I riti speciali nel nuovo processo amministrativo[1]
a cura di
Vincenzo Salamone
Presidente della 2^ sezione del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte
Pubblicato sul sito il 17 novembre 2010
Sommario: 1 – Introduzione; 2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei
ricorsi; 3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze
esecutive del giudice amministrativo; 4 - Il giudizio in tema di accesso ai
documenti amministrativi; 5 - Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione; 6 -
Procedimento di ingiunzione; 7 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie; 8 - Il rito
speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici;
9 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche; 10 - Il rito elettorale; 11 - Il rito in materia di ammissione delle liste e
dei candidati; 12 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni,
province, regioni e Parlamento europeo.
1 -
Introduzione.
Sul Supplemento ordinario alla G U. n. 148 del 7
luglio scorso è stato pubblicato il d. l.vo n. 104 del 2 luglio 2010, che, in
attuazione della delega conferita al Governo dall'art. 44 1. n. 69 del
Sul piano sostanziale, il Codice consente di adattare
il tradizionale processo amministrativo, incentrato sul modello impugnatorio,
alla mutata realtà derivante dall’evoluzione normativa nazionale ed europea e
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che, pur nel rispetto delle
necessarie differenze legate al diverso ruolo delle due giurisdizioni, hanno
progressivamente riconosciuto al giudice amministrativo nuovi strumenti di
tutela, analoghi a quelli di cui dispone il giudice ordinario (si pensi alla
tutela cautelare ante causam, alla consulenza tecnica d’ufficio, alla prova per
testi, o ancora all’azione risarcitoria o all’opposizione di terzo), la cui
concreta attuazione non poteva, tuttavia ancora una volta essere lasciata alla
libera interpretazione e non può, quindi, prescindere da un quadro normativo
chiaro e definito, quale il Codice indubitabilmente offre.
La delega conferita al
Governo dall'art. 44 1. n. 69 del 2009 consentiva di adottare, entro un anno
dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per
il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al
Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza
della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con
le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi
generali e di assicurare la concentrazione delle tutele.
La delega, con riguardo ai
riti speciali, contiene i seguenti obiettivi e limiti:“ c) procedere alla revisione e razionalizzazione dei riti speciali, e
delle materie cui essi si applicano, fatti salvi quelli previsti dalle norme di
attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige”.
Il Codice è articolato in cinque libri, recanti,
rispettivamente:
-
le disposizioni
di carattere generale:
-
la disciplina del
processo di primo grado;
-
la disciplina
delle impugnazioni;
-
la disciplina
dell’ottemperanza e dei riti speciali;
-
le disposizioni
finali.
2 - Udienza e
camera di consiglio di discussione dei ricorsi.
Il processo amministrativo
si svolge con due modalità:
- in pubblica udienza (di
regola con sanzione di nullità);
- con procedimenti in camera
di consiglio.
I procedimenti in camera di consiglio si possono svolgere
esclusivamente nei casi previsti dalla legge ed in particolare dal comma 2
dell'articolo 87.
La casistica prevista da
quest'ultima norma ricomprende:
a) i giudizi cautelari e
quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali;
b) il giudizio in materia di
silenzio;
c) il giudizio in materia di
accesso ai documenti amministrativi;
d) i giudizi di
ottemperanza;
e) il giudizio in
opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del
giudizio.
L'eccezionalità del procedimenti in camera di consiglio comporta che lo
svolgimento del processo con modalità diverse dal udienza pubblica al di fuori
dei casi espressamente previsti dalla legge è sanzionato con la nullità degli
atti processuali compiuti, ivi compresi i provvedimenti giurisdizionali
adottati.
Invece la trattazione in
pubblica udienza di riti che si dovrebbero svolgere con i procedimenti in
camera di consiglio non comporta alcun profilo di validità degli atti (articolo
87 comma 4).
L'articolo 73 del codice
disciplina gli adempimenti delle parti
relative alla fase anteriore allo svolgimento dell'udienza pubblica.
L'aspetto più saliente è
costituito da un incremento dei termini per il deposito di atti memorie e
repliche.
Le parti, infatti, possono:
- produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza,
- memorie fino a trenta giorni liberi;
- presentare repliche fino a venti giorni liberi.
Particolarmente innovativa è
la norma che introduce la possibilità di produrre memorie di replica; facoltà
che presuppone l'avvenuto deposito di memorie nel termine di 20 giorni liberi
prima dell'udienza.
La memoria di replica è
destinata esclusivamente a illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente
svolte con l'atto di costituzione e a confutare le tesi avversarie.
Con tale atto, pertanto, non
è possibile specificare o integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie
argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con
il ricorso, e, tanto, meno a dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove
questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della
controparte, in considerazione della esigenza per quest'ultima di valersi di un
congruo termine per esercitare la facoltà di replica.
Giova ricordare che
precedentemente all'entrata in vigore del codice il termine per il deposito
delle memorie era di giorni 10 e quello di deposito degli atti di 20 giorni.
Nei riti di cui sopra, che
si svolgono con il procedimento in
camera di consiglio tutti i termini
processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne
quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e
dei motivi aggiunti.
Le parti, infatti, possono:
- produrre documenti fino a venti giorni liberi prima
dell'udienza,
- memorie fino a quindici giorni liberi;
- presentare repliche fino a dieci giorni liberi.
La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza camerale
utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di
costituzione delle parti intimate (30 giorni dall'effettuazione dell'ultima
notifica, intesa come data di ricezione da parte del destinatario.
L'automatismo nella fissazione della camera di consiglio (prima udienza
utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di
costituzione delle parti) comporta che se rispettato non sussiste l'obbligo di
notifica dell'avviso di fissazione della camera di consiglio, che, altrimenti,
va notificato alle parti costituite almeno 30 giorni liberi prima
Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno
richiesta.
La norma non riguarda i termini relativi ai procedimenti cautelari
trattati in camera di consiglio che seguono le regole previste dagli articoli
55 e seguenti del codice.
3 - Il
giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice
amministrativo.
Il Codice disciplina, agli artt. 112, 113, 114 e 115,
il giudizio di ottemperanza, unificando la disciplina del giudizio di
ottemperanza:
-
delle sentenze
passate in giudicato;
-
delle sentenze di
primo grado e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;
-
dei provvedimenti
equiparati alle sentenze passate in giudicato per i quali non sia previsto il
rimedio dell’ottemperanza (ivi espressamente compresi i lodi arbitrali esecutivi
divenuti inoppugnabili)[2].
Per costante giurisprudenza
il giudizio di ottemperanza può essere instaurato per sancire l’obbligo
dell’Amministrazione di conformarsi non solo al giudicato, ma ad ogni
provvedimento giurisdizionale - sia del giudice ordinario (o di altro giudice
diverso dall’amministrativo), sia dello stesso giudice amministrativo -
assistito da stabilità, purché tale provvedimento definisca un determinato
giudizio.
Si ritiene, pertanto, ammissibile
il ricorso per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione all'ordinanza di
assegnazione di un credito vantato nei confronti di quest'ultima, emessa dal
giudice dell'esecuzione nella procedura di pignoramento presso terzi a seguito
di positiva dichiarazione dell'amministrazione ai sensi dell'art. 547 c.p.c.,
in quanto tale ordinanza, non revocabile dal giudice della esecuzione né
reclamabile, si consolida se non impugnata dai soggetti che intervengono nella
procedura con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nel termine e
acquisisce, quindi, quel carattere di definitivà che consente di agire in ottemperanza[3].
L'oggetto del giudizio di esecuzione (anche nella particolare forma del
ricorso per l'esecuzione delle ordinanze cautelari del G.A.) è rappresentato
dalla puntuale verifica dell'esatto adempimento da parte dell'Amministrazione
dell'obbligo di conformarsi al decisum per far conseguire all'interessato
l'utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione.
L’attività di verifica, che deve essere condotta nell'ambito dello stesso
quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della
pronuncia di cui si chiede l'esecuzione, comporta da parte del giudice
dell'ottemperanza una attività di interpretazione del giudicato, al fine di
enucleare e precisare il contenuto del comando.
L’art. 115 disciplina la
natura del titolo esecutivo ed il rilascio di estratto del provvedimento
giurisdizionale con formula esecutiva
Le pronunce del giudice
amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di
parte, in forma esecutiva.
I provvedimenti emessi dal giudice
amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro costituiscono
titolo anche per l'esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice
di procedura civile e per l'iscrizione di ipoteca.
Ai fini del giudizio di
ottemperanza non è necessaria l'apposizione della formula esecutiva.
Per
garantire il principio del contraddittorio, è espressamente prescritta la
notificazione del ricorso per ottemperanza prima del suo deposito, mentre non è
più richiesta la previa diffida e messa in mora dell’Amministrazione
inadempiente[4].
Viene ribadita la tradizionale natura “mista” del giudizio di ottemperanza, che non è pura
esecuzione, ma presenta momenti di cognizione, conseguentemente si è previsto:
- la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione,
ma anche tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo
della cui ottemperanza si tratta;
- la concentrazione nell’ambito del giudizio di
ottemperanza di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia processuale.
