Il
rito abbreviato comune a determinate materie nel nuovo codice del processo
amministrativo
(
Pubblicato
sul Sito il 23 settembre 2010
Art. 119
Rito
abbreviato comune a determinate materie
1. Le disposizioni di cui al presente articolo
si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a:
a) i provvedimenti concernenti le procedure
di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto
dagli articoli 120 e seguenti;
b) i provvedimenti adottati dalle Autorità
amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di
servizio con i propri dipendenti;
c) i provvedimenti relativi alle procedure
di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli
relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e
istituzioni da parte degli enti locali;
d) i provvedimenti di nomina, adottati
previa delibera del Consiglio dei ministri;
e) i provvedimenti di scioglimento di enti
locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli
organi;
f) i provvedimenti relativi alle procedure
di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere
pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle
invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale;
g) i provvedimenti del Comitato olimpico
nazionale italiano o delle Federazioni sportive;
h) le ordinanze adottate in tutte le
situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della
legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali;
i) il rapporto di lavoro del personale dei
servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell’articolo 22, della
legge 3 agosto 2007, n. 124;
l) le controversie comunque attinenti alle
procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di
impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, comprese quelle concernenti la
produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i
gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica
superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto
ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete
nazionale di gasdotti;
m) i provvedimenti della commissione
centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione,
recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei
confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia.
2. Tutti i termini processuali ordinari sono
dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del
ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché
quelli di cui all’articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel
presente articolo.
3. Salva l'applicazione dell’articolo 60, il
tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare,
accertata la completezza del contraddittorio ovvero disposta l'integrazione
dello stesso, se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili
di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con
ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla
scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza,
disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle
eventuali altre prove occorrenti. In caso di rigetto dell'istanza cautelare da
parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi
l'ordinanza di primo grado, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale
amministrativo regionale per la fissazione dell'udienza di merito. In tale
ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento
dell'ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo
regionale, che ne dà avviso alle parti.
4. Con l’ordinanza di cui al comma
5. L’ordinanza di primo grado è appellabile
entro trenta giorni dalla notificazione ovvero entro sessanta giorni dalla
pubblicazione.
6. Quando almeno una delle parti,
nell’udienza discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione
anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza, il dispositivo è pubblicato
mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della
causa. La dichiarazione della parte è attestata nel verbale d’udienza.
7. La parte può chiedere al Consiglio di
Stato la sospensione dell’esecutività del dispositivo, proponendo appello entro
trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre
entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi
dalla sua pubblicazione. La mancata richiesta di sospensione dell’esecutività
del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione
dell’esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.
8. Le disposizioni del presente articolo si
applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo.
Sommario:
1. Il rito
abbreviato comune in breve.
2. Breve
storia del rito abbreviato comune.
3. La
specialità del rito.
4. Il campo
di applicazione del rito abbreviato quanto a tipo di giudice e fasi
processuali.
4.1. In
generale.
4.2. Il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nelle materie di cui
all’art. 119 c.p.a.
4.3. Momenti
di raccordo tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale.
4.4. Il
tribunale superiore delle acque pubbliche.
4.5. Il
giudice ordinario: giudizi in materia di esecuzione degli appalti.
5. L’ambito oggettivo del rito speciale:
giudizi impugnatori e non impugnatori.
5.1. I
<<provvedimenti>>: gli atti autoritativi, gli atti privatistici,
i comportamenti.
5.2. I provvedimenti di secondo grado.
5.3. Gli atti diversi da quelli
specificamente indicati.
5.4. I giudizi non impugnatori. In
particolare il giudizio risarcitorio.
6. Le
singole materie oggetto del rito abbreviato comune.
6.1. Gli
atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture.
6.2. Gli
atti delle Autorità amministrative indipendenti.
6.2.1. In
generale.
6.2.2. L’ambito
soggettivo: le Autorità indipendenti.
6.2.3. L’ambito
oggettivo: i provvedimenti.
6.2.4. Rapporto tra rito speciale e
giurisdizione sulle Autorità amministrative indipendenti.
6.2.5. La speciale regola in tema di c.t.u. in
caso di provvedimenti sanzionatori di talune Autorità indipendenti.
6.2.6. La tacita
abrogazione di altri riti speciali su provvedimenti di autorità indipendenti.
6.3. Le
privatizzazioni e le dismissioni.
6.4. I provvedimenti di nomina previa
delibera del Consiglio dei Ministri.
6.5. I provvedimenti di scioglimento
degli enti locali e quelli connessi.
6.6. Le
espropriazioni di immobili e di invenzioni.
6.7. I provvedimenti del CONI e delle
Federazioni sportive.
6.8. Le
ordinanze per situazioni di emergenza ai sensi della legislazione sulla
protezione civile.
6.9. Il
rapporto di lavoro del personale dei servizi segreti.
6.10. Il contenzioso in materia di energia.
6.11. Il contenzioso sulle misure di
protezione per collaboratori e testimoni di giustizia.
6.12. Le
ipotesi previgenti sottoposte al rito abbreviato, non riprodotte nel c.p.a.
6.13.
Materie cui non si applica il rito abbreviato comune.
7. Le regole
del rito speciale che presuppongono la domanda cautelare e le regole del rito
speciale svincolate dalla domanda cautelare.
8. La regola
generale del dimezzamento dei termini. I termini sottratti al dimezzamento.
8.1. In
generale. I termini non dimezzati.
8.2. I
termini dimezzati.
8.2.1. Il
termine di deposito di ricorso principale, motivi aggiunti, ricorso
incidentale. I termini di costituzione delle altre parti.
8.2.2. I termini dell’incidente sulla competenza.
8.2.3. I
termini del procedimento di ricusazione.
8.2.4. I termini per la trasposizione del ricorso
straordinario in sede giurisdizionale.
8.2.5. I
termini dell’incidente cautelare.
8.2.6.
Definizione del giudizio in esito a udienza cautelare.
8.2.7. I
termini per l’udienza di merito e per la sentenza.
8.2.8. I
termini per perenzione e estinzione del giudizio.
8.2.9. I
termini dei giudizi di impugnazione.
8.2.10. I termini del giudizio di ottemperanza nelle materie di cui all’art. 119
c.p.a.
8.2.11. Il
termine del periodo feriale.
9. La
fissazione dell’udienza di merito con ordinanza resa in udienza cautelare.
10. La
tutela cautelare.
11. La
pubblicazione del dispositivo e la sua impugnazione.
12. La motivazione della sentenza.
13. Il rapporto tra rito abbreviato e rito
immediato.
14. I termini degli altri riti speciali nelle materie di cui all’art.
119 c.p.a.
15. Il regime fiscale per le liti dell’art.
119 c.p.a.
16. Disciplina transitoria.
1. Il rito
abbreviato comune in breve.
Nell’art. 119 c.p.a. viene riassettata la disciplina
recata in precedenza art. 23-bis, l.
Tar, e dalle disposizioni che ad esso facevano rinvio, con le seguenti
innovazioni:
a) disciplina bifasica per tutto il contenzioso
relativo ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, al quale
si applica la disciplina dell’art. 119 e in aggiunta quella dell’art. 120
c.p.a.;
b) inserimento delle ulteriori materie a cui, dopo il
2000, era stato esteso il rito speciale dell’art. 23-bis, in virtù di svariate leggi;
c) razionalizzazione della disciplina dei termini del
rito, con dimezzamento di tutti i termini processuali, salvo quelli per
l’introduzione delle domande in primo grado (ricorso, motivi aggiunti, ricorso
incidentale) e quelli per la notifica e il deposito dell’appello cautelare
(avverso l’ordinanza cautelare) ai sensi dell’art. 62, co. 1, c.p.a.;
e) chiarimento, quanto ai provvedimenti delle Autorità
indipendenti, che il rito speciale non riguarda i provvedimenti inerenti il
rapporto di servizio del personale dipendente;
f) espunzione di alcune ipotesi marginali a cui in
passato si applicava il rito speciale e, segnatamente:
f.1) il ricorso avverso i provvedimenti del Ministero
delle comunicazioni adottati sulla base delle disposizioni del codice delle
comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259 e successive
modificazioni;
f.2) i ricorsi avverso i provvedimenti adottati ai
sensi dell’art. 12, co.
Con riferimento alle singole lettere del comma 1
dell’articolo si segnala che:
1) la lett. a) riproduce, in modo più sintetico, le
lett. a), b), c), dell’art. 23-bis,
l. Tar, che riguardavano i pubblici appalti;
2) le lettere b), c), d), e) dell’articolo
riproducono, rispettivamente, le lettere d), e), f), g), dell’art. 23-bis, l. Tar;
3) nella lettera b) dell’art. 119 c.p.a. oltre a
riprodursi la lettera d) dell’art. 23-bis,
l. Tar, vengono trasfuse le previsioni degli articoli: 10, co. 10 e 11- quinquies, l. n. 28/2000; 9, d.lgs. n.
259/2003; 24, co.
4) la lettera f) dell’art. 119 riproduce le previsioni
recate: dall’art. 53, co. 2, d.lgs. n. 325/2001; dall’art. 53, co. 2, d.P.R. n.
327/2001; dall’art. 142, d.lgs. n. 30/2005;
5) la lettera g) dell’art. 119 riproduce le previsioni
recate dall’art. 3, d.l. n. 220/2003, conv. in l. n. 280/2003;
6) la lettera h) dell’art. 119 riproduce la previsione
di cui all’art. 3, d.l. n. 245/2005, conv. nella l. n. 21/2006;
7) la lettera i) dell’art. 119 riproduce la previsione
di cui all’art.
8) la lettera l) dell’art. 119 riproduce le previsioni
di cui all’art.
9) la lettera m) estende il rito speciale abbreviato
ai provvedimenti relativi alle speciali misure di protezione nei confronti dei
collaboratori di giustizia, per i quali ad oggi è previsto (art. 10, co. 2-quinquies,
2-sexies, 2-septies, 2-octies, d.l. n. 8/1991, conv. in l. n. 82/1991) un rito
abbreviato distinto ma similare, con abbreviazione dei termini processuali,
pubblicazione del dispositivo, tutela di merito a breve distanza dalla tutela
cautelare.
Il co. 2 dell’art. 119 c.p.a. disciplina il
dimezzamento dei termini processuali e le relative deroghe.
I co. 3 e 4 dell’art. 119 c.p.a. disciplinano
l’abbreviazione del rito riproducendo le norme vigenti. Se in udienza cautelare
il collegio ritiene che il ricorso presenta profili sia di fumus che di periculum,
viene con ordinanza fissata l’udienza di merito alla prima udienza successiva
alla scadenza del termie di trenta giorni dal deposito dell’ordinanza. Se poi
ne ricorrono i presupposti, la causa può essere definita con sentenza in forma
semplificata già in esito all’udienza cautelare.
E’ allora evidente che la corsia preferenziale, per la
celere definizione della lite, esiste solo se il collegio ravvisi profili di
periculum e fumus, perché solo in tal caso viene fissata rapidamente l’udienza
di merito.
Fuori da tale ipotesi, se la domanda cautelare viene
respinta, il ricorso perde la corsia preferenziale per la fissazione del merito
e dunque il rito non differisce nel suo svolgimento da un rito ordinario, se si
eccettua il dimezzamento dei termini che si applica comunque.
Il co. 5 dell’art. 119 c.p.a. disciplina la
pubblicazione del dispositivo, rendendola, rispetto al regime vigente, solo
eventuale, su istanza di parte.
E’ sufficiente l’istanza di una sola parte. Essa va
formulata nell’udienza di discussione e inserita nel verbale di udienza.
Il co. 6 dell’art. 119 c.p.a. disciplina l’appello sul
dispositivo e sulla sentenza, prevedendo per l’impugnazione del dispositivo un
unico termine di trenta giorni decorrente dalla sua pubblicazione. La
successiva motivazione va impugnata entro trenta giorni dalla notificazione
della sentenza o entro tre mesi dalla sua pubblicazione. Tali termini si
osservano anche se è impugnata direttamente la sentenza. L’appello avverso il
dispositivo è, come già in passato, un appello cautelare, finalizzato alla
sospensione del dispositivo medesimo.
Il co. 7 dell’art. 119 c.p.a. estende il rito
abbreviato ai giudizi di impugnazione.
Le novità sono:
l’esclusione del rito abbreviato per alcune ipotesi
per le quali era in precedenza previsto;
l’eliminazione della previgente disciplina dei termini
di deposito di memorie e documenti calcolati con decorrenza dall’ordinanza che
fissa l’udienza di merito;
la pubblicazione solo eventuale del dispositivo di
sentenza, se ed in quanto vi sia istanza, resa nell’udienza di discussione, di
almeno una delle parti;
il riassetto dei termini in appello:
trenta o sessanta giorni per l’appello su ordinanza
cautelare, senza dimezzamento;
trenta giorni dalla pubblicazione per l’impugnazione
del solo dispositivo;
trenta giorni dalla notifica o tre mesi dalla
pubblicazione per l’appello su sentenza o sulla motivazione dopo l’impugnazione
del dispositivo (termine ordinario dimezzato).
2. Breve
storia del rito abbreviato comune.
L’art. 119 c.p.a. può essere definito figlio del rito
abbreviato dell’art. 23-bis, l. Tar,
e nipote del rito immediato di cui all’art. 19, d.l. n. 67/1997 di cui a sua
volta l’art. 23-bis citato era
figlio.
L’art. 19, d.l. n. 67/1997 prevedeva un giudizio
immediato (in esito all’udienza cautelare) e non solo abbreviato, solo in
materia di opere pubbliche, connotato da un generalizzato dimezzamento dei
termini compreso quello di proposizione del ricorso.
A sua volta l’art. 23-bis, l. Tar[1],
innovava rispetto all’art. 19, d.l. n. 67/1997, sotto i seguenti profili:
- ambito applicativo più esteso, riferentesi non solo
ai pubblici appalti ma anche ad altre materie;
- termine ordinario, e non più dimezzato, per la
proposizione del ricorso di primo grado: secondo l’interpretazione che era
prevalsa in giurisprudenza in ordine al previgente art. 19, il dimezzamento dei
termini processuali riguardava anche quello per il ricorso introduttivo e
- giudizio <<abbreviato>>, con rinvio del
merito, nell’udienza cautelare, ad un’udienza a breve, mentre il precedente
rito contemplava un giudizio <<immediato>> in esito all’udienza
cautelare: il giudizio <<immediato>> dapprima previsto solo
nell’art. 19, d.l. n. 67/1997, con la l. n. 205/2000 è ammissibile in tutte le
materie, in caso di situazioni manifeste.
In prosieguo numerose leggi in modo alluvionale
avevano esteso il rito 23-bis a
svariate materie, ritenute connotate dall’urgenza.
L’art. 119 c.p.a. ricalca l’art. 23-bis, discostandosene a sua volta sotto
i seguenti profili:
razionalizzazione e riduzione delle materie;
chiarimento, secondo l’elaborazione giurisprudenziale,
che al dimezzamento dei termini si sottrae non solo il termine per il ricorso
introduttivo, ma anche quello per motivi aggiunti e ricorso incidentale;
pubblicazione del dispositivo solo eventuale.
In termini generali, si può osservare che sia nel rito
23-bis previgente che nell’attuale
art. 119 c.p.a., quelle per cui è stato previsto il nuovo rito sono tutte
materie connotate dall’urgenza a causa dei rilevanti interessi in gioco, di
carattere economico o politico[2].
3. La
specialità del rito.
Il rito si connota come speciale, rispetto a quello
ordinario, per la rapida scansione dei tempi processuali.
Viene infatti espressamente definito come “rito
abbreviato”.
In sintesi, e salvi i successivi analitici
approfondimenti nei paragrafi che seguono, va osservato che l’abbreviazione del
rito viene così articolata:
- dimezzamento dei termini processuali, salvo quello
per la proposizione del ricorso introduttivo, dei motivi aggiunti, del ricorso
incidentale e dell’appello cautelare;
- rapida definizione del merito nel caso in cui il
ricorso presenti profili di periculum
e di fumus;
- pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla
motivazione, se vi è istanza di parte in tal senso;
- dimezzamento dei termini anche per il deposito della
sentenza e per la proposizione dell’appello.
Da sottolineare che la generalizzata previsione di
termini dimezzati opera anche se in ipotesi la parte proponga un ricorso nelle
materie di cui all’art. 119 c.p.a. senza domandare la tutela cautelare.
Tale generalizzato dimezzamento dovrebbe pertanto
imprimere un’accelerazione al rito anche in difetto di domanda cautelare.
Peraltro, una vera accelerazione la si ha solo se, in
presenza di domanda cautelare, il giudice ritenga il ricorso assistito da periculum e fumus, e pertanto fissi un’udienza di merito a breve.
In tutti i casi in cui o non c’è domanda cautelare, o,
pur essendoci, in sede cautelare il giudice non ritenga il ricorso assistito da
periculum e fumus, rimangono fermi i termini dimezzati, ma non si ha
l’abbreviazione che dà il nome al rito.
4. Il campo
di applicazione del rito abbreviato quanto a tipo di giudice e fasi
processuali.
4.1. In generale.
In relazione al previgente rito di cui all’art. 23-bis, l. Tar, si erano poste una serie
di questioni esegetiche quanto all’ambito soggettivo del rito in relazione agli
organi giurisdizionali e quanto alle fasi del processo amministrativo che non si
svolgono davanti al giudice amministrativo.
Invero, posto che l’art. 23-bis, l. Tar, si riferiva ai giudizi che si svolgono davanti agli
<<organi di giustizia amministrativa>>, laddove l’anteriore art.
