I riti speciali nel nuovo processo amministrativo[1]

 

a cura di

Vincenzo Salamone

Presidente della 2^ sezione del Tribunale amministrativo regionale del Piemonte

 

Pubblicato sul sito il 17 novembre 2010

 

Sommario: 1 – Introduzione; 2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei ricorsi; 3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice amministrativo; 4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi; 5 - Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione; 6 - Procedimento di ingiunzione; 7 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie; 8 - Il rito speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici; 9 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche; 10 - Il rito elettorale; 11 - Il rito in materia di ammissione delle liste e dei candidati; 12 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo.

 

1 - Introduzione.

 

Sul Supplemento ordinario alla G U. n. 148 del 7 luglio scorso è stato pubblicato il d. l.vo n. 104 del 2 luglio 2010, che, in attuazione della delega conferita al Governo dall'art. 44 1. n. 69 del 2009, ha approvato il Codice del processo amministrativo, offrendo agli operatori e agli utenti della giustizia amministrativa un quadro normativo omogeneo e, per quanto possibile, chiaro e definito, in un'ottica di maggiore garanzia di effettività della tutela delle posizioni soggettive sottoposte alla giurisdizione amministrativa.

Sul piano sostanziale, il Codice consente di adattare il tradizionale processo amministrativo, incentrato sul modello impugnatorio, alla mutata realtà derivante dall’evoluzione normativa nazionale ed europea e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che, pur nel rispetto delle necessarie differenze legate al diverso ruolo delle due giurisdizioni, hanno progressivamente riconosciuto al giudice amministrativo nuovi strumenti di tutela, analoghi a quelli di cui dispone il giudice ordinario (si pensi alla tutela cautelare ante causam, alla consulenza tecnica d’ufficio, alla prova per testi, o ancora all’azione risarcitoria o all’opposizione di terzo), la cui concreta attuazione non poteva, tuttavia ancora una volta essere lasciata alla libera interpretazione e non può, quindi, prescindere da un quadro normativo chiaro e definito, quale il Codice indubitabilmente offre.

 

La delega conferita al Governo dall'art. 44 1. n. 69 del 2009 consentiva di adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele.

La delega, con riguardo ai riti speciali, contiene i seguenti obiettivi e limiti:“ c) procedere alla revisione e razionalizzazione dei riti speciali, e delle materie cui essi si applicano, fatti salvi quelli previsti dalle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige”.

 

Il Codice è articolato in cinque libri, recanti, rispettivamente:

-        le disposizioni di carattere generale:

-        la disciplina del processo di primo grado;

-        la disciplina delle impugnazioni;

-        la disciplina dell’ottemperanza e dei riti speciali;

-        le disposizioni finali.

 

 

2 - Udienza e camera di consiglio di discussione dei ricorsi.

 

Il processo amministrativo si svolge con due modalità:

- in pubblica udienza (di regola con sanzione di nullità);

- con procedimenti in camera di consiglio.

I procedimenti in camera di consiglio si possono svolgere esclusivamente nei casi previsti dalla legge ed in particolare dal comma 2 dell'articolo 87.

La casistica prevista da quest'ultima norma ricomprende:

a) i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali;

b) il giudizio in materia di silenzio;

c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi;

d) i giudizi di ottemperanza;

e) il giudizio in opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio.

L'eccezionalità del procedimenti in camera di consiglio comporta che lo svolgimento del processo con modalità diverse dal udienza pubblica al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge è sanzionato con la nullità degli atti processuali compiuti, ivi compresi i provvedimenti giurisdizionali adottati.

Invece la trattazione in pubblica udienza di riti che si dovrebbero svolgere con i procedimenti in camera di consiglio non comporta alcun profilo di validità degli atti (articolo 87 comma 4).

L'articolo 73 del codice disciplina gli adempimenti delle parti relative alla fase anteriore allo svolgimento dell'udienza pubblica.

L'aspetto più saliente è costituito da un incremento dei termini per il deposito di atti memorie e repliche.

Le parti, infatti, possono:

-  produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza,

- memorie fino a trenta giorni liberi;

 - presentare repliche fino a venti giorni liberi.

Particolarmente innovativa è la norma che introduce la possibilità di produrre memorie di replica; facoltà che presuppone l'avvenuto deposito di memorie nel termine di 20 giorni liberi prima dell'udienza.

La memoria di replica è destinata esclusivamente a illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l'atto di costituzione e a confutare le tesi avversarie.

Con tale atto, pertanto, non è possibile specificare o integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il ricorso, e, tanto, meno a dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte, in considerazione della esigenza per quest'ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica.

Giova ricordare che precedentemente all'entrata in vigore del codice il termine per il deposito delle memorie era di giorni 10 e quello di deposito degli atti di 20 giorni.

 

Nei riti di cui sopra, che si svolgono con il procedimento in camera di consiglio tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

Le parti, infatti, possono:

- produrre documenti fino a venti giorni liberi prima dell'udienza,

- memorie fino a quindici giorni liberi;

 - presentare repliche fino a dieci giorni liberi.

La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza camerale utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (30 giorni dall'effettuazione dell'ultima notifica, intesa come data di ricezione da parte del destinatario.

L'automatismo nella fissazione della camera di consiglio (prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti) comporta che se rispettato non sussiste l'obbligo di notifica dell'avviso di fissazione della camera di consiglio, che, altrimenti, va notificato alle parti costituite almeno 30 giorni liberi prima

Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.

La norma non riguarda i termini relativi ai procedimenti cautelari trattati in camera di consiglio che seguono le regole previste dagli articoli 55 e seguenti del codice.

 

 

3 - Il giudizio di ottemperanza al giudicato ed alle sentenze esecutive del giudice amministrativo.

 

Il Codice disciplina, agli artt. 112, 113, 114 e 115, il giudizio di ottemperanza, unificando la disciplina del giudizio di ottemperanza:

-        delle sentenze passate in giudicato;

-        delle sentenze di primo grado e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

-        dei provvedimenti equiparati alle sentenze passate in giudicato per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza (ivi espressamente compresi i lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili)[2].

Per costante giurisprudenza il giudizio di ottemperanza può essere instaurato per sancire l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi non solo al giudicato, ma ad ogni provvedimento giurisdizionale - sia del giudice ordinario (o di altro giudice diverso dall’amministrativo), sia dello stesso giudice amministrativo - assistito da stabilità, purché tale provvedimento definisca un determinato giudizio.

Si ritiene, pertanto, ammissibile il ricorso per ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione all'ordinanza di assegnazione di un credito vantato nei confronti di quest'ultima, emessa dal giudice dell'esecuzione nella procedura di pignoramento presso terzi a seguito di positiva dichiarazione dell'amministrazione ai sensi dell'art. 547 c.p.c., in quanto tale ordinanza, non revocabile dal giudice della esecuzione né reclamabile, si consolida se non impugnata dai soggetti che intervengono nella procedura con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi nel termine e acquisisce, quindi, quel carattere di definitivà che consente di agire in ottemperanza[3].

 

L'oggetto del giudizio di esecuzione (anche nella particolare forma del ricorso per l'esecuzione delle ordinanze cautelari del G.A.) è rappresentato dalla puntuale verifica dell'esatto adempimento da parte dell'Amministrazione dell'obbligo di conformarsi al decisum per far conseguire all'interessato l'utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione.

L’attività di verifica, che deve essere condotta nell'ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della pronuncia di cui si chiede l'esecuzione, comporta da parte del giudice dell'ottemperanza una attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando.

L’art. 115 disciplina la natura del titolo esecutivo ed il  rilascio di estratto del provvedimento giurisdizionale con formula esecutiva

Le pronunce del giudice amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma esecutiva.

I provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro costituiscono titolo anche per l'esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l'iscrizione di ipoteca.

Ai fini del giudizio di ottemperanza non è necessaria l'apposizione della formula esecutiva.

 

Per garantire il principio del contraddittorio, è espressamente prescritta la notificazione del ricorso per ottemperanza prima del suo deposito, mentre non è più richiesta la previa diffida e messa in mora dell’Amministrazione inadempiente[4].

 

Viene ribadita la tradizionale natura “mista” del giudizio di ottemperanza, che non è pura esecuzione, ma presenta momenti di cognizione, conseguentemente si è previsto:

- la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione, ma anche tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta;

- la concentrazione nell’ambito del giudizio di ottemperanza di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia processuale.

 

Confluiscono necessariamente nel giudizio di ottemperanza:

-        tutte le questioni di inesecuzione, elusione, violazione del giudicato;

-        tutte le questioni che insorgono nel corso del giudizio a seguito degli atti del commissario ad acta, il cui sindacato viene espressamente affidato allo stesso giudice dell’ottemperanza;

-        l’azione di risarcimento non solo dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, ma anche di quelli causati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo (nell’ultimo caso, però, svolgendosi il giudizio di ottemperanza nelle forme, modi e termini del processo ordinario in udienza pubblica e non in camera di consiglio).

 

Un’importante novità è costituita dalla previsione della possibilità di promuovere il giudizio di ottemperanza anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza.

In tal caso la legittimazione attiva spetta: sia alle parti private, che alla pubblica amministrazione tenuta all’ottemperanza, nonché al commissario ad acta.

