La fase
cautelare*
di
Maria
Alessandra Sandulli
Ordinario di Diritto Amministrativo Università Roma Tre
Relazione tenuta
al 56° Convegno di studi amministrativi dal titolo “
1. Premessa: la rilevanza della fase
cautelare nella struttura del Codice. 2. L’esigenza di peculiare attenzione
agli opposti interessi nella valutazione dell’istanza cautelare nel processo amministrativo.
3. Le questioni aperte affrontate dal Codice. 3.1. L’evoluzione del ruolo della
tutela cautelare e il suo rapporto con il giudizio di merito. 3.2. Il problema
dell’effettività del contraddittorio e dell’adeguata cognizione della
controversia da parte del Giudice. 3.3. Le limitazioni alla tutela cautelare
nelle controversie sulle “grandi infrastrutture”. 4. Conclusioni.
1 Premessa: la rilevanza della
fase cautelare nella struttura del Codice.
L’esplicito richiamo nei primi articoli del Codice ai principi di effettività della tutela e del giusto processo dà ragione della specifica attenzione dedicata dal nuovo testo normativo alla disciplina della fase cautelare, che, come era stato sottolineato nel dibattito che ha preceduto la scelta codificatoria, mentre costituisce, per le peculiari caratteristiche di autoritatività e esecutorietà che connotano l’esercizio del potere pubblico, un elemento imprescindibile per la garanzia dell’interesse - pubblico generale - alla tutela effettiva degli amministrati contro il cattivo uso del medesimo, imponendo la massima celerità ed immediatezza dell’intervento giurisdizionale, per altro verso, proprio in considerazione della particolare rilevanza degli interessi coinvolti (e per i riflessi che direttamente o indirettamente la loro composizione ha sulla collettività) deve essere massimamente attenta al rispetto del principio del contraddittorio processuale, onde evitare che una eccessiva compressione dei tempi di decisione, al di là dell’apparenza garantista, implichi nella sostanza una eccessiva e irragionevole riduzione del diritto di difesa (che deve essere garantito in modo equo e adeguato a tutte le parti, e non soltanto a quella ricorrente) e, soprattutto, impedisca una “giusta” e completa cognizione della controversia da parte del giudice (che deve poter conoscere le posizioni di tutte le parti e disporre del tempo minimo indispensabile a valutarle, ancorché in modo sommario): da ciò l’esigenza e – evidentemente – la difficoltà di contemperare speditezza decisoria e spazi defensionali e cognitori in un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei suddetti diversi interessi.
Non spetta certamente a chi vi parla ricordare al qualificatissimo
uditorio presente in questa sala il ruolo cardine assolto dalla tutela
cautelare nel processo amministrativo, che spesso risolve proprio in
quest’ultima la propria essenza. Tale ruolo è stato del resto da sempre ben
chiaro alla giurisprudenza amministrativa, che ne ha progressivamente segnato
l’evoluzione (basti significativamente richiamare le note sentenze
dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 1 del 1978 e 6 e 17 del 1982
e i primi decreti monocratici “inaudita
altera parte”[1]), così come è stato
specificamente evidenziato anche dall’ordinamento comunitario, che ha in più
occasioni identificato nella tutela cautelare immediata uno strumento
irrinunciabile per assicurare una tutela effettiva delle proprie norme, in
tempo utile ad impedire che la relativa violazione produca effetti
irreversibili. Appare al riguardo significativo rimarcare che anche
a)
prendere con la massima sollecitudine e con
procedura d’urgenza provvedimenti provvisori intesi a riparare la violazione
denunciata o impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti,
compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di
aggiudicazione pubblica di un appalto o l’esecuzione di qualsiasi decisione
presa dalle autorità aggiudicatrici;
b)
omissis
L’attenzione dell’ordinamento comunitario per una tutela cautelare
effettiva è stata del resto all’origine dell’introduzione della tutela
cautelare ante causam, in esito
all’ordinanza della Corte di Giustizia del 29 aprile 2004, C-202/03, anche se,
come si dirà meglio infra e come
correttamente rilevato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 179 del
2002, il sistema di tutela cautelare
monocratica interinale introdotto nel processo amministrativo dalla l. n. 205
del 2000 offriva – ed offre – sicuramente analoghe e più coerenti garanzie di effettività;
con il vantaggio di consentire, con alcuni correttivi, ora opportunamente introdotti
dal Codice, una maggiore e più proporzionata considerazione per i diversi
interessi in conflitto. In linea con la legge delega, giustamente attenta
all’uguaglianza delle posizioni processuali a prescindere dalle materie
controverse, il Codice ha in ogni caso disposto anche la generalizzazione della
tutela ante causam, autonoma dal
giudizio di merito, ancorché condizionata quanto alla conservazione degli effetti
alla tempestiva proposizione di quest’ultimo (entro quindici giorni dalla
concessione della misura).