Confluiscono necessariamente nel giudizio di
ottemperanza:
-
tutte le questioni
di inesecuzione, elusione, violazione del giudicato;
-
tutte le
questioni che insorgono nel corso del giudizio a seguito degli atti del
commissario ad acta, il cui sindacato viene espressamente affidato allo stesso
giudice dell’ottemperanza;
-
l’azione di risarcimento
non solo dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, ma anche
di quelli causati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo (nell’ultimo
caso, però, svolgendosi il giudizio di ottemperanza nelle forme, modi e termini
del processo ordinario in udienza pubblica e non in camera di consiglio).
Un’importante
novità è costituita dalla previsione della possibilità di promuovere il
giudizio di ottemperanza anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle
modalità di ottemperanza.
In tal caso la legittimazione attiva spetta: sia alle
parti private, che alla pubblica amministrazione tenuta all’ottemperanza,
nonché al commissario ad acta.
L’art. 112 afferma il principio di effettività della tutela
giurisdizionale secondo cui i provvedimenti del giudice amministrativo (e degli
altri giudici della Repubblica) devono
essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.
Lo strumento per ottenere
l’esecuzione è l'azione di ottemperanza, che può essere proposta, come sopra rilevato, per
conseguire l'attuazione:
a) delle sentenze del
giudice amministrativo passate in giudicato;
b) delle sentenze esecutive
e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;
c) delle sentenze passate in
giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario,
al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione
di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;
d) delle sentenze passate in
giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia
previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento
dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;
e) dei lodi arbitrali
esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo
della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso
deciso, al giudicato.
In sede di giudizio di ottemperanza
il giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i
presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può,
conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con
statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso
stretto, dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva.
La sentenza di annullamento
del giudice amministrativo, oltre al c.d. effetto demolitorio dell'atto
impugnato, produce, di norma, i c.d. effetti ripristinatori e conformativi.
L'effetto conformativo
vincola la successiva attività dell'Amministrazione nella riadozione, ove
necessaria per assicurare gli effetti satisfattivi della sentenza, del
provvedimento annullato, ovvero nell'adozione delle ulteriori attività
strettamente consequenziali e strumentali alla completa attuazione della regola
alla quale l'amministrazione si deve attenere nella sua attività futura.
L'effetto ripristinatorio comporta
la vanificazione degli effetti dell'atto annullato e cioè l'adeguamento
dell'assetto di interessi, esistente prima della pronuncia giurisdizionale e
venuto in vita sulla base dell'atto impugnato, alla situazione giuridica
prodotta dalla stessa pronuncia di merito.
Così, ad esempio,
l'annullamento di un atto di esclusione da un concorso, di un'espropriazione,
di un licenziamento comporta il ripristino della condizione di concorrente, la
restituzione del bene espropriato, la riammissione in servizio del dipendente;
del pari, l'annullamento del diniego di un provvedimento di inquadramento
comporta la creazione di una situazione quanto più possibile identica a quella
che si sarebbe avuta in mancanza di diniego e, quindi, non solo la collocazione
ora per allora nella posizione in cui si sarebbe trovato il cittadino in
assenza del rigetto della sua istanza, ma anche il pagamento delle retribuzioni
non pagate che egli avrebbe percepito a fronte di un comportamento legittimo e tempestivo della
p.a..
Questo ulteriore effetto
ripristinatorio della pronuncia di merito ha la sua legittimazione normativa
non solo nel precetto costituzionale dell'effettività del diritto di difesa, ma
adesso nell’art. 112 c. 1 e nell’art. 88. c. 2 lett.f) del codice e prima
nell'art. 65, n. 5 del regolamento di procedura di cui al R. D. n. 642 del
1907, il quale prescriveva che nella sentenza sia incluso "l'ordine che la
decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa", ed è giustificato
dalla stessa funzione dell'annullamento e dalla esigenza di assicurarne in
tempi rapidi l'utilità concreta e sostanziale.
Sarebbe del tutto inutile
per l'interesse che sottende l'esercizio dell'azione, infatti, annullare un
provvedimento ove la pronuncia caducatoria non fosse accompagnata dall'obbligo
dell'Amministrazione di ripristinare la situazione di fatto o di diritto
esistente prima del provvedimento impugnato ovvero di riadottare tutti i
provvedimenti occorrenti per completare la situazione di fatto e di diritto che
si sarebbe creata senza l'indebita interposizione dell'atto illegittimo.
Il privato, infatti, è
interessato alla caducazione dell'atto solo in via mediata, come strumento
processuale per conseguire il bene sostanziale della vita indebitamente
sottrattogli dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo.
L'obbligo di ripristino
della situazione o riadozione del provvedimento, del resto, trova ragione
nell'esigenza di riequilibrare gli effetti prodotti dal provvedimento prima del
suo annullamento.
Tali effetti non possono mantenersi, perché altrimenti sarebbe contraddetta
l'efficacia ex tunc dell'eliminazione del provvedimento annullato.
L'effetto ripristinatorio è,
quindi, una diretta conseguenza della caducazione del provvedimento e rientra a
pieno titolo nei doveri di esecuzione che gravano sulla p.a. in conseguenza
della sentenza di annullamento[5].
Se è vero che
l'Amministrazione rimane titolare del potere di provvedere anche tardivamente,
dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, è anche vero che all'atto di
insediamento del commissario ad acta ovvero con la redazione del verbale di
immissione del commissario nelle funzioni amministrative e con la sua presa di
contatto con l'Amministrazione, si verifica un definitivo trasferimento dei
poteri, rimanendo precluso all'Amministrazione ogni margine di ulteriore
intervento[6].
Nell’ambito del giudizio di
ottemperanza può essere proposta anche
azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi
maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza (anche del giudice
ordinario) nonché azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata
esecuzione, violazione o elusione del giudicato.
La domanda finalizzata ad ottenere la liquidazione degli interessi e
della rivalutazione monetaria può essere formulata per la prima volta nel
giudizio di ottemperanza, costituendo uno degli strumenti di determinazione del
petitum originario, trattandosi di accessori che afferiscono alla somma
capitale e ne costituiscono un naturale elemento.
Nel processo di ottemperanza può essere, altresì,
proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all'articolo 30, comma 5, nel
termine ivi stabilito, per cui nel caso in cui sia stata proposta azione di
annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del
giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della
relativa sentenza.
In tal caso il giudizio di
ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo
ordinario.
Il ricorso per ottemperanza
può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità
di ottemperanza.
Con riguardo alla competenza
l’art. 113 ribadisce la disciplina previgente per cui il ricorso si propone,
nel caso di sentenze e provvedimenti del giudice amministrativo prevista cui
all'articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il
provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è del tribunale
amministrativo regionale.
Detta competenza non subisce
deroghe nemmeno per ottemperanza dei provvedimenti confermati in appello con
motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei
provvedimenti di primo grado.
Nei casi di cui all'articolo
112, comma 2, lettere c), d) ed e) (sente del giudice ordinario, di altre
giurisdizioni e dei lodi arbitrali), il ricorso si propone al tribunale
amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha
emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza.
Quanto al procedimento
l’art. 114 dispone che l'azione si propone, anche senza previa diffida, con
ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del
giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta.
Derivando dal giudicato posizioni di diritto soggettivo; l'azione non è
soggetta a termini decadenziali ma è soggetta a prescrizione, infatti l’azione
si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della
sentenza (artt. 2909, 2934 e 2946 Cod. civ.)[7].
I principi sulla
effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della
Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, direttamente applicabili nel sistema nazionale, impongono agli Stati
di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the
domestic remedies must be effective’.
Pertanto, in
relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il
giudice amministrativo deve adottare tutte le misure che diano effettiva tutela
al ricorrente la cui pretesa risulti fondata.
Ne consegue che
il giudice può accogliere un ricorso per ottemperanza proposto da una pubblica
amministrazione nei confronti di soggetti privati con una sentenza di condanna
idonea a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474
del codice di procedura civile[8].
Quanto alla prova la parte
ricorrente è tenuta ad allegare al ricorso copia autentica della sentenza (o
del provvedimento) di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del
suo passaggio in giudicato.
Inoltre è onere del ricorrente
denunciare, con pertinenti e documentate censure, i vizi che inficiano l'azione
amministrativa, non potendo la sua contestazione esaurirsi in una generica
dichiarazione d'insoddisfazione per il risultato raggiunto, rispetto a quello
che si prefigurava di conseguire.
Pertanto, nel caso di
sentenza di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di
denaro, è onere del ricorrente, una volta in possesso del prospetto contenente
i conteggi eseguiti dall'amministrazione, indicare le omissioni ovvero gli
errori di calcolo che sarebbero stati commessi in suo danno dagli uffici, onde
porre il giudice adito in condizione di verificare, attraverso il raffronto tra
i prospetti elaborati dalle parti in causa, se il giudicato è stato
effettivamente eseguito solo in parte".
Il giudice decide:
- con sentenza in forma
semplificata prevista dall’articolo
74 del codice, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al
punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un
precedente conforme;
-
con ordinanza se è chiesta
l'esecuzione di un'ordinanza.