19, d.l. n. 67/1997 parlava di giudizi davanti al Tar e al Consiglio di Stato,
si discuteva se il rito potesse applicarsi nei seguenti casi:
- giudizi
amministrativi speciali;
- giudizi davanti
al giudice ordinario;
- ricorsi
amministrativi;
- giudizi
arbitrali;
- fasi e incidenti
del processo amministrativo che si svolgono davanti a giudici diversi dai Tar e
dal Consiglio di Stato[3].
Dall’esame
complessivo della norma, e dal rito in esso delineato, sembrava chiaro che la
stessa avesse inteso fare riferimento solo al processo innanzi a Tar e
Consiglio di Stato, con esclusione sia di altre giurisdizioni, sia delle fasi
(gradi e incidenti) del processo amministrativo che si svolgono davanti a
giudici diversi (Cassazione, Corte costituzionale).
Ora, l’inserimento
dell’art. 119 nel c.p.a., il cui ambito soggettivo è delineato dall’art. 4,
c.p.a., fuga ogni dubbio.
Deve escludersi non
solo che il rito speciale possa trovare applicazione a quelle fasi del processo
amministrativo (gradi e incidenti) che si svolgono davanti a giudici diversi da
Tar e Consiglio di Stato: p. es., regolamento di giurisdizione davanti alla
Corte di cassazione, ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio
di Stato, incidente di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale, ma
anche che possa applicarsi nei giudizi che vedono come parte la p.a. davanti al
giudice ordinario, al giudice arbitrale, nonché nei ricorsi amministrativi.
In sintesi,
disciplinando il c.p.a. solo il processo che si svolge davanti ai Tar e al
Consiglio di Stato, l’art. 119 si applica solo davanti a tali organi e, quanto
al Consiglio di Stato, solo innanzi alle sue sezioni giurisdizionali.
4.2. Il
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nelle materie di cui
all’art. 119 c.p.a.
Deve anche escludersi l’applicabilità di tale rito in
caso di ricorsi amministrativi, per identica ragione.
Per il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica si pone però la questione ulteriore dell’ammissibilità del ricorso
straordinario nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a.; ciò in quanto si
ritiene che il ricorso straordinario sia alternativo alla giurisdizione
amministrativa ordinaria, e dunque sarebbe inammissibile in caso di materie
rientranti in giurisdizioni speciali, o rientranti in riti speciali.
Tuttavia deve ritenersi che l’alternatività del ricorso
straordinario sussista con il processo innanzi a Tar e Consiglio di Stato,
ossia con la giurisdizione del giudice amministrativo, a prescindere dal tipo
di rito, ordinario o speciale, a meno che non vi sia un’espressa esclusione.
Per le procedure di affidamento di pubblici contratti
di lavori, servizi, e forniture il c.p.a. sancisce un’espressa esclusione del
rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (art. 120, co.
1, c.p.a.).
Se ne desume, per argomento a contrario, che nelle altre materie di cui all’art. 119 c.p.a., il
rimedio del ricorso straordinario è in astratto ammissibile.
Comunque, l’ammettere il ricorso straordinario nelle
materie oggetto di giudizio abbreviato, ha delicate implicazioni in ordine alla
scelta legislativa acceleratoria.
Invero, posto che il rito speciale non si applica in
caso di ricorso amministrativo ma solo in caso di ricorso straordinario, ne
consegue che per identiche materie, si ha o meno un’accelerazione del
contenzioso, a seconda che venga seguita la via giurisdizionale o quella
amministrativa.
Il legislatore avrebbe forse dovuto prevedere un rito
accelerato anche nel caso di ricorso straordinario nelle materie di cui
all’art. 119 c.p.a., ma sotto tale profilo mancava una delega legislativa per
intervenire anche sul rimedio del ricorso straordinario.
4.3. Momenti
di raccordo tra ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale.
Il c.p.a. non chiarisce se il rito speciale abbreviato
di cui all’art. 119 possa trovare applicazione ai momenti di raccordo tra
ricorsi amministrativi e ricorso giurisdizionale, e, in particolare, a:
- trasposizione del ricorso straordinario in sede
giurisdizionale;
- silenzio rifiuto sul ricorso gerarchico.
La questione era già discussa nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, e va risolta alla luce
dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale formatasi, in difetto di
soluzione espressa nel c.p.a.
Quanto alla trasposizione, il c.p.a. riproduce
invariato il meccanismo di trasposizione del ricorso straordinario in sede
giurisdizionale e i relativi termini (art. 10, co. 1, d.lgs. n. 1199/1971, che
resta in vigore, e art. 48, co. 1, c.p.a.).
In particolare, quanto al ricorso straordinario e alla
sua trasposizione, è sorta questione se il termine per la costituzione in
giudizio (c.d. trasposizione), dopo l’opposizione del controinteressato, pari a
sessanta giorni, sia o meno soggetto a dimezzamento, nel rito processuale abbreviato.
Per una tesi, si tratterebbe di un termine processuale
come tale soggetto a dimezzamento.
Sulla questione, prima del c.p.a., aveva fatto il
punto il Consiglio di Stato, ritenendo che nella c.d. trasposizione occorre
distinguere tre atti:
- istanza di trasposizione, proposta dal
controinteressato, vale a dire la c.d. opposizione;
- notifica dell’atto di trasposizione (da parte
dell’originario ricorrente in sede straordinaria);
- deposito in giudizio dell’atto di trasposizione.
Il primo atto è esterno al processo, come è confermato
dall’art. 48 c.p.a., che non se ne occupa, e dunque non è sottoposto a dimezzamento.
La notifica dell’atto di trasposizione andrebbe
equiparata alla <<notificazione del ricorso>>, menzionata nel
citato art. 119 c.p.a., ed espressamente sottratta al dimezzamento dei termini.
Il deposito in giudizio dell’atto di trasposizione
andrebbe invece equiparato al <<deposito del ricorso>> che, secondo
l’interpretazione data dalla giurisprudenza al previgente art. 23-bis, è soggetto a dimezzamento dei
termini[4].
Tale soluzione era da ritenere non condivisibile già
nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar,
e a maggior ragione alla luce del c.p.a.
Infatti tale pronuncia trascura di considerare che, in
base al dato testuale normativo (art. 10, d.lgs. n. 1199/1971 e art. 48, co. 1,
c.p.a.), entro sessanta giorni occorre sia depositare il ricorso al Tar, sia
dare avviso del deposito alle altre parti mediante notificazione. La pronuncia
appena citata da un lato afferma che non è dimezzato il termine per la
notifica, dall’altro lato considera dimezzato il termine per il deposito, ma
trascura di considerare che la norma prevede un termine unico per tali due
adempimenti, e che in realtà la norma non prevede la notifica del ricorso, ma
solo la notifica dell’avviso di deposito del ricorso, il che si spiega perché
si tratta del medesimo ricorso già notificato in sede straordinaria, e solo
trasposto (dunque riassunto), in sede giurisdizionale. Sicché, non si comprende
come possa, la parte che ha sessanta giorni per la notifica, avvalersi di tale
termine se entro trenta giorni deve depositare il ricorso: la soluzione del
Consiglio di Stato, a ben vedere, conduce al dimezzamento del termine sia per
la notifica che per il deposito dell’atto di trasposizione.
Una lettura fedele al dato testuale impone di ritenere
che il rapporto processuale si instaura, in questa peculiare procedura, con il
deposito del ricorso in sede giurisdizionale (e non con la sua notifica).
Ma l’art. 119 c.p.a., letto sistematicamente con
l’art. 48 c.p.a., sottrae al dimezzamento i termini di notificazione del
ricorso, non anche i termini di deposito.
Pertanto, sembrerebbe doversi concludere che nel rito
dell’art. 119 c.p.a., il termine di sessanta giorni per la trasposizione, di
cui all’art. 48 c.p.a., sia dimezzato a trenta giorni.
Giova ricordare che nel previgente art. 23-bis, si sottraeva al dimezzamento il
termine di “proposizione” del ricorso, e si discuteva se per proposizione si
intendesse solo la notificazione, o anche il deposito, e si era pervenuti alla
soluzione che la norma si riferisse alla sola notificazione.
Nell’art. 119 c.p.a., essendosi chiarito che si
sottrae al dimezzamento la notificazione e non anche il deposito del ricorso,
la soluzione dovrebbe essere nel senso del dimezzamento.
Giova in tal senso la considerazione che a suo tempo è
stato notificato il ricorso straordinario e che in sede di trasposizione non si
deve rinotificare il ricorso, ma solo depositarlo, e notificare avviso alle
altre parti di avvenuta costituzione.
Va poi osservato che l’art. 48 c.p.a. rispetto
all’art. 10, d.lgs. n. 1199/1971, specifica che il termine è perentorio.
E’ da ritenere che nell’unico termine perentorio vada
fatto il doppio adempimento del deposito dell’atto di costituzione in giudizio
e della notifica dell’avviso alle altre parti.
4.4. Il
tribunale superiore delle acque pubbliche.
Secondo l’elaborazione dottrinale formatasi prima del
c.p.a., il rito dell’art. 23-bis, l.
Tar era applicabile anche davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche,
nei casi in cui vi fosse giurisdizione di detto Tribunale, per esempio in
materia espropriativa, e questo perché l’art. 208, t.u. delle acque pubbliche
contiene una norma che espressamente rinvia alle disposizioni processuali
dettate per il processo amministrativo davanti ai Tar e il Consiglio di Stato.
Detto rinvio va inteso come <<mobile>>, e
dunque esteso alle innovazioni normative della disciplina cui è operato il
rinvio, ivi compreso l’art. 23-bis,
l. Tar.
Conferma indiretta di questa tesi si desume
dall’arresto delle sezioni unite secondo cui in virtù del citato art. 208 si
applica innanzi al T.S.A.P. l’art.
Tale tesi conserva validità dopo il c.p.a. per cui si
può affermare che ove nelle materie dell’art. 119 c.p.a. vi sia la
giurisdizione del T.S.A.P. può davanti ad esso applicarsi l’art. 119 citato.
4.5. Il
giudice ordinario: giudizi in materia di esecuzione degli appalti.
Il previgente art. 23-bis, l. Tar, contemplava alcuni tipi di controversie che sembravano
rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario, p. es. laddove menzionava
le controversie in materia di <<esecuzione>> degli appalti.
Il dubbio esegetico era già stato in passato risolto
nel senso che l’art. 23-bis era solo
norma sul rito, e che il rito poteva trovare applicazione nei limiti in cui vi
fosse la giurisdizione del g.a., e dunque normalmente con esclusione della fase
di esecuzione dell’appalto.
Il dubbio esegetico non ha più ragion d’essere perché
sia l’art. 119, co. 1, che l’art. 120, co. 1, c.p.a., non menzionano più la
fase di esecuzione del contratto.
5. L’ambito oggettivo del rito speciale:
giudizi impugnatori e non impugnatori.
5.1. I
<<provvedimenti>>: gli atti autoritativi, gli atti privatistici,
i comportamenti.
Prima di passare
all’esame delle singole materie in cui si applica il rito speciale, va
considerato che in nove delle undici ipotesi contemplate dall’art. 119 c.p.a.
(con esclusione delle lett. i) ed l), si parla di
<<provvedimenti>>.
Tale espressione
pone svariati dubbi esegetici.
In senso stretto, i
provvedimenti sono solo gli atti autoritativi, e non anche gli atti negoziali e
i comportamenti.
Tuttavia in
dottrina[5]
si è proposto di interpretare il dato letterale in senso estensivo, inclusivo
di tutti gli atti, anche privatistici, e comportamenti, nelle materie indicate,
per i quali vi è giurisdizione del giudice amministrativo, sì da far coincidere
ambito della giurisdizione (come delineata dall’art. 133 c.p.a.) e ambito del
rito.
5.2. I provvedimenti di secondo grado.
L’espressione
<<provvedimenti>> si riferisce, secondo l’interpretazione fornita
dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato[6]
in relazione al previgente art. 19, d.l. n. 67/1997, ritenuta estensibile anche
all’art. 23-bis, l. Tar[7],
e che conserva attualità nel vigore del c.p.a., anche ai provvedimenti di
secondo grado e, in particolare, agli atti di autotutela, quale l’annullamento
d’ufficio dell’aggiudicazione di un appalto.
Più in
generale, il rito speciale si estende anche agli atti di annullamento, ritiro o revoca di provvedimenti espressamente
individuati dall’art. 119 c.p.a.[8].
5.3. Gli atti diversi da quelli
specificamente indicati.
L’art. 119 c.p.a.,
come già il previgente art. 23-bis,
l. Tar, fa riferimento, in talune ipotesi (lett. a), c), f), l) non solo ai
<<provvedimenti>> in senso stretto, bensì ai <<provvedimenti
relativi alle procedure>>.
Ciò implica che il
nuovo rito riguarda non solo i provvedimenti finali, ma anche quelli
endoprocedimentali, se immediatamente e autonomamente lesivi e, come tali,
suscettibili di immediata e autonoma impugnazione.
Rimane però dubbio
se il rito abbreviato comune si applichi o meno ad atti di procedimenti connessi,
ma distinti, da quelli che sfociano nei provvedimenti contemplati espressamente:
p. es., atti di vincolo, atti di programmazione, di finanziamento, atti di
conferenze di servizi, e agli atti consensuali, quali accordi di programma, e accordi
sostitutivi di provvedimenti.
Il c.p.a. sembra
fornire uno spunto a favore della non estensibilità, per connessione, del rito
abbreviato a procedimenti e provvedimenti connessi con quelli oggetto del rito
abbreviato.
Da un lato,
infatti, l’attrazione per connessione è affermata espressamente solo nell’art.
120, co. 1, c.p.a., per estendere le norme di rito speciali per il contenzioso
sui pubblici appalti ai “connessi provvedimenti” dell’Autorità di vigilanza,
ossia provvedimenti che fanno parte di diverse sequenze procedimentali,
ancorché connesse, e che sono in generale e in astratto soggetti al solo rito
dell’art. 119 e non anche alle ulteriori disposizioni dell’art.
Dall’altro lato,
c’è una regola generale in senso radicalmente opposto nell’art. 32, c.p.a.,
relativo al cumulo di domande connesse. Si afferma infatti che se nello stesso
giudizio si propongono diverse azioni, soggette a riti diversi, si applica il
rito ordinario a tutte le azioni, salvo quanto previsto dagli artt. 119 e 120
c.p.a., ossia salva l’eccezione appena commentata, e che riguarda solo il rito
in materia di appalti e non anche il rito abbreviato in altre materie.
La regola dettata
dall’art. 32 c.p.a. sembra implicare pertanto il superamento della tesi
dottrinale formatasi prima del codice[9],
che proponeva l’estensione del rito abbreviato anche agli atti connessi,
osservando che diversamente opinando potrebbero anche prospettarsi dubbi sulla
legittimità costituzionale della normativa, nella parte in cui esclude
irragionevolmente dal suo ambito applicativo determinate controversie sostanzialmente
analoghe a quelle espressamente contemplate dal legislatore, vanificando
l’esigenza di uniforme e rapida definizione delle liti suscettibili di ostacolare
la pronta attuazione delle opere pubbliche, nonché di quella giurisprudenza che
aveva ritenuto l’art. 23-bis, l. Tar
applicabile in tutti i casi in cui
viene impugnato un provvedimento rientrante tra quelli ivi contemplati, anche
se unitamente ad atti di diversa natura[10],
e sembra invece dare ragione a quella giurisprudenza che escludeva la
possibilità di estendere il rito speciale a provvedimenti diversi da quelli
espressamente contemplati, quali, ad esempio, gli atti di pianificazione[11].
5.4. I giudizi non impugnatori. In
particolare il giudizio risarcitorio.
L’espressione
<<provvedimenti>> fa pensare ai soli giudizi impugnatori.
Si pone la
questione se il rito abbreviato possa estendersi a giudizi non impugnatori
aventi carattere accessorio rispetto a quello principale, quale, ad esempio, il
giudizio risarcitorio in materia di opere pubbliche, o l’azione avverso il
silenzio.
Tale questione
si era già posta nel vigore dell’art. 23-bis,
l. Tar, era stata rimessa all’esame
dell’adunanza plenaria[12],
che aveva risolto la questione nel senso che l’art. 23-bis, l. Tar, non si applica ai giudizi
risarcitori autonomi[13].
Si dava per
scontato che il rito dell’art. 23-bis,
l. Tar, si applicasse in caso di domanda risarcitoria proposta congiuntamente
alla domanda di annullamento di un provvedimento rientrante nelle materie di
cui all’art. 23-bis, l. Tar.
Tale differenziata
soluzione, nel senso dell’estensione del rito abbreviato alle domande
risarcitorie proposte congiuntamente alle domande impugnatorie, e della non
estensione alle domande risarcitorie autonome, va riesaminata alla luce del
nuovo c.p.a. per verificarne la perdurante attualità.
Invero, l’art. 23-bis, l. Tar, ancorava il rito speciale
ai “giudizi” aventi ad oggetto “i provvedimenti”, e dunque sembrava far
riferimento ai soli giudizi impugnatori, l’art. 119 c.p.a. si riferisce “alle
controversie relative a” “i provvedimenti”. Pertanto, il riferimento sembra
essere a qualunque controversia relativa a “ i provvedimenti” e dunque non solo
le azioni impugnatorie, ma anche le azioni risarcitorie relative a
provvedimenti, sia proposte congiuntamente, sia proposte autonomamente.
