difformità meramente esteriori tra il suo pensiero e la sua manifestazione. Né può sempre invocarsi l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, è a quest'ultimo che va data prevalenza, nel caso in cui l'errore del dispositivo ha natura meramente materiale essendo indubitabile dalla lettera dello stesso la volontà del collegio[53].

Sono disciplinati autonomamente i termini di impugnazione del dispositivo.

Esso può essere impugnato entro trenta giorni dalla sua pubblicazione; non vi sono perciò termini che decorrono dalla sua notificazione.

In tal caso i motivi vengono riservati, e vanno proposti entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza o tre mesi dalla sua pubblicazione.

L’appello avverso il dispositivo è un appello cautelare, finalizzato a ottenerne la sospensione.

Peraltro la parte che non appella il dispositivo non perde il diritto di chiedere la tutela cautelare avverso la sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.

Nonostante lo scopo cautelare dell’appello avverso il solo dispositivo, si è escluso che il dispositivo sia un provvedimento cautelare in senso proprio e che con l’appello avverso di esso si instauri un giudizio cautelare; pertanto, all’appello avverso il solo dispositivo, inteso come giudizio ordinario, i applica la sospensione dei termini in periodo feriale,che va esclusa solo per il processo cautelare in senso stretto[54].

Per impugnare il dispositivo si stabilisce un unico termine di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione dello stesso; questo perché si suppone che la parte sa che il dispositivo va pubblicato entro sette giorni e, quindi, conosce anche il termine per impugnarlo, decorrente dalla pubblicazione.

Nella prassi l’appello avverso il solo dispositivo si rivela il più delle volte un’inutile complicazione, perché il giudice di appello è restio ad accordare tutela cautelare sulla base del solo dispositivo, senza conoscere il contenuto della sentenza.

Sono salvi casi eclatanti in cui emerga ictu oculi l’indispensabilità della tutela cautelare nelle more della pubblicazione della motivazione della sentenza.

In caso di appello avverso il solo dispositivo, la norma dispone che la parte faccia riserva dei motivi di appello.

Nella prassi, gli appelli avverso il solo dispositivo contengono la riproposizione dei (o il rinvio ai) motivi del ricorso di primo grado, con riserva di motivi ulteriori a seguito della conoscenza della motivazione della sentenza.

Tale prassi è ritenuta legittima, in quanto essendo l’appello avverso il solo dispositivo un appello <<al buio>> esso non può che limitarsi a riproporre le censure già articolate in prime cure, mentre una maggiore specificazione è necessaria quando si propongono i motivi aggiunti avverso la motivazione[55].

In caso di appello immediato contro il solo dispositivo, la parte può fare riserva dei motivi.

Questi ultimi vengono proposti in un secondo momento, dopo il deposito della motivazione della sentenza.

Per l'appello avverso la motivazione è previsto un termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza ovvero di novanta giorni dalla sua pubblicazione, così superandosi il previgente termine di centoventi giorni dalla comunicazione della pubblicazione, che sembrava lasciare in piedi il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. che, invece, decorre dalla pubblicazione.

 

12. La motivazione della sentenza.

Nella materia di cui all’art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a., la sentenza è ordinariamente redatta in forma semplificata.

Per le altre materie di cui all’art. 119, non è fissata alcuna regola particolare in ordine alla forma della motivazione della sentenza.

Valgono perciò le regole generali sulla motivazione delle sentenze.

 

13. Il rapporto tra rito abbreviato e rito immediato.

Il co. 3 dell’art. 119 c.p.a., come già il co. 3 dell’art. 23-bis, l. Tar, fa salva l'applicazione dell’art. 60, cioè l'ipotesi in cui si possa fare un giudizio immediato, quando ci si trova all'udienza cautelare, ove:

1) siano stati rispettati i termini propri della fase cautelare[56] e siano trascorsi almeno venti giorni, che diventano dieci nel rito dell’art. 119 c.p.a., dalla notificazione del ricorso;

2) il contraddittorio sia integro;

3) l’istruttoria sia completa;

3) sul punto siano state sentite le parti costituite[57];

4) alle parti sia stato dato avviso della data dell’udienza cautelare, quando l’istanza cautelare venga trattata in una camera di consiglio diversa da quella prevista ordinariamente dalla legge[58].

Mentre nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, per celebrarsi il giudizio immediato occorrevano le ulteriori due condizioni che il ricorso evidenziasse l'illegittimità dell'atto e la sussistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile e vi fosse, in aggiunta, una situazione manifesta, nel vigore dell’art. 119 tali due condizioni non occorrono.

Il giudizio immediato in esito all’udienza cautelare può celebrarsi anche se non c’è una situazione manifesta.

Il giudizio immediato non può avere luogo, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., se una delle parti dichiari che intende proporre ricorso incidentale, motivi aggiunti, regolamento di competenza o di giurisdizione.

In queste ultime due ipotesi, non essendovi un termine legale per proporre regolamento di competenza o giurisdizione (salvo il termine della definizione del giudizio in primo grado), il giudice assegna un termine non superiore, nel rito ex art. 119 c.p.a., a quindici giorni. Per le altre ipotesi, vanno rispettati i termini di legge per ricorso incidentale e motivi aggiunti.

Il giudice dispone se del caso l’integrazione del contraddittorio, o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione, e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.

 

14. I termini degli altri riti speciali nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.

Si pone poi la questione se il dimezzamento dei termini previsto dall’art. 119 c.p.a. riguardi o meno:

- i termini previsti dal medesimo c.p.a. in tema di accesso, silenzio, decreto ingiuntivo.