 

L’art. 112 afferma il principio di effettività della tutela giurisdizionale secondo cui i provvedimenti del giudice amministrativo (e degli altri giudici della Repubblica)  devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.

Lo strumento per ottenere l’esecuzione è l'azione di ottemperanza, che  può essere proposta, come sopra rilevato, per conseguire l'attuazione:

a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

 

In sede di giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva.

 

La sentenza di annullamento del giudice amministrativo, oltre al c.d. effetto demolitorio dell'atto impugnato, produce, di norma, i c.d. effetti ripristinatori e conformativi.

L'effetto conformativo vincola la successiva attività dell'Amministrazione nella riadozione, ove necessaria per assicurare gli effetti satisfattivi della sentenza, del provvedimento annullato, ovvero nell'adozione delle ulteriori attività strettamente consequenziali e strumentali alla completa attuazione della regola alla quale l'amministrazione si deve attenere nella sua attività futura.

L'effetto ripristinatorio comporta la vanificazione degli effetti dell'atto annullato e cioè l'adeguamento dell'assetto di interessi, esistente prima della pronuncia giurisdizionale e venuto in vita sulla base dell'atto impugnato, alla situazione giuridica prodotta dalla stessa pronuncia di merito.

Così, ad esempio, l'annullamento di un atto di esclusione da un concorso, di un'espropriazione, di un licenziamento comporta il ripristino della condizione di concorrente, la restituzione del bene espropriato, la riammissione in servizio del dipendente; del pari, l'annullamento del diniego di un provvedimento di inquadramento comporta la creazione di una situazione quanto più possibile identica a quella che si sarebbe avuta in mancanza di diniego e, quindi, non solo la collocazione ora per allora nella posizione in cui si sarebbe trovato il cittadino in assenza del rigetto della sua istanza, ma anche il pagamento delle retribuzioni non pagate che egli avrebbe percepito a fronte di un  comportamento legittimo e tempestivo della p.a..

Questo ulteriore effetto ripristinatorio della pronuncia di merito ha la sua legittimazione normativa non solo nel precetto costituzionale dell'effettività del diritto di difesa, ma adesso nell’art. 112 c. 1 e nell’art. 88. c. 2 lett.f) del codice e prima nell'art. 65, n. 5 del regolamento di procedura di cui al R. D. n. 642 del 1907, il quale prescriveva che nella sentenza sia incluso "l'ordine che la decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa", ed è giustificato dalla stessa funzione dell'annullamento e dalla esigenza di assicurarne in tempi rapidi l'utilità concreta e sostanziale.

Sarebbe del tutto inutile per l'interesse che sottende l'esercizio dell'azione, infatti, annullare un provvedimento ove la pronuncia caducatoria non fosse accompagnata dall'obbligo dell'Amministrazione di ripristinare la situazione di fatto o di diritto esistente prima del provvedimento impugnato ovvero di riadottare tutti i provvedimenti occorrenti per completare la situazione di fatto e di diritto che si sarebbe creata senza l'indebita interposizione dell'atto illegittimo.

Il privato, infatti, è interessato alla caducazione dell'atto solo in via mediata, come strumento processuale per conseguire il bene sostanziale della vita indebitamente sottrattogli dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo.

L'obbligo di ripristino della situazione o riadozione del provvedimento, del resto, trova ragione nell'esigenza di riequilibrare gli effetti prodotti dal provvedimento prima del suo annullamento.
Tali effetti non possono mantenersi, perché altrimenti sarebbe contraddetta l'efficacia ex tunc dell'eliminazione del provvedimento annullato.

L'effetto ripristinatorio è, quindi, una diretta conseguenza della caducazione del provvedimento e rientra a pieno titolo nei doveri di esecuzione che gravano sulla p.a. in conseguenza della sentenza di annullamento[5].

Se è vero che l'Amministrazione rimane titolare del potere di provvedere anche tardivamente, dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, è anche vero che all'atto di insediamento del commissario ad acta ovvero con la redazione del verbale di immissione del commissario nelle funzioni amministrative e con la sua presa di contatto con l'Amministrazione, si verifica un definitivo trasferimento dei poteri, rimanendo precluso all'Amministrazione ogni margine di ulteriore intervento[6].

 

Nell’ambito del giudizio di ottemperanza può essere proposta anche azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza (anche del giudice ordinario) nonché azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato.

La domanda finalizzata ad ottenere la liquidazione degli interessi e della rivalutazione monetaria può essere formulata per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, costituendo uno degli strumenti di determinazione del petitum originario, trattandosi di accessori che afferiscono alla somma capitale e ne costituiscono un naturale elemento.

Nel processo di ottemperanza può essere, altresì, proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all'articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito, per cui nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.

In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario.

Il ricorso per ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza.

 

Con riguardo alla competenza l’art. 113 ribadisce la disciplina previgente per cui il ricorso si propone, nel caso di sentenze e provvedimenti del giudice amministrativo prevista cui all'articolo 112, comma 2, lettere a) e b), al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è del tribunale amministrativo regionale.

Detta competenza non subisce deroghe nemmeno per ottemperanza  dei  provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado.

Nei casi di cui all'articolo 112, comma 2, lettere c), d) ed e) (sente del giudice ordinario, di altre giurisdizioni e dei lodi arbitrali), il ricorso si propone al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza.

 

Quanto al procedimento l’art. 114 dispone che l'azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta.

 

Derivando dal giudicato posizioni di diritto soggettivo; l'azione non è soggetta a termini decadenziali ma è soggetta a prescrizione, infatti l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza (artt. 2909, 2934 e 2946 Cod. civ.)[7].

 

I principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, direttamente applicabili nel sistema nazionale, impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the domestic remedies must be effective’.

Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti fondata.

Ne consegue che il giudice può accogliere un ricorso per ottemperanza proposto da una pubblica amministrazione nei confronti di soggetti privati con una sentenza di condanna idonea a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile[8].

Quanto alla prova la parte ricorrente è tenuta ad allegare al ricorso copia autentica della sentenza (o del provvedimento) di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato.

Inoltre è onere del ricorrente denunciare, con pertinenti e documentate censure, i vizi che inficiano l'azione amministrativa, non potendo la sua contestazione esaurirsi in una generica dichiarazione d'insoddisfazione per il risultato raggiunto, rispetto a quello che si prefigurava di conseguire.

Pertanto, nel caso di sentenza di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro, è onere del ricorrente, una volta in possesso del prospetto contenente i conteggi eseguiti dall'amministrazione, indicare le omissioni ovvero gli errori di calcolo che sarebbero stati commessi in suo danno dagli uffici, onde porre il giudice adito in condizione di verificare, attraverso il raffronto tra i prospetti elaborati dalle parti in causa, se il giudicato è stato effettivamente eseguito solo in parte".

Il giudice decide:

- con sentenza in forma semplificata prevista dall’articolo 74 del codice, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme;

-        con ordinanza  se è chiesta l'esecuzione di un'ordinanza.

Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:

a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione;

b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;

c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;

d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;

e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.

 

Ausiliario del giudice è il commissario ad acta, disciplinato dall'articolo 21.

Nell'ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all'amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta.

Il commissario ad acta va considerato organo ausiliario del giudice, giacché i suoi poteri non derivano dalla Pubblica amministrazione, ma da una sorta di atto di delega da parte del giudice dell'ottemperanza; di conseguenza, in quanto organo ausiliario del giudice, al pari di un perito o di un interprete, egli è organo giurisdizionale e i suoi atti, i quali non possono che ritenersi atti giurisdizionali, sono impugnabili con reclamo al giudice dell'ottemperanza in base al principio generale secondo il quale l'organo legittimato ad avere cognizione degli incidenti verificatisi in sede esecutiva è lo stesso deputato a dirigere l'esecuzione.

Il giudice dell'ottemperanza, fin quando non sia stato soddisfatto l'interesse del ricorrente all'adempimento del giudicato da parte dell'amministrazione, può sempre integrare o mutare le misure svolte a soddisfare tale diritto del ricorrente all'adempimento del giudicato, e, qualora la misura assunta dal giudice di primo grado abbia anche in parte natura cognitoria, avverso la relativa pronuncia è ammesso ricorso in appello; pertanto il giudice dell'ottemperanza può autorizzare il commissario "ad acta " ad avvalersi di un collaboratore, come è legittimo che quest'ultimo autonomamente scelga di avvalersi di un collaboratore, anche se questa scelta, qualora assuma un rilievo esterno, deve essere vagliata dal giudice dell'ottemperanza.

Il termine assegnato dal giudice al commissario ad acta per dare concreta attuazione al giudicato non è perentorio e la sua inutile scadenza non determina alcuna decadenza dei poteri commissariali, il che è coerente con la stessa natura e funzione del commissario ad acta, quale organo ausiliario del giudice la cui attività è necessaria, a causa dell'inerzia dell'Amministrazione, per rendere effettiva la tutela giurisdizionale e cioè far conseguire all'interessato il bene della vita già definitivamente riconosciutogli in sede cognitoria, cessando quindi soltanto con la piena ed integrale attuazione del comando contenuto nella sentenza ottemperanda.