Di ciò si trae
indiretta conferma dalla circostanza che la lett. l) dell’art. 119 co. 1 c.p.a.
fa riferimento alle “controversie comunque attinenti” alla materia ivi
prevista.
Si può ritenere che
il rito abbreviato si applica senz’altro se la domanda di risarcimento del
danno da provvedimento è proposta congiuntamente alla domanda di annullamento
del provvedimento medesimo, secondo l’insegnamento della giurisprudenza
anteriore al c.p.a., e segnatamente della plenaria; in tal senso si trae spunto
dall’art. 32 co. 1 c.p.a. che in tema di connessione tra domande soggette a
riti diversi fa prevalere il rito ordinario, salvo il caso di rito abbreviato,
in cui è da ritenere prevalente il rito abbreviato.
Più dubbia è la
soluzione da dare al caso della domanda risarcitoria autonoma, in quanto la
pronuncia della plenaria riguardava un caso di domanda risarcitoria successiva
all’intervenuto annullamento dell’atto, sicché non vi erano ragioni di urgenza
che giustificassero l’utilizzo del rito abbreviato. Sembrerebbe diversa
l’ipotesi della domanda risarcitoria autonoma proposta entro centoventi giorni,
consentita dal c.p.a. (art. 30, co. 3).
Sembra peraltro
corretto ritenere che il rito abbreviato, ancorato come è alla tutela cautelare
in relazione al provvedimento impugnato, non si applichi in caso di azione
risarcitoria autonoma, ancorché proposta a breve distanza temporale
dall’adozione dell’atto amministrativo, perché la controversia ha carattere
patrimoniale e non si pone un problema di sospensione del provvedimento, che
non forma oggetto di impugnazione principale.
Giova ricordare,
quanto all’elaborazione formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, in relazione all’estensibilità o meno del rito
abbreviato comune alle domande non impugnatorie, che secondo un’opinione
dottrinale[14], il
rito abbreviato si applicherebbe sia ai giudizi impugnatori, sia a quelli non
impugnatori accessori o comunque connessi, per es. il giudizio risarcitorio,
quello di ottemperanza, quello per regolamento di competenza.
Il che comporta che
anche per tali giudizi e fasi opera il dimezzamento dei termini processuali,
salvo quello per la proposizione del ricorso introduttivo e, con l’art. 119
c.p.a., salvi i termini per motivi aggiunti e ricorso incidentale.
Inoltre, in
senso favorevole all’applicazione del rito abbreviato anche al giudizio
risarcitorio era orientata la giurisprudenza del Consiglio di giustizia
amministrativa siciliana[15]
secondo cui la dimidiazione dei termini processuali ex art. 23-bis, l. Tar, trova applicazione anche nei giudizi risarcitori;
ciò in quanto il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre il
risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova
"materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di
tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio, da utilizzare per
rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
Secondo un diverso indirizzo il citato art. 23-bis, l. Tar (con la dimidiazione dei
termini processuali) non trovava applicazione ai giudizi risarcitori, atteso
che la norma si riferirebbe solo alle
controversie tassativamente elencate[16].
Del resto rispetto ai giudizi risarcitori neppure ricorrerebbe la ratio
per la quale il legislatore ha ritenuto di favorire, in deroga ai termini
processuali ordinari, una più rapida tutela degli interessi pubblici.
6. Le
singole materie oggetto del rito abbreviato comune.
6.1. Gli
atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture.
In tema di campo di applicazione del rito abbreviato
comune non vi sono significative innovazioni rispetto al passato.
Come in precedenza, esso si applica anzitutto ai
provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi e forniture (art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a.).
La formulazione attuale è molto più sintetica rispetto
a quella del previgente art. 23-bis,
lett. a), b) e c), l. Tar, e differisce parzialmente da quella recata nell’art.
120, co. 1, c.p.a. e nel previgente art. 245, codice appalti di cui al d.lgs.
n. 163/2006.
Si deve però subito osservare che, al di là delle
diverse sfumature espressive succedutesi (art. 23-bis, l. Tar, art. 245, codice appalti, artt. 119 e 120, c.p.a.),
la portata sostanziale delle norme sia rimasta immutata.
E, invero, l’art. 23-bis, l. Tar, enunciava in diverse lettere le procedure di “aggiudicazione,
affidamento ed esecuzione” degli incarichi di progettazione, dei lavori
pubblici e di pubblica utilità, e delle pubbliche forniture e servizi,
includendo espressamente l’impugnazione di bandi e esclusioni e le connesse espropriazioni
immobiliari.
A sua volta l’art. 245, codice appalti, come novellato
dal d.lgs. n. 53/2010, che aveva altresì abrogato l’art. 23-bis, lett. a), b) e c), l. Tar, usava una formula sintetica, ma
non tanto sintetica quanto quella ora utilizzata dagli artt. 119 e 120 c.p.a.,
in quanto si riferiva a “gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese
le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di
attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o
forniture, di cui all’articolo
Ora, l’art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a. parla di
“provvedimenti” (e non di atti) delle procedure di affidamento di lavori,
servizi e forniture pubblici, senza ulteriori specificazioni.
A sua volta l’art. 120, co. 1, c.p.a., parla di “atti”
e non di “provvedimenti” delle procedure di affidamento, includendovi
espressamente le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di
progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a
lavori, servizi o forniture”, senza più richiamare la norma sulla giurisdizione
(già art. 244, codice appalti, ora art. 133, co. 1, lett. e), c.p.a.).
Dunque, in virtù di passaggi successivi, si sono
smarriti:
a) il riferimento espresso a bandi ed esclusioni, tra
i provvedimenti delle procedure di affidamento;
b) il riferimento alle connesse espropriazioni
immobiliari;
c) il riferimento alla fase di esecuzione degli
appalti;
d) il riferimento alle procedure di affidamento
ricadenti nella giurisdizione del giudice amministrativo;
e) l’autonomia del riferimento alle procedure di
affidamento a incarichi di progettazione, a prescindere dalla connessione con
pubblici lavori, servizi e forniture.
Il primo smarrimento è irrilevante, in quanto il
riferimento a “provvedimenti” (nell’art. 119) ovvero “atti” (nell’art. 120)
delle procedure di affidamento, implica, anche alla luce dell’elaborazione
giurisprudenziale, che il rito speciale abbreviato riguarda tutti gli atti
delle procedure di affidamento che abbiano autonoma portata lesiva, ivi
compresi, dunque, bandi ed esclusioni.
Il secondo smarrimento è in realtà una ricollocazione
della norma, in quanto la lett. f) dell’art. 119 fa onnicomprensivamente
riferimento alle espropriazioni di immobili finalizzate alla realizzazione di opere
pubbliche o di pubblica utilità.
La terza omissione è significativa e ha conseguenze
pratiche rilevanti, anche se l’intento è stato probabilmente solo quello di
fugare dubbi esegetici sollevati dalla norma precedente, la quale poteva far
pensare che il giudice amministrativo si potesse occupare anche di contenzioso
relativo alla fase di esecuzione degli appalti, tradizionalmente affidato al
giudice ordinario.
Già nell’esegesi dell’art. 23-bis, l. Tar, si era osservato che esso non era attributivo di giurisdizione
al g.a., ma si limitava a contemplare un rito speciale, se ed in quanto vi
fosse giurisdizione del g.a., vuoi nella fase di affidamento, vuoi nella fase
di esecuzione dell’appalto.
Pertanto, nei limitati casi in cui il g.a. avesse
giurisdizione nella fase di esecuzione dell’appalto (es. alcuni contenziosi in
tema di revisione prezzi), si riteneva che dovesse trovare applicazione il rito
abbreviato dell’art. 23-bis, l. Tar.
Ora, la scomparsa di tale previsione, da un lato rende
chiaro che l’art. 119 è solo norma sul rito, e non anche norma attributiva di
giurisdizione, ma dall’altro lato ha per conseguenza che anche nei limitati
casi in cui il g.a. abbia giurisdizione sulla fase di esecuzione degli appalti,
il rito dovrà essere quello ordinario, e non quello abbreviato, riservato solo
alla fase della procedura di affidamento.
Si pensi alla giurisdizione esclusiva del g.a. sul
contenzioso in materia di revisione dei prezzi dei pubblici appalti (già art.
244, codice appalti, e ora art. 133, c.p.a.).
La quarta omissione è solo apparente. Invero, essendo
l’art. 119 norma sul rito, è implicito che il rito trova applicazione solo se
ed in quanto, a monte, vi sia la giurisdizione del g.a., e dunque nell’ambito e
nei limiti della giurisdizione del g.a. sulle procedure di affidamento di
pubblici lavori, servizi e forniture.
Pertanto, l’art. 119, co. 1, e l’art. 120, co. 1,
c.p.a., vanno letti in “combinato disposto” con l’art. 133, co. 1, lett. e),
c.p.a.
In definitiva conserva validità tutta la precedente elaborazione
dottrinale e giurisprudenziale formatasi sull’art. 23-bis, lett. a), b) e c), l. Tar, perché nella sostanza la
formulazione dell’art. 119, co. 1, e dell’art. 120, co. 1, c.p.a., vi
corrispondono, salvo che per quanto attiene alla circostanza che il rito
dell’art. 23-bis, l. Tar poteva
applicarsi anche al contenzioso in fase di esecuzione dei contratti, se vi
fosse la giurisdizione del g.a., mentre il rito dell’art. 119 non si può
applicare a tale contenzioso.
Resta che l’art. 119 co. 1 e l’art. 120, co. 1, hanno
una formulazione parzialmente differente laddove il primo si riferisce ai
“provvedimenti” e il secondo agli “atti”, ma anche in tal caso si deve ritenere
che i due termini siano equivalenti, riferendosi sempre ad atti aventi
rilevanza esterna e portata immediatamente e autonomamente lesiva.
6.2. Gli
atti delle Autorità amministrative indipendenti.
6.2.1. In
generale.
La lett. b) dell’art. 119 c.p.a. ricalca la lett. d)
del previgente art. 23-bis, l. Tar (i
provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti), con
l’aggiunta che il rito speciale non riguarda i provvedimenti inerenti il
rapporto di servizio del personale dipendente.
Inoltre in tale norma vengono trasfuse le previsioni
degli artt. 10, co. 10 e 11-quinquies,
l. n. 28/2000; 9, d.lgs. n. 259/2003; 24, co.
Nel caso di atti dell’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, se impugnati in connessione con atti delle procedure di
affidamento, si applicano anche le disposizioni processuali dell’art. 120
c.p.a., viceversa se impugnati autonomamente si applicano solo le disposizioni
processuali dell’art. 119 c.p.a.
Giova, sul piano
della storia degli istituti, ricordare che il rito abbreviato in relazione agli
atti delle Autorità indipendenti è stato introdotto dalla l. n. 205/2000, e che
in parte qua tale disposizione
processuale era stata preceduta da un vivace dibattito politico sui poteri
delle Autorità indipendenti, sulla necessità di garantirne l’indipendenza anche
nei confronti del potere giurisdizionale, e sui possibili limiti al sindacato
giurisdizionale sugli atti delle stesse.
Si era perciò
ventilata la possibilità di un giudizio in unico grado, e dell’esclusione o
limitazione del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti delle Autorità.
Ma siffatte
proposte non hanno avuto seguito nel testo definitivo della l. n. 205/2000,
sicché il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sugli atti delle
Autorità indipendenti è quello ordinario di legittimità, in duplice grado, e
esteso a tutti i vizi di legittimità degli atti amministrativi (incompetenza,
eccesso di potere, violazione di legge).
Unica novità è la
previsione del rito abbreviato.
Il precedente
storico immediato della l. n. 205/2000 in
parte qua era il rito speciale di cui alla l. n. 249/1997, previsto avverso
gli atti dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, identico, nella
struttura, a quello di cui all’art. 19, d.l. n. 67/1997, e abrogato dalla l. n.
205/2000, perché sostituito dal rito di cui all’art. 23-bis, l. Tar.
6.2.2. L’ambito
soggettivo: le Autorità indipendenti.
La norma prevede il
rito speciale per i provvedimenti delle Autorità indipendenti.
Gli elementi
qualificanti delle Autorità indipendenti sono:
l’indipendenza
sostanziale dal Governo;
l’autonomia
organizzativa, finanziaria e contabile;
la mancanza di
controlli;
la non soggezione
alle direttive o all’indirizzo del potere esecutivo;
le garanzie di
autonomia dei componenti;
il collegamento con
le funzioni dello Stato – comunità e non dello Stato – apparato.
Manca una legge
generale sulle Autorità amministrative indipendenti, che ne individui le
caratteristiche essenziali e ne fornisca un elenco.
Sicché resta
controverso il confine e l’ambito della categoria.
Né il nodo è
sciolto, e non poteva esserlo, dal c.p.a.
E’ vero che l’art.
133, co. 1, lett. l), c.p.a. prevede la giurisdizione esclusiva del g.a. sugli
atti di talune Autorità, molte delle quali ritenute Autorità indipendenti, ma
la disposizione ha l’accortezza di non fornire la qualificazione delle Autorità
che elenca come indipendenti.
Sicché, non
costituisce un supporto per chiarire l’ambito dell’art. 119, co. 1, lett. b),
c.p.a.
Secondo
l’elaborazione e il quadro normativo, sono da ascrivere al novero delle
Autorità indipendenti:
l’ISVAP;
l'Autorità garante
della concorrenza del mercato, prevista dalla l. n. 287/1990;
l'Autorità di vigilanza
sui lavori pubblici, istituita dalla l. 11 febbraio 1994 n. 109 (c.d. legge
Merloni) e attualmente regolata dal codice n. 163/2006, che la ha ridenominata
Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture;
l’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni: per quest’ultima era anche previsto un rito
speciale in caso di provvedimenti dell’Autorità in materia di parità di accesso
ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali; secondo un’opinione,
tale rito restava in vita pure dopo l’entrata in vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, perché speciale e più
accelerato[17], ma
esso è stato abrogato dal c.p.a.;
l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas;
l’Autorità per i
servizi di pubblica utilità, prevista dalla l. n. 481/1995;
il Garante per la
protezione dei dati personali, salvo a verificare se la giurisdizione sui
relativi atti spetti solo al giudice ordinario o, talora, anche al giudice amministrativo;
In taluni casi è
dubbio se si tratti o meno di Autorità indipendenti; così, in particolare, per:
il Centro nazionale
per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA);
i difensori civici,
regionali e di enti locali;
l’Autorità per la
vigilanza sulle ONLUS (art. 3, co.
Si deve escludere
la natura di Autorità indipendente per:
-
- il Consiglio di
Stato e
- le cosiddette
agenzie che stanno proliferando e che sono state valorizzate dai decreti di
riforma dell'amministrazione dello Stato, quali strutture di carattere tecnico
– operativo: a titolo di esempio, l’A.R.A.N. (agenzia per la rappresentanza
negoziale delle amministrazioni nella contrattazione collettiva), l’A.N.P.A. (agenzia
nazionale per la protezione dell’ambiente); l’agenzia per la gestione dell’albo
dei segretari comunali;
- l’organismo di
regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie ex d.lgs. n.
188/2003.
6.2.3. L’ambito
oggettivo: i provvedimenti.
Nell’art. 119, co.
1, lett. b), c.p.a., a differenza che in altre lettere del medesimo articolo,
non si parla di provvedimenti relativi a procedure, ma solo di provvedimenti.
E’ da ritenere,
però, che ogni qualvolta vi siano atti intermedi del procedimento
immediatamente impugnabili, gli stessi sono soggetti al rito speciale.
Nel vigore
dell’art. 23-bis, l. Tar, si riteneva
che i provvedimenti delle Autorità indipendenti oggetto del rito speciale non fossero
solamente quelli tipici della funzione dell'Autorità - per esempio il
provvedimento sanzionatorio in materia di tutela della concorrenza e del
mercato -, ma anche i provvedimenti organizzativi interni, per esempio gli atti
con cui l'Autorità provvede alla gestione del proprio personale.
Il c.p.a. fa
giustizia di tale tesi che ampliava a dismisura e senza ragione l’ambito del
rito speciale, escludendo espressamente da esso i provvedimenti relativi al
rapporto di servizio con i dipendenti.
Già prima del
c.p.a. una parte della giurisprudenza aveva escluso che il rito speciale
riguardasse i provvedimenti adottati da un’autorità indipendente in relazione
al rapporto di impiego dei propri dipendenti[18].
6.2.4. Rapporto tra rito speciale e
giurisdizione sulle Autorità amministrative indipendenti.
L’art. 119, co. 1,
lett. b), c.p.a. è norma sul rito e non sulla giurisdizione, quindi va
coordinata con:
- le norme in tema
di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario sui
provvedimenti delle Autorità indipendenti;
- le norme che
attribuiscono la competenza al Tar Lazio sugli atti di talune Autorità indipendenti.
L’art. 119, lett.
b), c.p.a. va inteso nel senso che il rito abbreviato si applica ai
provvedimenti delle Autorità indipendenti se ed in quanto il g.a. abbia
giurisdizione su di essi, sia che si tratti di giurisdizione esclusiva, sia che
si tratti di giurisdizione di legittimità.
Va pertanto anzitutto
raccordato con l’art. 133, co. 1, lett. l), c.p.a. che attribuisce alla
giurisdizione esclusiva del g.a. i provvedimenti di alcune Autorità
espressamente menzionate, e include tra esse anche
In particolare,
l’art. 133 c.p.a. attrae alla giurisdizione esclusiva gli atti delle seguenti
Autorità:
1) Banca d’Italia;
2) Consob;
3) Autorità garante
della concorrenza del mercato;
4) Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni;
5) Autorità per
l’energia elettrica e il gas;
6) Autorità per i
servizi di pubblica utilità, previste dalla l. n. 481/1995;
7) Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
8) Commissione di
vigilanza sui fondi pensione (COVIP);
9) Commissione per
la valutazione, la trasparenza e l’integrità della pubblica amministrazione;
10) ISVAP.
