Il danno da ritardo (o da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento). [1]

di

Roberto Chieppa

Consigliere di Stato

Pubblicato sul sito il 4 aprile 2011

1. Le fattispecie di danno da ritardo e il riparto di giurisdizione. 2. I presupposti del risarcimento del danno da ritardo. 3. La domanda di risarcimento del danno da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento nel Codice del processo amministrativo.

 

■  1. Le fattispecie di danno da ritardo e il riparto di giurisdizione.

Una peculiare ipotesi di responsabilità della p.a. è quella del c.d. danno da ritardo, alla quale sono ricondotte fattispecie diverse fra loro:

 a) in alcuni casi il ritardo, produttivo del danno, deriva dal fatto che l'amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al privato (ad es., diniego di permesso di costruire), ed ha poi emanato altro provvedimento, legittimo e favorevole, a seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale del primo atto;

 b) in altre ipotesi, pur in assenza di un provvedimento illegittimo, il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento (es., permesso di costruire rilasciato in notevole ritardo;

 c) il ritardo procedimentale, di cui alla precedente fattispecie, viene ritenuto da alcuni potenzialmente produttivo di danno risarcibile, anche nell'ipotesi in cui il provvedimento amministrativo, legittimo ma adottato con ritardo, sia sfavorevole per il privato, potendo quest'ultimo aver subito dei danni per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per non aver quindi appreso, entro i termini previsti, della non accoglibilità della stessa (es., diniego di permesso di costruire, legittimo, ma adottato ben oltre il termine previsto, oppure mancata definizione dell'istanza del privato in assenza di un accertamento della spettanza del bene della vita).

Le tre fattispecie sono nettamente diverse fra loro: nel primo caso si rientra nella c.d. responsabilità da provvedimento, in quanto il danno è provocato dal primo diniego (illegittimo) e dal conseguente ritardo nel rilascio del provvedimento richiesto; le altre due ipotesi attengono invece a danni (da ritardo procedimentale) non direttamente causati da provvedimenti illegittimi (anzi in entrambi i casi i provvedimenti sono legittimi).

Per quanto concerne le domande risarcitorie e il silenzio non qualificato della P.A., è ormai pacifica la tesi della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo; in primo luogo, da sempre è il giudice che tutela le pretese del cittadino nei confronti del silenzio dell'amministrazione, sempre che ovviamente l'inerzia riguardi l'esercizio di veri e propri poteri pubblici.

Peraltro, la scissione della tutela reale e della tutela risarcitoria del silenzio davanti a due giurisdizioni si porrebbe in contrasto, oltre che col valore dell'effettività, anche col principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., tenuto conto che il giudizio sul silenzio della P.A. è strettamente connesso con il sindacato sul potere pubblico ed anche il giudizio risarcitorio è legato alle successive manifestazioni del potere pubblico.

La giurisdizione del G.A. sul danno da ritardo è stata ritenuta sussistere sia dal Consiglio di Stato che dalla Corte di Cassazione.

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dalla IV Sezione, nell'esaminare una fattispecie assimilabile all'ipotesi sub c) descritta in precedenza, ha affermato che ai fini della giurisdizione rileva unicamente l'inerenza a un potere di natura autoritativo della mancata emanazione del provvedimento nei tempi prefissati, cioè un ritardo che assume giuridica rilevanza perché derivante dal mancato tempestivo esercizio del predetto potere (Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7).

Non sembra esservi dubbio sul fatto che il rilascio di un permesso di costruire o di un provvedimento di condono o sanatoria costituisca esercizio di un potere autoritativo, non importa in che misura vincolato o discrezionale. Nessuno dubiterebbe della sussistenza della giurisdizione amministrativa in caso di provvedimento di diniego; né della conseguente giurisdizione del giudice amministrativo per i danni derivanti dall'illegittimo diniego. Non sembra allora coerente con il disposto della legge n. 205, ritenere che l'omesso esercizio del potere, e il danno che in tesi ne deriva, debba seguire sorte diversa in punto di giurisdizione.

Il potere delineato dalla norma ha natura autoritativa e l'omesso esercizio del potere — sia che venga sindacato al fine di ottenere il provvedimento sia che se ne lamenti l'illegittimità a fini risarcitori — costituisce la fattispecie speculare del suo esercizio (che a sua volta può dar luogo a un provvedimento positivo o negativo), la quale non sembra poter essere trattata alla stregua di un mero comportamento, cioè di un provvedimento svincolato dall'esercizio di un potere autoritativo.