Anche al commissario ad acta trova applicazione la disciplina della ricusazione.

 

Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

Dal momento che il ricorso per ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.

In difetto di una specifica disciplina si applicano le modalità ordinarie per la proposizione del ricorso per ottemperanza.

 

Le disposizioni sopra illustrate si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza

I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III per le impugnazioni in generale.

Pur tuttavia non è ammissibile, ostandovi il generale principio del ne bis in idem, la sostanziale riproposizione di un'istanza di esatta esecuzione del giudicato già proposta e conclusasi con una sentenza del Giudice amministrativo con cui si stabilisce che l'operato dell'Amministrazione intimata successivo al passaggio in giudicato della sentenza da ottemperare non concreti in alcun modo profili di inottemperanza nei confronti del decisum di cui alla sentenza stessa.

 

 

4 - Il giudizio in tema di accesso ai documenti amministrativi.

 

La disciplina sostanziale del diritto di accesso costituisce una filiazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, che è venuto ad affiancare il principio di imparzialità e quello di buon andamento fissati dall’art. 97 Cost.

La legge n. 241 del 1990 sancisce il principio di pubblicità dell’azione amministrativa, che trova nell’art. 1 un espresso riferimento, riferimento di rango primario, ma non particolarmente significativo.

Principio che oggi la Corte Costituzionale ritiene implicitamente costituzionalizzato nel combinato disposto costituito dagli artt. 97, 24 e 113 Cost, infatti, nella sentenza n. 104 del 2006 afferma che:”La  pubblicità del procedimento amministrativo è un principio del patrimonio costituzionale, comune peraltro alla tradizione di tutti i Paesi europei”.

Quindi un riconoscimento a livello costituzionale, che va al di là del riconoscimento dato a questo principio a livello primario dalla legge n. 241 del 1990.

Il riferimento da parte della Corte costituzionale agli artt. 24 e 113 Cost. consente di cogliere il principio di pubblicità non solo nel suo aspetto statico, cioè di cogliere il modo in cui la P.A. sta agendo, ma anche nel suo aspetto dinamico, in quanto consente la tutela dei propri diritti ed interessi di fronte alla giustizia.

Gli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990, subiscono una prima sistemazione con la L. n. 265 del 1999 che estende l’accesso ai soggetti che svolgono pubblici servizi, la L. n 340 del 2000, che introduce il ruolo del difensore civico relativamente al diritto d’accesso, la L. n. 205 del 2000 che riguarda solo la sfera processuale del diritto di accesso[9].

La l. n. 15 del 2005 ha dato una serie di definizioni di diritto di accesso, interessato, controinteressato, documento amministrativo e p.a.

La definizione di interessato è relativa al soggetto privato, compreso quello portatore di interesse pubblico diffuso, che abbia un interesse diretto concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

Controinteressato è il soggetto, individuato o facilmente individuabile in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbe compromesso il suo diritto alla riservatezza.

La nozione di documento amministrativo è identica a quella precedentemente contenuta nella 241/90.

L’art. 22 detta una definizione di documento amministrativo che attiene ad ogni documento, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico provvedimento, detenuti da una p.a. e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

La legge afferma il principio della neutralità della forma perché dice “indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”, principio che si affianca a quello della neutralità della forma giuridica dell’ente che detiene l’atto.

L’art. 22 attribuisce contenuto alla la nozione di p.a., ricomprendendovi tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

L’art. 22 della l. 241del 90, come modificato dalla l. n. 15 del 2005, prevede che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa e, continua la norma, attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il  territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, 2 comma, lettera m) cost, cioè la norma che consente allo Stato di stabilire normative, anche nell’ambito delle materie rimesse alla competenza esclusiva delle Regioni, quando si tratta appunto di disciplinare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

 

Si discute se il diritto d’accesso sia un interesse legittimo o sia un diritto soggettivo.

Il diritto d'accesso è ricostruibile quale situazione di diritto soggettivo, e ciò sia in base alla sua formale definizione come tale, che per i chiari profili della sua concreta disciplina, quali, in particolare:

1) la mancanza di discrezionalità per le amministrazioni, verificati i presupposti per l'accesso, nell'adempiere alla pretesa del soggetto privato di prender visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi;

2) la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico procedimento;

3) la devoluzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con l'ordine di un facere per l'amministrazione.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 7 del 2006 ha affermato il principio che la situazione giuridica soggettiva del diritto di accesso non fornisce un’utilità finale, che è invece tipica del diritto o dell’interesse, perché si tratta di una situazione giuridica soggettiva che offre all’interessato poteri di natura procedimentale volti a tutelare un’altra situazione giuridica soggettiva.

 

Il "diritto di accesso ai documenti amministrativi” (indipendentemente dalla sua qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo) è una situazione giuridica positiva dal carattere essenzialmente strumentale, come dimostrato dalla circostanza che la legge stabilisce un termine di decadenza (30 giorni dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi.

Di conseguenza, il carattere decadenziale del termine reca in sé che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente né la reiterabilità dell'istanza né l'impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.

E’ ammissibile reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso; in tal caso, l'originario diniego, da intendere sempre “rebus sic stantibus”, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale.

 

Il novellato art. 22 (L. 15 del 2005) dispone che possono chiedere l’accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori d’interessi pubblici diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.

L’interesse non può essere la generica esigenza al buon andamento della p.a. del cittadino, ma deve esserci un rapporto di strumentalità tra l’interesse e il documento; d’altra parte la legittimazione attiva all’accesso non coincide con la legittimazione processuale.

 

L'art. 22 l. n. 241 del 1990, considera documento amministrativo, suscettibile, in quanto tale, di essere oggetto di "actio ad exhibendum", "ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa".

Nel concetto ampio di documento amministrativo, che può formare oggetto d'accesso, rientrano pure gli atti provenienti da soggetti diversi dalla P.A. procedente, nonché quelli di diritto privato, purché correlati al perseguimento degli interessi pubblici affidati alla cura della stessa p.a.

Poiché, ai sensi dell'art. 22 comma 4, l. n. 241 del 1990, non sono accessibili le informazioni in possesso di una Pubblica Amministrazione che non abbiano, forma di documento amministrativo, e, per l’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 184 del 2006, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta, e la Pubblica Amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso, l'Amministrazione dovrà rilasciare al richiedente copia di tutti i documenti limiti in cui essi non comportino una elaborazione di dati.

 

L’accesso si consente mediante visione del documento ed estrazione di copia.

La precedente formulazione della norma (art. 22) prevedeva che il diritto si esercitasse mediante visione o estrazione di copia, la nuova invece di dire o dice e, il che fa ritenere venuta meno la possibilità di limitare il diritto d’accesso alla sola visione.

 

L’art. 116 disciplina il rito dell’accesso ai documenti, prevedendo che contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.

Sussiste, a pena di inammissibilità, l'obbligo di notifica del ricorso volto ad impugnare il diniego di accesso agli atti ad almeno uno dei controinteressati, individuabili in coloro che dalla conoscenza dei documenti richiesti possano subire un pregiudizio alla propria sfera di riservatezza o in coloro cui si riferiscono i documenti oggetto dell'istanza di accesso.

La posizione processuale del controinteressato nel giudizio speciale di cui all'art. 25, l. n. 241 del 1990 dinanzi al giudice amministrativo, trova da ultimo riconoscimento normativo nella nuova formulazione dell'art. 22 della citata legge, come introdotta dalla l. n. 15 del 2005, il quale, alla lett. c), del comma 1, menziona come controinteressati tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.

 

Si applica anche al rito dell’accesso l'articolo 49 per cui quando il ricorso sia stato proposto solo contro taluno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri e le altre disposizioni relative agli effetti della disposizione di integrazione del contraddittorio.

 

In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, la pretesa all’accesso può essere esercitata con istanza depositata presso la segreteria del giudice competente a decidere il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati.

Non è, pertanto, sufficiente una richiesta istruttoria contenuta in ricorso o memoria (che può comunque preludere ad una attività istruttoria con ordinanza presidenziale e/o collegiale).

 

L'istanza di accesso infraprocessuale è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

 

Viene ribadita la disposizione che consente all’amministrazione di essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato, in parallelo a quella che consente la difesa in giudizio delle parti private senza necessità di assistenza tecnica (art. 23).

 

Al di fuori di quei casi nei quali si provvede con ordinanza (per connessione della domanda di accesso con un giudizio già promosso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata.

 

In caso di accoglimento del ricorso:

- ordina l'esibizione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni;

- detta, ove occorra, le relative modalità e quindi potrà nominare per gli adempimenti sostitutivi, in caso di protrarsi dell’inerzia, un commissario ad acta, al quale trovano applicazione le norme in tema di ottemperanza di cui sopra.

 

Le disposizioni di cui sopra contenute all’articolo 116 si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

 

 

5 - Il giudizio sul silenzio dell’Amministrazione.

 

Il codice del processo opera una ricostruzione sistematica delle azioni proponibili.

Con riferimento alle azioni, la versione finale del Codice (semplificata, in questa parte, rispetto allo Schema originario approvato dalla Commissione), all’art. 31, commi 1, 2, 3,  disciplina in modo specifico l’azione avverso il silenzio (proponibile fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento), con l’introduzione del limite alla pronuncia sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.