Giova osservare che
l’art.
Inoltre l’art. 133
da un lato non è esaustivo di tutte le Autorità amministrative indipendenti
(non vi include, ad es.,
Ne deriva che non
vi è affatto coincidenza e parallelismo tra l’art. 119, lett. b) e l’art. 133
lett. l).
Infatti non si può
con certezza affermare che il rito abbreviato si applica agli atti delle Autorità
elencate nell’art. 133, lett. l).
Invero, come detto
l’art. 133, lett. l), non qualifica le Autorità in esso elencate come Autorità
indipendenti, sicché non è un riferimento sufficiente per capire l’ambito
dell’art. 119, lett. b).
Vi è una duplice discordanza
tra le due disposizioni: da un lato l’art. 133 comprende
Dall’altro lato,
l’art. 133 non abbraccia altre Autorità, che potrebbero essere qualificate come
indipendenti, con la conseguenza che sui loro atti, ove autoritativi, vi
sarebbe la giurisdizione ordinaria di legittimità, e non esclusiva, del g.a., e
altresì il rito abbreviato.
Si deve concludere,
allo stato delle norme, che il rito abbreviato dell’art. 119 lett. b) riguarda
anche Autorità indipendenti non comprese nell’art. 133, ove sui loro atti il
g.a. abbia una giurisdizione di legittimità, e per converso non riguarda quelle
Autorità che, pur elencate nell’art. 133, lett. l), non sono Autorità indipendenti.
Per quanto
riguarda, in particolare, i provvedimenti dell’Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, giova ricordare che l’art. 244 codice appalti prevedeva la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo in relazione ai
<<provvedimenti sanzionatori>> (art. 244, co. 2, del codice, e in
precedenza art. 4, legge Merloni), con la conseguenza che per quanto riguardava
gli atti regolamentari adottati dall’Autorità, gli atti organizzativi, gli atti
di gestione del proprio personale, non trovava applicazione la giurisdizione
esclusiva, ma si applicavano gli ordinari criteri di riparto di giurisdizione.
Il c.p.a. innova
anche sotto tale profilo, perché attrae alla giurisdizione esclusiva del g.a.
tutti i provvedimenti delle Autorità indipendenti, ivi compresa quella di
vigilanza sui contratti pubblici, ed escluse solo le controversie relative a
rapporti di impiego privatizzati (art. 133, co. 1, lett. l, c.p.a.).
Va sottolineato che
laddove il rapporto di impiego con l’Autorità indipendente non è privatizzato,
ricade nella giurisdizione esclusiva del g.a. (come si evince, oltre che dalla
lett. l), anche dalla lett. i) dell’art. 133, co. 1, c.p.a.).
Tale rapporto di
impiego non privatizzato, tuttavia, pur ricadendo nella giurisdizione esclusiva
del g.a., non ricade nel rito speciale dell’art. 119 c.p.a. ma ad esso si
applica il rito ordinario.
Perciò non vi è
perfetto parallelismo tra ambito della giurisdizione e ambito del rito
abbreviato in tema di atti delle Autorità indipendenti.
Si delineano almeno
sei regimi diversi per gli atti delle autorità indipendenti:
a) atti inerenti il
rapporto di impiego privatizzato: giurisdizione del g.o.
b) atti inerenti il
rapporto di impiego non privatizzato: giurisdizione esclusiva del g.a., rito
ordinario;
c) altri provvedimenti
delle autorità elencate nell’art. 133, lett. l), giurisdizione esclusiva del
g.a., rito abbreviato ex art. 119 c.p.a.;
d) provvedimenti
dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici impugnati in connessione con
atti delle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture:
giurisdizione esclusiva del g.a. rito abbreviato ex art. 120 c.p.a.;
e) altri
provvedimenti autoritativi di autorità indipendenti non elencate nell’art. 133,
lett. l), giurisdizione di legittimità del g.o. e rito abbreviato ex art. 120
c.p.a.;
f) altri
provvedimenti autoritativi di autorità indipendenti non elencate nell’art. 133,
lett. l) e sottoposti alla giurisdizione del g.o.
6.2.5. La speciale regola in tema di c.t.u. in
caso di provvedimenti sanzionatori di talune Autorità indipendenti.
L’art.
Le previsioni sono
state abrogate dal c.p.a.
Per tali
provvedimenti rimane la giurisdizione esclusiva del g.a. (art. 133, co. 1,
lett. l), mentre quanto al rito abbreviato, esso riguarda le Autorità
indipendenti, sicuramente Antitrust, Isvap e Consob, più dubbio per Banca d’Italia
e Covip.
Scompare, senza
riproduzione nel c.p.a., la regola peculiare in tema di incompatibilità per i
c.t.u.
6.2.6. La tacita
abrogazione di altri riti speciali su provvedimenti di autorità indipendenti.
Già nel vigore dell’art 23-bis,
l. Tar, si doveva ritenere che la previsione di carattere generale che estendeva
il rito speciale a tutti i provvedimenti delle Autorità indipendenti, avesse
comportato la tacita abrogazione di altri riti speciali dettati per specifici
provvedimenti di specifiche Autorità indipendenti. Si doveva perciò già
ritenere tacitamente abrogato il rito speciale di cui all’art. 10, co.
Ora il c.p.a. lo abroga espressamente (art. 4, n. 22, dell’allegato 4 al
d.lgs. n. 104/2010).
6.3. Le
privatizzazioni e le dismissioni.
La lett. c) dell’art. 119 c.p.a., riproduttivo
dell’art. 23-bis, lett. e), l. Tar,
contempla “i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di
dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla
costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da
parte degli enti locali”.
Per il significato
delle espressioni provvedimenti e procedure si rinvia a quanto già esposto nei
paragrafi che precedono.
Schematicamente, la
norma si riferisce ai seguenti atti e procedimenti:
privatizzazione di
imprese pubbliche;
dismissione di
imprese pubbliche;
privatizzazione di
beni pubblici;
dismissione di beni
pubblici;
costituzione,
modificazione, estinzione di aziende, società, istituzioni, da parte degli enti
locali (v. d.lgs. n. 267/1990).
L’espressione
<<privatizzazione>> si riferisce alla trasformazione del regime,
dal diritto pubblico al diritto privato: p. es. trasformazione di impresa
pubblica in società per azioni; sdemanializzazione di bene pubblico.
L’espressione
<<dismissione>> si riferisce invece alla vendita dell’impresa o del
bene pubblico, con cambiamento della titolarità dello stesso.
La giurisprudenza
formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, di perdurante attualità, ha ritenuto
applicabile il rito speciale in materia di dismissione di beni pubblici, sia
con riferimento ai programmi generali di dismissione, sia con riferimento agli
atti attuativi di tali programmi[19],
sia con riferimento al caso in cui la vendita di beni pubblici avvenga con gara
o comunque previo confronto concorrenziale[20].
Testualmente, la
norma si riferisce solo alla privatizzazione di imprese pubbliche, e sembrerebbe
non riguardare il caso di privatizzazione di un ente pubblico che non abbia già
veste di impresa.
Ma sembra corretta
una lettura estensiva della norma, in base alla quale la privatizzazione ivi
prevista si riferisce pure al caso di trasformazione in impresa privata di un
ente pubblico non imprenditoriale.
Più in generale,
l’espressione privatizzazione va intesa in senso ampio, comprensivo sia della
privatizzazione puramente formale (mera trasformazione del regime giuridico, da
pubblico a privato, immutata rimanendo la titolarità pubblica dell’impresa),
sia di quella sostanziale (mediante ingresso di privati, in tutto o in parte,
nella titolarità dell’impresa).
Quanto alla
<<dismissione>> di beni e imprese, secondo un’opinione la norma si
riferisce solo alla procedura pubblicistica, ma non anche al momento
privatistico della vendita, quest’ultima rimanendo attratta alla giurisdizione
del giudice ordinario, perché la norma in commento disciplina solo il rito, ma
non è attributiva di giurisdizione.
Quanto
all’applicazione del rito ai casi di trasformazione, costituzione, soppressione
di aziende, società, istituzioni, nella parte in cui la norma si riferisce alle
società di gestione di servizi pubblici locali, la previsione va interpretata
in senso ampio, comprensiva di tutti i provvedimenti di organizzazione dei
servizi pubblici mediante società, aziende, istituzioni: dunque sia i servizi
pubblici locali, sia i servizi pubblici non locali, sia la gestione diretta di
servizi pubblici.
6.4. I provvedimenti di nomina previa
delibera del Consiglio dei Ministri.
L’art. 119, co. 1,
lett. d), c.p.a. è riproduttivo della lett. f) dell’art. 23-bis, l. Tar, e contempla i provvedimenti
di nomina adottati previa delibera del Consiglio dei Ministri, senza però più fare
riferimento alle nomine ai sensi della l. 23 agosto 1988 n. 400.
Nel vigore
dell’art. 23-bis erano contemplati
solo gli atti di nomina che:
richiedessero la previa
delibera del Consiglio dei Ministri;
fossero contemplati
dalla l. n. 400/1988 quali atti richiedenti la previa delibera del Consiglio
dei Ministri[21]: in
particolare, l’art. 3, co.
Ora è sufficiente
che la nomina avvenga previa delibera del Consiglio dei ministri, a prescindere
dalla fonte normativa che tale potere di nomina preveda.
La norma si
riferisce ai soli provvedimenti di nomina, e non, più in generale, ai
provvedimenti relativi a procedure di nomina.
Si deve però
ritenere che il rito si estenda anche all’impugnazione degli atti preparatori,
connessi e di secondo grado, quali atti di modifica, integrazione, revoca,
annullamento della nomina.
6.5. I provvedimenti di scioglimento
degli enti locali e quelli connessi.
L’art. 119, co. 1,
lett. e), c.p.a. è riproduttivo della lett. g) dell’art. 23-bis, l. Tar,
e riguarda i provvedimenti di scioglimento degli enti locali e quelli connessi
concernenti la formazione e il funzionamento degli organi.
La previsione non
riguarda i provvedimenti di scioglimento di organi regionali.
La norma in
commento si riferisce ai provvedimenti finali, e non anche ai relativi
procedimenti, ma è da ritenere consentita un’interpretazione che estende il
rito abbreviato agli atti intermedi del procedimento di scioglimento, che siano
autonomamente lesivi, nonché agli atti di secondo grado (modifica, revoca,
annullamento).
Per espresso
dettato normativo, il rito speciale si applica agli atti connessi a quelli di
scioglimento, quali nomine degli organi straordinari che sostituiscono
interinalmente quelli disciolti.
Non si applica
invece a provvedimenti di nomina degli organi che non siano connessi a
precedenti provvedimenti di scioglimento, come nel caso di nomina di difensore
civico[22].
Da segnalare che
per i provvedimenti di scioglimento in commento il c.p.a. ha ex novo previsto la competenza del Tar
Lazio – Roma (art. 135, co. 1, lett. q), c.p.a.).
6.6. Le
espropriazioni di immobili e di invenzioni.
L’art. 119, co. 1, lett. f) contempla “i provvedimenti
relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate
all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di
espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà
industriale”.
Quanto alle espropriazioni immobiliari, la previsione
è riproduttiva dell’art. 23-bis,
lett. b), l. Tar e dell’art. 53, t.u. n. 327/2001 (testo unico delle
espropriazioni immobiliari): sono soggette al rito speciale anche le
impugnazioni aventi ad oggetto le dichiarazioni di pubblica utilità, espresse e
implicite[23].
Quanto alle espropriazioni di invenzioni industriali,
la previsione è riproduttiva dell’art. 142, co. 5, codice della proprietà
industriale di cui al d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30.
Tale previsione, relativa al rito, si raccorda con
quelle attributive di giurisdizione esclusiva al g.a. sulle procedure
espropriative di immobili e invenzioni, e ferma la giurisdizione del g.o. sulle
liti indennitarie (art. 133, co. 1, lett. g) e h), c.p.a.).
6.7. I provvedimenti del CONI e delle
Federazioni sportive.
L’art. 119, co. 1, lett. g), c.p.a., sottopone al rito abbreviato i provvedimenti del CONI e delle Federazioni sportive, ovviamente nei limiti della giurisdizione del g.a. su tali atti, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. z), c.p.a.
La previsione è riproduttiva dell’art. 3, commi 1, 2 e 3, d.l. n. 220/2003.
6.8. Le
ordinanze per situazioni di emergenza ai sensi della legislazione sulla
protezione civile.
L’art. 119, co. 1, lett. h) sottopone al rito
abbreviato le ordinanze adottate in tutte
le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, co.
La previsione è
riproduttiva dell’art. 3, d.l. 30
novembre 2005 n. 245, conv. nella l. 27 gennaio 2006 n. 21.
La previsione sul rito si raccorda con quella attributiva al g.a. di
giurisdizione esclusiva su tali ordinanze, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett.
p), c.p.a.
Non vi è però perfetta coincidenza tra ambito della giurisdizione
esclusiva e ambito del rito abbreviato, in quanto l’art. 133, co. 1, lett. p)
attribuisce alla giurisdizione esclusiva anche il contenzioso sulla complessiva
azione di gestione del ciclo dei rifiuti, fattispecie non contemplata dalla
norma sul rito.
E, invero, in parte qua l’art.
133 c.p.a. riproduce l’art. 4,
d.l. n. 90/2008, conv. nella l. n. 123/2008, che è stato pertanto espressamente
abrogato. Tale disposizione prevedeva la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, facendo salvo l’art. 3, d.l. n. 245/2005. Tale salvezza andava
intesa nel senso che solo per i provvedimenti specificamente di protezione
civile, contemplati dall’art. 3, d.l. n. 245/2005, si applicava il rito
speciale, e non anche per tutti i possibili provvedimenti in materia di
gestione dei rifiuti[24].
6.9. Il
rapporto di lavoro del personale dei servizi segreti.
L’art. 119,
co. 1, lett. i) sottopone al rito abbreviato il rapporto di lavoro del
personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell’art.
La previsione
è riproduttiva dell’art.
Il rito trova applicazione se ed in quanto il rapporto di lavoro di tale personale si svolga in regime di diritto pubblico e vi sia, pertanto, la giurisdizione del g.a. (art. 133, co. 1, lett. i), c.p.a.).
Da segnalare che il c.p.a. ha innovativamente previsto, su tale contenzioso, la competenza del Tar Lazio – Roma (art. 135, co. 1, lett. o), c.p.a.).
6.10. Il contenzioso in materia di energia.
L’art. 119, co. 1, lett. l) sottopone al rito abbreviato le controversie comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al d.l. n. 7/2002 conv. in l. n. 55/2003, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti.
La previsione riproduce l’art.
Il richiamo agli
impianti di cui al d.l. n. 7/2002 implica che il rito speciale abbreviato
riguarda solo i provvedimenti relativi a impianti con potenza superiore a 300
MW termici (che sono gli impianti menzionati nel d.l. n. 7/2002), mentre per
quelli con potenza pari o inferiore si applica il rito processuale ordinario.
Invece, la parallela norma attributiva di giurisdizione esclusiva al g.a. (art.
133, co. 1, lett. o), c.p.a.), non delimita più la giurisdizione in base alla
potenza dell’impianto.
6.11. Il contenzioso sulle misure di
protezione per collaboratori e testimoni di giustizia.
L’art. 119, co. 1, lett. m), c.p.a. estende il rito abbreviato al contenzioso sui “provvedimenti della commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia”.
La previsione è innovativa in quanto tale ipotesi non
era contemplata nell’art. 23-bis, l.
Tar. Tuttavia, l’art. 10, co. 2-quinquies, 2-sexies, 2-septies, 2-octies,
d.l. n. 8/1991, conv. in l. n.
82/1991 contemplava un rito abbreviato simile a quello dell’art. 23-bis, l. Tar, con abbreviazione dei
termini processuali, pubblicazione del dispositivo, tutela di merito a breve
distanza dalla tutela cautelare.
6.12. Le
ipotesi previgenti sottoposte al rito abbreviato, non riprodotte nel c.p.a.
Prima del c.p.a., il rito abbreviato di cui all’art.
23-bis, l. Tar era stato esteso da
svariate leggi speciali ad ulteriori ipotesi, che non sono state riprodotte
nell’art. 119 c.p.a.
Il legislatore del c.p.a. ha infatti ritenuto che il
rito abbreviato, connotato da urgenza, deve essere circoscritto alle ipotesi in
cui è veramente necessario, non potendosi creare una corsia preferenziale,
rispetto al rito ordinario, per un numero eccessivo di ipotesi.
Non sono, pertanto, state riprodotte le seguenti
ipotesi cui si applicava in passato l’art. 23-bis, l. Tar:
contenzioso relativo ai provvedimenti del Ministero
delle comunicazioni adottati sulla base delle disposizioni del codice delle
comunicazioni elettroniche (già art. 9, d.lgs. 1 agosto 2003 n. 259);
contenzioso relativo ai provvedimenti adottati ai
sensi dell’art. 12, co.
6.13.
Materie cui non si applica il rito abbreviato comune.
Dato che l’art. 119 c.p.a. prevede termini dimidiati,
è norma di carattere eccezionale che non si applica al di fuori dei casi in
essa considerati.