E’ da ritenere che se in una materia di cui al’art. 119 venga proposta azione di accesso o azione avverso il silenzio, prevalgano i termini dei relativi riti speciali.

Se invece si cumulino nello stesso giudizio domande ai sensi dell’art. 119 e domande di accesso o avverso il silenzio, la connessione deve ritenersi operante nel senso che si applica a tutte le domande il rito dell’art. 119 c.p.a.

Quanto al rito del silenzio, esso presenta connotati di specialità rispetto a quello di cui all’art. 119 c.p.a.

Gli elementi di specialità sono:

- trattasi di giudizio immediato, che pertanto prevale sul rito – solo abbreviato - di cui all’art. 119 c.p.a.

- è un rimedio contro la pubblica inerzia, mentre l’art. 119 c.p.a. ha per oggetto <<i provvedimenti>> vale a dire atti espressi.

Può verificarsi che prima o comunque indipendentemente dall’instaurazione di un ricorso impugnatorio nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a., venga, in dette materie, promosso un ricorso per l’accesso a documenti.

In tale ipotesi prevale il rito dell’accesso, che è di per sé un rito speciale, rivolto contro il diniego, il differimento, il silenzio sull’accesso, e connotato da termini abbreviati.

E, invero, il regime processuale cui soggiacciono tutte le controversie sull’accesso è già esso stesso un regime speciale notevolmente accelerato: l’innesto in questa disciplina, quando l’accesso debba essere fatto valere in materia soggetta al regime dell’art. 119 c.p.a. (p.es. accesso nei confronti di autorità amministrativa indipendente, o nei confronti di stazione appaltante), determinerebbe una complicata ibridazione di procedure speciali.

Inoltre, le determinazioni amministrative in tema di accesso non sono “provvedimenti” nella comune accezione tecnica del termine, ma hanno una natura giuridica sui generis, che si riflette nel fatto che il contenzioso che le concerne non ha una natura autenticamente impugnatoria, bensì un contenuto di accertamento sostanziale della eventuale fondatezza della pretesa dell’istante[59].

Può inoltre verificarsi che il ricorso in tema di accesso nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a., venga proposto in pendenza di un giudizio che si svolge con il rito dell’art. 119 citato, e dunque articolato con la formula del rito dell’accesso in corso di causa.

E’ da ritenere che il giudizio sull’accesso si svolga seguendo il rito proprio, che ha connotati di specialità, simili a quelli del rito avverso il silenzio.

Il rito è volto infatti non solo e non tanto all’annullamento di un provvedimento (che oltretutto manca quando il ricorso abbia ad oggetto il silenzio sulla domanda di accesso), quanto piuttosto a conseguire la condanna dell’amministrazione a consentire l’accesso.

In caso di accesso in corso di causa in una delle materie di cui all’art. 119, occorre raccordare il primo rito con il secondo: verosimilmente, non sarà utile fissare a breve l’udienza di merito, se non si attende prima l’esito dell’accesso ai documenti necessari al giudizio principale, anche allo scopo di articolare eventuali motivi aggiunti di ricorso.

Nel ricorso dei presupposti per dichiarare l’estinzione del giudizio nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a. trova applicazione il rito speciale che prevede la declaratoria di estinzione con decreto presidenziale.

 

15. Il regime fiscale per le liti dell’art. 119 c.p.a.

Quanto al regime fiscale del processo di cui all’art. 119 c.p.a., è dovuto un contributo unificato, il cui importo è fissato dall’art. 13, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, testo unico delle spese di giustizia.

Tale art. 13 è stato novellato dapprima dall’art. 21, co. 4, d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella l. 4 agosto 2006 n. 248,  successivamente dalla legge finanziaria per il 2007, e da ultimo dal d.lgs. n. 53/2010 e dallo stesso c.p.a.

Fino alla novella di luglio 2006, la misura del contributo unificato variava in relazione al valore della causa.

Con la novella di luglio 2006, il contributo è stato previsto nella misura unica di euro 500, ridotto a 250 per taluni tipi di contenzioso.

Pertanto, per i processi in materia di pubblici appalti e di provvedimenti dell’Autorità di vigilanza, era dovuto il contributo di euro 500.

L’art. 1, co. 1307, legge finanziaria per il 2007, ha elevato il contributo a mille euro per i ricorsi che seguono il rito speciale di cui all’art. 23-bis, l. Tar, ora art. 119 c.p.a., l. Tar, e a duemila euro per i ricorsi che seguono detto rito in materia di procedure di affidamento di lavori servizi e forniture e di provvedimenti delle Autorità indipendenti.

Prima del d.lgs. n. 53/2010 e del c.p.a. non era mai stato chiarito se il contributo unificato fosse dovuto solo per il ricorso introduttivo, o anche per qualsivoglia domanda nuova, introdotta con motivi aggiunti o ricorso incidentale, essendo in astratto sostenibili entrambe le tesi.

Con l’art. 245, codice appalti, e poi con l’art. 120 c.p.a., per il processo in materia di pubblici appalti, i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi, diventano obbligatori.

Sicché, mentre in passato potevano esserci ricorsi diversi contro bando, esclusione, aggiudicazione, con altrettanti contributi unificati, con il nuovo rito tali atti vanno tutti impugnati nello stesso processo.

Con la conseguenza che se si seguisse la tesi secondo cui il contributo unificato è dovuto solo per il ricorso introduttivo, rispetto al passato si avrebbe una perdita secca di gettito fiscale.