Il giudice, in caso di
accoglimento del ricorso:
a) ordina l'ottemperanza,
prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del
contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo
dell'amministrazione;
b) dichiara nulli gli
eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
c) nel caso di ottemperanza
di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le
modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o
elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne
derivano;
d) nomina, ove occorra, un
commissario ad acta;
e) salvo che ciò sia
manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su
richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione
del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.
Ausiliario del giudice è il commissario ad acta, disciplinato dall'articolo 21.
Nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice
amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, può nominare come
proprio ausiliario un commissario ad acta.
Il commissario ad acta va considerato organo
ausiliario del giudice, giacché i suoi poteri non derivano dalla Pubblica
amministrazione, ma da una sorta di atto di delega da parte del giudice
dell'ottemperanza; di conseguenza, in quanto organo ausiliario del giudice, al
pari di un perito o di un interprete, egli è organo giurisdizionale e i suoi
atti, i quali non possono che ritenersi atti giurisdizionali, sono impugnabili
con reclamo al giudice dell'ottemperanza in base al principio generale secondo
il quale l'organo legittimato ad avere cognizione degli incidenti verificatisi
in sede esecutiva è lo stesso deputato a dirigere l'esecuzione.
Il giudice dell'ottemperanza, fin quando
non sia stato soddisfatto l'interesse del ricorrente all'adempimento del
giudicato da parte dell'amministrazione, può sempre integrare o mutare le
misure svolte a soddisfare tale diritto del ricorrente all'adempimento del
giudicato, e, qualora la misura assunta dal giudice di primo grado abbia anche
in parte natura cognitoria, avverso la relativa pronuncia è ammesso ricorso in
appello; pertanto il giudice dell'ottemperanza può autorizzare il commissario
"ad acta " ad avvalersi di un collaboratore, come è legittimo che
quest'ultimo autonomamente scelga di avvalersi di un collaboratore, anche se
questa scelta, qualora assuma un rilievo esterno, deve essere vagliata dal
giudice dell'ottemperanza.
Il termine assegnato dal giudice al commissario ad
acta per dare concreta attuazione al giudicato non è perentorio e la sua
inutile scadenza non determina alcuna decadenza dei poteri commissariali, il
che è coerente con la stessa natura e funzione del commissario ad acta, quale
organo ausiliario del giudice la cui attività è necessaria, a causa
dell'inerzia dell'Amministrazione, per rendere effettiva la tutela
giurisdizionale e cioè far conseguire all'interessato il bene della vita già
definitivamente riconosciutogli in sede cognitoria, cessando quindi soltanto
con la piena ed integrale attuazione del comando contenuto nella sentenza
ottemperanda.
Anche al commissario ad acta trova applicazione la
disciplina della ricusazione.
Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta
ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.
Dal momento che il ricorso per
ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in
ordine alle modalità di ottemperanza, il giudice fornisce chiarimenti in ordine
alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.
In difetto di una specifica
disciplina si applicano le modalità ordinarie per la proposizione del ricorso
per ottemperanza.
Le disposizioni sopra illustrate si applicano anche alle impugnazioni
avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza
I termini per la
proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III per le
impugnazioni in generale.
Pur tuttavia non è ammissibile, ostandovi
il generale principio del ne bis in idem, la sostanziale riproposizione di
un'istanza di esatta esecuzione del giudicato già proposta e conclusasi con una
sentenza del Giudice amministrativo con cui si stabilisce che l'operato
dell'Amministrazione intimata successivo al passaggio in giudicato della
sentenza da ottemperare non concreti in alcun modo profili di inottemperanza
nei confronti del decisum di cui alla sentenza stessa.
4 - Il
giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi.
La
disciplina sostanziale del diritto di accesso costituisce una filiazione del
principio di trasparenza dell’azione amministrativa, che è venuto ad affiancare
il principio di imparzialità e quello di buon andamento fissati dall’art. 97
Cost.
La
legge n. 241 del 1990 sancisce il principio di pubblicità dell’azione
amministrativa, che trova nell’art. 1 un espresso riferimento, riferimento di
rango primario, ma non particolarmente significativo.
Principio
che oggi
Quindi
un riconoscimento a livello costituzionale, che va al di là del riconoscimento
dato a questo principio a livello primario dalla legge n. 241 del 1990.
Il
riferimento da parte della Corte costituzionale agli artt. 24 e 113 Cost.
consente di cogliere il principio di pubblicità non solo nel suo aspetto
statico, cioè di cogliere il modo in cui
Gli artt.
22 e ss. della legge n. 241 del 1990, subiscono una prima sistemazione con
La l.
n. 15 del 2005 ha dato una serie di definizioni di diritto di accesso,
interessato, controinteressato, documento amministrativo e p.a.
La definizione
di interessato è relativa al soggetto
privato, compreso quello portatore di interesse pubblico diffuso, che abbia un
interesse diretto concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Controinteressato è il soggetto,
individuato o facilmente individuabile in base alla natura del documento
richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto
alla riservatezza.
La
nozione di documento amministrativo
è identica a quella precedentemente contenuta nella 241/90.
L’art.
22 detta una definizione di documento
amministrativo che attiene ad ogni documento, ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico provvedimento,
detenuti da una p.a. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente
dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
La legge
afferma il principio della neutralità
della forma perché dice “indipendentemente dalla natura pubblicistica o
privatistica della loro disciplina sostanziale”, principio che si affianca a
quello della neutralità della forma giuridica dell’ente che detiene l’atto.
L’art.
22 attribuisce contenuto alla la nozione di p.a., ricomprendendovi tutti i
soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, limitatamente
alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o
comunitario.
L’art.
22 della l. 241del 90, come modificato dalla l. n. 15 del 2005, prevede che
l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico
interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa e,
continua la norma, attiene ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, 2 comma, lettera m) cost,
cioè la norma che consente allo Stato di stabilire normative, anche nell’ambito
delle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, quando si tratta
appunto di disciplinare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali.
Si discute se il diritto d’accesso sia un
interesse legittimo o sia un diritto soggettivo.
Il diritto
d'accesso è ricostruibile quale situazione di
diritto soggettivo, e ciò sia in base alla sua formale definizione come
tale, che per i chiari profili della sua concreta disciplina, quali, in
particolare:
1) la mancanza
di discrezionalità per le amministrazioni, verificati i presupposti per
l'accesso, nell'adempiere alla pretesa del soggetto privato di prender visione
ed estrarre copia dei documenti amministrativi;
2) la non
necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico
procedimento;
3) la
devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale
giudizio si concluda con l'ordine di un facere per l'amministrazione.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la
decisione n. 7 del
Il "diritto
di accesso ai documenti amministrativi” (indipendentemente dalla sua
qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo) è una situazione
giuridica positiva dal carattere essenzialmente strumentale, come dimostrato dalla circostanza che la legge stabilisce un termine di
decadenza (30 giorni dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla
formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi.
Di conseguenza, il carattere decadenziale del termine reca in sé che la
mancata impugnazione del diniego nel termine non consente né la reiterabilità
dell'istanza né l'impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa
riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.
E’ ammissibile reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla
stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati
nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione
dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante
all'accesso; in tal caso, l'originario diniego, da intendere sempre “rebus sic
stantibus”, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo
nella successiva vicenda procedimentale e processuale.
Il novellato
art. 22 (L. 15 del 2005) dispone che possono chiedere l’accesso tutti i
soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale è richiesto
l’accesso.
L’interesse
non può essere la generica esigenza al buon andamento della p.a. del cittadino,
ma deve esserci un rapporto di strumentalità tra l’interesse e il documento;
d’altra parte la legittimazione attiva all’accesso non coincide con la
legittimazione processuale.
L'art. 22 l. n. 241 del
1990, considera documento amministrativo, suscettibile, in quanto tale, di
essere oggetto di "actio ad exhibendum", "ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o,
comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa".
Nel concetto ampio di
documento amministrativo, che può formare oggetto d'accesso, rientrano pure gli
atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di
diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici
affidati alla cura della stessa p.a.
Poiché, ai sensi dell'art. 22 comma 4, l. n. 241 del 1990, non sono
accessibili le informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non
abbiano, forma di documento amministrativo, e, per l’art. 2, comma 2, D.P.R. n.
184 del 2006, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti
amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta, e la
Pubblica Amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine
di soddisfare le richieste di accesso, l'Amministrazione dovrà rilasciare al
richiedente copia di tutti i documenti limiti in cui essi non comportino una
elaborazione di dati.
L’accesso
si consente mediante visione del documento ed estrazione di copia.
La
precedente formulazione della norma (art. 22) prevedeva che il diritto si
esercitasse mediante visione o estrazione di copia, la nuova invece di dire o dice e, il che fa ritenere venuta
meno la possibilità di limitare il diritto d’accesso alla sola visione.
L’art. 116 disciplina il
rito dell’accesso ai documenti, prevedendo che contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso
ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla
conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio,
mediante notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.