 

L’art. 117 disciplina il rito del giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio.

Dopo le modifiche apportate all'istituto del giudizio avverso il silenzio dell'amministrazione dall'art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, sul piano sostanziale, detto giudizio così definito si collega al "dovere" delle amministrazioni pubbliche di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, come prescrive l'art. 2, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Il dovere dell'amministrazione di provvedere sull'istanza del privato non può essere desunto dall'esistenza di un sistema processuale strutturato per rimuovere l'inerzia dell'amministrazione ad esercitare i poteri a lei attribuiti dalla legge, ma deve preesistere sul piano sostanziale, nel senso che deve trovare fondamento in una norma che impone direttamente o indirettamente all'amministrazione di adottare il provvedimento nell'interesse del privato richiedente.

 

L’art. 117 c.p.a. e l’art. 2 l. n. 241 del 1990 si pongono in un rapporto di reciproco completamento, in coerenza con il principio del buon andamento della p.a. e con quello, rilevante anche per la convenzione Europea per i diritti dell’uomo, di effettività del rimedio di giustizia amministrativa, previsto dall’ordinamento nazionale.

Ciò comporta che l’interesse all’impugnazione del silenzio non viene meno per il solo fatto che sia stato emesso un atto meramente istruttorio o comunque interno, dovendosi verificare se sia stato emesso un provvedimento che, senza configurare un arresto del procedimento, corrisponda nel suo contenuto a quello tipico previsto dalla legge, sia pure non satisfattivo.

Il ricorso previsto dall’art. 117 cpa è finalizzato ad accertare la legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione all’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo imposto dall’art. 2 l. 7 agosto 1990 n. 241, con un provvedimento espresso, impugnabile, qualora l’interessato lo ritenga lesivo della propria sfera giuridica.

Il rimedio non è, quindi, azionabile a fini meramente conoscitivi, anche in relazione al fatto che l’interessato può rivolgersi direttamente al giudice ordinario per ottenere la tutela del proprio diritto di credito, per adire il quale non occorre neppure l’intermediazione di un provvedimento dell’amministrazione.

 

Si ribadisce che il ricorso va proposto, anche senza previa diffida, allo scadere del termine assegnato all’Amministrazione per provvedere ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e va notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato nel termine di cui all'articolo 31, comma 2, fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Nel computo del termine di un anno previsto dall'art. 2 comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, in tema di silenzio, non va compresa la sospensione feriale dei termini, giacché tale termine ha natura non processuale ma sostanziale.

 

È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e, in caso di totale o parziale accoglimento, il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.

Il giudice, in caso di persistente inerzia dell’amministrazione nomina un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata e conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

La possibilità di pronunciarsi sulla fondatezza dell'istanza ai sensi dell'art. 2 comma 5, l. n. 241 del 1990, non è obbligatoria (“il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza”) e deve ritenersi limitata ai casi in cui venga in rilievo un'attività interamente vincolata della p.a., che non postuli accertamenti valutativi complessi e sempre che non sia prevalente il profilo concernente la sussistenza dell'obbligo della P.A. di emettere una pronuncia esplicita sull'istanza del privato. Infatti, se, nel giudizio sul silenzio-rifiuto, si riconoscesse al giudice amministrativo il potere di pronunciarsi in ogni caso sulla fondatezza della pretesa fatta valere, quindi, anche nei casi di esercizio della potestà discrezionale o nei casi in cui l'attività vincolata comporti valutazioni complesse, si finirebbe per ammettere una completa sostituzione del giudice alla pubblica amministrazione, in contrasto sia con i principi generali riguardanti i poteri del giudice amministrativo sia con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve definirlo e che deve essere succintamente motivata, così come prescrive il legislatore .

 

Se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito[10].

Se l'azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella di cui al silenzio articolo, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.

Giova ricordare che per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine decadenziale di 120 giorni per proporre l’azione risarcitoria non decorre fintanto che perdura l'inadempimento.

Il termine predetto inizia, comunque, a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

 

 

6 - Procedimento di ingiunzione.

 

L’art. 118 disciplina il procedimento del decreto ingiuntivo nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale.

Il codice di limita a rinviare dinamicamente al Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile.

Per l'ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato e l’opposizione si propone con ricorso.

Nella fase di cognizione aperta con l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo, il giudice non può limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere a una autonoma valutazione di tutti gli elementi probatori, offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso per l'ingiunzione sia dall'opponente per contestare tale pretesa.

 

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si atteggia, nel procedimento davanti al G.A. introdotto dall'art. 8 l. 21 luglio 2000 n. 205, non diversamente da quello delineato dal codice di procedura civile e dà luogo, quindi, ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione fu legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge, con la conseguenza che in esso solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore.

Di conseguenza dal rinvio contemplato da tale disposizione alla disciplina dettata dal citato capo del codice di rito, trova applicazione anche il combinato disposto degli articoli 641 e 647 c.p.c., per cui il termine perentorio per proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo è determinato, in difetto di diversa indicazione, in quaranta giorni dalla notifica del decreto.

Tuttavia, l'opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice amministrativo non si propone nelle forme previste dall'articolo 645 c.p.c. - ossia "con atto di citazione notificato al ricorrente", bensì, per espressa previsione del codice, "con ricorso", rinviandosi, pertanto, alla disciplina del processo amministrativo, che prescrive, oltre alla notifica del ricorso all'Amministrazione resistente ed ad almeno uno dei soggetti controinteressati, anche il successivo deposito del ricorso medesimo presso la Segreteria del giudice adito.

 

E’ apparso dubbio se, al fine in esame, sia necessaria la compiuta instaurazione del rapporto processuale amministrativo - che si ha solo con il deposito del ricorso notificato nella segreteria del giudice amministrativo - o sia piuttosto sufficiente la semplice notificazione del ricorso.

In relazione alla particolare natura del termine previsto per la proposizione del ricorso a decreto ingiuntivo e tenuto conto degli specifici effetti che comunque sono ricollegati alla notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo, si ritiene che soltanto la notificazione del ricorso debba avere luogo nel termine di quaranta giorni, mentre il successivo deposito va effettuato nell'osservanza degli ordinari termini processuali.
Il mancato rispetto del termine per la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo determina, infatti, la definitiva esecutività del decreto, ossia una situazione processuale assimilabile alla formazione della cosa giudicata.

Possono, quindi, applicarsi in via analogica alla fattispecie in esame i principi generali del processo amministrativo che concernono i termini processuali per la contestazione delle decisioni suscettibili di passare in giudicato, ed in particolare il principio per cui l'impugnazione è tempestiva qualora la notificazione del ricorso avvenga entro il relativo termine decadenziale, mentre il deposito dell'atto notificato può avere luogo anche in un momento successivo (purché nel rispetto dello specifico termine previsto per l'adempimento di tale incombente).

Tale principio si ritiene applicabile anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, attesane l'identità di ratio rispetto alle sopraindicate previsioni e nonostante detto procedimento debba considerarsi un ordinario giudizio di cognizione, anziché un mezzo d'impugnazione  (Consiglio Stato , sez. V, 28 maggio 2010 , n. 3404).

 

Il decreto ingiuntivo non opposto definisce la controversia, al pari della sentenza passata in giudicato, ed ha quindi valore di cosa giudicata agli effetti della proposizione del ricorso per ottemperanza contemplato dall'art. 27, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054.

 

 

7 - I riti abbreviati relativi a speciali controversie

 

Una particolare importanza assumono nel codice le disposizioni che riprendono e in parte riscrivono le regole del rito speciale in materia di appalti pubblici, recentemente introdotte dal d. lgs. n. 53 del 2010.

Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il Codice prevede l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti del rito accelerato ordinario disciplinato dall’art. 119, con la sola eccezione dei termini per la notificazione del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti (tanto contro provvedimenti già impugnati, quanto contro provvedimenti nuovi), che viene, eccezionalmente, fissato in trenta giorni contro i sessanta ordinari espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito accelerato “comune a particolari materie”.

Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si segnalano, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, i nuovi termini per l’impugnazione delle sentenze (con l’espressa precisazione dell’irrilevanza della omessa impugnazione del dispositivo ai fini della successiva richiesta di sospensione) e l’espressa indicazione dei termini di appello delle ordinanze, nonché la modifica dei presupposti per la concessione delle misure cautelari e l’abolizione dei termini di deposito delle memorie e dei documenti a decorrere dall’ordinanza che fissa il merito e la necessità di un’espressa richiesta per la pubblicazione del dispositivo (non operante per il contenzioso appalti).

L’art. 119 del codice sostituisce l’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, disciplinando il rito abbreviato comune a determinate materie

 

Le disposizioni si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a:

a) i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti;

b) i provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti, con esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio con i propri dipendenti;

c) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali;

d) i provvedimenti di nomina, adottati previa delibera del Consiglio dei ministri;

e) i provvedimenti di scioglimento di enti locali e quelli connessi concernenti la formazione e il funzionamento degli organi;

f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale;

g) i provvedimenti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive;

h) le ordinanze adottate in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e i consequenziali provvedimenti commissariali (protezione civile nazionale);

i) il rapporto di lavoro del personale dei servizi di informazione per la sicurezza, ai sensi dell'articolo 22, della legge 3 agosto 2007, n. 124 (AISI, AISE e DIS);

l) le controversie comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2003, n. 55, comprese quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti;

m) i provvedimenti della commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, recanti applicazione, modifica e revoca delle speciali misure di protezione nei confronti dei collaboratori e testimoni di giustizia.