Il rischio è stato scongiurato dal d.lgs. n. 53/2010 che, novellando l’art. 13, d.P.R. n. 115/2002, ha espressamente previsto che il contributo unificato, per i ricorsi in materia di pubblici affidamenti di lavori, servizi e forniture, è dovuto anche per i motivi aggiunti e per i ricorsi incidentali, se contengono domande nuove.

Per domande nuove si devono intendere:

a) l’impugnazione di atti nuovi con i motivi aggiunti;

b) l’impugnazione con ricorso incidentale di atti diversi da quelli oggetto del ricorso principale;

c) la proposizione, con ricorso incidentale, di domande riconvenzionali.

In tal senso dispone anche l’art. 3, co. 11, dell’allegato 4 al c.p.a., con riferimento non più solo al rito in materia di appalti, ma a tutto il processo amministrativo.

Pertanto, in tutte le materie di cui all’art. 119 c.p.a., è dovuto il contributo unificato di euro 1000 non solo per il ricorso introduttivo, ma anche per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domande nuove.

Il contributo, per i ricorsi avverso atti delle Autorità indipendenti, è di euro 2000, e tale misura vale anche per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domante nuove.

E’ inoltre dovuto il contributo unificato di euro 2000 per il processo in materia di pubblici appalti, sia per il ricorso introduttivo, che per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domande nuove.

L’art. 10, co. 5, d.P.R. n. 115/2002 conteneva un’esenzione dal contributo unificato, ritenuta applicabile nel processo amministrativo, per il processo cautelare in corso di causa nonché per il regolamento di competenza e di giurisdizione.

Tale esenzione è stata abrogata, con effetto dal 1° gennaio 2010, dal numero 1) della lettera b) del comma 212 dell’art. 2, l. 23 dicembre 2009 n. 191, ai sensi di quanto disposto dal comma 253 del citato art. 2.

Non è chiaro se, pertanto, nel processo amministrativo sia ora dovuto un autonomo contributo unificato per domanda cautelare ante causam e in corso di causa, nonché per regolamento di competenza e di giurisdizione.

 

16. Disciplina transitoria.

Nel passaggio dal rito 23-bis, l. Tar, al rito dell’art. 119 c.p.a., per i termini ancora in corso continua ad applicarsi la vecchia disciplina, per i termini che non sono ancora iniziati a decorrere, anche per i processi già in corso, si applica l’art. 119 c.p.a. (art. 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 104/2010).

Ad es. se il termine per appellare è ancora in corso, si osserverà il previgente più lungo termine di centoventi giorni anziché quello nuovo di novanta giorni.



[1] Sul rito di cui all’art. 23-bis vedi M. LIPARI, Il nuovo rito degli appalti dopo l’art. 23-bis della l. n. 1034/1971, introdotto dall’art. 4 della l. n. 205/2000, in AA. VV., La nuova disciplina dei lavori pubblici (a cura di F. CARINGELLA e G. DE MARZO), Ipsoa, Milano, 2003, 1750 ss.; M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, in AA.VV. (a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Giuffré, Milano, 2002, 804 - 974; G. GIOVANNINI, Commento all’art. 4, l. n. 205/2000, in AA. VV., Verso il nuovo processo amministrativo (a cura di V. CERULLI IRELLI), Torino, 2000, 293 ss.

[2] In dottrina, G. TANZARELLA, Commento all’art. 23-bis, co. 1, legge Trib. amm. reg., in AA.VV., La giustizia amministrativa, Milano, 2000, 94, osserva che le materie si connotano per la presenza di questioni la cui soluzione è di interesse superindividuale.

[3] M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, in AA.VV. (a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO), Il nuovo processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Giuffré, Milano, 2002, 813 ss.

[4] Questi gli argomenti della pronuncia:

<<Il passaggio alla fase giurisdizionale, quindi, si attua attraverso le seguenti tappe:

a) la notifica dell’atto di opposizione;

b) la notifica dell’atto con cui il ricorrente straordinario dichiara di insistere nel ricorso, davanti al Tar;

c) il deposito, presso la segreteria del tribunale competente, dell’atto notificato dal ricorrente.

Il primo atto non sembra assumere ancora connotati tipicamente processuali e giurisdizionali, ma costituisce l’ultimo segmento della fase di svolgimento del procedimento di trattazione del ricorso straordinario. Infatti, una volta intervenuta l’opposizione, potrebbe accadere che l’originario ricorrente ometta di insistere nella propria volontà di impugnazione. In tal caso, l’opposizione determinerebbe la sola conseguenza di rendere improcedibile il ricorso straordinario, senza provocare alcuna pronuncia del giudice amministrativo.

Il secondo atto (la notifica) presenta invece, natura processuale, perché ha lo scopo di trasferire davanti al giudice l’intera controversia. Non vale obiettare che, tuttavia, l’atto di “insistenza”, pur notificato, potrebbe non essere depositato e, quindi, potrebbe sfuggire, di fatto, alla valutazione del giudice.

Al riguardo, è sufficiente osservare che l’eventualità del mancato deposito del ricorso ritualmente notificato è verificabile, normalmente, anche nell’ordinario processo giurisdizionale. Ma nessuno dubita della natura processuale del ricorso, anche se solo notificato e non depositato. Del resto, per quanto interessa in questa sede, l’inconveniente pratico derivante dall’incertezza causata da un’opposizione seguita da un atto non depositato potrebbe essere agevolmente superato mediante il deposito dell’atto ad iniziativa delle altre parti, finalizzato alla pronuncia di inammissibilità del ricorso giurisdizionale, oppure dalla pronuncia di inammissibilità del ricorso straordinario, per il solo fatto dell’intervenuta opposizione.

