ASPETTI SOSTANZIALI NELLA DENOMINAZIONE “ CODICE ” DEL

PROCESSO  AMMINISTRATIVO ( * )

di

Aldo Ravalli

Presidente del T.A.R. Sardegna

pubblicato sul Sito il 5 novembre 2010

 

       1.- L’art. 44 L. n. 69 del 2009, che delega il Governo a provvedere al “ riassetto del processo amministrativo ”, individua una attività ed un fine ( “ riassetto ” ), ma nulla dice sulla denominazione specifica che avrebbe dovuto assumere il testo normativo ( Codice, Testo Unico o semplicemente Legge ).

       Il progetto della Commissione speciale istituita dal Presidente del Consiglio di Stato

( decreto 23 luglio 2009 ) trasmesso al Governo il 10 settembre 2010 titola “ Codice del processo amministrativo “ .

       Il D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 approva “ il Codice del processo amministrativo ” e ne fissa l’entrata in vigore il 16 settembre  2010.

       L ‘art. 44 cit. individua le finalità del “ riassetto ”, così precisandole:

     a) adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della  Corte Costituzionale e delle  giurisdizioni superiori;

     b) coordinarle con le norme del codice procedura civile  in quanto espressioni di principi generali;

     c) assicurare la concentrazione delle tutele.

 

                                     

 ( * ) Intervento al Seminario di Studi sul Codice del Processo amministrativo, tenutosi a Cagliari il 16 ottobre 2010 organizzato dalla Società Sarda degli Avvocati Amministrativisti..

  

  Lo stesso art. 44, al comma secondo, cita l’art. 20 L. 15 marzo 1997 n. 59 ( Delega al

Governo… per la riforma della P.A. e per la semplificazione amministrativa ) che richiama lo

strumento della “ codificazione ”; ma tale richiamo in un contesto che fissa principi e criteri direttivi, citando insieme “ riassetto normativo ” e “ codificazione della normativa ”, è poco significativo ai fini della individuazione, per il processo amministrativo, dell’opzione formale “ codice ” .

     Più utile è esaminare se la funzione data al “ riassetto ” ed “ i principi e criteri direttivi ”,

cioè l’esame sostanziale del contenuto del testo normativo, spingono verso lo

strumento del “ codice ” pleno iure.

      Non è , appare subito evidente, solo una questione formale di “ nomenclatura ”:  il

 “ Codice ”non è soltanto una formula compilativa, ma strumento di produzione normativa con valori, finalità ed effetti sostanziali propri, ove, beninteso, non venga adoperato impropriamente quale “ titolo nobiliare ” per compilazioni d’altra natura.

       Evidenziando solo ciò che appare a tal fine più rilevante, fra i principi e criteri direttivi, l’art. 44 L. di delega prescrive che il riassetto deve :

a)      garantire la ragionevole durata del processo;

b)      disciplinare le azioni e le funzioni del giudice “ prevedendo , fra l’altro, pronunce dichiarative, costitutive e di condanna “;

       Accanto a ciò, la L. delega prescrive la revisione e razionalizzazione anche mediante unificazione della disciplina, di settori qualificanti di assoluto rilievo della giustizia amministrativa e cioè:

a)      i c.d. “ riti speciali ”, riguardanti controversie in materie vitali per l’economia ;

b)      la tutela cautelare, anche generalizzando quella ante causam.

            Ulteriore indicazione viene dalla esplicita previsione che i decreti legislativi di riassetto

 

 

 “ abrogano espressamente tutte le disposizioni riordinate e con essi incompatibili… e dettano le

opportune disposizioni di coordinamento in relazione alle disposizioni non abrogate ”.

 

       2.-  Prima di procedere, torniamo a parlare del “ codice ” quale concetto giuridico attualmente condiviso, degli elementi che lo caratterizzano, degli effetti che il concetto di codice pleno iure e correttamente attribuito ad un testo normativo comporta quanto alla valenza delle sue norme nel sistema delle fonti e, quindi, quanto all’applicazione ed all’interpretazione del diritto nel tempo.

        Va subito rammentato che, ad un’era della codificazione, che ha investito tutta l’Europa a partire da Napoleone in poi, e che in Italia è durata fino al 1942, è subentrato un periodo, a noi contemporaneo, della “ decodificazione ”, che in sostanza è consistito non nella crisi di individuazione del concetto giuridico “ codice ”, ma nella crisi della utilità e possibilità del ricorso a quel tipo di produzione normativa che il concetto “ codice ” individuava. ( Su tali aspetti, v. P. GROSSI, Mitologie giuridiche della modernità,  Milano 2001 ).