Anche con le già citate ordinanze n. 13659 e n. 13660 del giugno 2006, la Cassazione, nell'affermare la giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento, ha sottolineato, in conformità con la Plenaria, che appaiono riconducibili alla giurisdizione del giudice amministrativo i casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell'interessato è postulata come conseguenza d'un comportamento inerte, si tratti di ritardo nell'emissione di un provvedimento risultato favorevole o di silenzio.

Secondo la Cassazione, ciò che viene qui in rilievo è bensì un comportamento, ma il comportamento si risolve nella violazione di una norma che regola il procedimento ordinato all'esercizio del potere e perciò nella lesione di una situazione di interesse legittimo pretensivo, non di un diritto soggettivo.

Peraltro, l’art. 2-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, ha disciplinato le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1- ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e che le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (tale secondo comma, che prevedeva anche che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni è stato poi abrogato dal D. Lgs. n. 104/2010, che ha approvato il Codice del processo amministrativo, che ora include, nell’art. 133, l’attribuzione al g.a. della giurisdizione esclusiva sulle controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento).

Alcun dubbio vi può, quindi, essere oggi sulla sussistenza della giurisdizione del g.a. sulle varie tipologie di danno da ritardo.

 

■  2. I presupposti del risarcimento del danno da ritardo.

Descritte le diverse fattispecie di danno da ritardo e affrontati i profili attinenti al riparto di giurisdizione, va osservato che minori certezze vi sono sui presupposti della responsabilità dell'amministrazione per i ritardi nella sua azione amministrativa.

Rispetto alla tesi che riteneva possibile una ricostruzione del danno da ritardo inteso come danno conseguente alla violazione dell'interesse procedimentale al rispetto dei tempi posti dall'ordinamento, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha optato per la necessità dell' accertamento della spettanza del bene della vita e della proposizione della diffida nel sistema previgente l'entrata in vigore delle modifiche introdotte con il d.l. n. 35/2005, convertito in legge n. 80/05 (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7).

Secondo la Plenaria, il ritardo da parte della P.A. nella definizione delle istanze del privato non comporta, per ciò solo, l'affermazione della responsabilità per danni. Il sistema di tutela degli interessi pretensivi consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l'interesse pretensivo assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l'interessato (suscettibile di appagare un “bene della vita”); deve pertanto ritenersi che non sia possibile accordare il risarcimento del danno da ritardo della P.A. nel caso in cui i provvedimenti adottati in ritardo risultino di carattere negativo per colui che ha presentato la relativa istanza di rilascio e le statuizioni in essi contenute siano divenute intangibili per la omessa proposizione di una qualunque impugnativa.

Si osserva che la questione della diffida non è più attuale, in quanto a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 6-bis del d.l. n. 35/2005 convertito nella legge 80/05, non è più necessario, ai fini della rituale formazione del silenzio-rifiuto, che la presentazione dell'istanza sia seguita, dopo la scadenza dei termini procedimentali, dalla notifica di apposito atto di diffida, che nel sistema previgente rappresentava la conditio sine qua non per la costituzione delle inadempienze pubblicistiche.

È stata, invece, oggetto di critiche l'esclusione in assoluta della risarcibilità dei danni subiti per non aver saputo nei tempi fissati dalla legge se una determinata istanza poteva essere accolta, o meno; anche il tempo è un bene della vita per il privato e non può essere in astratto escluso che il ritardo anche nel ricevere un provvedimento sfavorevole possa comportare conseguenze negative anche sotto il profilo patrimoniale (ad es., non aver optato per altre soluzioni, in attesa della risposta tardiva della P.A.).

Un argomento a favore del superamento della tesi della Plenaria potrebbe essere tratto dal nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, che disciplina le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Pur lasciando la norma aperta la questione sui presupposti per accedere alla tutela risarcitoria in caso di danni da ritardo, sembra potersi ricavare un favor del legislatore per una risarcibilità anche del danno da mero ritardo (ove provato), non collegato alla ritardata attribuzione di un bene della vita.

In questo senso, è stato riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica ( Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo, atteso che l’inosservanza del termine massimo di durata del procedimento ha comportato, quale immediata e pregiudizievole conseguenza, l’assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa e quindi l’impossibilità per il soggetto privato di rispettare la programmata tempistica dei propri investimenti).