Sussiste, a pena di inammissibilità, l'obbligo di notifica del ricorso
volto ad impugnare il diniego di accesso agli atti ad almeno uno dei
controinteressati, individuabili in coloro che dalla conoscenza dei documenti
richiesti possano subire un pregiudizio alla propria sfera di riservatezza o in
coloro cui si riferiscono i documenti oggetto dell'istanza di accesso.
La posizione processuale del controinteressato nel giudizio speciale di
cui all'art.
Si applica anche al rito
dell’accesso l'articolo 49 per cui quando il ricorso sia stato proposto solo
contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina
l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri e le altre
disposizioni relative agli effetti della disposizione di integrazione del
contraddittorio.
In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, la
pretesa all’accesso può essere esercitata con istanza depositata presso la
segreteria del giudice competente a decidere il ricorso principale, previa
notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.
Non è, pertanto, sufficiente
una richiesta istruttoria contenuta in ricorso o memoria (che può comunque
preludere ad una attività istruttoria con ordinanza presidenziale e/o
collegiale).
L'istanza di accesso infraprocessuale
è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la
sentenza che definisce il giudizio.
Viene ribadita la disposizione che consente all’amministrazione di
essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, in
parallelo a quella che consente la difesa in giudizio delle parti private senza
necessità di assistenza tecnica (art. 23).
Al di fuori di quei casi nei
quali si provvede con ordinanza (per connessione della domanda di accesso con
un giudizio già promosso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
In caso di accoglimento del
ricorso:
- ordina l'esibizione dei
documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni;
- detta, ove occorra, le
relative modalità e quindi potrà nominare per gli adempimenti sostitutivi, in
caso di protrarsi dell’inerzia, un commissario ad acta, al quale trovano
applicazione le norme in tema di ottemperanza di cui sopra.
Le disposizioni di cui sopra contenute all’articolo 116 si applicano
anche ai giudizi di impugnazione.
5 - Il
giudizio sul silenzio dell’Amministrazione.
Il codice del processo opera una ricostruzione
sistematica delle azioni proponibili.
Con riferimento alle azioni, la versione finale del
Codice (semplificata, in questa parte, rispetto allo Schema originario
approvato dalla Commissione), all’art. 31, commi 1, 2, 3, disciplina in modo specifico l’azione avverso il silenzio
(proponibile fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del
termine di conclusione del procedimento), con l’introduzione del limite
alla pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando
si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti
istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
L’art. 117 disciplina il rito
del giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio.
Dopo le
modifiche apportate all'istituto del giudizio avverso il silenzio
dell'amministrazione dall'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034,
introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, sul piano
sostanziale, detto giudizio così definito si collega al "dovere"
delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante
l'adozione di un provvedimento espresso nei casi in cui esso consegua
obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, come
prescrive l'art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241.
Il dovere dell'amministrazione di
provvedere sull'istanza del privato non può essere desunto dall'esistenza di un
sistema processuale strutturato per rimuovere l'inerzia dell'amministrazione ad
esercitare i poteri a lei attribuiti dalla legge, ma deve preesistere sul piano
sostanziale, nel senso che deve trovare fondamento in una norma che impone
direttamente o indirettamente all'amministrazione di adottare il provvedimento
nell'interesse del privato richiedente.
L’art. 117
c.p.a. e l’art. 2 l. n. 241 del 1990 si pongono in un rapporto di reciproco
completamento, in coerenza con il principio del buon andamento della p.a. e con
quello, rilevante anche per la convenzione Europea per i diritti dell’uomo, di
effettività del rimedio di giustizia amministrativa, previsto dall’ordinamento
nazionale.
Ciò comporta che l’interesse all’impugnazione del silenzio non viene meno
per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque
interno, dovendosi verificare se sia stato emesso un provvedimento che, senza
configurare un arresto del procedimento, corrisponda nel suo contenuto a quello
tipico previsto dalla legge, sia pure non satisfattivo.
Il ricorso previsto dall’art. 117 cpa è finalizzato ad accertare la
legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione all’obbligo
di conclusione del procedimento amministrativo imposto dall’art. 2 l. 7 agosto
1990 n. 241, con un provvedimento espresso, impugnabile, qualora l’interessato
lo ritenga lesivo della propria sfera giuridica.
Il rimedio non è, quindi, azionabile a fini meramente conoscitivi, anche
in relazione al fatto che l’interessato può rivolgersi direttamente al giudice
ordinario per ottenere la tutela del proprio diritto di credito, per adire il
quale non occorre neppure l’intermediazione di un provvedimento
dell’amministrazione.
Si ribadisce che il ricorso va proposto, anche senza previa diffida,
allo scadere del termine assegnato all’Amministrazione per provvedere ai sensi
dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e va notificato all'amministrazione e ad almeno un
controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, comma 2, fintanto che
perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del
termine di conclusione del procedimento.
Nel computo del termine di
un anno previsto dall'art. 2 comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, in tema di
silenzio, non va compresa la sospensione feriale dei termini, giacché tale
termine ha natura non processuale ma sostanziale.
È fatta salva la
riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i
presupposti.
Il ricorso è deciso con
sentenza in forma semplificata e, in caso di totale o parziale accoglimento, il
giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non
superiore, di norma, a trenta giorni.
Il giudice, in caso di
persistente inerzia dell’amministrazione nomina un commissario ad acta con la
sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte
interessata e conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del
provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario.
La possibilità
di pronunciarsi sulla fondatezza dell'istanza ai sensi dell'art. 2 comma 5, l.
n. 241 del 1990, non è obbligatoria (“il giudice amministrativo può conoscere
della fondatezza dell'istanza”) e deve ritenersi limitata ai casi in cui venga
in rilievo un'attività interamente vincolata della p.a., che non postuli
accertamenti valutativi complessi e sempre che non sia prevalente il profilo
concernente la sussistenza dell'obbligo della P.A. di emettere una pronuncia
esplicita sull'istanza del privato. Infatti, se, nel giudizio sul
silenzio-rifiuto, si riconoscesse al giudice amministrativo il potere di
pronunciarsi in ogni caso sulla fondatezza della pretesa fatta valere, quindi,
anche nei casi di esercizio della potestà discrezionale o nei casi in cui
l'attività vincolata comporti valutazioni complesse, si finirebbe per ammettere
una completa sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione, in
contrasto sia con i principi generali riguardanti i poteri del giudice
amministrativo sia con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della
decisione che deve definirlo e che deve essere succintamente motivata, così
come prescrive il legislatore .
Se nel corso del giudizio
sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della
controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei
termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio
prosegue con tale rito[10].
Se l'azione di risarcimento
del danno è proposta congiuntamente a quella di cui al silenzio articolo, il
giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e
trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
Giova ricordare che per il
risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in
conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento, il termine decadenziale di 120 giorni per proporre l’azione risarcitoria
non decorre fintanto che perdura l'inadempimento.
Il termine predetto inizia,
comunque, a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.
6 -
Procedimento di ingiunzione.
L’art. 118 disciplina il
procedimento del decreto ingiuntivo nelle controversie devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti
soggettivi di natura patrimoniale.
Il codice di limita a
rinviare dinamicamente al Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di
procedura civile.
Per l'ingiunzione è
competente il presidente o un magistrato da lui delegato e l’opposizione si
propone con ricorso.
Nella fase di cognizione
aperta con l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, il giudice non può
limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma
deve procedere a una autonoma valutazione di tutti gli elementi probatori,
offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa
dedotta con il ricorso per l'ingiunzione sia dall'opponente per contestare tale
pretesa.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia, nel
procedimento davanti al G.A. introdotto dall'art.
Di conseguenza dal rinvio
contemplato da tale disposizione alla disciplina dettata dal citato capo del codice
di rito, trova applicazione anche il combinato disposto degli articoli 641 e
647 c.p.c., per cui il termine
perentorio per proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo è determinato, in
difetto di diversa indicazione, in quaranta giorni dalla notifica del decreto.
Tuttavia, l'opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi
al giudice amministrativo non si propone nelle forme previste dall'articolo 645
c.p.c. - ossia "con atto di citazione notificato al ricorrente",
bensì, per espressa previsione del codice, "con ricorso",
rinviandosi, pertanto, alla disciplina del processo amministrativo, che
prescrive, oltre alla notifica del ricorso all'Amministrazione resistente ed ad
almeno uno dei soggetti controinteressati, anche il successivo deposito del ricorso
medesimo presso
E’ apparso dubbio se, al
fine in esame, sia necessaria la compiuta instaurazione del rapporto
processuale amministrativo - che si ha solo con il deposito del ricorso
notificato nella segreteria del giudice amministrativo - o sia piuttosto
sufficiente la semplice notificazione del ricorso.
In relazione alla
particolare natura del termine previsto per la proposizione del ricorso a
decreto ingiuntivo e tenuto conto degli specifici effetti che comunque sono
ricollegati alla notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo, si ritiene che soltanto la notificazione
del ricorso debba avere luogo nel termine di quaranta giorni, mentre il
successivo deposito va effettuato nell'osservanza degli ordinari termini processuali.
Il mancato rispetto del termine per la proposizione dell'opposizione a
decreto ingiuntivo determina, infatti, la definitiva esecutività del decreto,
ossia una situazione processuale assimilabile alla formazione della cosa
giudicata.