In ogni caso, la natura processuale dell’atto di deposito deve essere affermata con certezza. Il rapporto processuale si costituisce sin dalla notifica dell’atto con cui l’interessato dichiara di insistere nel ricorso. Il deposito costituisce un atto meramente consequenziale. D’altro canto, la natura processuale del deposito correlato alla notifica dell’ordinario ricorso giurisdizionale è costantemente affermata dalla giurisprudenza.

Va ora stabilito se i termini per la notifica e per il deposito dell’atto con cui l’interessato dichiari di insistere nell’originario ricorso straordinario debbano essere considerati, o meno, inerenti alla “proposizione” del ricorso, e, quindi, sottratti alla regola del dimezzamento di cui all’articolo 23-bis.

A parere del Collegio, occorre distinguere tra la notifica dell’atto e il suo deposito, che presentano diversa natura giuridica, anche in coerenza con gli indirizzi manifestati dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio.

È vero, infatti, che una parte della dottrina riguardante il processo speciale accelerato ha affermato, sinteticamente, che l’intera fase di insistenza del ricorso dovrebbe ricondursi al concetto di proposizione del ricorso. Tuttavia, questa opinione si connette alla tesi (non condivisa dall’Adunanza Plenaria), secondo la quale, in linea generale, il deposito del ricorso deve sempre qualificarsi come segmento necessario dell’attività, complessa, di proposizione del ricorso.

Ma una volta affermata, nel diritto vivente, la distinzione tra notifica e deposito del ricorso, questa deve coerentemente applicarsi anche all’atto con cui l’interessato dichiara la propria volontà di insistere nel ricorso.

La notifica dell’atto con cui si insiste nell’impugnazione ha la funzione di radicare la controversia, per la prima volta, dinanzi al giudice. Se è vero che tale atto si deve porre in rapporto di stretta connessione con il ricorso straordinario, resta però indiscutibile che esso esprima la volontà del soggetto interessato di “proporre” un ricorso, non più al Capo dello Stato, ma davanti al giudice.

Questa circostanza sembra sufficiente per affermare, allora, che il termine per la notifica dell’atto, pur essendo processuale, resta sottratto alla regola del dimezzamento dei termini, perché riconducibile, indiscutibilmente, alla categoria dei termini per la proposizione del ricorso.

A diverse conclusioni si deve pervenire con riguardo al termine, successivo, per il deposito dell’atto. Questo è senz’altro un termine processuale, ma non è affatto riconducibile alla nozione, pure ampia, di attività di “proposizione del ricorso”, quanto meno nel contesto dell’articolo 23-bis. A tale riguardo, la Sezione ritiene che possano essere utilizzati i risultati cui è pervenuta la prevalente giurisprudenza – nonostante le notevoli perplessità della dottrina - con riferimento alla disciplina applicabile al termine per il deposito del ricorso di primo grado: questo non si sottrae alla regola del dimezzamento del termine, in quanto la formula proposizione del ricorso va intesa con il significato – più ristretto - di “notificazione”.

Secondo il tribunale, invece, anche il termine per il deposito dell’atto andrebbe escluso dalla regola del dimezzamento, in forza della seguente argomentazione: “se, in generale, la sequenza introduttiva del giudizio amministrativo si articola in notifica del ricorso (da effettuare sempre nel termine decadenziale di sessanta giorni) e successivo deposito (da effettuare, in generale, entro trenta giorni dall’ultima notifica, che si riducono a 15 nelle controversie ex art. 23-bis), nella fattispecie di cui all’art. 10 DPR n. 1199/71 la sequenza è invertita, in quanto la legge prevede che il ricorrente in sede straordinaria che voglia proseguire nel giudizio di fronte al giudice amministrativo a seguito di opposizione notificata dalle controparti, deve depositare l’atto di costituzione presso la segreteria del Tar entro sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, dandone avviso mediante notifica all’amministrazione resistente ed ai controinteressati. Pertanto, il primo atto della sequenza è il deposito dell’atto di costituzione, che, agli effetti dell’applicazione dell’art. 23-bis, deve essere equiparato alla notifica e quindi vale per esso il termine ordinario di sessanta giorni. Qualsiasi altra interpretazione sarebbe da considerare in contrasto con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto non esiste alcuna valida ragione per penalizzare, sotto questo profilo, il ricorrente in sede straordinaria che si vede notificare l’atto di opposizione ex art. 10, d.P.R. n. 1199/1971.”

La tesi del tribunale non può essere condivisa, perché non considera l’interpretazione vivente delle modalità di attuazione della fase di trasposizione, la quale si svolge secondo una diversa successione di atti, nelle quali la notifica deve precedere il deposito dell’atto, anche per esigenze pratiche di verifica della concreta realizzazione del contraddittorio processuale.

Oltretutto, nel caso di specie, la notifica ha effettivamente preceduto il deposito dell’atto.

Non sembra persuasivo nemmeno l’ulteriore argomento svolto dal tribunale, secondo cui “considerato che il termine per la riassunzione del ricorso straordinario di fronte al Tar è esattamente uguale a quello previsto in generale per l’impugnazione (il che significa che il Legislatore del 1971 ha ritenuto che il ricorrente in sede straordinaria, per decidere se proseguire nel giudizio di fronte al Tar, deve disporre dello stesso termine previsto in generale per la notifica del ricorso). Pertanto, tale termine non deve ritenersi soggetto a dimidiazione, anche se si verte in una delle controversie di cui all’art. 23-bis.” In tal modo, infatti, si dà peso alla circostanza, del tutto estrinseca, che il termine previsto normativamente per il compimento di un determinato atto processuale sia uguale a quello stabilito per la notifica del ricorso, mentre l’eccezione al dimezzamento dei termini è riferita esclusivamente al compimento di atti riconducibili alla categoria della “proposizione del ricorso”, indipendentemente dalla loro durata.