 

Una peculiarità di detto rito è che tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati.

Fanno eccezione al dimezzamento, nei giudizi di primo grado, i termini per la notificazione:

- del ricorso introduttivo;

- del ricorso incidentale;

- dei motivi aggiunti.

 

Non si dimezzano i termini di cui all'articolo 62, comma 1, per l’impugnazione delle  ordinanze cautelari per cui è ammesso appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza, ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

Si dimezzano, invece, i termini per il deposito del ricorso (principale ed incidentale) e dei motivi aggiunti.

Come ormai pacificamente e unanimemente ritenuto in giurisprudenza, il dimezzamento dei termini di cui sopra (precedentemente previsto dall’art. 23-bis l. TAR e ribadito dal codice si applica anche al termine di deposito dell'appello (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 31 maggio 2002, n. 5; Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, n.. 389).

 

La dimidiazione dei termini processuali prevista adesso dall’art. 119 concerne solo l'impugnazione di atti amministrativi e non i giudizi risarcitori

 

Salva la pronuncia di sentenza in forma semplificata, il tribunale amministrativo regionale chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare:

- accerta la completezza del contraddittorio ovvero dispone l'integrazione dello stesso;

- se ritiene, a un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, disponendo altresì il deposito dei documenti necessari e l'acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti;

- fissa la data di svolgimento dell’udienza in caso di rigetto dell'istanza cautelare da parte del tribunale amministrativo regionale, ove il Consiglio di Stato riformi l'ordinanza di primo grado (in tale ipotesi, il termine di trenta giorni decorre dalla data di ricevimento dell'ordinanza da parte della segreteria del tribunale amministrativo regionale, che ne dà avviso alle parti).

 

L'obbligo per il giudice di fissare i termini per il deposito di atti di memorie è correlato alla fissazione dell'udienza nel termine previsto dalla norma predetta, che deve ritenersi avere carattere ordinatorio; conseguentemente, in caso di fissazione dell'udienza oltre il termine predetto, i depositi di documenti, memorie e repliche vanno effettuati nei termini dimezzati previsti in via generale.

 

Con l'ordinanza cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, il tribunale amministrativo regionale o il Consiglio di Stato possono disporre le opportune misure cautelari.

Al procedimento cautelare si applicano le disposizioni del Titolo II del Libro II, in materia di misure cautelari (tutela cautelare collegiale, monocratica interinale e ante causam).

Innovativa è la norma che rende facoltativa la pubblicazione del dispositivo quando almeno una delle parti, nell'udienza discussione, dichiara di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza e la dichiarazione della parte è attestata nel verbale d'udienza.

In tal caso il dispositivo è pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa.

Il termine, pertanto, non decorre dall’udienza (pubblica o camerale) di discussione, ma dalla camera di consiglio di decisione.

 

La parte può chiedere al Consiglio di Stato la sospensione dell'esecutività del dispositivo, proponendo appello entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro tre mesi dalla sua pubblicazione.

La mancata richiesta di sospensione dell'esecutività del dispositivo non preclude la possibilità di chiedere la sospensione dell'esecutività della sentenza dopo la pubblicazione dei motivi.

Anche le predette disposizioni si applicano anche nei giudizi di appello, revocazione e opposizione di terzo.

 

 

8 - Il rito speciale in materia di procedure di affidamento di appalti e servizi pubblici.

 

L'articolo 120 detta disposizioni integrative specifiche rispetto a quella contenuta all'articolo 119, limitatamente all'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,

Il rito accelerato si deve applicare quando la domanda proposta in giudizio, è rientrante tra quelli di cui sopra non abbia ad oggetto esclusivamente il risarcimento del danno, ma riguardi anche l'annullamento di atti amministrativi.

 

Detti provvedimenti sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente (escludendosi la proposizione del ricorso straordinario)[11].

 

La peculiarità più rilevante riguarda il termine per l'impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, muovendosi dal principio affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la riduzione a metà del termine entro il quale proporre ricorso, in materia di opere pubbliche, non importa modalità di esercizio così gravose da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio della difesa e lo svolgimento della connessa attività processuale; del resto varie norme vigenti dispongono nel senso della riduzione dei termini per instaurare giudizi amministrativi (Corte costituzionale 10 novembre 1999 numero 427).

 

Appare dubbio se la riduzione del termine per impugnare riguardi anche la proposizione del ricorso incidentale, non espressamente menzionato.

I termini per l'impugnazione sono fissati in maniera differenziata in relazione al rispetto da parte dell'amministrazione pubblica della disciplina contenuta nella direttiva ricorsi e recepite nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo numero 53 del 2010.

 

Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva di cui all'articolo 65 e all'articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell'atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando.

L’art. 65 del codice dei contratti, recependo nell'ordinamento nazionale l’art. 35, paragrafo 4, e art. 36, paragrafo 1, direttiva 2004/18), ha previsto che le stazioni appaltanti che hanno aggiudicato un contratto pubblico o concluso un accordo quadro inviano un avviso relativo ai risultati della procedura di aggiudicazione, entro quarantotto giorni dall'aggiudicazione del contratto o dalla conclusione dell'accordo quadro.

L'articolo  225 del codice dei contratti, invece, recependo l'art. 43, della direttiva 2004/17, dispone che gli enti aggiudicatori che abbiano aggiudicato un appalto o concluso un accordo quadro inviano un avviso relativo all'appalto aggiudicato entro due mesi dall'aggiudicazione dell'appalto o dalla conclusione dell'accordo quadro e alle condizioni dalla Commissione europea.

Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui sopra oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto.

 

Per l'impugnazione degli atti della procedura di gara il ricorso e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

Le stazioni appaltanti, in applicazione della norma predetta, sono tenute ad informare tempestivamente i candidati e gli offerenti delle decisioni prese riguardo alla conclusione di un accordo quadro, all'aggiudicazione di un appalto, o all'ammissione in un sistema dinamico di acquisizione, ivi compresi i motivi della decisione di non concludere un accordo quadro, ovvero di non aggiudicare un appalto per il quale è stata indetta una gara, ovvero di riavviare la procedura, ovvero di non attuare un sistema dinamico di acquisizione.

 

Giova ricordare inoltre che la Corte giustizia CE, con la sentenza della sez. III, 28 gennaio 2010 n. 406 ha affermato il principio secondo il quale l'art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, esige che il termine per proporre un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici ovvero ad ottenere un risarcimento dei danni per la violazione di detta normativa decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della violazione stessa.

 

L'onere di immediata impugnazione del bando di concorso (o di gara) è strettamente riconnesso alla contestazione di clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione, ostative all'ammissione dell'interessato, o al più impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, laddove siano assimilabili, per struttura e modo di operare, a quelle concernenti i requisiti soggettivi; va invece escluso un siffatto onere nei riguardi di ogni altra clausola dotata solo di astratta e potenziale lesività, la cui idoneità a produrre una concreta ed attuale lesione può essere valutata unicamente all'esito, non scontato, della medesima procedura e solo in caso in cui tale esito sia negativo per l'interessato.

Quando è impugnata l'aggiudicazione definitiva, se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato, oltre che presso detta Avvocatura, anche alla stazione appaltante nella sua sede reale, in data non anteriore alla notifica presso l'Avvocatura, e al solo fine dell'operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto.

 

Salvo che il giudizio non sia immediatamente definito con sentenza in forma semplificata adottata nella camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, ai sensi dell'articolo 60, l'udienza di merito, ove non indicata dal collegio ai sensi dell'articolo 119, comma 3 con l’ordinanza che esamina la domanda cautelare, è immediatamente fissata d'ufficio con assoluta priorità; e ciò a prescindere dall’accoglimento della domanda cautelare.

 

I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti.

Viene meno, pertanto la facoltatività della impugnazione con ricorso autonomo prevista in via ordinaria.

 

Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali.

La norma predetta trova ragione di essere nell'esigenza di evitare che richieste di rinvio (ad esempio per proposizione di ricorso incidentale, motivi aggiunti o incidenti del processo) possano incidere sul principio della necessità che la fase cautelare venga definita in tempi certi.

 

Il dispositivo del provvedimento con cui il tribunale amministrativo regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data della sua deliberazione.

Quindi non è rimessa alla valutazione delle parti la scelta di pubblicazione del dispositivo.

Si ribadisce che si accentua il principio che tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74 con la sentenza redatta in forma semplificata.

L'articolo 74 del codice prevede che nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata.

La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme.

 

 

9 - Le peculiarità del rito delle infrastrutture strategiche.

 

Ulteriori disposizioni processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche vengono introdotto dall'articolo 125 del codice, per cui nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione, approvazione, e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, di cui alla parte II, titolo III, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, trovano applicazione le norme predette in materia di impugnazione delle procedure di gara ad eccezione dell'articolo 122 che disciplina il rapporto tra l'annullamento dell'aggiudicazione e la efficacia del contratto[12].