Il ruolo centrale della tutela cautelare nel processo amministrativo (molto efficacemente rappresentato come il “centro di gravità” dell’azione processuale[3]), sembra sotto altro profilo destinato ad aumentare in relazione all’espressa rilevanza riconosciuta dall’art. 30 del Codice al comportamento del soggetto leso ai fini del risarcimento del danno, tale per cui il giudice deve comunque “esclude(re) il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”. La norma, sulla quale si è molto discusso nell’ottica della vexata quaestio della pregiudiziale di annullamento[4], può avere indubbiamente una grossa valenza in relazione agli effetti che la giurisprudenza vorrà in concreto ricondurre, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, all’omissione della richiesta cautelare o alla sua successiva rinuncia in sede di discussione.
Al di là della sua rilevanza economica, la disposizione può finire invero indirettamente per attribuire alla tutela cautelare un ruolo di garanzia “oggettiva” della giustizia nell’amministrazione: il sistema ha interesse alla rapida emersione dei vizi che eventualmente inficino l’azione amministrativa e, come la costrizione delle azioni giurisdizionali entro rigidi termini di decadenza, la correlazione tra risarcimento del danno e esperimento di una sollecita richiesta di cautela contro le condotte illegittime che lo hanno causato può valere ad evitare azioni sostanzialmente strumentali ad un mero vantaggio economico, che, attraverso una tempistica deliberatamente “calma”, non offrano anche quel contributo che la giustizia amministrativa, sia pure nei limiti di un processo di parti, deve invece per quanto possibile offrire al rispetto effettivo delle regole. Appare in questo senso significativa l’introduzione, nella più recente disciplina del contenzioso in tema di appalti, di un nuovo potere sanzionatorio del giudice amministrativo che, a prescindere da ogni specifica istanza e/o interesse di parte, mira soltanto a impedire che l’illecito denunciato possa restare impunito[5].
Tornando al ruolo della tutela cautelare, la particolare funzione affidata al processo amministrativo implica infatti che, anche in relazione a tale profilo di garanzia di “giustizia nell’amministrazione” e dunque di giusto assetto degli interessi che trascendono i meri rapporti tra le parti, la tutela cautelare costituisca, in questo giudizio, ancor più che in quello civile, uno strumento essenziale al pieno e corretto assolvimento della funzione giurisdizionale.
Il g.a. è il giudice della funzione amministrativa (dell’interesse pubblico) e il giudice dell’economia: l’intervento tempestivo della tutela giurisdizionale in un momento in cui sia ancora possibile evitare che la violazione produca i suoi effetti e, laddove occorra, indirizzare il successivo operato della p.A. assume quindi rilevanza essenziale anche per il buon andamento della p.A. e per la stessa competitività del Paese.
E’ molto importante dunque, anche ai fini di una corretta costruzione e gestione della fase cautelare, porre l’accento sul ruolo di conformazione dell’attività amministrativa storicamente assolto dal giudice amministrativo[6] e sull’esigenza (sottolineata come già ricordato anche dalle direttive comunitarie in riferimento alla tutela in materia di appalti) che la violazione delle norme che regolano l’esercizio dell’attività amministrativa - che, si ricorda, sono norme poste a tutela degli interessi pubblici generali e particolari - non produca i suoi effetti.
