La pronuncia cautelare e l’immediatezza della tutela di merito
di
Giulio Castriota Scanderbeg
Consigliere di Stato
Pubblicato sul sito il 22 novembre 2010[1]
Dinanzi ad
una platea così qualificata mi sembra financo superfluo richiamare, in
apertura, la centralità del tema afferente la tutela cautelare nel giudizio
amministrativo, avuto riguardo soprattutto al nesso strumentale con il
principio di effettività della giurisdizione.
A conferma della
sua importanza strategica sarebbe d’altronde sufficiente ricordare che lo
stesso ordinamento comunitario, da sempre interessato a modellare gli aspetti
sostanziali delle materie incise dai trattati, è intervenuto nel settore degli
appalti pubblici anche in materia di tutela processuale cautelare (con le direttive
Ce n. 89/665 per i settori classici e n. 92/13 per i settori esclusi - oggi
settori speciali -, poi modificate dalla
direttiva del Consiglio n. 2007/66), in tal modo dimostrando grande attenzione
al tema delle modalità attraverso cui, all’interno degli ordinamenti nazionali,
vengono in concreto giustiziati i diritti o gli interessi legittimi di matrice
comunitaria: e cioè quelle situazioni soggettive che nel diritto comunitario
fondamentale o derivato trovano la loro fonte normativa di protezione.
Il contingentamento
dei tempi mi impone di operare una selezione tra le tante suggestioni che
l’argomento della tutela cautelare indubbiamente suscita, anche alla luce delle novità
contenute nel codice del processo amministrativo.
La scelta
che ho fatto mi porta a trattare in sintesi: 1) dei condizionamenti <comunitari>
nella ricostruzione della nuova disciplina normativa interna del processo
cautelare; 2) della tutela cautelare in rapporto alle questioni di competenza; 3)
da ultimo, di alcune <criticità>, come usa dire oggi, presenti nel codice
del processo amministrativo a proposito della tutela cautelare e di istituti ad
essa contigui.
Sotto il
primo profilo mi sembra che la novità più rilevante sia rappresentata dalla
estensione del modello della tutela cautelare ante causam a tutte le materie in ordine alle quali sia
prospettabile un ricorso dinanzi alla giurisdizione amministrativa ( art. 61
cpa).
Se in
ordine alla possibilità di una tutela cautelare monocratica destinata ad
anticipare le determinazioni di competenza collegiale l’ordinamento aveva già esteso
a tutte le materie (art. 21 bis, L. n. 1034/71, come modificato dall’art. 3 co.
Prima della
sua entrata in vigore, infatti, la tutela cautelare ante causam era
una specificità peculiare alla materia dei contratti pubblici ( art. 245 d.lgs.
n. 163/06) che era stata imposta, come si ricorderà, a seguito di una netta
presa di posizione della Corte di giustizia comunitaria con la ordinanza del 29
aprile 2004: cui peraltro ha fatto seguito la espressa codificazione, in sede
di direttiva unificata n. 2007/66, di un preciso obbligo a carico dei paesi
membri di prevedere strumenti capaci di assicurare interinalmente la cautela processuale,
anche prima della proposizione del
ricorso.
Già in precedenti arresti ( il
riferimento è in particolare alla decisione n. 236 assunta dai giudici lussemburghesi il 19 settembre
1996 nella causa Commissione c.
Repubblica ellenica ed a quella n. 214 del 15 maggio 2003 nella causa Commissione
contro Regno di Spagna)
Ma soltanto con la citata ordinanza
del 2004, pronunciata in esito ad un rinvio pregiudiziale del T.A.R. della
Lombardia, Sezione di Brescia, la questione della tutela cautelare ante causam nel nostro ordinamento si è posta
con tutta la sua urgenza, avendo
Più precisamente, nella ridetta
ordinanza i giudici comunitari, recependo l’impostazione della ordinanza di
rimessione della questione, avevano chiaramente affermato, con sicuro riferimento
all’ordinamento processuale del nostro Paese, che “l’art. 2, n. 1, lett. a),
della direttiva deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri sono
tenuti a conferire ai loro organi competenti
a conoscere dei ricorsi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione
di un ricorso di merito, qualsiasi provvedimento provvisorio, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far
sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica dell’appalto in esame”. Inoltre,
considerando che “tale risposta deriva da una disposizione specifica del
diritto comunitario (ossia l’art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva)”,
In tale contesto, l’occasione per il
recepimento nel nostro ordinamento della giurisprudenza della Corte comunitaria
si è presentata all’indomani della pubblicazione delle direttive unificate
2004/17 e 2004/18 del 31 marzo 2004, recanti rispettivamente il coordinamento
delle “procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli
enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali” (i c.d. “ex settori
esclusi”) ed il “coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e di servizi”.