Anche Cons. Stato, 28 febbraio 2011 n. 1271 ha stato affermato che pure il tempo è un bene della vita per il cittadino e che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica; nel caso di specie, è stato risarcito anche il danno biologico, quale danno non patrimoniale.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo nella responsabilità della p.a. per danno da ritardo, si rinvia ai principi generali esposti, in questa Parte, nel cap. II, limitandosi ad evidenziare come in presenza della violazione del termine di conclusione del procedimento, ben difficilmente l’amministrazione potrà dimostrare la sussistenza di un errore scusabile (tranne casi eccezionali), essendo suo compito predisporre misure organizzative idonee a consentire il rispetto di termini normativamente previsti.

Per completare il quadro, si ricorda che in passato non venne attuato il criterio di delega di cui all'art. 17, comma 1, lettera f), della legge n. 59/1997 (introduzione per il semplice ritardo della P.A. di forme di indennizzo automatico e forfetario) e che, comunque, tale indennizzo non avrebbe fatto venir meno l'eventuale risarcimento del maggior danno, da provare secondo i criteri ordinari e risarcibile anche se il provvedimento richiesto non spettava al richiedente, qualora questi dimostri di aver subito comunque un pregiudizio (prova non facile, ma da non escludere in assoluto).

Al momento, una forma di indennizzo automatico e forfetario (che è cosa diversa e ulteriore rispetto al risarcimento) è stato previsto dalla L.R. Toscana 23 luglio 2009 n. 40 (l. di semplificazione e riordino normativo 2009) che, all’art. 16, 1° comma, ha previsto l’obbligo per la Regione, gli altri enti e organismi (anche di diritto privato) dipendenti dalla Regione, le aziende sanitarie e gli enti del servizio sanitario regionale, di corrispondere agli interessati che ne facciano richiesta, <<in caso di inosservanza dei termini per la conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza……..una somma di denaro a titolo di indennizzo per il mero ritardo, stabilita in misura fissa di 100,00 euro per ogni dieci giorni di ritardo, fino a un massimo di 1.000,00 euro. Resta impregiudicato il diritto al risarcimento del danno>> (con onere per l’interessato di presentare apposita istanza entro un anno dalla scadenza del termine fissato per la conclusione del procedimento). Incidentalmente, si rileva che la novità potrebbe aprire il problema della giurisdizione davanti a cui far valere il mancato pagamento dell’indennizzo (ricorrendo ai principi generali e al collegamento con il mancato esercizio del potere, la giurisdizione dovrebbe essere quella amministrativa).

Per quanto riguarda i termini per proporre nel processo amministrativo la domanda di risarcimento del danno da ritardo, si rinvia al paragrafo successivo.

 

3. La domanda di risarcimento del danno da inosservanza dei termini di conclusione del procedimento nel Codice del processo amministrativo.

Nei due paragrafi precedenti sono già stati approfondite le questioni del riparto di giurisdizione e dei presupposti per il c.d. danno da ritardo.

Resta da esaminare la modalità di esercizio di tale peculiare azione di risarcimento nel nuovo sistema delineato dal Codice del processo amministrativo.

L’art. 30, comma 2 fa riferimento alla azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

Il temine “obbligatoria” va riferito alla possibilità di chiedere il risarcimento del danno da ritardo, ove sussista un obbligo di provvedere della p.a. e, sotto tale profilo, la questione si sposta sul piano sostanziale della verifica, in ordine alle singole fattispecie, della sussistenza dell’obbligo di provvedere.

In relazione ai termini per proporre la domanda di risarcimento, per la ipotesi di danno da ritardo, consistente nell’adozione di un primo provvedimento negativo, poi annullato dal giudice e nel successivo rilascio del provvedimento favorevole, il danno da ritardo non è altro che una ipotesi di danno da provvedimento illegittimo (il primo diniego) e si rientra quindi nella disciplina del comma 3 dell’art. 30 e la domanda va proposta nel termine di 120 giorni dalla conoscenza del provvedimento di diniego o, in caso di impugnazione di tale provvedimento, nel corso del giudizio di annullamento o entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, con cui viene annullato l’atto fonte del danno.

Invece, per il risarcimento del danno derivante  dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento la Commissione presso il Consiglio di Stato aveva previsto che, fintanto che perdura l’inadempimento, non potesse decorrere alcun termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria, in quanto l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento costituisce un illecito di carattere permanente, in relazione al quale non vi è alcuna ragione di certezza delle posizioni giuridiche che giustifichi il consolidamento di una (illecita) situazione di inerzia.