In via derogatoria è, infatti, previsto che in sede di pronuncia del provvedimento cautelare, si tiene conto:

- delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi;

- del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera.

 

Ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, si valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure.

Ferma restando l'applicazione degli articoli 121 (“Inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni”) e 123 (“Sanzioni alternative”, al di fuori dei casi in essi contemplati la sospensione e l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente.

Si applica l'articolo 34, comma 3 per cui quando nel corso del giudizio l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori.

L'art. 246 comma 4 del Codice dei contratti di cui al d.lg. n. 163 del 2006 e successive modificazioni, che nel caso di annullamento dell'aggiudicazione preclude la caducazione del contratto, è disposizione eccezionale applicabile solo agli interventi relativi alle infrastrutture strategiche e agli insediamenti produttivi di interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui all'art. 1, l. 21 dicembre 2001 n. 443, non essendo sufficiente per la sua applicazione ad ipotesi diverse una analoga esigenza di speditezza della procedura.

 

 

10 - Il rito elettorale.

 

Il legislatore delegato non ha esercitato la delega nella parte concernente l’introduzione ex novo di una tutela specifica relativa alla fase preparatoria delle elezioni politiche, sebbene un tentativo in tal senso era stato fatto dalla commissione redigente presso il Consiglio di Stato.

Come si legge nella Relazione, i tempi serrati di tale fase preparatoria – insuperabili per il vincolo posto dall’art. 61 della Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70 giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere precedenti – hanno sconsigliato il Governo dall’intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo di competenza dell’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione ipotizzata dalla commissione redigente.

A ciò va aggiunto che nello stesso giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D. l.vo 2 luglio 2010 n. 104 di approvazione del nuovo codice del processo amministrativo, che, tra l’altro, innova il giudizio elettorale, e, all’art. 129, ammette una tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettorali preparatori, il 7 Luglio 2010 è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 2010, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 83–undecies del D.P.R. 16/5/60 n. 570, nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti.

L’art. 2, allegato 4, del nuovo codice amministrativo, contenente le norme di coordinamento ed abrogazioni in materia di elezioni amministrative, ha peraltro previsto l’abrogazione dell’art. 83–undecies, oggetto della sentenza di incostituzionalità.

La norma di coordinamento recita: l’art. 83 del D.P.R. 570/1960 è così sostituito: «la tutela in materia di operazioni per le elezioni dei consiglieri comunali, successive all’emanazione del decreto di convocazione dei comizi, è disciplinata dalle disposizioni dettate dal codice del processo amministrativo».

La Corte Costituzionale ha affermato che la posticipazione dell’impugnabilità degli atti di esclusione di liste o candidati  ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni viola gli artt. 24 e 113 Cost.

L’interesse del candidato – si legge in motivazione – “è quello di partecipare ad una determinata consultazione elettorale, in un definito contesto politico e ambientale”.

Ogni forma di tutela che intervenga ad elezioni concluse «appare inidonea ad evitare che l’esecuzione del provvedimento illegittimo di esclusione abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio”.

La Corte ha evidenziato che “lo stesso legislatore, del resto, con la disposizione dell’art. 44 della L. 69 del 2009, ha delegato il Governo ad adottare norme che consentono l’autonoma impugnabilità degli atti cosiddetti endoprocedimentali immediatamente lesivi di situazioni giuridiche soggettive”.

Per completare il quadro della normativa di riferimento, che richiede una tutela piena e tempestiva contro gli atti della pubblica amministrazione, la Corte ha richiamato gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che riconoscono, tra l’altro, il diritto ad un ricorso effettivo..

 

Venendo all'esame delle norme del codice l'articolo 126 ribadisce l’ambito della giurisdizione sul contenzioso elettorale, prevedendo che il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia[13].

Nella materia elettorale l'articolo 128 del codice esclude la possibilità di proporre il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

 

 

11 - Il rito in materia di ammissione delle liste e dei candidati.

 

Come accennato l'articolo 129 introduce una specifica disciplina con riguardo alla tutela anticipata avverso gli atti di esclusione dai procedimenti elettorali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali

 

I provvedimenti relativi al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti l'esclusione di liste o candidati possono essere immediatamente impugnati, esclusivamente da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati.

Al di fuori dei provvedimenti di esclusione dalla procedura elettorale ogni provvedimento relativo al procedimento, anche preparatorio, per le elezioni è impugnabile soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di proclamazione degli eletti.

 

Il ricorso avverso l'esclusione dalla competizione elettorale nel termine di tre giorni decorrenti come sopra, deve essere, a pena di decadenza:

a) notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati; in ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione;

b) depositato presso la segreteria del tribunale adito, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico.

 

Le parti sono tenute ad indicare, rispettivamente nel ricorso o negli atti di costituzione, l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax da valere per ogni eventuale comunicazione e notificazione.

Non è chiaro se l'inosservanza di detta norma sia sanzionata con l'inammissibilità del ricorso.

L'udienza di discussione si celebra, senza possibilità di rinvio anche in presenza di ricorso incidentale, nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza avvisi. Alla notifica del ricorso incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso principale.

Il giudizio è deciso all'esito dell'udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno.

La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.

La sentenza non appellata è comunicata immediatamente (“senza indugio”) dalla segreteria del tribunale all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato.

Il ricorso di appello, nel termine di due giorni dalla pubblicazione della sentenza, deve essere, a pena di decadenza:

a) notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati; in ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione; per le parti costituite nel giudizio di primo grado la trasmissione si effettua presso l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax indicato negli atti difensivi;

b) depositato in copia presso il tribunale amministrativo regionale che ha emesso la sentenza di primo grado, il quale provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico;

c) depositato presso la segreteria del Consiglio di Stato, che provvede ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico.

Nel giudizio di cui sopra non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, e 54, commi 1 e 2, per cui il giorno di sabato non è considerato festivo ai fini della decorrenza dei termini decadenziali da non calcolare a ritroso.

 

 

12 - Il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo

 

L'articolo 130 disciplina invece il rito relativo alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo

Contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti:

a) quanto alle elezioni di comuni, province e regioni, da parte di qualsiasi candidato o elettore dell'ente della cui elezione si tratta, al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il predetto ente territoriale, da depositare nella segreteria del tribunale adito entro il termine di trenta giorni dalla proclamazione degli eletti;

b) quanto alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, da parte di qualsiasi candidato o elettore, davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, da depositare nella relativa segreteria entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'elenco dei candidati proclamati eletti.

 

Spetta agli Stati membri il compito di organizzare le elezioni del Parlamento europeo, secondo la procedura fissata dalle disposizioni nazionali, e, in tale ambito, procedere allo spoglio dei voti ed alla proclamazione ufficiale dei risultati elettorali. Il Parlamento europeo non può rimettere in discussione la regolarità della proclamazione dell'ufficio elettorale nazionale in quanto, in base all'art. 12 dell'atro del 1976, è tenuto a prendere atto dei risultati[14].

 

Coloro che presentano un ricorso in materia elettorale, sia che si tratti di cittadini elettori, che di candidati non eletti, sono tenuti a dare prova della propria legittimazione all'impugnazione nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del ricorso. La prova della legittimazione è diversa a seconda che il ricorso sia proposto da candidati non eletti o da cittadini elettori non partecipanti alla competizione.

Per i primi la legittimazione si identifica con l'interesse a ricorrere perché il petitum consiste nell'annullamento in toto o in parte qua della proclamazione degli eletti nella parte in cui non hanno sortito un esito favorevole a loro o alla loro lista: la legittimazione può pertanto essere attestata dalla semplice iscrizione nelle liste dei partecipanti alla competizione o in qualsivoglia atto o documento idoneo a comprovare tale requisito.

Per i secondi che mirano alla realizzazione dell'interesse collettivo al corretto svolgimento delle operazioni elettorali, la legittimazione è soggetta alla prova di essere cittadino elettore del comune ove si è svolta la competizione i cui risultati sarebbero inficiati da errore.

 

Il contenzioso elettorale innanzi al giudice amministrativo, pur se soggetto ad un rito speciale, è pur sempre inquadrato nello schema del processo d'impugnazione, onde l'oggetto del giudizio è definito dai motivi dedotti entro il termine di decadenza ed il ricorrente è tenuto a specificarli con l'atto introduttivo, ancorché sia consentita una minore precisione nella prospettazione dei vizi, mentre nelle memorie e nella discussione orale può essere illustrato quanto già dedotto.

Pertanto, sarebbe inammissibile il ricorso con cui, nel contestare le operazioni elettorali, si prospettino vizi generici o ipotetici, o una generica omissione nel computo di voti e preferenze, allo scopo di evitare che l'omessa indicazione dei vizi si trasformi in un mero espediente per provocare il generale riesame, in sede di giudizio delle schede elettorali.