In tal
senso è esplicita la relazione al Codice, la quale spiega che l’art. 245 mira
ad attuare, in Italia, l’art. 81 della direttiva 2004/18 e l’art. 72 della
direttiva 2004/17, ove si stabilisce che gli Stati membri garantiscono l’applicazione
delle direttive stesse tramite meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti,
conformemente alla già menzionata direttiva del Consiglio n. 89/665 (per lavori,
servizi e forniture nei settori ordinari) ed alla direttiva del Consiglio n. 92/13
(per lavori, servizi e forniture nei settori speciali). E’ stato in tal modo
colmato un vuoto che da tempo veniva lamentato dalla dottrina specialistica e
dagli operatori del settore.
Non v’è dubbio, allora, che la
normativa comunitaria abbia giocato un ruolo decisivo di stimolo e di impulso
per il perfezionamento (anche) della tutela cautelare nelle controversie in materia
di appalti pubblici, dopo che le spinte ad una pur ventilata revisione della
disciplina nazionale erano state sopite, nel 2002, dall’intervento della Corte
costituzionale (C. Cost., ord. n. 179/02 la quale ha indicato come la tutela ante causam non sia un elemento
indefettibile del sistema di tutela cautelare, ben potendo lo stesso
atteggiarsi, ove rispondente ad esigenze di effettività ed efficacia, con declinazioni diverse nell’ambito delle
distinte forme di tutela giurisdizionale).
Una
volta introdotto nel sistema il meccanismo della tutela ante causam era chiaro che lo stesso non poteva restare confinato
soltanto alla materia dei contratti pubblici. Sappiamo bene quali effetti
espansivi possono derivare per l’intero sistema dalla introduzione di principi
particolarmente innovativi in una specifica
materia ( basti pensare alla legge comunitaria n. 142/92 ed al principio nella
stessa affermato circa la possibilità di accordare riparazione patrimoniale
all’interesse legittimo leso nell’ambito di una procedura di affidamento di un
contratto pubblico ed al successivo – seppur non tempestivo- riconoscimento in
via generalizzata del risarcimento del
danno da lesione di interessi legittimi).
C’era
bisogno di una tutela cautelare ante
causam dinanzi al giudice amministrativo? Probabilmente il problema era
particolarmente avvertito in tema di contratti pubblici prima del recepimento (
ad opera della legge n. 53 del 2010) della nuova direttiva <ricorsi>, per
la ragione che non sussistevano efficaci strumenti di sterilizzazione
dell’attività conducente alla stipula del contratto se non quello della tempestiva sospensione
della aggiudicazione.
Però,
a proposito della necessità di una tale modalità di tutela cautelare, singolare
constatare che l’ordinamento comunitario, non contempla il rimedio della cautela
ante causam nel giudizio di
annullamento di atti comunitari dinanzi alla Corte di giustizia, e ciò è
abbastanza strano visto che la sollecitazione ad arricchire gli ordinamenti nazionali di tale ulteriore
modello è venuto, come si è ricordato, dalla Corte di Lussemburgo. Oggi quindi
una decisione dell’antitrust comunitaria ( la temutissima DG IV della
Commissione ) non è impugnabile con il rimedio cautelare ante causam, al contrario di ciò che potrebbe avvenire per una omologa
decisione adottata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato
italiana. Ma noi giuristi siamo abituati a convivere con le contraddizioni dei
sistemi complessi.