       Per chi si dedica,anche marginalmente, alla storia del diritto, il ricordo corre a due grandi codici civili, quello francese del 1804 e quello austriaco del 1811.  In Francia, poi in particolare, fra il 1806 ed il 1811 vennero approvati il codice di procedura civile, quello di commercio, il codice di procedura penale e quello penale.

       In Italia, l’età della codificazione inizia con il codice civile ed il codice di procedura civile del 1865, cui segue nel 1882 il codice di commercio e, successivamente, il codice penale del 1889 e quello di procedura penale del 1913.

        La codificazione riprende in Italia con i codici penale e di procedura penale del 1930 e, da ultimo, con il codice civile del 1942 e di procedura penale del 1940.

         Sarebbe fuori tema e , comunque, al di fuori dell’occasione, l’analisi storico-giuridica della formazione dei codici ora solamente citati e del rapporto con le vicende e le

 

trasformazioni della società e degli ordinamenti del tempo.

         Non può, tuttavia, non essere sottolineato il fatto, da tutti evidenziato, che la codificazione viene a conclusione e registra un cambiamento notevole della società e dei

rapporti fra  cittadini e di questi con le istituzioni dello Stato.

         Su questi temi si può rinviare a U. PETRONIO, La lotta per la codificazione, Torino 2002 ed agli scritti di F. CIPRIANI, Storia di processualisti e di oligarchi, Milano 1991 e  Il codice di procedura civile fra gerarchi e processualisti,  Napoli 1992, senza alcuna pretesa di sufficienza.

         Per avvicinarsi ad individuare il concetto di “ Codice ” possiamo partire da  quanto scritto in proposito nella Relazione al Re per il codice di procedura civile del 1940: “ Il Codice è un corpo organico di leggi che deve essere costruito razionalmente e logicamente secondo i principi ai quali si ispira, al fine di rendere agevole la conoscenza e l’applicazione ai pratici ”.

        E’ questo un primo carattere.

        Altri caratteri li traiamo dalla dottrina.

        Tullio ASCARELLI ( L’idea di codice nel diritto privato e la funzione dell’interpretazione, in Saggi giuridici, Milano 1949 ) dice : “ Il Codice è caratterizzato dalla pretesa di costituire un ordinamento giuridico “ nuovo ”, “ completo “ e “ definitivo ”, che racchiude nelle sue formule le soluzioni di tutti i casi possibili…”.

         A sua volta per Luigi  MENGONI ( I cinquantanni del codice civile, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, Milano 1994), il codice rappresenta “ un nucleo sistematico di concetti ”, cioè di principi giuridici “ adeguati all’elaborazione selettiva delle informazioni su nuovi casi giuridicamente rilevanti ed al controllo di coerenza delle decisioni con la razionalità complessiva dell’ordinamento”.

         Aggiunge MENGONI e spiega : “ Il Codice non è una tavola combinatoria da cui si possono dedurre tutti i casi futuri, ma è un principio di selezione strutturale dei conflitti mano

 

a mano che si presentano e uno strumento di organizzazione delle relative decisioni nell’unità

del sistema giuridico, garantendo così, al suo interno, il primato dell’argomentazione giuridica sulla politica ”; in altri termini, garantendo soluzioni costituite in base a criteri di tipo giuridico, razionali ed omogenei, non di tipo politico, cioè discrezionali e contingenti.

           Quanto poi ai dubbi sulla attualità della “ forma codice ” rispetto ad una società che in nessun momento è uguale a se stessa, si è risposto che il codice rappresenta un progetto di organizzazione giuridica stabile, pur in un mondo caratterizzato dalla fluidità delle vicende sociali (  FALZEA, in Il Codice civile. Convegno del cinquantennio, Roma 1994 ).

            Pur nella consapevolezza che la nozione di codice è andata cambiando nel tempo, restano talune caratteristiche che la rendono significativa e tuttora attuale, specie in relazione ai sistemi regolanti il processo, sia esso civile, penale ed ora, finalmente, amministrativo.

            Volendo ora riassumere i connotati propri della “ forma Codice ”, si può dire che il codice è caratterizzato da :

a)      contenere un nucleo sistematico di concetti, cioè di principi giuridici;

b)      attuare la unificazione del sistema delle fonti;

c)      possedere organicità e completezza;

 e, come conseguenza, è idoneo ad assicurare esausitività ed autointegrazione in relazione ai casi nuovi dati dalla fluidità delle vicende sociali, economiche e dei rapporti fra cittadini e Stato, tale da assicurare una coerenza giuridica razionale ed omogenea nella soluzione dei conflitti.   

             Il Codice, quindi, in quanto rappresentativo ed ordinatore dei valori di fondo sostanziali dell’assetto della società, è idoneo a regolare l’avvenire ed essere, sotto tale aspetto, sempre “ moderno ” al passare del tempo e, pertanto, tendenzialmente durevole.  