Possono, quindi, applicarsi
in via analogica alla fattispecie in esame i principi generali del processo
amministrativo che concernono i termini processuali per la contestazione delle
decisioni suscettibili di passare in giudicato, ed in particolare il principio
per cui l'impugnazione è tempestiva qualora la notificazione del ricorso
avvenga entro il relativo termine decadenziale, mentre il deposito dell'atto
notificato può avere luogo anche in un momento successivo (purché nel rispetto
dello specifico termine previsto per l'adempimento di tale incombente).
Tale principio si ritiene
applicabile anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, attesane
l'identità di ratio rispetto alle sopraindicate previsioni e nonostante detto
procedimento debba considerarsi un ordinario giudizio di cognizione, anziché un
mezzo d'impugnazione (Consiglio Stato , sez. V, 28
maggio 2010 , n. 3404).
Il decreto ingiuntivo non
opposto definisce la controversia, al pari della sentenza passata in giudicato,
ed ha quindi valore di cosa giudicata agli effetti della proposizione del
ricorso per ottemperanza contemplato dall'art. 27, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054.
7 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie
Una particolare importanza assumono nel codice le
disposizioni che riprendono e in parte riscrivono le regole del rito speciale
in materia di appalti pubblici, recentemente introdotte dal d. lgs. n. 53 del
2010.
Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il
Codice prevede l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti del rito
accelerato ordinario disciplinato dall’art. 119, con la sola eccezione dei
termini per la notificazione del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti
(tanto contro provvedimenti già impugnati, quanto contro provvedimenti nuovi),
che viene, eccezionalmente, fissato in trenta giorni contro i sessanta ordinari
espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito accelerato “comune a particolari
materie”.
Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si
segnalano, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 23 bis della legge n.
1034 del 1971, i nuovi termini per l’impugnazione delle sentenze (con
l’espressa precisazione dell’irrilevanza della omessa impugnazione del
dispositivo ai fini della successiva richiesta di sospensione) e l’espressa
indicazione dei termini di appello delle ordinanze, nonché la modifica dei
presupposti per la concessione delle misure cautelari e l’abolizione dei termini
di deposito delle memorie e dei documenti a decorrere dall’ordinanza che fissa
il merito e la necessità di un’espressa richiesta per la pubblicazione del
dispositivo (non operante per il contenzioso appalti).
L’art. 119 del codice
sostituisce l’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, disciplinando il rito
abbreviato comune a determinate materie
Le disposizioni si applicano
nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a:
a) i provvedimenti
concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e
forniture, salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti;
b) i provvedimenti adottati
dalle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi
al rapporto di servizio con i propri dipendenti;
c) i provvedimenti relativi
alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici,
nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di
società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali;
d) i provvedimenti di
nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri;
e) i provvedimenti di
scioglimento di enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il
funzionamento degli organi;
f) i provvedimenti relativi
alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate
all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di
espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà
industriale;
g) i provvedimenti del
Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive;
h) le ordinanze adottate in
tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti
commissariali (protezione civile nazionale);
i) il rapporto di lavoro del
personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell'articolo
22, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (AISI, AISE e DIS);
l) le controversie comunque
attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in
materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge
7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile
2003, n. 55, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da
fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali
termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad
infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di
trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;
m) i provvedimenti della
commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di
protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di
protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia.
Una peculiarità di detto rito è che tutti i termini processuali
ordinari sono dimezzati.
Fanno eccezione al dimezzamento, nei giudizi di primo grado, i termini per
la notificazione:
- del ricorso introduttivo;
- del ricorso incidentale;
- dei motivi aggiunti.
Non si dimezzano i termini di cui all'articolo 62, comma 1, per
l’impugnazione delle ordinanze cautelari
per cui è ammesso appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di
trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza, ovvero di sessanta giorni
dalla sua pubblicazione.
Si dimezzano, invece, i
termini per il deposito del ricorso (principale ed incidentale) e dei motivi
aggiunti.
Come ormai pacificamente e
unanimemente ritenuto in giurisprudenza, il dimezzamento dei termini di cui sopra
(precedentemente previsto dall’art. 23-bis l. TAR e ribadito dal codice si
applica anche al termine di deposito dell'appello (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl.,
31 maggio 2002, n. 5; Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, n.. 389).
La dimidiazione dei termini processuali prevista adesso dall’art. 119 concerne
solo l'impugnazione di atti amministrativi e non i giudizi risarcitori
Salva la pronuncia di
sentenza in forma semplificata, il tribunale amministrativo regionale chiamato
a pronunciare sulla domanda cautelare:
- accerta la completezza del
contraddittorio ovvero dispone l'integrazione dello stesso;
- se ritiene, a un primo
sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un
pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione
del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta
giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, disponendo altresì il deposito
dei documenti necessari e l'acquisizione delle eventuali altre prove
occorrenti;
- fissa la data di
svolgimento dell’udienza in caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del
tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi
l'ordinanza di primo grado (in tale ipotesi, il termine di trenta giorni
decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del
tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti).
L'obbligo per il giudice di
fissare i termini per il deposito di atti di memorie è correlato alla
fissazione dell'udienza nel termine previsto dalla norma predetta, che deve
ritenersi avere carattere ordinatorio; conseguentemente, in caso di fissazione
dell'udienza oltre il termine predetto, i depositi di documenti, memorie e
repliche vanno effettuati nei termini dimezzati previsti in via generale.
Con l'ordinanza cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, il
tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le
opportune misure cautelari.
Al procedimento cautelare si
applicano le disposizioni del Titolo II del Libro II, in materia di misure
cautelari (tutela cautelare collegiale, monocratica interinale e ante causam).
Innovativa è la norma che rende facoltativa la pubblicazione del
dispositivo quando almeno una delle parti, nell'udienza discussione, dichiara
di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla
sentenza e la dichiarazione della parte è attestata nel verbale d'udienza.
In tal caso il dispositivo è
pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla
decisione della causa.
Il termine, pertanto, non
decorre dall’udienza (pubblica o camerale) di discussione, ma dalla camera di
consiglio di decisione.
La parte può chiedere al
Consiglio di Stato la sospensione dell'esecutività del dispositivo, proponendo
appello entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei
motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza
ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione.
La mancata richiesta di
sospensione dell'esecutività del dispositivo non preclude la possibilità di
chiedere la sospensione dell'esecutività della sentenza dopo la pubblicazione
dei motivi.
Anche le predette
disposizioni si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e
opposizione di terzo.
8 - Il rito
speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici.
L'articolo 120 detta
disposizioni integrative specifiche rispetto a quella contenuta all'articolo
119, limitatamente all'impugnazione
degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di
affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività
tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o
forniture, nonché i connessi provvedimenti dell'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,
Il rito accelerato si deve applicare quando la domanda
proposta in giudizio, è rientrante tra quelli di cui sopra non abbia ad oggetto
esclusivamente il risarcimento del danno, ma riguardi anche l'annullamento di
atti amministrativi.
Detti provvedimenti sono
impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale
competente (escludendosi la proposizione del ricorso straordinario)[11].
La peculiarità più rilevante riguarda il termine per l'impugnazione
degli atti delle procedure di affidamento, muovendosi dal principio affermato dalla Corte
costituzionale secondo cui la riduzione a metà del termine entro il quale
proporre ricorso, in materia di opere pubbliche, non importa modalità di
esercizio così gravose da rendere impossibile o estremamente difficile
l'esercizio della difesa e lo svolgimento della connessa attività processuale;
del resto varie norme vigenti dispongono nel senso della riduzione dei termini
per instaurare giudizi amministrativi (Corte costituzionale 10 novembre 1999
numero 427).
Appare dubbio se la riduzione del termine per impugnare riguardi anche
la proposizione del ricorso incidentale, non espressamente menzionato.
I termini per l'impugnazione sono fissati in maniera differenziata in
relazione al rispetto da parte dell'amministrazione pubblica della disciplina
contenuta nella direttiva ricorsi e recepite nell'ordinamento nazionale con il
decreto legislativo numero 53 del 2010.
Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può
comunque essere più proposto decorsi trenta giorni dal giorno successivo alla
data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva di cui all'articolo 65 e
all'articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
L’art. 65 del codice dei
contratti, recependo nell'ordinamento nazionale l’art. 35, paragrafo 4, e
art. 36, paragrafo 1,
direttiva 2004/18), ha previsto che le stazioni appaltanti che hanno
aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro inviano un
avviso relativo ai risultati della procedura di aggiudicazione, entro
quarantotto giorni dall'aggiudicazione del contratto o dalla conclusione
dell'accordo quadro.
L'articolo 225 del codice dei contratti, invece,
recependo l'art. 43, della direttiva
2004/17, dispone che gli enti aggiudicatori che abbiano aggiudicato
un appalto o concluso un accordo quadro inviano un avviso relativo all'appalto
aggiudicato entro due mesi dall'aggiudicazione dell'appalto o dalla conclusione
dell'accordo quadro e alle condizioni dalla Commissione europea.