Quanto
ai contenuti ed alle forme della tutela cautelare ante causam mi sembra significativo rimarcare che la scelta del
codificatore è stata quella della snellezza delle forme, quantomeno sul piano
dei contenuti della istanza ( non è richiesta una vera e propria editio actionis, altrimenti sarebbe
stato vano introdurre lo stesso rimedio cautelare anticipatorio) e delle acquisizioni
istruttorie; assai rigoroso appare il meccanismo afferente le garanzie per il
contraddittorio processuale, dato che il legislatore non prevede che la misura
possa essere accordata inaudita altera
parte ( ciò che è espressamente previsto nel rito civile dall’art. 669
sexies cpc) . E’ necessaria la notifica ( se del caso a mezzo fax) alle parti
intimate, salva la possibilità di accordare, nei casi di estrema gravità ed
urgenza, la misura prima della verifica del perfezionamento delle effettuate notificazioni.
La garanzia per il contraddittorio sembra qui più accentuata rispetto alla ipotesi della tutela cautelare
monocratica in corso di causa, ove il perfezionamento della notifica va verificato
( quantomeno) con riferimento alla parte pubblica ed almeno uno dei
controinteressati pur prevedendosi – come nel caso di tutela ante
causam – che nei casi di urgenza si
possa prescindere dal verificare il perfezionamento della notificazione per
cause non imputabili al ricorrente.
Questa
particolare attenzione del legislatore per il rispetto del principio del
contraddittorio anche in sede di tutela cautelare ante causam si spiega considerando la specificità del giudizio
amministrativo in cui lo scrutinio
giurisdizionale si appunta pur sempre, in linea di massima, sull’esercizio di
una funzione amministrativa; è anche da considerare che nella stragrande
maggioranza dei casi la pubblica amministrazione è soggetto intimato e sarebbe
ben strano che restasse all’oscuro di una vicenda in cui un proprio atto viene
all’esame cautelare del giudice.
Altro
profilo differenziatore rispetto al procedimento cautelare dinanzi al giudice
civile ( nell’ambito del quale si riconosce la ultrattività della misura cautelare d’urgenza adottata ex
art. 700 cpc o in caso di denuncia di nuova opera o di danno temuto, ovverosia
la permanenza della sua efficacia anche in caso di estinzione del
giudizio) è che la misura cautelare accordata
ante causam dal giudice
amministrativo è intrinsecamente cedevole; sia che non venga introdotto il
giudizio di merito ( caso nel quale la misura perde efficacia dopo quindici giorni dalla sua adozione) sia
che lo stesso venga introdotto tempestivamente ( caso nel quale il termine di
durata di efficacia è di 60 giorni), atteso che anche in tal caso è pur sempre
necessario che la misura cautelare ante
causam sia rivalutata (ed eventualmente novata) dal giudice investito della
decisione del ricorso. Il provvedimento, proprio perché cedevole e transeunte,
non è impugnabile ( sia in caso di accoglimento che di rigetto) e l’istituto non è applicabile dinanzi al
Consiglio di Stato ( per ovvie ragioni di non utilità di tale strumento
processuale dinanzi al giudice d’appello).
Diversamente
da quanto fin qui esposto non può dirsi che un ruolo propulsivo analogo abbia
svolto la normativa o la giurisprudenza comunitaria sul piano della
conformazione contenutistica della tutela cautelare nel nostro ordinamento.
Anche qui è
nota l’evoluzione dell’istituto.
Nata sotto
la forma della mera sospensione dell’atto impugnato, la originaria formulazione
dell’art. 21 della legge n. 1034 del 1971 (
come dell’art. 39 del T.U. n. 1054 del 1924) contemplava, in sintonia
con una matrice sostanzialmente impugnatoria del processo amministrativo, la
sola misura della sospensione del provvedimento impugnato quale strumento
capace di assicurare interinalmente gli
effetti della decisione sul merito, ricorrendo i presupposti del danno grave e
irreparabile ( ma nell’art. 39 cit. il presupposto era limitato al profilo
della gravità del danno).