 

Nel giudizio elettorale unica parte pubblica necessaria è l'ente locale interessato, che si appropria del risultato elettorale e sul quale si riverberano gli effetti di un eventuale annullamento, ovvero della conferma della proclamazione degli eletti; per cui in particolare, gli organi temporanei, abilitati a dichiarare i risultati finali del procedimento elettorale, come l'ufficio elettorale centrale, e a maggior ragione gli uffici circoscrizionali e di sezione, non sono portatori di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei loro atti, per cui il ricorso contro le operazioni elettorali non deve essere ad essi notificato ed ove il ricorso sia stato notificato ad uno dei predetti uffici, questi ultimi devono essere estromessi dal giudizio elettorale per difetto di legittimazione passiva (Consiglio Stato ad. plen., 23 febbraio 1979 , n. 7).

 

Il presidente, con decreto:

a) fissa l'udienza di discussione della causa in via di urgenza;

b) designa il relatore;

c) ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo;

d) ordina il deposito di documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria;

e) ordina che a cura della segreteria il decreto sia immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente.

 

Il ricorso è notificato, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, a cura di chi lo ha proposto, entro dieci giorni dalla data della comunicazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza :

a) all'ente della cui elezione si tratta, in caso di elezioni di comuni, province, regioni;

b) all'Ufficio elettorale centrale nazionale, in caso di elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;

c) alle altre parti che vi hanno interesse, e comunque ad almeno un controinteressato.

 

I termini relativi all'introduzione del giudizio elettorale devono ritenersi prescritti a pena di decadenza  e la natura perentoria appare logicamente riconducibile al (ed imposta dalla considerazione del) preminente interesse pubblico, evidentemente sotteso al regime processuale in esame, ad una definizione delle controversie elettorali in tempi certi e solleciti. Tali esigenze impediscono di attribuire alcuna rilevanza, ai fini dell'individuazione del "dies a quo" del termine per il deposito del ricorso , alla notificazione di quest'ultimo (da ritenersi, pertanto, "inutiliter data") ad un soggetto privo di legittimazione passiva.

Ne consegue che il "dies a quo" per il computo del termine in questione va, invece, individuato nel giorno della notifica ai soggetti passivamente legittimati la cui qualità di parti necessarie realizza, di contro, le segnalate esigenze di certezza nell'instaurazione del giudizio.

Il termine di dieci giorni, fissato per il deposito del ricorso elettorale notificato, ha natura perentoria e decorre dal momento in cui il destinatario riceve la notificazione dell'atto e non già dal momento, eventualmente successivo, in cui il notificante riceva l'avviso del perfezionamento della notifica, effettuata tramite il servizio postale.

 

Entro dieci giorni dall'ultima notificazione del ricorso con in calce il decreto presidenziale, il ricorrente deposita nella segreteria del tribunale la copia del ricorso e del decreto, con la prova dell'avvenuta notificazione, insieme con gli atti e documenti del giudizio.

Nel processo elettorale il mancato deposito del ricorso nei termini di decadenza prescritti, non è sanata dalla tempestiva costituzione degli intimati, trattandosi di un'ipotesi di decadenza, impedita soltanto dal compimento dell'atto.

L'amministrazione resistente e i controinteressati depositano nella segreteria le proprie controdeduzioni nei quindici giorni successivi a quello in cui la notificazione si è perfezionata nei loro confronti.

All'esito dell'udienza, il collegio, sentite le parti se presenti, pronuncia la sentenza.

La sentenza è pubblicata entro il giorno successivo alla decisione della causa.

Se la complessità delle questioni non consente la pubblicazione della sentenza, nello stesso termine di cui al periodo precedente è pubblicato il dispositivo mediante deposito in segreteria. In tal caso la sentenza è pubblicata entro i dieci giorni successivi.

Non è più prevista, pertanto, la lettura del dispositivo del provvedimento giurisdizionale in pubblica udienza.

 

La sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della segreteria del tribunale amministrativo regionale, al Sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente dell'ufficio elettorale nazionale, a seconda dell'ente cui si riferisce l'elezione.

Il comune, la provincia o la regione della cui elezione si tratta provvede, entro ventiquattro ore dal ricevimento, alla pubblicazione per quindici giorni del dispositivo della sentenza nell'albo o bollettino ufficiale dell'ente interessato a mezzo del segretario che ne è diretto responsabile.

In caso di elezioni relative a comuni, province o regioni, la sentenza è comunicata anche al Prefetto. Ai medesimi incombenti si provvede dopo il passaggio in giudicato della sentenza annotando sulla copia pubblicata la sua definitività.

 

Il tribunale amministrativo regionale, quando accoglie il ricorso, esercitando una giurisdizione di merito, corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo.

In caso di ricorso avverso le operazioni elettorali inerenti il Parlamento europeo, i voti delle sezioni le cui operazioni sono state annullate non hanno effetto.

 

Tutti i termini processuali diversi da quelli indicati negli articoli 129, 130 e 131 sono dimezzati rispetto ai termini del processo ordinario.

 

L'ente comunale, provinciale o regionale, della cui elezione si tratta, comunica agli interessati la correzione del risultato elettorale.

L'Ufficio elettorale nazionale comunica la correzione del risultato elettorale agli interessati e alla segreteria del Parlamento europeo.

 

L'appello avverso le sentenze di cui sopra  è proposto entro il termine di venti giorni dalla notifica della sentenza, per coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica; per gli altri candidati o elettori nel termine di venti giorni decorrenti dall'ultimo giorno della pubblicazione della sentenza medesima nell'albo pretorio del comune.

Anche in questo caso il presidente fissa in via d'urgenza l'udienza di discussione.

Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, e i relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario.

La sentenza, quando, in riforma di quella di primo grado, accoglie il ricorso originario, provvede con le stesse modalità previste per il processo di primo grado.

 

L'articolo 132 disciplina alcune peculiarità del procedimento in appello in relazione alle operazioni elettorali del Parlamento europeo.

Le parti del giudizio di primo grado possono proporre appello mediante dichiarazione da presentare presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato la sentenza, entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo.

L'atto di appello contenente i motivi deve essere depositato entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione dell'avviso di pubblicazione della sentenza.

 

 



[1] Relazione tenuta il 12 novembre 2010 nel corso del Convegno di Sudi organizzato dal Comune di Catania sul tema “Il codice del nuovo processo amministrativo”.

[2] La Corte costituzionale con la sentenza 8 febbraio 2006 n. 44 ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24, 97, 111 e 113 cost., la q.l.c. dell'art. 37 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella parte in cui non consente l'utilizzazione del giudizio di ottemperanza con riguardo alle sentenze del giudice ordinario esecutive, ancorché non passate in giudicato. Trattasi di questione identica ad altra già dichiarata manifestamente infondata sulla base dei seguenti rilievi: il giudizio di ottemperanza concerne, di norma, sentenze passate in giudicato e che questa scelta del legislatore non appare irragionevole, in quanto la procedura di ottemperanza nei confronti della p.a. comporta l'esercizio di una giurisdizione estesa al merito; la previsione di cui all'art. 33 l. n. 1034 del 1971, secondo la quale il giudizio di ottemperanza può esercitarsi nei confronti delle sentenze del TAR non sospese dal Consiglio di Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore, il quale ha voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado; sono differenti e, quindi, non comparabili le azioni esecutive esperibili davanti al giudice ordinario secondo le norme di procedura civile, trattandosi di sentenze o di provvedimenti esecutivi che non richiedono l'esame di merito proprio del giudizio di ottemperanza; non può quindi parlarsi di disparità di trattamento fra l'ipotesi di esecuzione di sentenza amministrativa di primo grado, perseguita attraverso il giudizio di ottemperanza, e l'ipotesi di esecuzione delle sentenze di primo grado del giudice ordinario; stante la diversità degli istituti, non può conseguentemente parlarsi, in relazione all'esecuzione delle sentenze del giudice ordinario, né di pregiudizio per la tutela dei diritti del creditore, né di pregiudizio per la ragionevole durata del processo, la quale è garantita peraltro dai tempi processuali disposti dal codice di procedura civile; il principio di buon andamento si riferisce agli organi dell'amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, ma non riguarda l'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i provvedimenti che ne costituiscono espressione.

 

[3] Consiglio di Stato V  13 ottobre 2010 n. 7463

[4] La normativa precedente non prevedeva l’obbligo di notifica del ricorso per ottemperanza e la Corte costituzionale ha ritenuto che è manifestamente infondata la q.l.c., in riferimento agli art. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, cost., dell'art. 91 r.d. 17 agosto 1907 n. 642, e, in subordine, degli art. 19, comma 1, e 27, comma 1, n. 4, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e dell'art. 27, comma 1, n. 4 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, nelle parti in cui tali norme, rinviando all'art. 91 r.d. n. 642 del 1907, consentono l'introduzione del giudizio per esecuzione del giudicato senza la previa notifica del ricorso a mezzo di ufficiale giudiziario. Premesso che deve riconoscersi la piena natura legislativa dell’art. 91 r.d. n. 642 del 1907, il che impone di ritenere assorbita la questione prospettata in via subordinata, questione analoga è stata già dichiarata non fondata sulla base del rilievo che la forma di comunicazione prescelta dalla norma censurata appare compatibile con il vigente ordinamento costituzionale, nel senso che la comunicazione, al pari della notificazione, costituisce mezzo idoneo ad assicurare quelle garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie per il rispetto dei principi della difesa in giudizio e del contraddittorio, a condizione che la si interpreti nel senso di prevedere un obbligo di comunicare l'atto nella sua interezza, in tempo utile e in modo da consentire alla p.a. una effettiva conoscenza della domanda e l'articolazione tempestiva dei mezzi di difesa (Corte costituzionale, 10 marzo 2006 , n. 100).