Se sono omessi gli avvisi o
le informazioni di cui sopra oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni
ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del
contratto.
Per l'impugnazione degli
atti della procedura di gara il ricorso e i motivi aggiunti, anche avverso atti
diversi da quelli già impugnati, devono
essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione
della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163.
Le stazioni appaltanti, in
applicazione della norma predetta, sono tenute ad informare tempestivamente i
candidati e gli offerenti delle decisioni prese riguardo alla conclusione di un
accordo quadro, all'aggiudicazione di un appalto, o all'ammissione in un
sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi della decisione di non
concludere un accordo quadro, ovvero di non aggiudicare un appalto per il quale
è stata indetta una gara, ovvero di riavviare la procedura, ovvero di non
attuare un sistema dinamico di acquisizione.
Giova ricordare inoltre che la Corte
giustizia CE, con la sentenza della sez. III, 28 gennaio 2010 n. 406
ha affermato il principio secondo il quale l'art. 1, n. 1, della direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle
procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di
forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno
1992, 92/50/CEE, esige che il termine per proporre un ricorso diretto a far
accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici ovvero ad ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di
detta normativa decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o
avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa.
L'onere di immediata
impugnazione del bando di concorso (o di gara) è strettamente riconnesso alla
contestazione di clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione,
ostative all'ammissione dell'interessato, o al più impositive, ai fini della
partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto
sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale,
laddove siano assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle
concernenti i requisiti soggettivi; va invece escluso un siffatto onere nei
riguardi di ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività,
la cui idoneità a produrre una concreta ed attuale lesione può essere valutata
unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in caso in
cui tale esito sia negativo per l'interessato.
Quando è impugnata
l'aggiudicazione definitiva, se la stazione appaltante fruisce del patrocinio
dell'Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato, oltre che presso detta
Avvocatura, anche alla stazione appaltante nella sua sede reale, in data non
anteriore alla notifica presso l'Avvocatura, e al solo fine dell'operatività
della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto.
Salvo che il giudizio non sia
immediatamente definito con sentenza in forma semplificata adottata nella
camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, ai
sensi dell'articolo
I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere
impugnati con ricorso per motivi aggiunti.
Viene meno, pertanto la
facoltatività della impugnazione con ricorso autonomo prevista in via
ordinaria.
Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se
ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o
vengono proposti incidenti processuali.
La norma predetta trova
ragione di essere nell'esigenza di evitare che richieste di rinvio (ad esempio
per proposizione di ricorso incidentale, motivi aggiunti o incidenti del
processo) possano incidere sul principio della necessità che la fase cautelare
venga definita in tempi certi.
Il dispositivo del provvedimento con cui il tribunale amministrativo
regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data
della sua deliberazione.
Quindi non è rimessa alla valutazione delle parti la scelta di
pubblicazione del dispositivo.
Si ribadisce che si accentua
il principio che tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono
essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui
all'articolo 74 con la sentenza redatta in forma semplificata.
L'articolo 74 del codice prevede che nel
caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità,
inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide
con sentenza in forma semplificata.
La motivazione della sentenza può
consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto
risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.
9 - Le
peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche.
Ulteriori disposizioni
processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche vengono
introdotto dall'articolo 125 del codice, per cui nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione,
approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento,
di cui alla parte II, titolo III, capo IV del decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, trovano applicazione le norme predette in materia di
impugnazione delle procedure di gara ad eccezione dell'articolo 122 che
disciplina il rapporto tra l'annullamento dell'aggiudicazione e la efficacia
del contratto[12].
In via derogatoria è,
infatti, previsto che in sede di pronuncia del provvedimento cautelare, si
tiene conto:
- delle probabili
conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere
lesi;
- del preminente interesse
nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera.
Ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si valuta anche la
irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque
comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle
procedure.
Ferma restando
l'applicazione degli articoli 121 (“Inefficacia
del contratto nei casi di gravi violazioni”) e 123 (“Sanzioni
alternative”,
al di fuori dei casi in essi contemplati la
sospensione e l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del
contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto
avviene solo per equivalente.
Si applica l'articolo 34,
comma 3 per cui quando nel corso del giudizio l'annullamento del provvedimento
impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta
l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori.
L'art. 246 comma 4 del Codice dei
contratti di cui al d.lg. n. 163 del 2006 e successive modificazioni, che nel
caso di annullamento dell'aggiudicazione preclude la caducazione del contratto,
è disposizione eccezionale applicabile solo agli interventi relativi alle
infrastrutture strategiche e agli insediamenti produttivi di interesse
nazionale, individuati a mezzo del programma di cui all'art.
10 - Il rito
elettorale.
Il legislatore delegato non ha esercitato la delega
nella parte concernente l’introduzione ex novo di una tutela specifica relativa alla fase preparatoria delle
elezioni politiche, sebbene un tentativo in tal senso era stato fatto dalla
commissione redigente presso il Consiglio di Stato.
Come si legge nella Relazione, i tempi serrati di tale
fase preparatoria – insuperabili per il vincolo posto dall’art. 61 della
Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70 giorni dal
decreto presidenziale di scioglimento delle Camere precedenti – hanno sconsigliato
il Governo dall’intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo
di competenza dell’Ufficio elettorale centrale nazionale presso
A ciò va aggiunto che nello
stesso giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D. l.vo 2
luglio 2010 n. 104 di approvazione del nuovo codice del processo
amministrativo, che, tra l’altro, innova il giudizio elettorale, e, all’art.
129, ammette una tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai
procedimenti elettorali preparatori, il 7 Luglio 2010 è stata pubblicata la
sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 2010, che ha dichiarato
l’incostituzionalità dell’art. 83–undecies del D.P.R. 16/5/60 n. 570, nella
parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del
procedimento preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali,
ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.
L’art. 2, allegato 4, del
nuovo codice amministrativo, contenente le norme di coordinamento ed
abrogazioni in materia di elezioni amministrative, ha peraltro previsto
l’abrogazione dell’art. 83–undecies, oggetto della sentenza di
incostituzionalità.
La norma di coordinamento
recita: l’art. 83 del D.P.R. 570/1960 è così sostituito: «la tutela in materia
di operazioni per le elezioni dei consiglieri comunali, successive
all’emanazione del decreto di convocazione dei comizi, è disciplinata dalle
disposizioni dettate dal codice del processo amministrativo».
La Corte Costituzionale ha
affermato che la posticipazione dell’impugnabilità degli atti di esclusione di
liste o candidati ad un momento
successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli artt. 24 e 113 Cost.
L’interesse del candidato –
si legge in motivazione – “è quello di partecipare ad una determinata
consultazione elettorale, in un definito contesto politico e ambientale”.
Ogni forma di tutela che
intervenga ad elezioni concluse «appare inidonea ad evitare che l’esecuzione
del provvedimento illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un
pregiudizio”.
Per completare il quadro
della normativa di riferimento, che richiede una tutela piena e tempestiva
contro gli atti della pubblica amministrazione,
Venendo all'esame delle norme del codice l'articolo 126 ribadisce
l’ambito della giurisdizione sul contenzioso elettorale, prevedendo che il
giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali
relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle
regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia[13].
Nella materia elettorale l'articolo 128 del codice esclude la
possibilità di proporre il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica.
11 - Il rito
in materia di ammissione delle liste e dei candidati.
Come accennato l'articolo
129 introduce una specifica disciplina con riguardo alla tutela anticipata
avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettorali preparatori per le
elezioni comunali, provinciali e regionali
I provvedimenti relativi al
procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti l'esclusione di liste o
candidati possono essere immediatamente impugnati, esclusivamente da parte
dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, innanzi al
tribunale amministrativo regionale competente, nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante
affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati.
Al di fuori dei
provvedimenti di esclusione dalla procedura elettorale ogni provvedimento
relativo al procedimento, anche preparatorio, per le elezioni è impugnabile
soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di
proclamazione degli eletti.
Il ricorso avverso l'esclusione dalla competizione elettorale nel
termine di tre giorni decorrenti come sopra, deve essere, a pena di decadenza:
a) notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore,
esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax,
all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile,
agli eventuali controinteressati; in ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto
impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale
in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale
pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i
controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della
predetta affissione;
b) depositato presso la segreteria del tribunale adito, che provvede ad
affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico.
Le parti sono tenute ad
indicare, rispettivamente nel ricorso o negli atti di costituzione, l'indirizzo
di posta elettronica certificata o il numero di fax da valere per ogni
eventuale comunicazione e notificazione.
Non è chiaro se
l'inosservanza di detta norma sia sanzionata con l'inammissibilità del ricorso.
L'udienza di discussione si
celebra, senza possibilità di rinvio anche in presenza di ricorso incidentale,
nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza avvisi. Alla notifica
del ricorso incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso
principale.
Il giudizio è deciso
all'esito dell'udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello
stesso giorno.
La relativa motivazione può
consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli
scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.
La sentenza non appellata è
comunicata immediatamente (“senza indugio”) dalla segreteria del tribunale
all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato.