Come
sappiamo, tuttavia, la tutela cautelare nel giudizio amministrativo si è ben
presto affrancata, per merito della giurisprudenza, da questo monismo
archetipico. E ciò è accaduto ben prima che delle indicazioni conformative in
tal senso venissero dalla giurisprudenza comunitaria ( giova ricordare al
proposito la sentenza della CGCE Factortame del 19 giugno
Basti
ricordare al proposito la storica decisione
della Adunanza plenaria n. 17 del 1982 che si pronunciò a favore della
sospendibilità degli atti negativi ( nella specie non ammissione agli esami di
maturità), posto che in adempimento di tale decisione l’Amministrazione avrebbe
potuto ammettere l’interessato a sostenere l’esame con riserva degli esiti del
giudizio di merito. Ancor più emblematica la sentenza n. 190 del 28 giugno 1985
della Corte costituzionale che, come si ricorderà, dichiarò la illegittimità
costituzionale dell’art. 21 u.c. della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 nella
parte in cui, limitando l’intervento d’urgenza del giudice amministrativo alla
sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato, non consentiva al giudice
stesso di adottare, nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico
impiego sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti di urgenza
che apparissero i più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della
decisione del merito, tutte le volte in cui il ricorrente avesse fondato motivo
di temere che durante il tempo necessario alla definizione del giudizio, questo
potesse essere vanificato.
Ma soltanto
in tempi recenti la tutela cautelare atipica e innominata diviene istituto
generale nel giudizio amministrativo.
Già l’art.
Peraltro, anche
nel modello comunitario di processo cautelare
Come è noto
nel nostro ordinamento la possibilità per il giudice amministrativo di adottare
provvedimenti cautelari atipici si pone in termini problematici soprattutto con
riguardo agli interessi pretensivi ( dato che negli interessi oppositivi la
soddisfazione dell’interesse cautelare è ben assicurata dalla mera sospensione
del provvedimento impugnato). In questo campo è bene tenere distinte le diverse
ipotesi di residuo esercizio di azione
amministrativa discrezionale rispetto ai casi di esercizio di attività vincolata. Nella
prima fattispecie le esigenze cautelari si devono contemperare con il principio
di riserva di amministrazione. Il massimo che possa fare il giudice in questo
territorio così scivoloso è quello di adottare provvedimenti cautelari propulsivi
per il riesercizio dell’azione tenuto conto tuttavia che: a) tal genere di
pronunce suppongono che all’Amministrazione siano date indicazioni conformative
spesso di difficile declinazione nella fase cautelare, non solo per ragioni di
tempo ma anche di opportunità; b) se già con la sentenza di merito non è consentito al giudice di
sostituirsi all’autorità amministrativa ( cfr. art. 31 comma 3, art. 34 lett.
c), a fortiori tali limiti devono
valere per la fase cautelare. Il tema è denso di implicazioni e supporrebbe una
disamina approfondita che in questa sede non è possibile svolgere.
La seconda questione sulla quale
vorrei soffermarmi riguarda i rapporti tra tutela cautelare e questioni di
competenza.
Qui la
scelta del codice ( consequenziale al riconoscimento della natura inderogabile
della competenza, sia essa territoriale sia funzionale) è netta e fa giustizia
dei tentennamenti giurisprudenziali in ordine al se la tutela cautelare potesse
essere accordata dal giudice sfornito di competenza o di giurisdizione; oggi è
fuor di dubbio che il giudice sfornito di giurisdizione o di competenza non dà
( nel senso che non deve dare) la misura cautelare. Tuttavia l’istanza
cautelare (anche se proposta dinanzi al giudice incompetente) è l’occasione,
secondo il nuovo modello processuale, perché la questione di competenza sia
affrontata e risolta. E’ ciò peraltro è opportuno
che accada, perché altrimenti la questione di competenza così come congegnata (
e cioè essenzialmente come competenza inderogabile e insanabile e senza un termine
perentorio per la sua eccezione) rischia
di diventare una mina vagante per il processo amministrativo, capace di vulnerare
la stessa stabilità della sentenza di primo grado ( ove la questione non sia
stata eccepita dalle parti ovvero sia sfuggita al rilievo officioso del
giudice); la stessa questione, infatti, può ben tradursi in autonomo motivo
d’appello ed essere tale da
riportare drammaticamente indietro le lancette del giudizio
amministrativo.
Il che, in
tempi di codificazione ( art. 2 cpa) del principio di durata ragionevole del
giudizio, lascia pensare che il rimedio al <turismo cautelare> o al <forum
shopping> ( e cioè l’argomento forte
a sostegno della introduzione della competenza territoriale inderogabile) sia
eccedentario rispetto ai fini perseguiti ( congruamente perseguibili peraltro con il solo rimedio del
regolamento di competenza immediato, d’ufficio o su impulso di parte).