In definitiva, quindi, deve essere affermato che contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, il ricorso di primo grado è inammissibile, a causa del tardivo deposito dell’atto di trasposizione del ricorso straordinario.

Tuttavia, a parere della Sezione, la novità e la complessità delle questioni giuridiche affrontate costituiscono elementi idonei per affermare la sussistenza di tutti i presupposti per riconoscere all’interessato il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Pertanto, l’appello deve essere esaminato, nel merito, in relazione alle altre censure proposte dal comune di Gallipoli>>.

 

[5] M. LIPARI, op. ult.  cit., 828 s.

[6] Cons. St., ad. plen., 14 febbraio 2001 n. 2, in Urbanistica e appalti, 2001, 521, con nota di M. LIPARI, Il processo speciale in materia di opere pubbliche: l’Adunanza Plenaria ed il termine per la proposizione del ricorso.

[7] In tal senso anche M. LIPARI, op. ult. cit., 533.

[8] Cons. giust. sic., 3 marzo 2003 n. 93, in Cons. Stato, 2003, I, 762.

[9] M. LIPARI, Il processo speciale in materia di opere pubbliche: l’Adunanza Plenaria ed il termine per la proposizione del ricorso, cit., 533.

[10] Cons. St., sez. VI, 27 marzo 2003 n. 1605, in Cons. Stato, 2003, I, 733, in caso di impugnazione di un d.m. e di un atto di un’autorità indipendente; Cons. St., sez. VI, 27 giugno 2007 n. 3712, in Cons. Stato, 2007, I, 992, in caso di impugnazione di un atto della Banca d’Italia e di un atto di altro organo.

[11] Cons. giust. sic., 8 luglio 2002 n. 401, in Cons. Stato, 2002, I, 1742.

[12] Cons. giust. sic., 2 marzo 2007 n. 75, in Giurisdiz. amm., 2007, I, 422.

[13] Cons. St., ad. plen., 30 luglio 2007 n. 9, segnalata in DPA, 2007, n. 9, 98, con nota di A. PLAISANT, La Plenaria non scioglie i dubbi sulla pregiudiziale; segnalata in Urbanistica e appalti, 2007, 1302.

[14] M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, cit., 829 ss.

[15] Cons. giust. sic. 13 febbraio 2006 n. 40, in www.giustizia-amministrativa.it.; Cons. giust. sic., 9 maggio 2005 n. 323, in www.giustizia-amministrativa.it.

[16] Cons. St., sez. IV, 27 dicembre 2004 n. 8244, in Cons. Stato, 2004, I, 2671.

[17] M. LIPARI, op. cit.

[18] Cfr. Cons. St., sez. VI, 29 aprile 2005 n. 2041, in Cons. Stato, 2005, I, 746: <<Il riferimento contenuto nell’art. 23-bis, l. Tar, alle controversie relative ai provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti deve intendersi circoscritto alle sole controversie in cui è in contestazione l’esercizio delle funzioni che incidono sui settori alla cui vigilanza o regolazione dette Autorità sono preposte, e dunque l’art. 23-bis citato non si applica alle controversie sul rapporto di impiego del personale delle Autorità>>.

[19] Cons. St., sez. V, 13 luglio 2006 n. 4418, in Giurisdiz. amm., 2006, I, 1077.

[20] Cons. St., sez. V, 9 giugno 2008 n. 2814, in Giurisdiz. amm., 2008, I, 767.

[21] In tal senso anche G. GIOVANNINI, op. cit., 307.

[22] Tar Campania – Napoli, sez. I, 6 maggio 2008 n. 3380.

[23] Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2006 n. 5200, in www.giustizia-amministrativa.it..

[24] Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009 n. 3765.

[25] Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5839.

[26] Cons. St., sez. VI, 17 ottobre 2008 n. 5044, in Giurisdiz. amm., 2008, I, 1386.

[27] Cons. St., ad. plen. 31 maggio 2002 n. 5, in Cons. Stato, 2002, I, 997. L’ordinanza di rimessione alla plenaria è Cons. St., sez. IV, 10 gennaio 2002 n. 122, ord., in Urbanistica e appalti, 2002, 283, con nota di M. LIPARI, Il rito speciale previsto dall’art. 23- bis: il termine per il deposito del ricorso. Prima della plenaria, nel senso del dimezzamento del termine per il deposito del ricorso v. Tar Lombardia – Brescia, 27 gennaio 2001 n. 44, in Trib. amm. reg., 2001, I, 58: <<Ai sensi dell’art. 23-bis, l. Tar, il dimezzamento dei termini processuali riguarda anche quello per il deposito del ricorso>>; Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2001 n. 496, ord., in Cons. Stato, 2001, I, 125: <<Ai sensi dell’art. 23-bis, l. Tar, i termini processuali sono ridotti alla metà, con conseguente inammissibilità dell’appello depositato oltre quindici giorni dopo la notifica>>. V. anche Cons. St., sez. V, 15 febbraio 2002 n. 919, in Cons. Stato, 2002, I, 335.

[28] Cons. St., ad. plen., 31 maggio 2002 n. 5, cit.; Cons. St., sez. VI, 27 marzo 2001 n. 1807, in Cons. Stato, 2001, I, 779; Urbanistica e appalti, 2001, 1105, con nota di A. TRAVI; Cons. giust. sic., 21 luglio 2008 n. 601, in Giurisdiz. amm., 2008, I, 1131.