Il ricorso di appello, nel
termine di due giorni dalla pubblicazione della sentenza, deve essere, a pena
di decadenza:
a) notificato, direttamente
dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta,
posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto
impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati;
in ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il
ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi
all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha
valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la
notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione;
per le parti costituite nel giudizio di primo grado la trasmissione si effettua
presso l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax indicato
negli atti difensivi;
b) depositato in copia
presso il tribunale amministrativo regionale che ha emesso la sentenza di primo
grado, il quale provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al
pubblico;
c) depositato presso la
segreteria del Consiglio di Stato, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi
accessibili al pubblico.
Nel giudizio di cui sopra
non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, e 54, commi
1 e 2, per cui il giorno di sabato non è considerato festivo ai fini della
decorrenza dei termini decadenziali da non calcolare a ritroso.
12 - Il rito
relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento
europeo
L'articolo 130 disciplina
invece il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni
e Parlamento europeo
Contro tutti gli atti del
procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è
ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale,
unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti:
a) quanto alle elezioni di comuni, province e regioni, da parte di
qualsiasi candidato o elettore dell'ente della cui elezione si tratta, al
tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il predetto
ente territoriale, da depositare nella segreteria del tribunale adito entro il
termine di trenta giorni dalla proclamazione degli eletti;
b) quanto alle elezioni dei membri del Parlamento
europeo spettanti all'Italia, da parte
di qualsiasi candidato o elettore, davanti al Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sede di Roma, da depositare nella relativa segreteria
entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
dell'elenco dei candidati proclamati eletti.
Spetta agli Stati membri il
compito di organizzare le elezioni del Parlamento europeo, secondo la procedura
fissata dalle disposizioni nazionali, e, in tale ambito, procedere allo spoglio
dei voti ed alla proclamazione ufficiale dei risultati elettorali. Il
Parlamento europeo non può rimettere in discussione la regolarità della
proclamazione dell'ufficio elettorale nazionale in quanto, in base all'art. 12
dell'atro del 1976, è tenuto a prendere atto dei risultati[14].
Coloro che
presentano un ricorso in materia elettorale, sia che si tratti di cittadini
elettori, che di candidati non eletti, sono tenuti a dare prova della propria
legittimazione all'impugnazione nel termine perentorio di dieci giorni dalla
notificazione del ricorso. La prova della legittimazione è diversa a seconda che
il ricorso sia proposto da candidati non eletti o da cittadini elettori non
partecipanti alla competizione.
Per i primi la
legittimazione si identifica con l'interesse a ricorrere perché il petitum
consiste nell'annullamento in toto o in parte qua della proclamazione degli
eletti nella parte in cui non hanno sortito un esito favorevole a loro o alla
loro lista: la legittimazione può pertanto essere attestata dalla semplice
iscrizione nelle liste dei partecipanti alla competizione o in qualsivoglia
atto o documento idoneo a comprovare tale requisito.
Per i secondi
che mirano alla realizzazione dell'interesse collettivo al corretto svolgimento
delle operazioni elettorali, la legittimazione è soggetta alla prova di essere
cittadino elettore del comune ove si è svolta la competizione i cui risultati
sarebbero inficiati da errore.
Il contenzioso elettorale
innanzi al giudice amministrativo, pur se soggetto ad un rito speciale, è pur
sempre inquadrato nello schema del processo d'impugnazione, onde l'oggetto del
giudizio è definito dai motivi dedotti entro il termine di decadenza ed il
ricorrente è tenuto a specificarli con l'atto introduttivo, ancorché sia
consentita una minore precisione nella prospettazione dei vizi, mentre nelle
memorie e nella discussione orale può essere illustrato quanto già dedotto.
Pertanto, sarebbe inammissibile il ricorso con cui,
nel contestare le operazioni elettorali, si prospettino vizi generici o
ipotetici, o una generica omissione nel computo di voti e preferenze, allo
scopo di evitare che l'omessa indicazione dei vizi si trasformi in un mero
espediente per provocare il generale riesame, in sede di giudizio delle schede
elettorali.
Nel giudizio elettorale
unica parte pubblica necessaria è l'ente locale interessato, che si appropria
del risultato elettorale e sul quale si riverberano gli effetti di un eventuale
annullamento, ovvero della conferma della proclamazione degli eletti; per cui
in particolare, gli organi temporanei, abilitati a dichiarare i risultati
finali del procedimento elettorale, come l'ufficio elettorale centrale, e a
maggior ragione gli uffici circoscrizionali e di sezione, non sono portatori di
un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei loro atti, per cui
il ricorso contro le operazioni elettorali non deve essere ad essi notificato
ed ove il ricorso sia stato notificato ad uno dei predetti uffici, questi
ultimi devono essere estromessi dal giudizio elettorale per difetto di
legittimazione passiva (Consiglio Stato ad. plen., 23 febbraio 1979 , n. 7).
Il presidente, con decreto:
a) fissa l'udienza di
discussione della causa in via di urgenza;
b) designa il relatore;
c) ordina le notifiche,
autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo;
d) ordina il deposito di
documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria;
e) ordina che a cura della
segreteria il decreto sia immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al
ricorrente.
Il ricorso è notificato,
unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, a cura di chi lo ha proposto,
entro dieci giorni dalla data della comunicazione del decreto presidenziale di
fissazione dell'udienza :
a) all'ente della cui
elezione si tratta, in caso di elezioni di comuni, province, regioni;
b) all'Ufficio elettorale
centrale nazionale, in caso di elezioni dei membri del Parlamento europeo
spettanti all'Italia;
c) alle altre parti che vi
hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato.
I termini relativi
all'introduzione del giudizio elettorale devono ritenersi prescritti a pena di
decadenza e la natura perentoria appare
logicamente riconducibile al (ed imposta dalla considerazione del) preminente
interesse pubblico, evidentemente sotteso al regime processuale in esame, ad
una definizione delle controversie elettorali in tempi certi e solleciti. Tali
esigenze impediscono di attribuire alcuna rilevanza, ai fini
dell'individuazione del "dies a quo" del termine per il deposito del
ricorso , alla notificazione di quest'ultimo (da ritenersi, pertanto,
"inutiliter data") ad un soggetto privo di legittimazione passiva.
Ne consegue che il
"dies a quo" per il computo del termine in questione va, invece,
individuato nel giorno della notifica ai soggetti passivamente legittimati la
cui qualità di parti necessarie realizza, di contro, le segnalate esigenze di
certezza nell'instaurazione del giudizio.
Il termine di dieci giorni,
fissato per il deposito del ricorso elettorale notificato, ha natura perentoria
e decorre dal momento in cui il destinatario riceve la notificazione dell'atto
e non già dal momento, eventualmente successivo, in cui il notificante riceva
l'avviso del perfezionamento della notifica, effettuata tramite il servizio
postale.
Entro dieci giorni dall'ultima notificazione del
ricorso con in calce il decreto presidenziale, il ricorrente deposita nella
segreteria del tribunale la copia del ricorso e del decreto, con la prova
dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio.
Nel processo elettorale il
mancato deposito del ricorso nei termini di decadenza prescritti, non è sanata
dalla tempestiva costituzione degli intimati, trattandosi di un'ipotesi di
decadenza, impedita soltanto dal compimento dell'atto.
L'amministrazione resistente
e i controinteressati depositano nella segreteria le proprie controdeduzioni
nei quindici giorni successivi a quello in cui la notificazione si è
perfezionata nei loro confronti.
All'esito dell'udienza, il
collegio, sentite le parti se presenti, pronuncia la sentenza.
La sentenza è pubblicata
entro il giorno successivo alla decisione della causa.
Se la complessità delle
questioni non consente la pubblicazione della sentenza, nello stesso termine di
cui al periodo precedente è pubblicato il dispositivo mediante deposito in
segreteria. In tal caso la sentenza è pubblicata entro i dieci giorni successivi.
Non è più prevista,
pertanto, la lettura del dispositivo del provvedimento giurisdizionale in
pubblica udienza.
La sentenza è immediatamente
trasmessa in copia, a cura della segreteria del tribunale amministrativo
regionale, al Sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al
presidente dell'ufficio elettorale nazionale, a seconda dell'ente cui si
riferisce l'elezione.
Il comune, la provincia o la
regione della cui elezione si tratta provvede, entro ventiquattro ore dal
ricevimento, alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo della
sentenza nell'albo o bollettino ufficiale dell'ente interessato a mezzo del
segretario che ne è diretto responsabile.
In caso di elezioni relative
a comuni, province o regioni, la sentenza è comunicata anche al Prefetto. Ai
medesimi incombenti si provvede dopo il passaggio in giudicato della sentenza
annotando sulla copia pubblicata la sua definitività.
Il tribunale amministrativo
regionale, quando accoglie il ricorso, esercitando una giurisdizione di merito,
corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati
illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo.
In caso di ricorso avverso
le operazioni elettorali inerenti il Parlamento europeo, i voti delle sezioni
le cui operazioni sono state annullate non hanno effetto.