L’udienza
cautelare pertanto,quando c’è, dovrebbe svolgere nel processo amministrativo lo stesso ruolo della prima udienza di comparazione
dinanzi al giudice civile, in cui si verificano una volta per tutte i presupposti processuali. Solo che, nel nuovo
codice, non vi è nessuna garanzia circa l’effetto preclusivo che la questione
di competenza una volta affrontata possa essere riproposta; salvo il caso del
regolamento di competenza, nulla esclude che, in caso di errore sulla
competenza del primo giudice in sede di adozione della misura cautelare, la
questione ( in caso di mancato appello ovvero di non rilevazione dell’errore
neppure da parte del giudice di secondo grado) continui ad esercitare un ruolo
potenzialmente destabilizzante sull’ulteriore corso del processo,potendo
financo <minare> come si è detto la stabilità della sentenza resa sul merito.
Il giudice
investito della domanda cautelare ha sostanzialmente tre strade da scegliere a
seconda che ritenga o non ritenga la propria competenza e, in quest’ultima
ipotesi, a seconda che abbia o meno le idee chiare sulla individuazione del
giudice competente: 1) ritenere la propria competenza e quindi pronunciare
sulla istanza cautelare, negandola o accogliendola. La decisione è naturalmente
appellabile e l’appello cautelare investe d’ufficio il giudice di secondo grado
( ciò che non avviene nel giudizio di merito)
della questione di competenza, nel senso che se il giudice d’appello ritiene
insussistente la competenza ( territoriale o funzionale) del primo giudice
annulla la ordinanza, indicando il giudice competente.
Quindi la
parentesi cautelare si decolora; la questione prioritaria diviene quella della
fissazione della competenza, salva la facoltà per l’interessato di accedere
alla tutela cautelare dinanzi al giudice indicato come competente dal Consiglio
di Stato; 2) se invece il giudice di primo grado investito della domanda
cautelare non ritiene la propria competenza ed ha le idee chiare sul giudice
competente lo indica con ordinanza ( declinando anche in via implicita la
tutela cautelare). Quest’ultimo giudice non deve pronunciare sulla domanda
cautelare le quante volte non ritenga la propria competenza, ma è tenuto a
sollevare regolamento di competenza; 3) se infine il primo giudice ritiene la
questione di competenza di non facile soluzione rimette d’ufficio con ordinanza
la questione al Consiglio di Stato sollevando regolamento di competenza ed
indicando il giudice ritenuto prima facie
competente. In questo caso è interessante notare che quest’ultimo giudice è
investito d’imperio della istanza cautelare, nel senso che sulla stessa deve in
ogni caso pronunciare, quale che sia la sua idea sulla competenza, in attesa
che si pronunci definitivamente il Consiglio di Stato in sede di regolamento di
competenza. Qui è chiara la ratio
sottesa alla scelta legislativa: meglio un giudice sbagliato ( nel senso di non
munito di competenza) scelto da altro giudice piuttosto che scelto direttamente
dalla parte ( e ciò sempre al fine di evitare il deprecabile fenomeno del forum shopping). L’anomalia è nel fatto
che dinanzi a tale giudice della cautela non pende alcun ricorso; siamo quindi
al cospetto di una sorta di tutela extra
causam ( più che ante causam), con
una serie di problematiche ( ad esempio inerenti al se dinanzi a questo giudice deve anche essere proposto e per
esteso il ricorso cui la cautela accede o se è sufficiente la sola proposizione
della istanza cautelare, anche disancorata dal ricorso).
Da notare
da ultimo la differente di disciplina rispetto al caso del difetto di
giurisdizione: è ben vero che anche in tale ipotesi la delibazione in termini
positivi della questione è un presupposto di legittimità della pronuncia
cautelare ( nel senso che il giudice che se ne ritiene sfornito non deve
pronunciare sulla istanza) ; ma se vi provvede ( ritenendo evidentemente la
propria giurisdizione) la pronuncia è assistita in ogni caso di efficacia
ultrattiva, anche nel caso che il giudice d’appello ( art. 62) dovesse rilevare
la carenza di giurisdizione del g.a. . La scelta, infatti, in tal caso è nel senso
che il giudice d’appello si limiti a rilevare la violazione dell’art. 10 cpa e
che la misura cautelare data perda efficacia dopo trenta giorni dalla
comunicazione della ordinanza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione.