Il rito abbreviato, nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, è stato ritenuto
inapplicabile ai provvedimenti in materia urbanistica e a quelli inerenti il
mutamento di destinazione d’uso[25],
e ai provvedimenti di autorizzazione e di diniego di realizzazione di stazioni
radio base[26].
Tale giurisprudenza conserva validità nel vigore del
c.p.a.
E, invero, se vi sono numerose materie che sono
soggette sia al rito abbreviato ex art. 119 che alla giurisdizione esclusiva ex
art. 133 c.p.a., per molte altre, la previsione della giurisdizione esclusiva
non comporta l’applicazione del rito abbreviato: così, il contenzioso sulla l.
n. 241/1990, quello sulle concessioni di beni pubblici, sui servizi pubblici,
in materia urbanistica ed edilizia, in materia di comunicazioni elettroniche,
in materia ambientale (art. 133, co. 1, rispettivamente lett. a), b), c), f),
m), s).
Si è inoltre già osservato che per talune ipotesi contemplate sia dall’art. 119 che dall’art. 133 non vi è esatta corrispondenza tra ambito del rito e ambito della giurisdizione, così per quanto attiene al contenzioso sui contratti pubblici, sulle Autorità indipendenti, sulla protezione civile.
7. Le regole
del rito speciale che presuppongono la domanda cautelare e le regole del rito
speciale svincolate dalla domanda cautelare.
Nel rito abbreviato di cui all’art. 119 c.p.a. sono
previste alcune regole che si applicano per il solo fatto che si verte in una
delle materie elencate, a prescindere dalla presentazione o meno di una domanda
cautelare, e invece altre regole che si applicano solo se c’è una domanda
cautelare.
In particolare, si applicano a prescindere
dall’esservi o meno domanda cautelare:
- la regola del dimezzamento di tutti i termini
processuali, salvo quelli per il ricorso principale, per i motivi aggiunti, per
il ricorso incidentale in primo grado, e per l’appello cautelare;
- la regola della pubblicazione del dispositivo entro
sette giorni dall’udienza di discussione se c’è domanda di parte.
Altre regole si applicano invece solo se c’è domanda
cautelare.
Si tratta, in particolare, del peculiare meccanismo
finalizzato alla celere definizione del merito, in presenza di fumus e periculum, delineato nei co. 3 e 4 (fissazione dell’udienza con
ordinanza, in primo grado o da parte del giudice di appello).
Il peculiare meccanismo processuale della fissazione
dell’udienza di merito con ordinanza, si applica in appello, come in primo
grado, solo se c’è domanda cautelare.
8. La regola
generale del dimezzamento dei termini. I termini sottratti al dimezzamento.
8.1. In
generale. I termini non dimezzati.
Chiarendo dubbi esegetici postisi nella disciplina
previgente, e recependo gli orientamenti della giurisprudenza, l’art. 119
c.p.a. stabilisce in termini generali che tutti i termini processuali sono
dimezzati, sottraendo al dimezzamento soltanto:
- nel giudizio di primo grado, il termine di notifica
di ricorso introduttivo, incidentale e motivi aggiunti;
- nel giudizio di appello, i termini di notifica
dell’appello avverso ordinanza cautelare.
Nel vigore della precedente disciplina, era stabilito
che si sottraesse al dimezzamento solo il termine di proposizione del ricorso:
pertanto, si era disputato se si sottrasse al dimezzamento solo il termine di
notificazione, o anche quello di deposito del ricorso, e se si sottraessero al
dimezzamento, per identità di ratio,
anche i termini per la proposizione di motivi aggiunti e ricorso incidentale.
Senza ricordare in questa sede la complessa evoluzione
della giurisprudenza, gioverà ricordare che secondo le tesi da ultimo
consolidatesi, in relazione al rito dell’art. 23-bis, l. Tar:
- si sottraeva al dimezzamento solo il termine di notificazione, e non anche quello di deposito, del ricorso principale di primo grado[27];
- si sottraeva al dimezzamento anche il termine di
notificazione del ricorso incidentale in primo grado[28];
- si sottraeva al dimezzamento anche il termine di
notificazione dei motivi aggiunti, quale che fosse la tipologia di atto
impugnato con i motivi aggiunti (atto già gravato con il ricorso principale o
atto nuovo)[29].
Tale elaborazione giurisprudenziale viene recepita e
consolidata con il c.p.a.
In relazione al termine di notificazione del ricorso di
primo grado, non dimezzato, deve ritenersi non dimezzabile neppure l’eventuale
proroga del termine di notifica nel caso di una delle parti residenti in altro
Stato d’Europa o fuori Europa (rispettivamente trenta e novanta giorni) (art.
41, co. 5, c.p.a.).
8.2. I
termini dimezzati.
8.2.1. Il
termine di deposito di ricorso principale, motivi aggiunti, ricorso
incidentale. I termini di costituzione delle altre parti.
Sono invece dimezzati tutti gli altri termini.
E’ anzitutto dimezzato il termine di deposito, sia di
ricorso principale, che incidentale, che per motivi aggiunti.
Il c.p.a. prevede un termine uniforme, pari a trenta
giorni (art. 45), che si riduce a quindici nel rito dell’art. 119 c.p.a.
Tale termine decorre da quando si perfeziona l’ultima
notificazione per il destinatario dell’atto. Pertanto, nel caso in cui la
notificazione avvenga a mezzo del servizio postale, e dunque si perfezioni in
momenti diversi per l’autore e per il destinatario della notificazione, al fine
del decorso del termine per il deposito del ricorso occorre avere riguardo al
momento in cui la notificazione si perfeziona per il destinatario[30].
Nel caso in cui una delle
parti risieda in altro Stato d’Europa o fuori Europa, il termine di deposito è
prorogato rispettivamente di trenta e novanta giorni (art. 45, co. 1, c.p.a.).
In virtù del dimezzamento
del termine di deposito, previsto nell’art. 119 c.p.a., la proroga sarà,
rispettivamente, di quindici e quarantacinque giorni.
Per la costituzione delle
parti diverse dal ricorrente, è previsto nel rito ordinario un termine di sessanta
giorni decorrente dal perfezionamento della notificazione per la parte che deve
costituirsi (art. 46, co. 1, c.p.a.), termine che diviene trenta giorni nel
rito dell’art. 119 c.p.a.
Anche tale termine è
prorogato se una delle parti risiede in altro Stato d’Europa o fuori Europa
(art. 46, co. 4, c.p.a.), rispettivamente di trenta e novanta giorni, che
diventano quindici e quarantacinque nel rito dell’art. 119 c.p.a.
8.2.2. I termini dell’incidente sulla competenza.
La
giurisprudenza formatasi nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, riteneva dimezzato il termine per il regolamento di
competenza, che è atto rientrante nelle scelte strategiche del difensore, tesi
confermata dall’adunanza plenaria[31].
La tesi, da condividere anche nel
vigore del c.p.a., va adattata alle nuove modalità del rilievo
dell’incompetenza e ai nuovi pertinenti termini.
Infatti mentre nella disciplina
previgente il regolamento di competenza era strumento di spettanza delle parti,
da proporsi rapidamente, nel c.p.a. sia il giudice che le parti possono
sollevare regolamento di competenza finché la causa non è decisa in primo grado
(art. 15, co. 2, c.p.a.).
Tale limite temporale non può
ovviamente essere dimezzato nel rito dell’art. 119 c.p.a.
E’ però previsto un termine di quindici
giorni per il deposito del regolamento di competenza (art. 15, co. 2, c.p.a.),
che diviene sette giorni e mezzo, arrotondati a otto, nel rito dell’art. 119
c.p.a.
Nel rito ordinario, il
regolamento di competenza proposto d’ufficio, dal giudice a quo o ad quem, è deciso
dal Consiglio di Stato in camera di consiglio, di cui è dato avviso alle parti
costituite almeno dieci giorni prima, e le parti possono depositare memorie e
documenti fino a due giorni liberi prima.
Nel rito dell’art. 119, l’avviso
dell’udienza va dato almeno cinque giorni prima e il deposito di memorie e
documenti può avvenire fino a un giorno libero prima (art. 15, co. 6, c.p.a.).
Sempre nel rito ordinario, il
regolamento di competenza su istanza di parte, sia quello preventivo, sia
quello che costituisce mezzo di impugnazione dell’ordinanza sulla competenza,
segue il rito cautelare, espressamente richiamato e in particolare l’art. 55,
co. da
Questo implica: udienza fissata nella
prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento,
anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e successiva altresì al
decimo giorno dal deposito del ricorso; le parti possono depositare memorie
fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
Nel rito abbreviato comune i
termini saranno rispettivamente decimo giorno, quinto giorno, un giorno libero.
Se il Consiglio di Stato, nel
regolare la competenza, indica un giudice diverso da quello originariamente
adito, il giudizio va riassunto, nel rito ordinario, entro un termine
perentorio di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza che regola la
competenza o di sessanta giorni dalla sua pubblicazione (art. 15, co. 5,
c.p.a.). Nel rito dell’art. 119 c.p.a. tali termini si riducono rispettivamente
a quindici e trenta giorni.
Se sulla domanda cautelare si è
pronunciato il giudice a quo,
dichiarato incompetente dal Consiglio di Stato in sede di regolamento di
competenza, la pronuncia cautelare perde efficacia dopo trenta giorni dalla
data di pubblicazione dell’ordinanza che regola la competenza, termine che si
riduce a quindici giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 15, co. 8,
c.p.a.).
Quando il Tar originariamente
adito anziché sollevare regolamento di competenza si dichiara senz’altro
incompetente con ordinanza, le parti possono:
a) riassumere la causa davanti al
giudice dichiarato competente, entro trenta giorni che diventano quindici nel
rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 16, co. 2, c.p.a.);
b) impugnare con regolamento di
competenza tale ordinanza, entro trenta giorni dalla sua notificazione o
sessanta dalla sua pubblicazione, che diventano rispettivamente quindici e
trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 16, co. 3, c.p.a.).
8.2.3. I
termini del procedimento di ricusazione.
Nel procedimento di ricusazione è previsto che
l’istanza si propone almeno tre giorni prima dell’udienza se sono noti i nomi
dei magistrati che devono partecipare all’udienza, altrimenti anche all’udienza
medesima (art. 18, co. 2, c.p.a.).
La decisione definitiva sull’istanza è adottata entro
trenta giorni dalla sua proposizione (art. 18, co. 5, c.p.a.).
Tali termini diventano un giorno e mezzo e quindici
giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.
8.2.4. I termini per la trasposizione del ricorso
straordinario in sede giurisdizionale.
Per la trasposizione del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica in sede giurisdizionale, a seguito
di opposizione dei controinteressati, è previsto un termine perentorio di
sessanta giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione (art. 48, co. 1,
c.p.a.).
Non si tratta di termine di
notificazione del ricorso introduttivo, ma di termine di deposito in sede
giurisdizionale del ricorso già proposto nella sede straordinaria, pertanto è
da ritenere che tale termine si riduca a trenta giorni nel rito dell’art. 119
c.p.a.
Tale tesi trova conforto nell’elaborazione
giurisprudenziale formatasi nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar; si era ritenuto che il dimezzamento riguardasse sia
il termine per l’opposizione a ricorso straordinario, proposta dal
controinteressato, sia il successivo termine per la trasposizione del ricorso
straordinario in sede giurisdizionale, ovviamente nel caso di ricorso
straordinario nelle materie di cui all’art. 23-bis, l. Tar[32].
8.2.5. I
termini dell’incidente cautelare.
Mentre per la notificazione dell’appello su ordinanza
cautelare si applicano i termini ordinari dell’art. 62, co. 1, c.p.a. (art.
119, co. 2, c.p.a.), tutti gli altri termini dell’incidente cautelare sono
dimezzati.
Occorre esaminare distintamente i termini del
procedimento cautelare collegiale e di quello monocratico, in corso di causa e ante causam.
I termini del procedimento cautelare davanti al
collegio sono scanditi nell’art. 55, co. 5, c.p.a., per il rito ordinario:
sulla domanda cautelare il collegio pronuncia nella
prima camera di consiglio successiva al ventesimo giorno dal perfezionamento,
anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e, altresì, successiva al
decimo giorno dal deposito del ricorso; le parti possono depositare memorie e
documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
Nel rito dell’art. 119 c.p.a. tali termini si
riducono, rispettivamente, a dieci, cinque giorni e un giorno libero.
Nel procedimento cautelare davanti al presidente del
tribunale, in corso di causa, l’unico termine peculiare è previsto dall’art.
56, co. 5, per il caso in cui il ricorso sia notificato a mezzo fax; la misura
cautelare perde efficacia se il ricorso non è notificato per via ordinaria
entro cinque giorni dalla richiesta delle misure cautelari provvisorie. Tale
termine deve intendersi ridotto a due giorni e mezzo, arrotondati a tre, nel
rito dell’art. 119 c.p.a.
Nel procedimento cautelare ante causam la scansione dei termini è contenuta nell’art. 61, co.
5, c.p.a.
Sono previsti nel rito ordinario i seguenti termini:
il provvedimento di accoglimento della misura ante causam è notificato alle altre parti
nel termine perentorio fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni; nel
rito dell’art. 119 c.p.a. tale termine deve intendersi non superiore a tre
giorni;
il provvedimento di accoglimento della misura ante causam perde comunque efficacia se
entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con
la domanda cautelare e detto ricorso non venga depositato nei successivi cinque
giorni; il primo termine non sembra dimezzabile perché i termini di
proposizione del ricorso introduttivo non sono dimezzati, mentre si riduce a
tre giorni il termine di deposito nel rito dell’art. 119 c.p.a.;
in ogni caso la misura cautelare concessa perde
effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, che si riducono
a trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a.
Per quanto riguarda l’appello cautelare (ossia avverso
ordinanza cautelare), l’art. 119 sottrae a dimezzamento il termine di
notificazione, che è perciò pari a trenta giorni dalla notificazione
dell’ordinanza o sessanta dalla sua pubblicazione.
Non si sottrae invece al dimezzamento il termine di
deposito dell’appello cautelare, che pertanto nel rito ordinario è trenta
giorni e nel rito dell’art. 119 c.p.a. è quindici giorni.
8.2.6. Definizione
del giudizio in esito a udienza cautelare.
L’art. 60 c.p.a. nel generalizzare la possibilità di
definizione nel merito del giudizio in esito a udienza cautelare, prevede che
se una parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di
giurisdizione, il giudice le assegna un termine non superiore a trenta giorni.
Tale termine deve intendersi ridotto a quindici giorni nel rito dell’art. 119
c.p.a.
8.2.7. I
termini per l’udienza di merito e per la sentenza.
L’istanza di fissazione di udienza va proposta entro
un anno dal deposito del ricorso, nel rito ordinario (art. 71, co. 1, c.p.a.).
Tale termine si riduce a sei mesi nel rito dell’art.
119 c.p.a., salvo che per il contenzioso sui pubblici appalti non occorre
istanza di fissazione d’udienza.
Nel rito ordinario, il decreto presidenziale che fissa
l’udienza va comunicato alle parti almeno sessanta giorni prima dell’udienza,
termine che viene ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se
l’udienza di merito viene fissata a seguito di rinuncia alla definizione
autonoma della domanda cautelare. Tali termini nel rito dell’art. 119 c.p.a. si
riducono, rispettivamente, a trenta e ventitre giorni (art. 71, co. 5, c.p.a.).
Il presidente designa il relatore almeno trenta giorni
prima dell’udienza nel rito ordinario, e dunque almeno quindici giorni prima
nel rito dell’art. 119 c.p.a. (art. 71, co. 6, c.p.a.).
Nel rito ordinario, le parti possono depositare
documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta
giorni liberi prima, e repliche fino a venti giorni liberi prima (art. 73, co.
1, c.p.a.), termini che nel rito dell’art. 119 c.p.a. diventano,
rispettivamente, venti giorni, quindici giorni e dieci giorni.
Se il giudice ritiene vi sia una questione rilevabile
d’ufficio, che emerge dopo il passaggio della causa in decisione, il giudice
assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di
memorie (art. 73, co. 3, c.p.a.), termine che diventa quindici giorni nel rito
dell’art. 119 c.p.a.
Nel rito ordinario, la sentenza deve essere redatta
non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla data della decisione della causa,
e della sua pubblicazione il segretario dà comunicazione alle parti costituite
entro cinque giorni (art. 89 c.p.a.). Tali termini si riducono rispettivamente
a ventitre e tre nel rito dell’art. 119 c.p.a.
8.2.8. I
termini per perenzione e estinzione del giudizio.
Nel rito ordinario, in caso di sospensione del
giudizio, va presentata nuova istanza di fissazione di udienza entro novanta
giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa di sospensione
(art. 80, co. 1, c.p.a.). Tale termine è pari a quarantacinque giorni nel rito
dell’art. 119 c.p.a.
Il processo interrotto va riassunto entro novanta
giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo (art. 80, co. 3,
c.p.a.). Tale termine è pari a quarantacinque giorni nel rito dell’art. 119
c.p.a.
Nel rito ordinario sono poi previste la perenzione
annuale e quinquennale (artt. 81 e 82 c.p.a.).
I termini di perenzione devono intendersi ridotti a
sei mesi, e a due anni e sei mesi, nel rito dell’art. 119 c.p.a.
Inoltre la nuova istanza di fissazione di udienza, che
ai sensi dell’art. 82 va presentata entro centottanta giorni, va presentata
entro novanta giorni nel rito dell’art. 119 c.p.a.