Tutti i termini processuali diversi da quelli indicati negli articoli
129, 130 e 131 sono dimezzati rispetto ai termini del processo ordinario.
L'ente comunale, provinciale
o regionale, della cui elezione si tratta, comunica agli interessati la
correzione del risultato elettorale.
L'Ufficio elettorale
nazionale comunica la correzione del risultato elettorale agli interessati e
alla segreteria del Parlamento europeo.
L'appello avverso le sentenze
di cui sopra è proposto entro il termine
di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è
obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o elettori nel termine di
venti giorni decorrenti dall'ultimo giorno della pubblicazione della sentenza
medesima nell'albo pretorio del comune.
Anche in questo caso il presidente
fissa in via d'urgenza l'udienza di discussione.
Al giudizio si applicano le
norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, e i
relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario.
La sentenza, quando, in
riforma di quella di primo grado, accoglie il ricorso originario, provvede con
le stesse modalità previste per il processo di primo grado.
L'articolo 132 disciplina
alcune peculiarità del procedimento in appello in relazione alle operazioni
elettorali del Parlamento europeo.
Le parti del giudizio di
primo grado possono proporre appello mediante dichiarazione da presentare
presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato
la sentenza, entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla pubblicazione
della sentenza o, in mancanza, del dispositivo.
L'atto di appello contenente
i motivi deve essere depositato entro il termine di trenta giorni decorrenti
dalla ricezione dell'avviso di pubblicazione della sentenza.
[1] Relazione tenuta il 12 novembre 2010 nel corso del Convegno
di Sudi organizzato dal Comune di Catania sul tema “Il codice del nuovo
processo amministrativo”.
[2]
[3] Consiglio di
Stato V 13 ottobre 2010 n. 7463
[4] La normativa precedente non prevedeva l’obbligo di
notifica del ricorso per ottemperanza e
[7] Va ricordato che l’azione per la declaratoria di
nullità, proponibile per l’accertamento delle nullità previste dalla legge
(salvo quanto previsto per l’elusione del giudicato, autonomamente disciplinata
nel Libro IV) entro il termine di decadenza di centottanta giorni, fermo
restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte
resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
[8]
Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 2 marzo 2010 n. 1220 si legge “Ciò
posto, in questa fase del giudizio
In base ad un principio applicabile già prima
dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve
prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006, Cherginets
c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU,
20-12-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50).
Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art.
389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare
tutte le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti
fondata.
[9] Oltre del diritto di accesso come disciplinato dalla
legge n. 241/90, è necessario ricordare che esistono altri tipi di accesso
nell’ambito dell‘attività amministrativa latu sensu
intesa, che sono disciplinati da leggi diverse e che seguono un diverso
procedimento e che il più delle volte hanno un giudice diverso.
L’art. 146 del D.lgs. n. 209/2005 codice delle
assicurazioni private prevede che, fermo restando quanto previsto dal codice di
protezione dei dati personali, per accedere alle informazioni personali, “le
imprese di assicurazioni che esercitano nel ramo della responsabilità civile
sono tenute a consentire ai contraenti ed ai danneggiati il diritto di accesso
agli atti di conclusione dei procedimenti …., constatazione e liquidazione che
li riguardano”.
L’esercizio del diritto non è consentito quando riguarda
accertamenti, che evidenziano indizi o prove di comportamenti fraudolenti; è
una forma speciale di accesso nei confronti di un soggetto che svolge
un’attività di pubblico interesse, che ben potrebbe rientrare nell’ambito della
legge n. 241/90, che però è assoggettata ad un procedimento e ad un rito
speciale, perché entro 60gg. l’assicurato o il danneggiato se non ottengono la
documentazione richiesta possono fare reclamo all’ISVAP.
Accesso ambientale previsto dalla l. n. 195/05 codice
dell’ambiente.
È un accesso speciale nel suo contenuto, non c’è però
un giudice speciale, perché sono diversi solo i presupposti e il contenuto, ma
il rito è quello previsto dalla legge n. 241/90.
L’accesso ambientale, già previsto dal d.lgs. n.
39/97, costituisce applicazione della normativa comunitaria. In particolare
della direttiva n. 4 del 2003.
In sede europea si è voluto assicurare l’accesso ai
documenti ambientali, ritenendo che la libertà di informazione e la diffusione
dell’informazione possano essere mezzo utile per preservare l’ambiente.
Diverge sotto il profilo soggettivo che oggettivo.
L’accesso ai documenti riguardanti l’ambiente è
consentito a chiunque, è una sorta di azione popolare, chi chiede l’accesso non
deve dimostrare nessun interesse all’accesso.
Mentre la legge n. 241/90 si riferisce ai documenti
amministrativi, il d.lgs. 195/05 si riferisce chiaramente alle informazioni,
cioè non solo ai documenti ma a qualsiasi altro tipo di dati ed informazioni.
Il motivo per cui la legge è stata introdotta è stato
quello di consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale.
Per il TU. Enti locali d.lgs. n. 267/2000 art. 43, c.
2, i consiglieri comunali e provinciali possono accedere a tutti i documenti
che riguardano l’amministrazione.
La ratio della norma è di consentire al consigliere
comunale di svolgere correttamente e completamente il suo mandato.
Non è il diritto di accesso riconosciuto a tutti i
cittadini per la tutela di un proprio interesse, ma si tratta di un accesso
funzionalizzato al compito istituzionale che hanno i consiglieri comunali.
Ciò implica che il consigliere può accedere non solo
ai documenti, ma a tutti i dati posseduti dalla p.a., inoltre la sua attività
non solo si può proiettare nel futuro, ma il dir. di accesso può riguardare anche
attività svolte durante consigliature precedenti.
[10] La giurisprudenza ritiene ammissibile un ricorso
giurisdizionale con il quale sono state contestualmente avanzate due domande
soggette a riti diversi e precisamente una domanda principale di annullamento
del provvedimento impugnato e (per il caso in cui si dovesse ritenere l’atto
gravato in via principale privo di carattere provvedimentale) una domanda
subordinata, tendente ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del
silenzio-inadempimento serbato dalla P.A.; infatti, in attuazione del principio
di concentrazione ed effettività della tutela (di cui all’art. 44, n. 2, lett.
a, della legge di delega n.69 del 2009), è stata
introdotta - con l’art. 32 del codice del processo amministrativo, approvato
con D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, una
disposizione la quale prevede che: "E' sempre possibile nello stesso
giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o
incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello
ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro
IV" (comma I)"; con l’ulteriore conseguenza che, in tal caso, deve
essere ritenuto applicabile, ai sensi del citato art. 32, il rito ordinario, al
quale è soggetta l’azione di annullamento proposta in via principale, TAR Lombardia-
Milano IV 28 ottobre 2010 n. 7139.
[11] L’art. 243-bis. del Codice dei contratti
disciplina l’informativa
in ordine all'intento di proporre ricorso giurisdizionale disponendo che nelle
materie di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un
ricorso giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta
violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale.
L'informazione è fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta
dall'interessato, o da un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria
indicazione dei presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si
intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in
giudizio motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi
dell'assistenza di un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a
quando l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale.
L'informazione è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione
prevista dal presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di
una seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della
seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a cura
della commissione di gara.
La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla
comunicazione del preavviso di ricorso comunica le proprie determinazioni in
ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in
autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela. L'omissione della
comunicazione e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti
valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi
dell'articolo 1227 del codice civile.
Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o
tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se
quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti..
[12] La norma si riferisce alla progettazione,
l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche
di preminente interesse nazionale, nonché l'approvazione secondo quanto
previsto dall'articolo 179 dei progetti degli insediamenti produttivi
strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse
nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Nell'ambito
del programma predetto sono, altresì, individuate, con intese generali quadro
tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, le opere per le
quali l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse
nazionale. Per tali opere le regioni o province autonome partecipano, con le
modalità indicate nelle stesse intese, alle attività di progettazione,
affidamento dei lavori e monitoraggio, in accordo alle normative vigenti e alle
eventuali leggi regionali allo scopo emanate. Rimangono salve le competenze
delle province autonome di Trento e Bolzano previste dallo statuto speciale e
relative norme di attuazione.
[13] Rimangono fuori dalla giurisdizione le questioni
riguardanti i profili di eleggibilità e incompatibilità dei candidati alle
competizioni elettorali.
In materia di contenzioso elettorale amministrativo
sono devolute al giudice amministrativo le controversie in tema di operazioni
elettorali, mentre spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie
concernenti l'ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità.
La giurisdizione del giudice ordinario non trova
limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga
introdotta mediante impugnazione del provvedimento del Consiglio Comunale sulla
convalida degli eletti o impugnazione dell'atto di proclamazione o, in genere,
impugnazione del provvedimento che si pronuncia sull'eleggibilità del candidato,
perché anche in tali ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'atto
amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato
attivo o passivo.
Invece le controversie inerenti non l'eleggibilità
degli eletti, bensì la surrogazione dei rinuncianti con i candidati che li
seguono nella graduatoria, esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario,
ai sensi dell'art. 82, D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, e sono devolute alla
giurisdizione del Tribunale Amministrativo Regionale.