[29] Cons. St., ad. plen., 15 aprile 2010 n. 2155. Si riportano di seguito i termini del dibattito in ordine al termine di proposizione dei motivi aggiunti nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar.

La plenaria nel 2010 ha seguito la tesi che quale che sia l’atto impugnato con motivi aggiunti, essi sono sottoposti al termine di ricorso senza dimezzamento.

Tanto, sia in base alla ratio legis sia in base al dato letterale:

a) quanto alla ratio, la sottrazione al dimezzamento del termine di ricorso risponde alla ratio di meglio assicurare il diritto di difesa, ratio riconosciuta sussistente anche in relazione al ricorso incidentale e che va riconosciuta anche per i motivi aggiunti; né si può distinguere tra medesimi atti e atti diversi, sul piano del rapporto con il difensore, perché la tutela del diritto di difesa attiene alla persona del ricorrente a prescindere dall’essere il medesimo già in contatto con il difensore o meno;

b) sul piano letterale, l’art. 23-bis, nel sottrarre al dimezzamento dei termini il ricorso, usa il plurale, parlando non già di termine di proposizione del ricorso, ma di “termini” così lasciando intendere, secondo la plenaria, che si sottraggono al dimezzamento anche altri atti assimilabili al ricorso introduttivo.

Afferma infatti la plenaria: “Al riguardo, occorre muovere dal rilievo che detta abbreviazione dei termini costituisce essa stessa eccezione all’ordinaria durata dei termini processuali (così come tutto il “rito speciale” ex art. 23-bis si pone come derogatorio rispetto alle regole ordinarie), di tal che quella che appare come una “eccezione” al dimezzamento, prevista per il termine di proposizione del ricorso introduttivo, costituisce in realtà una delimitazione che il legislatore ha inteso tracciare del campo di operatività della deroga medesima, e quindi una riaffermazione delle regole generali. Orbene, come correttamente ritenuto da tutti gli orientamenti innanzi richiamati, la ratio alla base della scelta normativa di non estendere il dimezzamento al termine di notifica dell’atto introduttivo del giudizio riposa nell’esigenza di garantire il pieno esercizio del diritto costituzionalmente garantito di difesa, che sarebbe risultato eccessivamente compresso per effetto dell’abbreviazione anche del termine de quo. Tale esigenza, pacificamente riconosciuta valida anche per il ricorso incidentale, invero risulta sussistere anche nell’ipotesi in cui il ricorrente debba articolare nuove censure in corso di causa attraverso lo strumento dei motivi aggiunti, non potendo attribuirsi rilevanza decisiva – come avviene, invece, in alcune pronunce favorevoli al dimezzamento – alla diversità di situazioni consistente nel fatto che in questa ipotesi, a differenza di quella in cui si debba proporre il ricorso introduttivo, il ricorrente ha certamente già conferito il mandato a un difensore, e pertanto i tempi necessari per l’esercizio del diritto di difesa dovrebbero essere considerati “al netto” del tempo necessario alla ricerca di un difensore ed all’instaurazione del rapporto professionale con lo stesso. Infatti, nella fissazione dei termini per l’esercizio delle attività processuali il legislatore ha sempre ritenuto di prescindere del tutto dalla vicenda interna relativa al rapporto tra parte e difensore, preoccupandosi unicamente di prevedere tempi idonei a consentire all’interessato – indipendentemente dall’esistenza o meno di un mandato difensivo, ovvero dalle competenze tecnico-giuridiche che lo stesso interessato eventualmente possieda – la piena esplicazione delle facoltà riconducibili al diritto di difesa ex art. 24 Cost. Inoltre, anche l’argomento testuale valorizzato dalla tesi favorevole alla dimidiazione appare superabile: infatti, se è vero che il comma 2 dell’art. 23-bis richiama esplicitamente il solo ricorso introduttivo, è altresì significativo che la disposizione, per escludere il dimezzamento, faccia riferimento ai termini al plurale (“quelli per la proposizione del ricorso”), piuttosto che al solo termine di notifica del ricorso introduttivo, quasi a voler evidenziare che l’inapplicabilità del regime derogatorio si estende a tutti i termini che siano a questo assimilabili. Per converso, la terza delle opinioni sopra riportate, se indubbiamente coglie un’effettiva diversità ontologica all’interno della categoria apparentemente unitaria dei motivi aggiunti, per effetto della possibilità riconosciuta dalla l. n. 205/2000 di impugnare con essi anche i nuovi atti sopravvenuti in pendenza del giudizio, finisce tuttavia per introdurre una frammentazione della disciplina processuale dei motivi aggiunti che, almeno allo stato, non sembra trovare fondamento a livello positivo.”.

Prima dell’arresto della plenaria, la giurisprudenza meno recente del Consiglio di Stato aveva ritenuto che il dimezzamento dei termini processuali andasse esteso pure ai motivi aggiunti: <<Posto che l’art. 23-bis, l. Tar, prevede la riduzione a metà di tutti i termini processuali, con l’unica eccezione per il termine di proposizione del ricorso introduttivo, si deve ritenere che il dimezzamento del termine si applichi pure ai motivi aggiunti, in quanto, dinanzi alla logica acceleratoria che permea l’intero provvedimento legislativo, l’eccezione al dimezzamento dei termini introdotta dalla l. n. 205/2000 va interpretata secondo canoni di rigida tassatività, tanto più che nel caso dei motivi aggiunti non sussiste la necessità di dare seguito a quelle esigenze di tutela del diritto alla difesa in settori nevralgici, finalizzate a concedere al privato cittadino ed al soggetto imprenditoriale il tempo necessario per imbastire ed articolare la propria difesa con l’assistenza ed il patrocinio ritenuti più idonei, atteso che tra l’altro nel caso dei motivi aggiunti si può fare a meno di affidare un nuovo mandato>> (Cons. St., sez. V, 6 luglio 2002 n. 3717, in Urbanistica e appalti, 2002, 1179, con nota critica di M. LIPARI, I termini per la proposizione dei motivi aggiunti nel rito speciale disciplinato dall’art. 23-bis (1182 - 1187).). Tale pronuncia comprendeva nel dimezzamento dei termini i motivi aggiunti in base a tre argomenti: il dato letterale della norma, che si riferiva alla <<proposizione del ricorso>>; il carattere eccezionale della deroga al dimezzamento dei termini; il rilievo che i motivi aggiunti rientrano nell’attività del difensore.