Qui si avverte l’esigenza di accordare protezione alla situazione giuridica
dedotta in giudizio nelle more della incardinazione della causa dinanzi al
giudice munito di giurisdizione, sull’evidente presupposto che tale opzione -
pur in tempi di translatio iudicii- comporti un maggior aggravio delle
incombenze per l’attore ( attesa la non coincidenza delle forme necessarie ad
introdurre le cause dinanzi ai diversi plessi giurisdizionali).
Veniamo
all’ultimo punto, quello della tenuta complessiva del sistema della tutela
cautelare, anche a fronte agli obblighi internazionali sulla ragionevole durata
dei processi.
Vi
chiederete dove sia il nesso di tale ultimo riferimento con la tutela
cautelare. Ve lo anticipo: sono preoccupato dalla sempre minore importanza che potrebbe
assumere, in prospettiva, la fase cautelare del giudizio e, con essa, la soluzione
della controversia con sentenza resa in forma semplificata all’esito
dell’udienza camerale fissata per la delibazione della istanza cautelare ( e,
in sede d’appello, in sede di delibazione dell’istanza cautelare di sospensione
della efficacia della sentenza).
Il dato da cui muovere – l’ho anticipato - è
che il codice abbia complessivamente dequotato, in linea generale, la fase
cautelare e che, soprattutto nelle particolari materie sottoposte al rito
abbreviato dell’art. 119 cpa e dell’art.120 cpa, abbia reso meno accattivante lo
strumento della definizione del giudizio in via immediata ( art. 60 cpa).Tali
disposizioni prevedono infatti una accelerazione significativa del giudizio a
mezzo della fissazione dell’udienza di merito quale esito naturale, già nella fase
cautelare, della delibazione positiva sul ricorso. Nelle materie dell’art.120
la fissazione del merito con assoluta priorità può financo prescindere dal
passaggio delibativo compiuto all’esito della fase cautelare. Ed anche nelle
materie ordinarie il giudice investito della domanda cautelare può fissare
direttamente il merito se ritiene che in tal modo le esigenze del ricorrente
siano più proficuamente tutelabili. Inoltre, la domanda cautelare è improcedibile se non vi è istanza di
fissazione della udienza di merito; ogni provvedimento che dispone una misura
cautelare poi deve necessariamente fissare la udienza di merito.
Ora, se è pur
vero che l’art.60 cpa viene costantemente richiamato, nondimeno non par dubbio
che la possibilità di ottenere a breve, con assoluta priorità, la fissazione
del merito rappresenta per le parti un deterrente a sollecitare la definizione
del giudizio con sentenza resa in forma semplificata già in esito alla udienza
camerale. Tanto più che risultano accresciuti i poteri di veto delle parti in
ordine a tale genere di definizione del giudizio (è riconosciuto infatti un
chiaro effetto inibitorio alla dichiarazione della parte di voler produrre
motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di
giurisdizione).
Tale depotenziamento
dell’istituto della sentenza semplificata è quindi un portato della
marginalizzazione della tutela cautelare collegiale, e cioè di quel luogo
processuale dove in primo grado maturano le potenziali condizioni per adottare
sentenza in forma semplificata.
Solo che
mentre si può capire la diffidenza del legislatore per il provvedimento
cautelare (nel senso che lo stesso viene da subito considerato, ove adottato, qualcosa
che deve essere quanto prima superata a mezzo della sentenza di merito), non
altrettanto comprensibile è lo scetticismo verso la sentenza in forma
semplificata. Tanto più se si considera che ormai ogni provvedimento deve
essere sinteticamente motivato ( art. 3) e che la collocazione temporale della
udienza camerale ( dopo venti giorni dall’ultima notifica e dieci giorni dopo
il deposito del ricorso) in uno alla corretta preoccupazione sulla pienezza ed
effettività del contraddittorio poteva piuttosto favorire il potenziamento di
tale meccanismo semplificatorio, anche in funzione deflattiva sulle pendenze.