Il termine di decadenza iniziava a decorrere solo al momento in cui tale situazione di inadempimento veniva meno. Fino a quando permaneva l’inadempimento, si era quindi stabilito di non assoggettare l’azione neanche al termine di prescrizione, la cui decorrenza era invece in precedenza prevista, anche in situazioni di persistenza dell’inerzia, dall’art. 2 bis della l.  n. 241 del 1990, che è stato ora abrogato.

Nel testo finale è stato confermato che, fintanto che perdura l’inadempimento, non può decorrere alcun termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria e nella stessa relazione si continua a fare riferimento alla natura permanente dell’illecito; tuttavia, in accoglimento di un’osservazione formulata dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, si è stabilito che il termine decadenziale inizi comunque a decorrere con lo spirare di un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento in esito al quale si sarebbe dovuto provvedere.

I due periodi del comma 4 appaiono porsi in contraddizione: affermare che il termine per proporre l’azione risarcitoria non decorre fintanto che perdura l’inadempimento e aggiungere subito dopo che lo stesso termine inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere significa negare la prima proposizione e stabilire una regola diversa.

La regola è, quindi, che il termine per proporre l’azione di risarcimento del danno derivante dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento è di un anno e 120 giorni decorrenti dalla scadenza del termine per provvedere.

Tale soluzione si pone in contrasto con quanto indicato nella stessa relazione governativa circa la già ricordata natura permanente dell’illecito e circa il fatto che “fintanto che perdura l’inadempimento, non possa decorrere alcun termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria, in quanto l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento costituisce un illecito di carattere permanente, in relazione al quale non vi è alcuna ragione di certezza delle posizioni giuridiche che giustifichi il consolidamento di una (illecita) situazione di inerzia” (testualmente dalla relazione del Governo).

Inoltre, anche tenuto conto della già menzionata previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, l’abrogazione del riferimento al termine di prescrizione, contenuta nel comma secondo dell’art. 2-bis della legge n. 241/90, appare meno giustificabile a seguito dell’introduzione di tale più stretto termine per l’azione risarcitoria.

Si ricorda che il decorso dell’anno dal termine di conclusione del procedimento non consolida la situazione di inerzia dell’amministrazione e non preclude la tutela del privato, che, come previsto dall’art. 31, comma 2, può sempre riproporre l’istanza.

Del resto, è nota in sede civilistica la distinzione tra l'atto illecito istantaneo e l'atto illecito permanente - con le relative conseguenze in ordine alla decorrenza del termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione risarcitoria. Mentre nell'illecito istantaneo tale comportamento si esaurisce con il verificarsi del danno, pur se l'esistenza di questo si protragga poi autonomamente (c.d. fatto illecito istantaneo ad effetti permanenti), nell'illecito permanente la condotta oltre a produrre l'evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell'uno e dell'altro (Cass. civ., III, 13 marzo 2007 , n. 5831). Il danno derivante dalla mancata conclusione del procedimento non deriva da un fatto illecito istantaneo ad effetti permanenti, ma costituisce un illecito permanente, che non cessa con la scadenza dell’anno dal termine per provvedere.

Il limite temporale inserito nel testo finale sembra, invece, presupporre che dopo il decorso dell’anno, se non tempestivamente attivata l’azione di risarcimento (nei 120 giorni successivi), la riproponibilità dell’istanza comporta che ogni eventuale danno può essere solo riferito al periodo temporale successivo alla scadenza del termine per provvedere sulla nuova istanza.

Inoltre, la modifica crea un ulteriore problema: in caso di proposizione dell’azione di annullamento il comma 5 dello stesso art. 30 ha previsto che la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza, consentendo, come si è già ricordato, al privato di scegliere la strategia processuale di attendere l’esito del giudizio di annullamento per poi proporre e articolare la sua domanda di risarcimento. Una volta inserito un analogo termine per il risarcimento del danno da ritardo, tale esigenza sussiste anche in questo caso e il meccanismo previsto dal comma 5 sarebbe dovuto essere esteso anche al ricorso avverso il silenzio.

Ciò non è avvenuto e, di conseguenza,il privato che propone ricorso avverso il silenzio è comunque “costretto” a proporre la domanda di risarcimento entro un anno e 120 giorni dalla scadenza del termine per provvedere, anche se il ricorso avverso il silenzio non è stato ancora deciso e non avendo, in questo caso, neanche la cognizione esatta dei presupposti su cui fondare la domanda di risarcimento.

 

 



[1] Articolo tratto da R. Chieppa – R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011.