Quando estinzione o improcedibilità del giudizio sono
dichiarati con decreto presidenziale, le parti possono fare opposizione entro
sessanta giorni dalla comunicazione del decreto (art. 85, co. 3, c.p.a.),
termine che si riduce a trenta nel rito dell’art. 119 c.p.a.
Il dimezzamento dei termini per perenzione e attività
delle parti volte a impedire l’estinzione del giudizio, oltre a trovare il suo
fondamento nell’art. 119 c.p.a. trova il conforto nella giurisprudenza
formatasi nel vigore dell’art. 23-bis,
l. Tar, che aveva ritenuto che il
dimezzamento riguardasse:
- il termine biennale (ora annuale) per l’istanza di
fissazione di udienza[33];
- il termine semestrale (ora di novanta giorni) per la
riassunzione del processo interrotto[34];
- il termine per la
perenzione del giudizio[35],
8.2.9. I
termini dei giudizi di impugnazione.
La sottrazione al dimezzamento dei termini opera, ai
sensi dell’art. 119 c.p.a., solo nel giudizio di primo grado e, quanto
all’appello, solo per la notificazione dell’appello su ordinanza cautelare.
Tutti gli altri termini dei giudizi di impugnazione,
sia quanto a notificazione, sia quanto a deposito, sono pertanto dimezzati.
Dispone infatti l’art. 119, co. 7, che le disposizioni
contenute nell’art. 119 si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione
e opposizione di terzo.
Pertanto, il termine breve di sessanta giorni dalla
notificazione della sentenza (art. 92, co. 1, c.p.a.), si riduce a trenta
giorni, e il termine lungo di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (art.
92, co. 3, c.p.a.) si riduce a tre mesi.
Rispetto all’art. 23-bis, l. Tar, si riduce pertanto da centoventi giorni a tre mesi il
termine lungo di impugnazione.
Il dimezzamento si estende alle impugnazioni
incidentali (art. 96 c.p.a.).
Il termine di deposito delle impugnazioni, che nel
rito ordinario è trenta giorni (art. 94, c.p.a.), si riduce a quindici giorni.
Per i termini di costituzione delle altre parti
valgono i termini del giudizio di primo grado.
L’estensione del rito abbreviato a tutti i giudizi di
impugnazione, ivi compresi revocazione e opposizione di terzo, risolve dubbi
esegetici insorti nella disciplina previgente, che disciplinava formalmente
solo l’appello[36].
In ogni caso sia nel vigore dell’art. 23-bis, l. Tar, sia nel vigore del c.p.a.
si deve ritenere sottratto al dimezzamento il ricorso per cassazione, che trova
la sua compiuta disciplina nel c.p.c., mentre l’art. 119 c.p.a. incide solo
sulle fasi processuali che si svolgono davanti al giudice amministrativo.
8.2.10. I termini del giudizio di ottemperanza nelle materie di cui all’art. 119
c.p.a.
Quanto al giudizio
di ottemperanza, nel vigore dell’art. 23-bis,
l. Tar, secondo una tesi si sottraeva al dimezzamento solo l’atto introduttivo
(sotto il profilo che non si dimezzano i termini per ricorrere), mentre il
restante giudizio si svolge con termini dimezzati.
Secondo un’altra
lettura, anche il ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza è soggetto
a dimezzamento, non trattandosi di ricorso di primo grado e dunque di prima
presa di contatto tra parte e giudice.
Secondo altra tesi,
tutto il giudizio di ottemperanza è fuori dall’ambito dell’art. 119 c.p.a., non
ravvisandosi le stesse esigenze di urgenza.
8.2.11. Il
termine del periodo feriale.
Nel vigore
dell’art. 23-bis, l. Tar, si era
ritenuto che il dimezzamento dei termini processuali non incidesse sulla durata
del periodo feriale, che rimane quella ordinaria[37].
Tale soluzione va
mantenuta ferma nel vigore dell’art. 119 c.p.a.
9. La
fissazione dell’udienza di merito con ordinanza resa in udienza cautelare.
Nel rito ordinario, se viene accolta la domanda
cautelare, o se comunque si ritiene vi sia fumus
boni juris, viene anche fissata la data dell’udienza di merito, ma non è
previsto un termine massimo entro cui l’udienza di merito deve celebrarsi (art.
55, co. 10 e 11 c.p.a.).
Nel rito dell’art. 119 c.p.a., invece, il giudice, se
ritiene, all’udienza cautelare, che il ricorso presenta profili di fumus e periculum, fissa con ordinanza la data di discussione del merito,
alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla
data di deposito dell’ordinanza (art. 119, co. 3, c.p.a.).
Se il Tar rigetta la domanda cautelare e il Consiglio
di Stato riforma l’ordinanza, la pronuncia di appello viene inviata al Tar per
la fissazione dell’udienza di merito, e il termine di trenta giorni decorre dal
ricevimento dell’ordinanza da parte del Tar (art. 119, co. 3, c.p.a.).
E’ stato
efficacemente osservato che il riconoscimento dell’urgenza si realizza nel rito
abbreviato attraverso la decisione del merito: il principio dell’effettività
della tutela viene realizzato attraverso lo spostamento del baricentro della
tutela stessa nella sede del giudizio di merito, ed è questo uno dei punti più
qualificanti della riforma[38].
Il rinvio al
merito, fissando un'udienza a breve, si fa con ordinanza collegiale.
L’udienza non può
essere anteriore a trenta giorni dal deposito dell’ordinanza, il che consente
il rispetto dei termini difensivi (per ricorso incidentale, motivi aggiunti,
memorie, regolamento di competenza).
Se poi l’udienza di
merito va fissata a seguito di rinvio da parte del Consiglio di Stato che
riforma l’ordinanza cautelare di rigetto, il termine di trenta giorni decorre
dalla data di ricevimento dell’ordinanza del Consiglio di Stato da parte della
segreteria del Tar, che ne dà avviso alle parti. In tal caso, l’udienza di
merito viene fissata al di fuori dell’udienza cautelare e, dunque, è da
ritenere, con decreto presidenziale anziché con ordinanza collegiale.
Per la definizione
abbreviata non occorre istanza di parte, ma si tratta di un’iniziativa del
giudice.
Tuttavia, detta
iniziativa:
- può essere
sollecitata dalle parti, anche se il rigetto o accoglimento dell’istanza di
parte non necessita di specifica motivazione da parte del giudice;
- va comunicata
alle parti, nell’ottica del principio di collaborazione processuale e del
rispetto del contraddittorio.
L’iniziativa del
giudice presuppone in ogni caso, quale condizione implicita, che vi sia istanza
di parte di fissazione dell’udienza di merito, perché l’art. 119 c.p.a. non ha
innovato la regola generale del processo amministrativo, in base alla quale le
udienze di merito vengono fissate solo se c’è domanda di parte di fissazione
dell’udienza. Solo per la materia delle procedure di affidamento, non occorre
istanza di fissazione di udienza.
In sintesi,
presupposti per l’emanazione dell’ordinanza che stabilisce di definire il
processo con giudizio abbreviato, fissando la data dell’udienza di merito,
sono:
a. che vi sia
un’udienza cautelare;
b. che vi sia fumus boni juris;
c. che vi sia periculum in mora, che sia particolarmente pregnante, in quanto evidenziato
già ad un primo sommario esame;
d. che vi sia il
contraddittorio completo, ovvero lo stesso venga integrato su ordine del
giudice: la completezza del contraddittorio va intesa, come nel giudizio
immediato, sia come completezza soggettiva (evocazione in giudizio di tutte le
parti necessarie) sia come completezza oggettiva (rispetto dei termini a
difesa); l’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio può essere
contenuto nella medesima ordinanza che fissa l'udienza di merito del giudizio
abbreviato;
e. che non vi siano
gli estremi per applicare il giudizio immediato di cui all’art. 60 c.p.a.;
f. che vi sia in
atti istanza di parte di fissazione dell’udienza di merito[39].
Il contenuto
necessario dell’ordinanza collegiale è:
- la motivazione in
ordine a fumus e periculum;
- la motivazione in
ordine all’assenza dei presupposti del giudizio immediato;
- l’accertamento
dell’integrità del contraddittorio;
- la fissazione
dell’udienza di merito.
Contenuto eventuale
è:
- l’ordine di
integrazione del contraddittorio;
- la misura
cautelare, da adottarsi nei casi di estrema gravità e urgenza, ai sensi
dell’art. 119, co. 4, c.p.a.
L’ordinanza che si
limita a fissare l’udienza di merito è, in teoria, appellabile, ma nella
pratica ben difficilmente sarà appellata e i relativi vizi saranno fatti valere,
se del caso, in sede di appello avverso la sentenza finale.
10. La
tutela cautelare.
Si è già osservato
che l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, fissando l’udienza di
merito, solo in via eventuale contiene la misura cautelare.
Invero, l’art. 119,
co. 3, c.p.a. si limita a stabilire che l’ordinanza, ravvisati i presupposti di
periculum e fumus, fissa la data dell’udienza di merito.
Tuttavia, secondo
una tesi, l’ordinanza che fissa l’udienza di merito ha sempre, come contenuto
indefettibile, la tutela cautelare, perché non avrebbe senso riconoscere che
c'è una situazione di pericolo e di fumo, al solo scopo di fissare l’udienza di
merito, senza accordare la tutela cautelare[40].
Il successivo co. 4
dell’art. 119 c.p.a., stabilisce che l’ordinanza che fissa l’udienza di merito
può anche disporre le opportune misure cautelari, in caso di estrema gravità ed
urgenza.
Al fine della
tutela cautelare occorre dunque qualcosa di più del semplice pericolo e fumus, e, in particolare, una situazione
di <<estrema gravità ed urgenza>>.
In tal senso si è
espressa la giurisprudenza formatasi sull’art. 23-bis, l. Tar, osservando che ai sensi della disposizione è
consentito, nell’ipotesi che ad un primo esame il ricorso evidenzi
l’illegittimità dell’atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e
irreparabile, solo di fissare la data di discussione del merito, nei termini
indicati, e non anche di adottare la misura cautelare, ove non sussistano le
condizioni di estrema gravità ed urgenza[41].
Siffatta opzione
legislativa, di particolare severità dei presupposti per la concessione della
misura cautelare, maggiore che per le altre materie, appare giustificata e
ragionevole, e va immune da possibili censure di costituzionalità per violazione
del diritto di difesa e per l’obliterazione della tutela cautelare.
E’ noto che
La maggiore
severità si spiega considerando che, di regola, la fissazione del merito a
breve è già, di per sé sola, uno strumento in senso lato di cautela, perché il
rischio di effetti irreversibili nelle more del giudizio di merito viene
drasticamente ridotto.
Altrimenti detto,
la ratio della tutela cautelare è di evitare i danni connessi ai tempi
lunghi del processo di merito: ove i tempi per il merito sono brevi, la tutela
cautelare perde, in genere, la sua stessa ragion d’essere, salvi casi
particolari, in cui anche un ritardo minimo nella decisione di merito può
comportare la produzione di effetti irreversibili.
Siffatta ratio
spiega perché la fissazione del merito a breve induce ad una maggiore severità
nella concessione della misura cautelare.
Anche
In ogni caso nelle
materie di cui all’art. 119 c.p.a., e oggi nel c.p.a. in termini generali, non
è possibile accordare tutela cautelare senza contestualmente fissare l’udienza
di merito[43].
In maniera
particolare si atteggia la concessione della tutela cautelare nel caso in cui
la stessa sia negata dal Tar, e l’ordinanza di diniego sia appellata al
Consiglio di Stato.
In tal caso, se il
Consiglio di Stato ravvisa il periculum
in mora semplice, non deve accordare
la misura cautelare, ma limitarsi ad affermare che sussistono i presupposti per
il giudizio abbreviato, e restituire gli atti al Tar per la fissazione
dell’udienza di merito (art. 119, co. 3, c.p.a.).
Nel caso, invece,
di periculum e fumus qualificati ai sensi del co. 4 dell’art. 119 c.p.a., vale a
dire nei casi in cui il Consiglio di Stato ravvisi l’estrema gravità e urgenza,
il giudice di appello deve anche accordare la tutela cautelare, e restituire
gli atti al giudice di primo grado per la fissazione dell’udienza di merito.
In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato in relazione all’art. 23-bis, l. Tar, osservando che se il Tar abbia respinto la richiesta di sospensione cautelare in materia soggetta al rito abbreviato, la pronuncia che accolga l’appello contro il diniego di sospensione deve limitarsi a rinviare le parti al Tar perché fissi l’udienza di merito nei termini stabiliti; solo in caso di estrema gravità e urgenza il giudice di appello può disporre direttamente la sospensione[44].
11. La
pubblicazione del dispositivo e la sua impugnazione.
Mentre nel rito dell’art. 23-bis, l. Tar, la pubblicazione del dispositivo entro sette giorni
dall’udienza di merito era indefettibile, nel rito dell’art. 119 c.p.a. diventa
eventuale, occorrendo domanda di almeno una parte.
La domanda non può essere contenuta in qualsivoglia
atto di parte, ma deve essere resa in udienza e raccolta nel verbale.
Non occorre, peraltro, che vi sia l’accordo di tutte
le parti, essendo sufficiente la domanda di una sola parte, e non occorre una
specifica motivazione dell’istanza.
Pertanto l’istanza, se proposta, vincola il giudice a
pubblicare il dispositivo entro sette giorni.
Lo scopo della tempestiva pubblicazione del
dispositivo, prima della motivazione, è di cristallizzare la decisione,
impedendo ripensamenti, e di consentire l’immediata formazione di un titolo
esecutivo.
Dato lo scopo della previsione, è evidente che
l’ambito della pubblicazione del dispositivo si riferisce solo ai provvedimenti
a contenuto decisorio, vale a dire sentenze, definitive o parziali.
Non occorre invece la pubblicazione del dispositivo
quando il giudice adotti provvedimenti non definitivi, come ordinanze
istruttorie, o ordinanze di rimessione all’adunanza plenaria, e simili.
Conserva validità la giurisprudenza formatasi in
relazione all’art. 19, d.l. n. 67/1997 e in relazione all’art. 23-bis, l. Tar, quanto alle conseguenze
dell’omessa o tardiva pubblicazione del dispositivo.
La giurisprudenza ha ritenuto che non si verifica
alcuna nullità, ma al più si può ipotizzare la responsabilità disciplinare del
giudice[45]; ove
poi si volesse accedere alla tesi della nullità, si tratterebbe di una nullità
relativa che si converte in motivo di gravame, e che non comporta annullamento
con rinvio della sentenza; il giudice di appello dichiarerebbe la nullità, ma
deciderebbe nel merito[46].
Se, poi, nei sette giorni, anziché pubblicare il solo
dispositivo, viene pubblicata la sentenza integrale, non si verifica nessuna
nullità[47].
Del pari, se viene pubblicata la sentenza completa nel
termine dimezzato di ventitre giorni, nessun vizio deriva dall’omessa
pubblicazione del dispositivo[48].
Né il mancato deposito del dispositivo né la
violazione del termine dimidiato per il deposito della decisione costituiscono
motivi di nullità della sentenza, non rinvenendosi al riguardo alcuna disposizione
che disciplini in modo compiuto le eventuali relative conseguenze[49];
l’omessa pubblicazione concretizza pertanto un comportamento omissivo
eventualmente rilevante sul piano disciplinare[50].
Nel caso di contrasto tra dispositivo e successiva
motivazione, la giurisprudenza ha affermato che quando la legge prevede il
deposito e la pubblicazione del dispositivo della sentenza anteriormente al
deposito della decisione completa della motivazione, il dispositivo non
costituisce un atto puramente interno, modificabile dallo stesso giudice fino a
quando la decisione non venga pubblicata, ma è atto di rilevanza esterna che
fissa in maniera irreversibile il suo contenuto; pertanto deve ritenersi che il
dictum del giudice sia definitivamente quello contenuto nel dispositivo,
con l’ulteriore conseguenza che, in caso di contrasto tra dispositivo e
decisione successivamente depositata, il primo è destinato a prevalere sulla
seconda, sicché il contrasto tra dispositivo e decisione si risolve in una
difformità meramente esteriore tra il pensiero del giudice e la sua
manifestazione, cui può porsi rimedio avvalendosi della procedura di correzione
dell’errore materiale[51].
Secondo altra soluzione, sempre ferma restando la
prevalenza del dispositivo sulla motivazione, lo strumento per emendare il
contrasto della motivazione non è la correzione di errore materiale, ma la
revocazione[52].
Si può dubitare della correttezza in ogni caso della
soluzione che dà prevalenza al dispositivo sulla motivazione: l’errore
materiale potrebbe annidarsi proprio nel dispositivo, a fronte di una
motivazione chiara e argomentata in direzione opposta. Sembra perciò
preferibile ritenere che la soluzione della prevalenza del dispositivo o della
motivazione, in caso di contrasto tra i due, vada data caso per caso.
In tale prospettiva, la giurisprudenza ha osservato
che, in presenza di un errore su un elemento materiale nel dispositivo
pubblicato della sentenza, individuato prima che la stessa venga in essere
nella sua complessiva identità, nelle materie oggetto di rito abbreviato, il
giudice conserva un margine di intervento volto a sanare le difformità
meramente esteriori tra il suo pensiero e la sua manifestazione. Né può sempre
invocarsi l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di contrasto
tra motivazione e dispositivo, è a quest'ultimo che va data prevalenza, nel
caso in cui l'errore del dispositivo ha natura meramente materiale essendo
indubitabile dalla lettera dello stesso la volontà del collegio[53].
Sono disciplinati autonomamente i termini di
impugnazione del dispositivo.