Al
contrario, l’istituto della sentenza breve è oggi compresso da un lato dalla possibilità
di ottenere ( addirittura ante causam)
la tutela cautelare monocratica e, dall’altro, dalla prospettiva della
definizione immediata del ricorso, mercè la fissazione del merito in
congiunzione all’accoglimento della domanda cautelare ( art. 55 comma 11) o
addirittura con la fissazione del merito in sostituzione del provvedimento
cautelare ( art. 55 comma 10), qualora le esigenze del ricorrente siano
apprezzabili favorevolmente e adeguatamente tutelabili con la sollecita
definizione del giudizio nel merito.
Da ultimo
vorrei segnalare sul piano giuspositivo
il mancato richiamo dell’art. 60 da parte
dell’art. 98 cpa, relativo alla istanza cautelare proposta perla
sospensione della sentenza di primo grado; si tratta certamente di un refuso
che non ci impedisce allo stato di adottare la sentenza in forma semplificata anche
in appello ( anche perché si tratta dell’unica occasione di applicazione
dell’istituto in secondo grado). Ma forse è un dato anch’esso sintomatico dello
sfavore del legislatore del nuovo codice verso tale modalità definitoria del
giudizio.
Né può
dirsi che la sentenza immediata già all’esito della fase cautelare ( soluzione
oggi di fatto marginalizzata dalla richiamata architettura processuale) è strumento che abbia dato ad oggi una cattiva
risposta ( soprattutto nei Tar, quali quello che ci ospita,in cui non si è mai
sacrificato il bene al presto).
E’ ancora
interessante notare che lo spostamento in avanti ( verso l’udienza di merito)
del baricentro del processo amministrativo è in netta controtendenza con il trend di sviluppo della normativa processuale
in altri settori, ed in particolare in ambito processualcivilistico; ove la
tendenza alla forte valorizzazione dei provvedimenti anticipatori si è spinta
fino al punto di riconnettere stabilità ai provvedimenti d’urgenza, di danno
temuto o di denuncia di nuova opera in caso di estinzione del giudizio di
merito ( art. 669 octies, comma 8, cpc).
Nel sistema processuale amministrativo l’unica statuizione cautelare che
resiste alle vicende della fase del merito, ove non diversamente disposto, è il
capo del provvedimento che abbia pronunciato sulle spese di lite ( art. 57
cpa).
Ecco,
se qualche profilo di criticità il nuovo
codice evidenzia è appunto in ciò, nella marginalizzazione di detta forma
solutoria delle vertenze a tutto favore di una decisione di merito che allo
stato delle cose difficilmente potrà avvenire in tempi brevi, al di là delle rassicuranti
formule ( con priorità, con assoluta priorità etc.) che si leggono nella nuova
legge processuale.
Peraltro,
una considerazione critica si impone a proposito della prefigurazione di un
doppio binario di priorità, in ragione della materia trattata, nella
definizione delle udienze di merito. L’effetto probabile sarà l’ulteriore sovraccarico
dei ruoli mercè la fissazione di udienze di merito, riguardanti soprattutto le
particolari materie di cui agli artt. 119 e 120 cpa; che si vanno ad aggiungere
alle controversie ordinarie, in ordine alle quali è prevista in via automatica
la fissazione della udienza di merito in caso di accoglimento della domanda
cautelare .
Bisogna
capire se riusciremo a rispettare la calendarizzazione serrata delle udienze di merito impostaci dal
nuovo codice, soprattutto se non andranno a regime le misure per lo smaltimento
dell’arretrato cui pure fa riferimento la legge delega ( art. 44 della l.
n.69/09).
E resta
infine da chiedersi se il depotenziamento dello strumento della tutela
cautelare e della sentenza in forma semplificata, quantomeno in attesa del varo
di misure straordinarie per lo smaltimento dell’arretrato, sia stata una scelta
pienamente consapevole o non piuttosto l’effetto indesiderato, in una sorta di
eterogenesi dei fini, del tentativo (allo stato) velleitario di addivenire alla
rapida definizione di tutte le cause nel merito.
L’auspicio è che da tale sistema di tutela non
venga un allungamento complessivo dei tempi di tutela processuale, con buona
pace di quel principio di ragionevole durata del processo che, codificato nella
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è oggi rifluito a pieno titolo nel
nostro ordinamento interno ( art. 111 Cost. e art.2 del cpa).
[1] Relazione svolta
a Lecce il 12 novembre