  

     

 

   3.-  Il Codice del processo amministrativo ( c.p.a. ) arriva in un momento in cui si è

estesa e modificata la funzione della giustizia amministrativa e in essa si aprono fronti di

effettività di tutela in un quadro di principi di fonte europea.

          Il convincimento che si trae è che la legge di delega per la predisposizione del codice del processo amministrativo nasca dalla constatazione e dalla consapevolezza di questi nuovi

orizzonti nei quali la giustizia amministrativa già invero si è inoltrata.

         Scrive Sandro PAJNO ( La giustizia amministrativa all’appuntamento con la codificazione, in Verso il codice del processo amministrativo, Lecce 2010 ) : “ La delega di cui all’art. 44… evoca… l’idea di una codificazione  e di una codificazione di norme processuali… poste a tutela di situazioni soggettive che il cittadino fa valere nel suo rapporto con il potere amministrativo”.

          Aggiunge PAJNO : “ La considerazione dei cambiamenti che hanno interessato la disciplina e l’esperienza del processo amministrativo può….aiutarci a comprendere quale sia il significato profondo della codificazione della disciplina che lo riguarda: di quale fenomeno, cioè, sia indice rivelatore la scelta di procedere ad una codificazione della giustizia amministrativa” .

          E può essere utile rammentare in proposito quanto scrive Enrico  FOLLIERI (  La natura giuridica dell’articolato provvisorio denominato codice del processo amministrativo , in Giustizia Amministrativa n. 4/2010): “ La disciplina del processo amministrativo ha raggiunto quella maturità di apprendimento scientifico ed ha elaborato dei principi propri, per cui sono tracciate le basi per la codificazione ”.

 

        4.- Tralasciando taluni aspetti formali del codice del processo amministrativo ( unicità della fonte, completezza, organicità ), ci si sofferma su quello che è il “ nucleo sistematico di concetti ” , cioè sui principi giuridici, la cui codificazione è destinata a renderne generale e stabile l’applicazione, garantendo la coerenza delle decisioni attraverso il primato dell’argomentazione giuridica, ma al tempo stesso l’attitudine propria dei principi  a saper

regolare anche l’avvenire ed a costituirne gli sviluppi.

           Esaminiamo taluni di questi principi, con uno sguardo sul possibile sviluppo, sull’orizzonte, della loro applicazione.

           4.1.1- Il primo principio ( art. 1 D.Lgs. n. 104 del 2010 )  è costituito dall’affermazione che la giurisdizione amministrativa deve assicurare una “ tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione  e del diritto europeo ” .

         Il riferimento ai principi di diritto europeo apre un primo orizzonte dominante di lettura del c.p.a., ben evidenziato da MERUSI (  Giurisdizione e amministrazione: ancora separazione dopo il codice sul processo amministrativo?, in Giustamm n. 10-2010 ) che parla di “ esplicitazione della via amministrativa all’unione europea ”.

        Più esplicitamente: l’applicazione del diritto amministrativo secondo i principi del diritto europeo è vincolo interpretativo primario in funzione della realizzazione dell’unificazione del comportamento di tutte le amministrazioni europee anche quali parti in giudizio.

         Ed è nel solco della “ linea europea ” la considerazione che viene subito da fare: ma, se il principio di cui al citato art. 1 è nel senso che il giudizio amministrativo deve  assicurare una tutela piena ed effettiva, può non apparire significativo che il Codice non indichi più fra le azioni  proponibili anche quella  costitutiva di adempimento espressamente indicata nella L. di delega a proposito delle  pronunce  che il codice avrebbe dovuto prevedere, una volta che emerga che una tale pronuncia si ponga come necessario strumento per assicurare “una tutela piena ed effettiva ”, principio posto come primo, ad apertura del Codice.

          In altri termini: la  “ tutela piena ed effettiva ” della situazione giuridica dedotta davanti al giudice comporta “ azioni, e conseguenti sentenze, demolitorie del provvedimento eventualmente illegittimo, ma accompagnate dall’accertamento costitutivo della legittima

 

disciplina del rapporto; azioni e sentenze di mero accertamento dell’esistenza o della non

esistenza di un rapporto; azioni e sentenze satisfattive della pretesa ” (  MERUSI ).

          La giurisdizione deve essere, quindi, “ satisfattiva ”, il che non può altro significare, in una prospettiva di attenzione e rispetto anche dei principi di diritto europeo, che deve concludersi, per il ricorrente che ha ragione, con l’imposizione all’Amministrazione del

rilascio del provvedimento in termini e contenuto conclusivi, ovvero con la sua formulazione direttamente da parte del giudice. Dovrebbe scomparire, in altri termini, il giudizio “ stop and go ” a tutto vantaggio della P.A. ogni qual volta che venga rimessa nel potere di riprovvedere, ed a tutto svantaggio del ricorrente, vittorioso sì ma al pari di Pirro.