Esso può essere impugnato entro trenta giorni dalla
sua pubblicazione; non vi sono perciò termini che decorrono dalla sua
notificazione.
In tal caso i motivi vengono riservati, e vanno
proposti entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza o tre mesi
dalla sua pubblicazione.
L’appello avverso il dispositivo è un appello
cautelare, finalizzato a ottenerne la sospensione.
Peraltro la parte che non appella il dispositivo non
perde il diritto di chiedere la tutela cautelare avverso la sentenza dopo la
pubblicazione dei motivi.
Nonostante lo scopo cautelare dell’appello avverso il solo dispositivo, si è escluso che il dispositivo sia un provvedimento cautelare in senso proprio e che con l’appello avverso di esso si instauri un giudizio cautelare; pertanto, all’appello avverso il solo dispositivo, inteso come giudizio ordinario, i applica la sospensione dei termini in periodo feriale,che va esclusa solo per il processo cautelare in senso stretto[54].
Per impugnare il
dispositivo si stabilisce un unico termine di trenta giorni, decorrente dalla
pubblicazione dello stesso; questo perché si suppone che la parte sa che il
dispositivo va pubblicato entro sette giorni e, quindi, conosce anche il termine
per impugnarlo, decorrente dalla pubblicazione.
Nella prassi
l’appello avverso il solo dispositivo si rivela il più delle volte un’inutile
complicazione, perché il giudice di appello è restio ad accordare tutela
cautelare sulla base del solo dispositivo, senza conoscere il contenuto della
sentenza.
Sono salvi casi
eclatanti in cui emerga ictu oculi l’indispensabilità della tutela
cautelare nelle more della pubblicazione della motivazione della sentenza.
In caso di appello
avverso il solo dispositivo, la norma dispone che la parte faccia riserva dei
motivi di appello.
Nella prassi, gli
appelli avverso il solo dispositivo contengono la riproposizione dei (o il
rinvio ai) motivi del ricorso di primo grado, con riserva di motivi ulteriori a
seguito della conoscenza della motivazione della sentenza.
Tale prassi è
ritenuta legittima, in quanto essendo l’appello avverso il solo dispositivo un
appello <<al buio>> esso non può che limitarsi a riproporre le
censure già articolate in prime cure, mentre una maggiore specificazione è
necessaria quando si propongono i motivi aggiunti avverso la motivazione[55].
In caso di appello
immediato contro il solo dispositivo, la parte può fare riserva dei motivi.
Questi ultimi
vengono proposti in un secondo momento, dopo il deposito della motivazione
della sentenza.
Per l'appello
avverso la motivazione è previsto un termine di trenta giorni dalla notifica
della sentenza ovvero di novanta giorni dalla sua pubblicazione, così
superandosi il previgente termine di centoventi giorni dalla comunicazione
della pubblicazione, che sembrava lasciare in piedi il termine lungo di cui
all’art. 327 c.p.c. che, invece, decorre dalla pubblicazione.
12. La motivazione della sentenza.
Nella materia di
cui all’art. 119, co. 1, lett. a), c.p.a., la sentenza è ordinariamente redatta
in forma semplificata.
Per le altre
materie di cui all’art. 119, non è fissata alcuna regola particolare in ordine
alla forma della motivazione della sentenza.
Valgono perciò le
regole generali sulla motivazione delle sentenze.
13. Il rapporto tra rito abbreviato e rito
immediato.
Il co. 3 dell’art.
119 c.p.a., come già il co. 3 dell’art. 23-bis,
l. Tar, fa salva l'applicazione dell’art. 60, cioè l'ipotesi in cui si possa
fare un giudizio immediato, quando ci si trova all'udienza cautelare, ove:
1) siano stati
rispettati i termini propri della fase cautelare[56]
e siano trascorsi almeno venti giorni, che diventano dieci nel rito dell’art.
119 c.p.a., dalla notificazione del ricorso;
2) il
contraddittorio sia integro;
3) l’istruttoria
sia completa;
3) sul punto siano
state sentite le parti costituite[57];
4) alle parti sia
stato dato avviso della data dell’udienza cautelare, quando l’istanza cautelare
venga trattata in una camera di consiglio diversa da quella prevista
ordinariamente dalla legge[58].
Mentre nel vigore
dell’art. 23-bis, l. Tar, per
celebrarsi il giudizio immediato occorrevano le ulteriori due condizioni che il
ricorso evidenziasse l'illegittimità dell'atto e la sussistenza di un
pregiudizio grave ed irreparabile e vi fosse, in aggiunta, una situazione
manifesta, nel vigore dell’art. 119 tali due condizioni non occorrono.
Il giudizio
immediato in esito all’udienza cautelare può celebrarsi anche se non c’è una
situazione manifesta.
Il giudizio
immediato non può avere luogo, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., se una delle parti
dichiari che intende proporre ricorso incidentale, motivi aggiunti, regolamento
di competenza o di giurisdizione.
In queste ultime
due ipotesi, non essendovi un termine legale per proporre regolamento di
competenza o giurisdizione (salvo il termine della definizione del giudizio in
primo grado), il giudice assegna un termine non superiore, nel rito ex art. 119
c.p.a., a quindici giorni. Per le altre ipotesi, vanno rispettati i termini di
legge per ricorso incidentale e motivi aggiunti.
Il giudice dispone
se del caso l’integrazione del contraddittorio, o il rinvio per consentire la
proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza
o di giurisdizione, e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.
14. I termini degli altri riti speciali nelle materie di cui all’art.
119 c.p.a.
Si pone poi la
questione se il dimezzamento dei termini previsto dall’art. 119 c.p.a. riguardi
o meno:
- i termini
previsti dal medesimo c.p.a. in tema di accesso, silenzio, decreto ingiuntivo.
E’ da ritenere che
se in una materia di cui al’art. 119 venga proposta azione di accesso o azione
avverso il silenzio, prevalgano i termini dei relativi riti speciali.
Se invece si
cumulino nello stesso giudizio domande ai sensi dell’art. 119 e domande di
accesso o avverso il silenzio, la connessione deve ritenersi operante nel senso
che si applica a tutte le domande il rito dell’art. 119 c.p.a.
Quanto al rito del
silenzio, esso presenta connotati di
specialità rispetto a quello di cui all’art. 119 c.p.a.
Gli elementi di
specialità sono:
- trattasi di
giudizio immediato, che pertanto prevale sul rito – solo abbreviato - di cui
all’art. 119 c.p.a.
- è un rimedio
contro la pubblica inerzia, mentre l’art. 119 c.p.a. ha per oggetto <<i
provvedimenti>> vale a dire atti espressi.
Può verificarsi che
prima o comunque indipendentemente dall’instaurazione di un ricorso
impugnatorio nelle materie di cui all’art. 119 c.p.a., venga, in dette materie,
promosso un ricorso per l’accesso a documenti.
In tale ipotesi
prevale il rito dell’accesso, che è di per sé un rito speciale, rivolto contro
il diniego, il differimento, il silenzio sull’accesso, e connotato da termini
abbreviati.
E, invero, il regime processuale cui soggiacciono tutte le controversie sull’accesso è già esso stesso un regime speciale notevolmente accelerato: l’innesto in questa disciplina, quando l’accesso debba essere fatto valere in materia soggetta al regime dell’art. 119 c.p.a. (p.es. accesso nei confronti di autorità amministrativa indipendente, o nei confronti di stazione appaltante), determinerebbe una complicata ibridazione di procedure speciali.
Inoltre, le determinazioni amministrative in tema di accesso non sono
“provvedimenti” nella comune accezione tecnica del termine, ma hanno una natura
giuridica sui generis, che si riflette nel fatto che il contenzioso che
le concerne non ha una natura autenticamente impugnatoria, bensì un contenuto
di accertamento sostanziale della eventuale fondatezza della pretesa
dell’istante[59].
Può inoltre
verificarsi che il ricorso in tema di accesso nelle materie di cui all’art. 119
c.p.a., venga proposto in pendenza di un giudizio che si svolge con il rito
dell’art. 119 citato, e dunque articolato con la formula del rito dell’accesso
in corso di causa.
E’ da ritenere che
il giudizio sull’accesso si svolga seguendo il rito proprio, che ha connotati
di specialità, simili a quelli del rito avverso il silenzio.
Il rito è volto
infatti non solo e non tanto all’annullamento di un provvedimento (che oltretutto
manca quando il ricorso abbia ad oggetto il silenzio sulla domanda di accesso),
quanto piuttosto a conseguire la condanna dell’amministrazione a consentire
l’accesso.
In caso di accesso
in corso di causa in una delle materie di cui all’art. 119, occorre raccordare
il primo rito con il secondo: verosimilmente, non sarà utile fissare a breve
l’udienza di merito, se non si attende prima l’esito dell’accesso ai documenti
necessari al giudizio principale, anche allo scopo di articolare eventuali
motivi aggiunti di ricorso.
Nel ricorso dei
presupposti per dichiarare l’estinzione del giudizio nelle materie di cui
all’art. 119 c.p.a. trova applicazione il rito speciale che prevede la
declaratoria di estinzione con decreto presidenziale.
15. Il regime fiscale per le liti dell’art.
119 c.p.a.
Quanto al regime
fiscale del processo di cui all’art. 119 c.p.a., è dovuto un contributo
unificato, il cui importo è fissato dall’art. 13, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115,
testo unico delle spese di giustizia.
Tale art. 13 è stato novellato dapprima dall’art. 21, co. 4, d.l. 4 luglio 2006 n. 223,
convertito nella l. 4 agosto 2006 n. 248, successivamente dalla legge finanziaria per il
2007, e da ultimo dal d.lgs. n. 53/2010 e dallo stesso c.p.a.
Fino alla novella
di luglio 2006, la misura del contributo unificato variava in relazione al
valore della causa.
Con la novella di
luglio 2006, il contributo è stato previsto nella misura unica di euro 500,
ridotto a 250 per taluni tipi di contenzioso.
Pertanto, per i
processi in materia di pubblici appalti e di provvedimenti dell’Autorità di
vigilanza, era dovuto il contributo di euro 500.
L’art. 1, co. 1307,
legge finanziaria per il
Prima del d.lgs. n.
53/2010 e del c.p.a. non era mai stato chiarito se il contributo unificato
fosse dovuto solo per il ricorso introduttivo, o anche per qualsivoglia domanda
nuova, introdotta con motivi aggiunti o ricorso incidentale, essendo in
astratto sostenibili entrambe le tesi.
Con l’art. 245,
codice appalti, e poi con l’art. 120 c.p.a., per il processo in materia di
pubblici appalti, i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi, diventano
obbligatori.
Sicché, mentre in
passato potevano esserci ricorsi diversi contro bando, esclusione, aggiudicazione,
con altrettanti contributi unificati, con il nuovo rito tali atti vanno tutti
impugnati nello stesso processo.
Con la conseguenza
che se si seguisse la tesi secondo cui il contributo unificato è dovuto solo
per il ricorso introduttivo, rispetto al passato si avrebbe una perdita secca
di gettito fiscale.
Il rischio è stato
scongiurato dal d.lgs. n. 53/2010 che, novellando l’art. 13, d.P.R. n.
115/2002, ha espressamente previsto che il contributo unificato, per i ricorsi
in materia di pubblici affidamenti di lavori, servizi e forniture, è dovuto
anche per i motivi aggiunti e per i ricorsi incidentali, se contengono domande
nuove.
Per domande nuove
si devono intendere:
a) l’impugnazione di atti
nuovi con i motivi aggiunti;
b) l’impugnazione con ricorso incidentale di atti diversi da quelli oggetto del ricorso principale;
c) la proposizione, con ricorso incidentale, di domande riconvenzionali.
In tal senso dispone anche l’art. 3, co. 11, dell’allegato 4 al c.p.a., con riferimento non più solo al rito in materia di appalti, ma a tutto il processo amministrativo.
Pertanto, in tutte le materie di cui all’art. 119 c.p.a., è dovuto il contributo unificato di euro 1000 non solo per il ricorso introduttivo, ma anche per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domande nuove.
Il contributo, per i ricorsi avverso atti delle Autorità indipendenti, è di euro 2000, e tale misura vale anche per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domante nuove.
E’ inoltre dovuto il contributo unificato di euro 2000 per il processo in materia di pubblici appalti, sia per il ricorso introduttivo, che per ricorso incidentale e motivi aggiunti che introducono domande nuove.
L’art. 10, co. 5, d.P.R. n. 115/2002 conteneva un’esenzione dal contributo unificato, ritenuta applicabile nel processo amministrativo, per il processo cautelare in corso di causa nonché per il regolamento di competenza e di giurisdizione.
Tale esenzione è stata abrogata, con effetto dal 1° gennaio 2010, dal numero
1) della lettera b) del comma 212 dell’art.
Non è chiaro se, pertanto, nel processo amministrativo sia ora dovuto un autonomo contributo unificato per domanda cautelare ante causam e in corso di causa, nonché per regolamento di competenza e di giurisdizione.
16. Disciplina transitoria.
Nel passaggio dal
rito 23-bis, l. Tar, al rito
dell’art. 119 c.p.a., per i termini ancora in corso continua ad applicarsi la
vecchia disciplina, per i termini che non sono ancora iniziati a decorrere,
anche per i processi già in corso, si applica l’art. 119 c.p.a. (art. 2,
dell’allegato 3 al d.lgs. n. 104/2010).
Ad es. se il termine per appellare è ancora in corso, si osserverà il previgente più lungo termine di centoventi giorni anziché quello nuovo di novanta giorni.
[1] Sul rito di cui all’art. 23-bis vedi M. LIPARI, Il nuovo rito degli appalti dopo l’art.
23-bis della l. n. 1034/1971, introdotto dall’art. 4 della l. n. 205/2000, in
AA. VV., La nuova disciplina dei lavori pubblici (a cura di F.
CARINGELLA e G. DE MARZO), Ipsoa, Milano, 2003, 1750 ss.; M. LIPARI, I riti abbreviati: l’ambito della disciplina
e il concreto funzionamento del giudizio accelerato, in AA.VV. (a cura di
F. CARINGELLA e M. PROTTO), Il nuovo
processo amministrativo dopo due anni di giurisprudenza, Giuffré, Milano,
2002, 804 - 974; G. GIOVANNINI, Commento
all’art.
[2] In dottrina, G. TANZARELLA, Commento all’art. 23-bis, co. 1, legge Trib. amm. reg., in AA.VV., La giustizia amministrativa, Milano,
2000, 94, osserva che le materie si connotano per la presenza di questioni la
cui soluzione è di interesse superindividuale.
[3] M. LIPARI, I
riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del
giudizio accelerato, in AA.VV. (a cura di F. CARINGELLA e M.
PROTTO), Il nuovo processo amministrativo
dopo due anni di giurisprudenza, Giuffré, Milano, 2002, 813 ss.
[4] Questi gli argomenti della pronuncia:
<<Il passaggio alla fase giurisdizionale,
quindi, si attua attraverso le seguenti tappe:
a) la notifica dell’atto di opposizione;
b) la notifica dell’atto con cui il ricorrente
straordinario dichiara di insistere nel ricorso, davanti al Tar;
c) il deposito, presso la segreteria del tribunale
competente, dell’atto notificato dal ricorrente.
Il primo atto non sembra assumere ancora connotati
tipicamente processuali e giurisdizionali, ma costituisce l’ultimo segmento
della fase di svolgimento del procedimento di trattazione del ricorso
straordinario. Infatti, una volta intervenuta l’opposizione, potrebbe accadere
che l’originario ricorrente ometta di insistere nella propria volontà di
impugnazione. In tal caso, l’opposizione determinerebbe la sola conseguenza di
rendere improcedibile il ricorso straordinario, senza provocare alcuna
pronuncia del giudice amministrativo.
Il secondo atto (la notifica) presenta invece, natura
processuale, perché ha lo scopo di trasferire davanti al giudice l’intera
controversia. Non vale obiettare che, tuttavia, l’atto di “insistenza”, pur
notificato, potrebbe non essere depositato e, quindi, potrebbe sfuggire, di
fatto, alla valutazione del giudice.
Al riguardo, è sufficiente osservare che l’eventualità
del mancato deposito del ricorso ritualmente notificato è verificabile,
normalmente, anche nell’ordinario processo giurisdizionale. Ma nessuno dubita
della natura processuale del ricorso, anche se solo notificato e non
depositato. Del resto, per quanto interessa in questa sede, l’inconveniente
pratico derivante dall’incertezza causata da un’opposizione seguita da un atto
non depositato potrebbe essere agevolmente superato mediante il deposito
dell’atto ad iniziativa delle altre parti, finalizzato alla pronuncia di
inammissibilità del ricorso giurisdizionale, oppure dalla pronuncia di
inammissibilità del ricorso straordinario, per il solo fatto dell’intervenuta
opposizione.
In ogni caso, la natura processuale dell’atto di
deposito deve essere affermata con certezza. Il rapporto processuale si
costituisce sin dalla notifica dell’atto con cui l’interessato dichiara di
insistere nel ricorso. Il deposito costituisce un atto meramente
consequenziale. D’altro canto, la natura processuale del deposito correlato
alla notifica dell’ordinario ricorso giurisdizionale è costantemente affermata
dalla giurisprudenza.
Va ora stabilito se i termini per la notifica e per il
deposito dell’atto con cui l’interessato dichiari di insistere nell’originario
ricorso straordinario debbano essere considerati, o meno, inerenti alla
“proposizione” del ricorso, e, quindi, sottratti alla regola del dimezzamento
di cui all’articolo 23-bis.