Secondo una diversa tesi i motivi aggiunti si sottraevano al dimezzamento, perché anch’essi sono, per la parte, una prima presa di contatto con il giudice, e dunque vi è l’identica ratio sottesa al ricorso introduttivo (Cons. St., sez. V, 8 agosto 2005 n. 4207, in Cons. Stato, 2005, I, 1288; Urbanistica e appalti, 2006, 205, con nota di I. PAGANI, Riti accelerati e termini processuali: le eccezioni alla regola del dimezzamento (210 – 214); Cons. giust. sic., 26 luglio 2006 n. 429, in Giurisdiz. amm., 2006, I, 1187). Tale impostazione escludeva il dimezzamento dei termini per la proposizione dei motivi aggiunti, senza distinguere tra motivi aggiunti avverso atti connessi e motivi aggiunti avverso gli atti originariamente impugnati (Cons. St., sez. VI, 23 agosto 2007 n. 4480, in Giurisdiz. amm.).

Secondo un’opposta impostazione, tutti i motivi aggiunti, sia avverso gli atti già oggetto del ricorso originario, sia avverso atti connessi, erano soggetti a dimezzamento, attesa la ratio acceleratoria del rito speciale e la non assimilabilità dei motivi aggiunti al ricorso originario (Cons. St., sez. IV, 5 marzo 2008 n. 949, in Giurisdiz. amm., 2008, I, 258; Cons. St., sez. V, 7 aprile 2009 n. 2149, in Urb. e app., 2009, 985, con nota critica di F. MANGANARO e G. TROPEA, Ancora incertezze sul termine per i motivi aggiunti nel rito accelerato (988-994)).

Secondo una tesi mediatrice occorreva distinguere tra motivi aggiunti avverso atti nuovi (non soggetti a dimezzamento) e motivi aggiunti avverso i medesimi atti già impugnati (soggetti a dimezzamento) (Cons. St., sez. IV, 12 maggio 2008 n. 2187; Cons. St., sez. IV, 10 aprile 2008 n. 1543, in Giurisdiz. amm., 2008, I, 462).

In dottrina si era osservato che spesso nella materie di cui all’art. 23-bis vengono fatti ricorsi al buio, e solo a seguito della completa conoscenza degli atti possono essere articolati motivi aggiunti, che richiedono tempo e ponderazione (M. LIPARI, Il processo speciale in materia di opere pubbliche (…), cit., 531).

[30] Cons. St., sez. V, 23 giugno 2008 n. 3097; Cons. St., sez. V, 11 maggio 2007 n. 2356, in Giurisdiz. amm., 2007, I, 699; Cons. St., sez. VI, 22 novembre 2006 n. 6835, in Giurisdiz. amm., 2006, I, 1602.

[31] Cons. St., ad. plen., 18 marzo 2004 n. 5, in Cons. Stato, 2004, I, 473; Cons. St., sez. IV, 21 maggio 2008 n. 2395; Cons. St., sez. IV, 18 settembre 2007 n. 4860; Cons. St., sez. V, 10 gennaio 2007 n. 52; Tar Lombardia – Milano, sez. III, 14 novembre 2000 n. 6386, in Trib. amm. reg., 2000, I, 4285.

[32] Tar Veneto, sez. I, 21 febbraio 2006 n. 401, in Urbanistica e appalti, 2006, 1221, con nota di S. Viaro, Opposizione al ricorso straordinario al Capo dello Stato, trasferimento in sede giurisdizionale e dimidiazione dei termini.

[33] Cons. St., sez. V, 1 dicembre 2006 n. 7086, in Giurisdiz. amm., 2006, I, 1678.

[34] Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2007 n. 4657; Cons. St., sez. V, 28 giugno 2002 n. 3559, in Cons. Stato, 2002, I, 1393; Tar Lazio – Roma, sez. I, 20 febbraio 2008 n. 1536.

[35] Cons. St., sez. IV, 23 settembre 2004 n. 6223, in Cons. Stato, 2003, I, 1906.

[36] Si riportano in nota i termini del dibattito nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar.

Per una tesi, l’eccettuazione dal dimezzamento del termine per il ricorso, si riferiva a tutti i ricorsi introduttivi di un’autonoma fase di giudizio, e dunque anche al ricorso per revocazione ed opposizione di terzo. Pertanto, il termine per notificare tali ricorsi non sarebbe dimezzato, mentre sarebbero dimezzati tutti i successivi termini processuali di tali impugnazioni. In tale prospettiva, la giurisprudenza aveva affermato che il dimezzamento dei termini previsto dalla disposizione non si applica al ricorso per revocazione, in virtù della previsione contenuta nello stesso articolo 23-bis, la quale fa salvi “i termini per la proposizione del ricorso”. Infatti, il ricorso per revocazione non si limita a determinare una prosecuzione dell’originario giudizio, ma comporta l’introduzione di nuovi aspetti della lite non esaminati dalla sentenza gravata, costituiti, in particolare dalla sussistenza dell'errore di fatto (Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2007 n. 6792, in Giurisdiz. amm., 2007, I, 1906).