 

[7] Va ricordato che l’azione per la declaratoria di nullità, proponibile per l’accertamento delle nullità previste dalla legge (salvo quanto previsto per l’elusione del giudicato, autonomamente disciplinata nel Libro IV) entro il termine di decadenza di centottanta giorni, fermo restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.

 

[8] Nella sentenza del Consiglio di Stato IV 2 marzo 2010 n. 1220 si legge “Ciò posto, in questa fase del giudizio la Sezione deve fare applicazione dei principi sulla effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009). Per la pacifica giurisprudenza della Corte di Strasburgo (CEDU, Sez. III, 28-9-2006, Prisyazhnikova c. Russia, § 23; CEDU, 15-2-2006, Androsov-Russia, § 51; CEDU, 27-12-2005, Iza c. Georgia, § 42; CEDU, Sez. II, 30-11-2005, Mykhaylenky c. Ucraina, § 51; CEDU, Sez. IV, 15-9-2004, Luntre c. Moldova, § 32), gli artt. 6 e 13 impongono agli Stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al principio ‘the domestic remedies must be effective’.

In base ad un principio applicabile già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il giudice nazionale deve prevenire la violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29-2-2006, Cherginets c. Ucraina, § 25) con la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 20-12-2005, Trykhlib c. Ucraina, §§ 38 e 50).

Pertanto, in relazione all’azione prevista dall’art. 389 c.p.c., in sede interpretativa il giudice amministrativo deve adottare tutte le misure che diano effettiva tutela al ricorrente la cui pretesa risulti fondata. La Sezione, tenuto conto della circostanza che il ricorso è stato proposto da una pubblica amministrazione nei confronti di soggetti privati e che può esercitare i più ampi poteri volti a dare effettiva tutela, ritiene che la pretesa del Comune ricorrente possa essere accolta con una sentenza di condanna, idonea a divenire un titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474 del codice di procedura civile”.

[9] Oltre del diritto di accesso come disciplinato dalla legge n. 241/90, è necessario ricordare che esistono altri tipi di accesso nell’ambito dell‘attività amministrativa latu sensu intesa, che sono disciplinati da leggi diverse e che seguono un diverso procedimento e che il più delle volte hanno un giudice diverso.

L’art. 146 del D.lgs. n. 209/2005 codice delle assicurazioni private prevede che, fermo restando quanto previsto dal codice di protezione dei dati personali, per accedere alle informazioni personali, “le imprese di assicurazioni che esercitano nel ramo della responsabilità civile sono tenute a consentire ai contraenti ed ai danneggiati il diritto di accesso agli atti di conclusione dei procedimenti …., constatazione e liquidazione che li riguardano”.

L’esercizio del diritto non è consentito quando riguarda accertamenti, che evidenziano indizi o prove di comportamenti fraudolenti; è una forma speciale di accesso nei confronti di un soggetto che svolge un’attività di pubblico interesse, che ben potrebbe rientrare nell’ambito della legge n. 241/90, che però è assoggettata ad un procedimento e ad un rito speciale, perché entro 60gg. l’assicurato o il danneggiato se non ottengono la documentazione richiesta possono fare reclamo all’ISVAP.

Accesso ambientale previsto dalla l. n. 195/05 codice dell’ambiente.

È un accesso speciale nel suo contenuto, non c’è però un giudice speciale, perché sono diversi solo i presupposti e il contenuto, ma il rito è quello previsto dalla legge n. 241/90.

L’accesso ambientale, già previsto dal d.lgs. n. 39/97, costituisce applicazione della normativa comunitaria. In particolare della direttiva n. 4 del 2003.

In sede europea si è voluto assicurare l’accesso ai documenti ambientali, ritenendo che la libertà di informazione e la diffusione dell’informazione possano essere mezzo utile per preservare l’ambiente.

Diverge sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

L’accesso ai documenti riguardanti l’ambiente è consentito a chiunque, è una sorta di azione popolare, chi chiede l’accesso non deve dimostrare nessun interesse all’accesso.

Mentre la legge n. 241/90 si riferisce ai documenti amministrativi, il d.lgs. 195/05 si riferisce chiaramente alle informazioni, cioè non solo ai documenti ma a qualsiasi altro tipo di dati ed informazioni.

Il motivo per cui la legge è stata introdotta è stato quello di consentire un controllo diffuso sulla qualità ambientale.

Per il TU. Enti locali d.lgs. n. 267/2000 art. 43, c. 2, i consiglieri comunali e provinciali possono accedere a tutti i documenti che riguardano l’amministrazione.

La ratio della norma è di consentire al consigliere comunale di svolgere correttamente e completamente il suo mandato.

Non è il diritto di accesso riconosciuto a tutti i cittadini per la tutela di un proprio interesse, ma si tratta di un accesso funzionalizzato al compito istituzionale che hanno i consiglieri comunali.

Ciò implica che il consigliere può accedere non solo ai documenti, ma a tutti i dati posseduti dalla p.a., inoltre la sua attività non solo si può proiettare nel futuro, ma il dir. di accesso può riguardare anche attività svolte durante consigliature precedenti.

 

[10] La giurisprudenza ritiene ammissibile un ricorso giurisdizionale con il quale sono state contestualmente avanzate due domande soggette a riti diversi e precisamente una domanda principale di annullamento del provvedimento impugnato e (per il caso in cui si dovesse ritenere l’atto gravato in via principale privo di carattere provvedimentale) una domanda subordinata, tendente ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dalla P.A.; infatti, in attuazione del principio di concentrazione ed effettività della tutela (di cui all’art. 44, n. 2, lett. a, della legge di delega n.69 del 2009), è stata introdotta - con l’art. 32 del codice del processo amministrativo, approvato con D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, una disposizione la quale prevede che: "E' sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV" (comma I)"; con l’ulteriore conseguenza che, in tal caso, deve essere ritenuto applicabile, ai sensi del citato art. 32, il rito ordinario, al quale è soggetta l’azione di annullamento proposta in via principale, TAR Lombardia- Milano IV 28 ottobre 2010 n. 7139.

 

 

[11] L’art. 243-bis. del Codice dei contratti disciplina l’informativa in ordine all'intento di proporre ricorso giurisdizionale disponendo che nelle materie di cui all'articolo 244, comma 1, i soggetti che intendono proporre un ricorso giurisdizionale informano le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione di proporre un ricorso giurisdizionale. L'informazione è fatta mediante comunicazione scritta e sottoscritta dall'interessato, o da un suo rappresentante, che reca una sintetica e sommaria indicazione dei presunti vizi di illegittimità e dei motivi di ricorso che si intendono articolare in giudizio, salva in ogni caso la facoltà di proporre in giudizio motivi diversi o ulteriori. L'interessato può avvalersi dell'assistenza di un difensore. La comunicazione può essere presentata fino a quando l'interessato non abbia notificato un ricorso giurisdizionale. L'informazione è diretta al responsabile del procedimento. La comunicazione prevista dal presente comma può essere effettuata anche oralmente nel corso di una seduta pubblica della commissione di gara ed è inserita nel verbale della seduta e comunicata immediatamente al responsabile del procedimento a cura della commissione di gara.

La stazione appaltante, entro quindici giorni dalla comunicazione del preavviso di ricorso comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela. L'omissione della comunicazione e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonché ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.

Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all'atto cui si riferisce, ovvero, se quest'ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti..

 

[12] La norma si riferisce alla progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonché l'approvazione secondo quanto previsto dall'articolo 179 dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Nell'ambito del programma predetto sono, altresì, individuate, con intese generali quadro tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, le opere per le quali l'interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale. Per tali opere le regioni o province autonome partecipano, con le modalità indicate nelle stesse intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, in accordo alle normative vigenti e alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate. Rimangono salve le competenze delle province autonome di Trento e Bolzano previste dallo statuto speciale e relative norme di attuazione.

[13] Rimangono fuori dalla giurisdizione le questioni riguardanti i profili di eleggibilità e incompatibilità dei candidati alle competizioni elettorali.

In materia di contenzioso elettorale amministrativo sono devolute al giudice amministrativo le controversie in tema di operazioni elettorali, mentre spetta al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti l'ineleggibilità, le decadenze e le incompatibilità.

La giurisdizione del giudice ordinario non trova limitazioni o deroghe per il caso in cui la questione di eleggibilità venga introdotta mediante impugnazione del provvedimento del Consiglio Comunale sulla convalida degli eletti o impugnazione dell'atto di proclamazione o, in genere, impugnazione del provvedimento che si pronuncia sull'eleggibilità del candidato, perché anche in tali ipotesi la decisione verte non sull'annullamento dell'atto amministrativo, bensì sul diritto soggettivo perfetto inerente all'elettorato attivo o passivo.

Invece le controversie inerenti non l'eleggibilità degli eletti, bensì la surrogazione dei rinuncianti con i candidati che li seguono nella graduatoria, esulano dalla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 82, D.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, e sono devolute alla giurisdizione del Tribunale Amministrativo Regionale.