A parere del Collegio, occorre distinguere tra la
notifica dell’atto e il suo deposito, che presentano diversa natura giuridica,
anche in coerenza con gli indirizzi manifestati dall’Adunanza Plenaria di
questo Consiglio.
È vero, infatti, che una parte della dottrina
riguardante il processo speciale accelerato ha affermato, sinteticamente, che
l’intera fase di insistenza del ricorso dovrebbe ricondursi al concetto di
proposizione del ricorso. Tuttavia, questa opinione si connette alla tesi (non
condivisa dall’Adunanza Plenaria), secondo la quale, in linea generale, il
deposito del ricorso deve sempre qualificarsi come segmento necessario
dell’attività, complessa, di proposizione del ricorso.
Ma una volta affermata, nel diritto vivente, la
distinzione tra notifica e deposito del ricorso, questa deve coerentemente
applicarsi anche all’atto con cui l’interessato dichiara la propria volontà di
insistere nel ricorso.
La notifica dell’atto con cui si insiste
nell’impugnazione ha la funzione di radicare la controversia, per la prima
volta, dinanzi al giudice. Se è vero che tale atto si deve porre in rapporto di
stretta connessione con il ricorso straordinario, resta però indiscutibile che
esso esprima la volontà del soggetto interessato di “proporre” un ricorso, non
più al Capo dello Stato, ma davanti al giudice.
Questa circostanza sembra sufficiente per affermare,
allora, che il termine per la notifica dell’atto, pur essendo processuale,
resta sottratto alla regola del dimezzamento dei termini, perché riconducibile,
indiscutibilmente, alla categoria dei termini per la proposizione del ricorso.
A diverse conclusioni si deve pervenire con riguardo
al termine, successivo, per il deposito dell’atto. Questo è senz’altro un
termine processuale, ma non è affatto riconducibile alla nozione, pure ampia,
di attività di “proposizione del ricorso”, quanto meno nel contesto
dell’articolo 23-bis. A tale
riguardo,
Secondo il tribunale, invece, anche il termine per il
deposito dell’atto andrebbe escluso dalla regola del dimezzamento, in forza
della seguente argomentazione: “se, in generale, la sequenza introduttiva del
giudizio amministrativo si articola in notifica del ricorso (da effettuare sempre
nel termine decadenziale di sessanta giorni) e successivo deposito (da
effettuare, in generale, entro trenta giorni dall’ultima notifica, che si
riducono a 15 nelle controversie ex art. 23-bis),
nella fattispecie di cui all’art. 10 DPR n. 1199/71 la sequenza è invertita, in
quanto la legge prevede che il ricorrente in sede straordinaria che voglia
proseguire nel giudizio di fronte al giudice amministrativo a seguito di
opposizione notificata dalle controparti, deve depositare l’atto di
costituzione presso la segreteria del Tar entro sessanta giorni dal ricevimento
dell’atto di opposizione, dandone avviso mediante notifica all’amministrazione
resistente ed ai controinteressati. Pertanto, il primo atto della sequenza è il
deposito dell’atto di costituzione, che, agli effetti dell’applicazione
dell’art. 23-bis, deve essere
equiparato alla notifica e quindi vale per esso il termine ordinario di
sessanta giorni. Qualsiasi altra interpretazione sarebbe da considerare in
contrasto con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto non esiste alcuna
valida ragione per penalizzare, sotto questo profilo, il ricorrente in sede
straordinaria che si vede notificare l’atto di opposizione ex art. 10, d.P.R.
n. 1199/1971.”
La tesi del tribunale non può essere condivisa, perché
non considera l’interpretazione vivente delle modalità di attuazione della fase
di trasposizione, la quale si svolge secondo una diversa successione di atti,
nelle quali la notifica deve precedere il deposito dell’atto, anche per
esigenze pratiche di verifica della concreta realizzazione del contraddittorio
processuale.
Oltretutto, nel caso di specie, la notifica ha
effettivamente preceduto il deposito dell’atto.
Non sembra persuasivo nemmeno l’ulteriore argomento
svolto dal tribunale, secondo cui “considerato che il termine per la
riassunzione del ricorso straordinario di fronte al Tar è esattamente uguale a
quello previsto in generale per l’impugnazione (il che significa che il
Legislatore del
In definitiva, quindi, deve essere affermato che
contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, il ricorso di primo grado è
inammissibile, a causa del tardivo deposito dell’atto di trasposizione del
ricorso straordinario.
Tuttavia, a parere della Sezione, la novità e la
complessità delle questioni giuridiche affrontate costituiscono elementi idonei
per affermare la sussistenza di tutti i presupposti per riconoscere
all’interessato il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile.
Pertanto, l’appello deve essere esaminato, nel merito, in relazione alle altre censure
proposte dal comune di Gallipoli>>.
[5] M. LIPARI, op. ult. cit., 828 s.
[6] Cons. St., ad. plen., 14 febbraio 2001 n.
[7] In tal senso anche M. LIPARI, op. ult. cit., 533.
[8] Cons.
giust. sic., 3 marzo 2003 n.
[9] M. LIPARI, Il
processo speciale in materia di opere pubbliche: l’Adunanza Plenaria ed il
termine per la proposizione del ricorso, cit., 533.
[10] Cons. St., sez. VI, 27 marzo 2003 n.
[11] Cons. giust. sic., 8 luglio 2002 n.
[12] Cons. giust. sic., 2 marzo 2007 n.
[13] Cons. St., ad. plen., 30 luglio 2007 n. 9, segnalata
in DPA, 2007, n. 9, 98, con nota di
A. PLAISANT,
[14] M. LIPARI, I
riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del
giudizio accelerato, cit., 829 ss.
[15] Cons. giust. sic. 13 febbraio 2006 n.
[16] Cons.
[17] M. LIPARI, op.
cit.
[18] Cfr.
Cons. St., sez. VI, 29 aprile 2005 n.
[19] Cons. St., sez. V, 13 luglio 2006 n.
[20] Cons. St., sez. V, 9 giugno 2008 n.
[21] In tal senso anche G. GIOVANNINI, op. cit., 307.
[22] Tar Campania – Napoli, sez. I, 6 maggio 2008 n. 3380.
[23] Cons. St., sez. IV, 7
settembre 2006 n.
[24] Cons.
[25] Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5839.
[26] Cons. St., sez. VI, 17 ottobre 2008 n.
[27] Cons.
[28] Cons.
[29] Cons.
La plenaria nel
Tanto, sia in base alla ratio legis sia in base al dato letterale:
a) quanto alla ratio, la sottrazione al dimezzamento del termine di ricorso risponde alla ratio di meglio assicurare il diritto di difesa, ratio riconosciuta sussistente anche in relazione al ricorso incidentale e che va riconosciuta anche per i motivi aggiunti; né si può distinguere tra medesimi atti e atti diversi, sul piano del rapporto con il difensore, perché la tutela del diritto di difesa attiene alla persona del ricorrente a prescindere dall’essere il medesimo già in contatto con il difensore o meno;
b) sul piano letterale, l’art. 23-bis, nel sottrarre al dimezzamento dei termini il ricorso, usa il plurale, parlando non già di termine di proposizione del ricorso, ma di “termini” così lasciando intendere, secondo la plenaria, che si sottraggono al dimezzamento anche altri atti assimilabili al ricorso introduttivo.
Afferma infatti la plenaria: “Al riguardo, occorre muovere dal rilievo che
detta abbreviazione dei termini costituisce essa stessa eccezione all’ordinaria
durata dei termini processuali (così come tutto il “rito speciale” ex art. 23-bis si pone come derogatorio rispetto alle regole ordinarie), di
tal che quella che appare come una “eccezione” al dimezzamento, prevista per il
termine di proposizione del ricorso introduttivo, costituisce in realtà una
delimitazione che il legislatore ha inteso tracciare del campo di operatività
della deroga medesima, e quindi una riaffermazione delle regole generali.
Orbene, come correttamente ritenuto da tutti gli orientamenti innanzi
richiamati, la ratio alla base
della scelta normativa di non estendere il dimezzamento al termine di notifica
dell’atto introduttivo del giudizio riposa nell’esigenza di garantire il pieno
esercizio del diritto costituzionalmente garantito di difesa, che sarebbe
risultato eccessivamente compresso per effetto dell’abbreviazione anche del
termine de quo. Tale esigenza,
pacificamente riconosciuta valida anche per il ricorso incidentale, invero
risulta sussistere anche nell’ipotesi in cui il ricorrente debba articolare
nuove censure in corso di causa attraverso lo strumento dei motivi aggiunti,
non potendo attribuirsi rilevanza decisiva – come avviene, invece, in alcune
pronunce favorevoli al dimezzamento – alla diversità di situazioni consistente
nel fatto che in questa ipotesi, a differenza di quella in cui si debba proporre
il ricorso introduttivo, il ricorrente ha certamente già conferito il mandato a
un difensore, e pertanto i tempi necessari per l’esercizio del diritto di
difesa dovrebbero essere considerati “al netto” del tempo necessario alla
ricerca di un difensore ed all’instaurazione del rapporto professionale con lo
stesso. Infatti, nella fissazione dei termini per l’esercizio delle attività
processuali il legislatore ha sempre ritenuto di prescindere del tutto dalla
vicenda interna relativa al rapporto tra parte e difensore, preoccupandosi
unicamente di prevedere tempi idonei a consentire all’interessato –
indipendentemente dall’esistenza o meno di un mandato difensivo, ovvero dalle
competenze tecnico-giuridiche che lo stesso interessato eventualmente possieda
– la piena esplicazione delle facoltà riconducibili al diritto di difesa ex art. 24 Cost. Inoltre, anche
l’argomento testuale valorizzato dalla tesi favorevole alla dimidiazione appare
superabile: infatti, se è vero che il comma 2 dell’art. 23-bis richiama esplicitamente il solo
ricorso introduttivo, è altresì significativo che la disposizione, per
escludere il dimezzamento, faccia riferimento ai termini al plurale (“quelli per la proposizione del ricorso”),
piuttosto che al solo termine di notifica del ricorso introduttivo, quasi a
voler evidenziare che l’inapplicabilità del regime derogatorio si estende a
tutti i termini che siano a questo assimilabili. Per converso, la terza delle
opinioni sopra riportate, se indubbiamente coglie un’effettiva diversità ontologica
all’interno della categoria apparentemente unitaria dei motivi aggiunti, per
effetto della possibilità riconosciuta dalla l. n. 205/2000 di impugnare con
essi anche i nuovi atti sopravvenuti in pendenza del giudizio, finisce tuttavia
per introdurre una frammentazione della disciplina processuale dei motivi
aggiunti che, almeno allo stato, non sembra trovare fondamento a livello
positivo.”.
Prima dell’arresto della
plenaria, la giurisprudenza meno recente del Consiglio di Stato aveva ritenuto
che il dimezzamento dei termini processuali andasse esteso pure ai motivi aggiunti:
<<Posto
che l’art. 23-bis, l. Tar, prevede la riduzione a metà di tutti i termini
processuali, con l’unica eccezione per il termine di proposizione del ricorso
introduttivo, si deve ritenere che il dimezzamento del termine si applichi pure
ai motivi aggiunti, in quanto, dinanzi alla logica acceleratoria che permea
l’intero provvedimento legislativo, l’eccezione al dimezzamento dei termini introdotta
dalla l. n. 205/2000 va interpretata secondo canoni di rigida tassatività,
tanto più che nel caso dei motivi aggiunti non sussiste la necessità di dare
seguito a quelle esigenze di tutela del diritto alla difesa in settori
nevralgici, finalizzate a concedere al privato cittadino ed al soggetto
imprenditoriale il tempo necessario per imbastire ed articolare la propria
difesa con l’assistenza ed il patrocinio ritenuti più idonei, atteso che tra
l’altro nel caso dei motivi aggiunti si può fare a meno di affidare un nuovo
mandato>> (Cons. St., sez. V,
6 luglio 2002 n.
Secondo una diversa tesi i motivi
aggiunti si sottraevano al dimezzamento, perché anch’essi sono, per la parte,
una prima presa di contatto con il giudice, e dunque vi è l’identica ratio
sottesa al ricorso introduttivo (Cons. St., sez. V, 8 agosto 2005 n.
Secondo un’opposta impostazione,
tutti i motivi aggiunti, sia avverso gli atti già oggetto del ricorso
originario, sia avverso atti connessi, erano soggetti a dimezzamento, attesa la
ratio acceleratoria del rito speciale e la non assimilabilità dei motivi
aggiunti al ricorso originario (Cons. St., sez. IV, 5 marzo 2008 n.
Secondo una tesi mediatrice
occorreva distinguere tra motivi aggiunti avverso atti nuovi (non soggetti a
dimezzamento) e motivi aggiunti avverso i medesimi atti già impugnati (soggetti
a dimezzamento) (Cons. St., sez. IV, 12 maggio 2008 n. 2187; Cons. St., sez.
IV, 10 aprile 2008 n.
In dottrina si era osservato che spesso nella materie di cui all’art. 23-bis vengono fatti ricorsi al buio, e solo a seguito della completa conoscenza degli atti possono essere articolati motivi aggiunti, che richiedono tempo e ponderazione (M. LIPARI, Il processo speciale in materia di opere pubbliche (…), cit., 531).
[30] Cons.
[31] Cons.
[32] Tar Veneto, sez. I, 21 febbraio 2006 n.
[33] Cons. St., sez. V, 1 dicembre 2006 n.
[34] Cons. St., sez. IV, 5 settembre 2007 n. 4657; Cons.
St., sez. V, 28 giugno 2002 n.
[35] Cons. St., sez. IV, 23 settembre 2004 n.
[36] Si riportano in nota i termini del dibattito nel
vigore dell’art. 23-bis, l. Tar.
Per una tesi, l’eccettuazione dal
dimezzamento del termine per il ricorso, si riferiva a tutti i ricorsi
introduttivi di un’autonoma fase di giudizio, e dunque anche al ricorso per
revocazione ed opposizione di terzo. Pertanto, il termine per notificare tali
ricorsi non sarebbe dimezzato, mentre sarebbero dimezzati tutti i successivi
termini processuali di tali impugnazioni. In tale prospettiva, la
giurisprudenza aveva affermato che il dimezzamento dei termini previsto dalla
disposizione non si applica al ricorso per revocazione, in virtù della
previsione contenuta nello stesso articolo 23-bis, la quale fa salvi “i termini per la proposizione del ricorso”.
Infatti, il ricorso per revocazione non si limita a determinare una
prosecuzione dell’originario giudizio, ma comporta l’introduzione di nuovi
aspetti della lite non esaminati dalla sentenza gravata, costituiti, in
particolare dalla sussistenza dell'errore di fatto (Cons. St., sez. V, 31
dicembre 2007 n.
Secondo
un’opposta lettura, il co. 2 dell’art. 23-bis, anche alla luce della
genesi storica della norma, aveva inteso sottrarre al dimezzamento solo il
termine per notificare il ricorso di primo grado (e gli atti ad esso
assimilabili, quali i motivi aggiunti in primo grado e il ricorso incidentale),
e non anche le impugnazioni, tanto è vero che per l’appello sono espressamente
previsti termini dimezzati; pertanto, sarebbero dimezzati anche il termine per
notificare il ricorso per revocazione e per opposizione di terzo.
Era poi senz’altro ritenuto
dimezzato il termine di deposito delle impugnazioni. Quanto, in particolare, al
termine di deposito del ricorso in revocazione, si era ritenuto che il termine
ordinario fosse di trenta giorni e quello dimezzato di quindici (per altra tesi
il termine ordinario è di venti giorni e quello dimezzato di dieci) (Cons. St.,
sez. VI, 25 gennaio 2008 n. 214).
[37] Cons.
[38] M. LIPARI, Relazione sull’art. 23-bis all’incontro di studio sul tema
<<Nuova tutela cautelare nel
processo amministrativo>> svoltosi il 18 maggio
[39] Nel senso della necessità di istanza di fissazione
dell’udienza di merito è anche M. LIPARI, I
riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del
giudizio accelerato, cit.,
958 s.
[40] M. LIPARI, I
riti abbreviati: l’ambito della disciplina e il concreto funzionamento del
giudizio accelerato, cit., 917 ss.;
M. LIPARI, Relazione sull’art. 23-bis,
cit., 21745.
[41] Tar Toscana, sez. II, 3 maggio 2001 n. 517, ord., in Sosp., 2001, 21771.
[42] C. giust. CE, 9 aprile 2003, c-424/01, ord.,
segnalata in Urbanistica e appalti, 2003, 781.
[43] M. LIPARI, Relazione
sull’art. 23-bis, cit., 21744.
[44] Cons.
[45] Cons.
[46]
Cons. St., sez. IV, 29 maggio 1998 n.
[47] Tar
Marche, 11 febbraio 2000 n.
[48] Cons.
[49] Cons. St., sez. V, 16 settembre 2004 n.
[50] Cons. St., sez. V, 12 luglio 2004 n.
[51] Cons.
[52]
Cons. St., sez. IV, 5 agosto 1999 n.
[53] Cons.
[54] Cons.
[55] Cons.
[56] La
giurisprudenza si va orientando nel senso della non necessità, al fine del
giudizio immediato, del rispetto dei termini a difesa propri della fase di
merito, purché le parti presenti siano sentite, e non vi sia richiesta di parte
di termine a difesa: Cons. St., sez. VI, 26 giugno 2003 n.
[57] Cons. St.,
sez. IV, 28 gennaio 2002 n.
[58] Cons. St., sez. VI, 26 giugno 2003 n. 3852, cit.
[59] Cons. St., sez. VI, 26 novembre 2008 n. 5840.