Secondo un’opposta lettura, il co. 2 dell’art. 23-bis, anche alla luce della genesi storica della norma, aveva inteso sottrarre al dimezzamento solo il termine per notificare il ricorso di primo grado (e gli atti ad esso assimilabili, quali i motivi aggiunti in primo grado e il ricorso incidentale), e non anche le impugnazioni, tanto è vero che per l’appello sono espressamente previsti termini dimezzati; pertanto, sarebbero dimezzati anche il termine per notificare il ricorso per revocazione e per opposizione di terzo.

Era poi senz’altro ritenuto dimezzato il termine di deposito delle impugnazioni. Quanto, in particolare, al termine di deposito del ricorso in revocazione, si era ritenuto che il termine ordinario fosse di trenta giorni e quello dimezzato di quindici (per altra tesi il termine ordinario è di venti giorni e quello dimezzato di dieci) (Cons. St., sez. VI, 25 gennaio 2008 n. 214).

[37] Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2001 n. 1089, in Cons. Stato, 2001, I, 397.

[38] M. LIPARI, Relazione sull’art. 23-bis all’incontro di studio sul tema <<Nuova tutela cautelare nel processo amministrativo>> svoltosi il 18 maggio 2001 a Roma, presso il Consiglio di Stato, pubblicata in Sosp., 2001, 21744.

[39] Nel senso della necessità di istanza di fissazione dell’udienza di merito è anche M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, cit., 958 s.

[40] M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, cit., 917 ss.; M. LIPARI, Relazione sull’art. 23-bis, cit., 21745.

[41] Tar Toscana, sez. II, 3 maggio 2001 n. 517, ord., in Sosp., 2001, 21771.

[42] C. giust. CE, 9 aprile 2003, c-424/01, ord., segnalata in Urbanistica e appalti, 2003, 781.

[43] M. LIPARI, Relazione sull’art. 23-bis, cit., 21744.

[44] Cons. St., sez. IV, 20 settembre 2000 n. 4656, ord., in Cons. Stato, 2000, I, 2, 2087; Cons. St., sez. V, 16 gennaio 2001 n. 384, ord.

[45] Cons. St., sez. V, 5 marzo 2001 n. 1248, in Cons. Stato, 2001, I, 596; Cons. St., sez. V, 9 giugno 2008 n. 2814, cit.

[46] Cons. St., sez. IV, 29 maggio 1998 n. 789, in Giur. it., 1998, 2414; Guida al dir., 1998, fasc. 28, 80, con nota di O. FORLENZA; segnalata in Urbanistica e appalti, 1998, 1018; Urbanistica e appalti, 1998, 1200, con nota di C. MUCIO.

[47] Tar Marche, 11 febbraio 2000 n. 293, in Trib. amm. reg., 2000, I, 1994.

[48] Cons. St., sez. V, 5 marzo 2001 n. 1248, in Cons. Stato, 2001, I, 596.

[49] Cons. St., sez. V, 16 settembre 2004 n. 6035, in Cons. Stato, 2004, I, 1883; Cons. St., sez. V, 19 febbraio 2004 n. 697, in Urbanistica e appalti, 2004, 485; Cons. St., sez. IV, 23 settembre 2003 n. 5357, in Cons. Stato, 2003, I, 1981.

[50] Cons. St., sez. V, 12 luglio 2004 n. 5058, in Cons. Stato, 2004, I, 1541.

[51] Cons. St., sez. IV, 9 agosto 2000 n. 4378, in Cons. Stato, 2000, I, 1840.

[52] Cons. St., sez. IV, 5 agosto 1999 n. 1347, in Cons. Stato, 1999, I, 1132: <<Il deposito del dispositivo in applicazione dell’art. 19, d.l. n. 67/1997 cristallizza in via definitiva la statuizione, di talché la successiva sentenza con esso contrastante, pronunciata nella medesima camera di consiglio, sullo stesso oggetto e nei confronti delle stesse parti, non è emendabile con gli ordinari mezzi di gravame, ma revocabile ai sensi dell’art. 81, n. 5, r.d. n. 642/1907 e dell’art. 395, n. 5, c.p.c., per contrasto di giudicati (dispositivo e motivazione)>>.

[53] Cons. St., sez. V, 7 novembre 2008 n. 5547; Cons. St., sez. V, 22 aprile 2002 n. 2197.

[54] Cons. St., sez. V, 24 aprile 2009 n. 2600.

[55] Cons. St., sez. V, 23 giugno 2008 n. 3099.

[56] La giurisprudenza si va orientando nel senso della non necessità, al fine del giudizio immediato, del rispetto dei termini a difesa propri della fase di merito, purché le parti presenti siano sentite, e non vi sia richiesta di parte di termine a difesa: Cons. St., sez. VI, 26 giugno 2003 n. 3852, in Cons. Stato, 2003, I, 1432; Foro it., 2003, III, 681, con nota di A. TRAVI; Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2003 n. 3312, in Cons. Stato, 2003, I, 1311; Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 2003 n. 650, in Cons. Stato, 2003, I, 265; Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 2003 n. 650, cit.; Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2003 n. 3312, cit.

[57] Cons. St., sez. IV, 28 gennaio 2002 n. 453, in Cons. Stato, 2002, I, 115.

[58] Cons. St., sez. VI, 26 giugno 2003 n. 3852, cit.

[59] Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5840.