            Consente questa prospettiva sia il principio ( di cui diremo subito in appresso ) della giusta durata del processo, sia la sintonia  col diritto europeo che non asseconda il fenomeno dell’accertamento del diritto per approssimazione successive, sia il rito del silenzio ( art. 31 ), che prevede che il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio sia “ quando si tratta di attività vincolata” , sia  “ quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori ”. Situazione quest’ultima tutta valutabile dal giudice, anche sulla scorta delle allegazioni di parte, situazione, quindi, che può formarsi in corso di giudizio.

           4.1.2-  Centrale è il principio del “ giusto processo ” ( art. 2  c.p.a. ).

           La norma del c.p.a. riproduce l’art. 111 Cost. ( nella versione ex L. cost. n. 2 del 1999 ) secondo cui “ Ogni processo si attua mediante il giusto processo ”. E la stessa norma della Costituzione precisa : “ Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizione di parità, davanti al giudice terzo ed imparziale. La legge assicura la ragionevole durata ”.

          L’art. 2 c.p.a. riproduce i principi contenenti nell’art. 111 Cost., per cui è agevole concordare che sta al di fuori della giurisdizione ogni rito giustiziale che non assicuri la

 

 

compresenza dei principi tutti ora rammentati ( contraddittorio, parità fra le parti, giudice terzo

ed imparziale ).

        Al secondo comma l’art. 2 cit. detta : “ Il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo ” . La norma pone un  principio di cooperazione fra giudice e parti a potenzialità espansiva in quanto la ragionevole durata si attua in una sommatoria di fasi per cui è coniugabile non solo per evitare tempi eccessivi, ma

anche per dare alle parti tempi adeguati alle necessità di difesa.

        Tentiamo di vedere come il “ principio di cooperazione ” può influire nella lettura e nell’applicazione di altre norme del codice.

        Innanzi tutto sulla norma ( art. 60 ), che consente la immediata definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare.

        Tale possibilità, nella precedente identica previsione di cui all’art. 9 L. n. 205 del 2000, aveva portato al singolare, ma sporadico,  orientamento iperveloce secondo cui non occorreva la presentazione della domanda di fissazione per concludere il giudizio già nella fase cautelare a volontà del giudice. Se tale ultimo aspetto è ora del tutto superato atteso che l’art. 55 c.p.a. avverte che “ La domanda cautelare è improcedibile finchè non è presentata l’istanza di fissazione dell’udienza di merito ”, resta di dare contenuto all’inciso “ sentite sul punto le parti costituite ” . Se nel regime della L. n. 205 del 2000 il sentire le parti  poteva essere ridotto ad  un mero rituale, nel senso che il giudice non aveva alcun obbligo in relazione a quanto le parti avessero detto, il principio di cooperazione posto con il codice dà rilievo giuridico all’intervento delle parti sul punto tutte le volte che vengano prospettate esigenze di difesa. Si intende dire, che la ragionevole durata del processo vale anche per il rispetto di tempi minimi a tutela dei diritti di difesa delle parti, con la conseguenza che il dissenso della parte per una sentenza immediata in sede cautelare giustificato con l’esigenza di approntare adeguate difese,

 

 

è un aspetto da risolvere nel quadro del principio di ( leale ) cooperazione che, quanto meno,

porta a dover motivare l’eventuale superamento del dissenso; in alternativa, la  parte dissenziente ha titolo ad avere termini uguali a quelli minimi per la fissazione del giudizio di merito, anche nel caso in cui si mantenga il rito cautelare.

          Il principio di cooperazione, questa volta in senso accelaratorio, potrebbe agire anche in sede di applicazione dell’art. 53 in materia di abbreviazione di termini. Questi se “ su istanza di parte ” possono essere abbreviati “ fino alla metà ”, nulla impedisce che su accordo delle

parti il giudice possa abbreviarli anche al di sotto di tale limite.

         

          5.- Si è inteso prospettare qualche sviluppo che ben può avere il principio di cooperazione nel processo fra giudice e parti, a mero esempio di quanto potrebbe emergere dall’approfondimento di altri principi posti nel codice, in quanto in particolare tale principio di cooperazione appare enunciazione nuova, si potrebbe dire “ di area vasta ”, un principio cioè che, insieme con quello della tutela piena ed effettiva, della parità delle parti e del contraddittorio, dà impronta profonda al giudizio amministrativo nel quale la “ ragionevole durata ” fa  endiadi  con il  “ giusto processo ”.