Da ciò l’esigenza di una tutela immediata, che eviti pregiudizi irreparabili non soltanto al ricorrente, ma anche alla collettività, che è comunque diretta o indiretta destinataria dell’azione amministrativa e agli interessi che l’ordinamento abbia nel particolare contesto storico assunto come prevalenti.
La sospensione di un provvedimento amministrativo può essere infatti strumentale anche all’interesse pubblico generale (quello tutelato dalle norme violate), che non sempre coincide con quello specifico della p.A. che ha emanato l’atto e che magari ha ingiustamente preposto il pubblico interesse particolare di cui essa è affidataria a quello generale (l’interesse alla concorrenza è ad esempio diverso dall’interesse al risparmio di tempo di gara o ad avvalersi di appaltatori “sperimentati” o altamente specializzati; l’interesse all’ambiente non è spesso coincidente con quello allo sviluppo economico o territoriale). La decisione cautelare, come quella di merito, diventa pertanto un delicato problema di bilanciamento dei diversi interessi, legato alla proporzionalità della misura adottata non soltanto tra l’interesse del ricorrente e quello dei suoi legittimi contraddittori, ma anche tra i diversi interessi pubblici coinvolti.
La precisazione assume evidente
rilevanza nella conferma del legame di strumentalità[7]
che il legislatore ha inteso confermare tra tutela cautelare e tutela
“principale”, come del resto emerge dal riferimento al “ricorrente” quale unico
soggetto legittimato alla proposizione dell’istanza cautelare collegiale o
monocratica “incidentale”. Il punto ha sollevato qualche critica nell’ambito
del primissimo dibattito sul testo approvato dalla Commissione (e confermato in parte qua dal Governo)[8],
sotto lo specifico profilo della mancata previsione di una tutela cautelare per
le parti resistenti o contro interessate costrette a subire l’effetto
sospensivo automatico del ricorso sulla stipula dei contratti pubblici. Lasciando
da parte la particolarissima questione prospettata (alla quale non appare
opportuno offrire la soluzione proposta a pena di stravolgere il modello di
cautela disegnato dall’ordinamento europeo a necessaria tutela degli interessi
che presiedono al corretto affidamento delle commesse pubbliche e sulla quale
si tornerà, sotto altro profilo, a proposito dell’appello cautelare in subiecta materia), la conferma del
ruolo strumentale della tutela cautelare rispetto al giudizio di merito trova a
mio avviso piena giustificazione nella particolare natura – pubblica o generale
– degli interessi coinvolti e nella funzione della giustizia amministrativa, tesa
- come ben ricordato dalla Corte costituzionale sin dalla nota sentenza 204 del
2004 e confermato nell’impianto codicistico dai termini decadenziali per le
azioni di nullità e di condanna, dai nuovi poteri d’ufficio riconosciuti al
giudice nelle controversie in materia di appalti, e, più in generale, dai più
ampi poteri cognitori del giudice di ottemperanza (investito anche della
soluzione di questioni interpretative) e dalla funzione nomofilattica
espressamente affidata all’Adunanza plenaria per le decisioni “nell’interesse
della legge”- ad assicurare la “giustizia nell’amministrazione” e la certezza
dei rapporti in cui sia coinvolto l’esercizio di un potere pubblico.
Se dunque, per un verso, per le
ragioni di effettività della tutela prospettate dalla Corte di Giustizia (ancorché,
come già accennato, più correttamente e proporzionatamente assolte dal modello
di cautela monocratica interinale introdotto dalla l. n. 205 del 2000), può
essere opportuno consentire anche nel giudizio amministrativo una tutela cautelare
anche prima della proposizione del giudizio di merito, non appare altrettanto
coerente con il sistema prevederne la totale autonomia dall’azione principale,
appartenente piuttosto alla logica delle controversie che esauriscono il loro
effetto all’interno di rapporti strettamente interprivati (tipici quelli tra i
proprietari confinanti) e già estranea, anche nel processo civile, a quelle che
coinvolgono interessi più generali, che, per loro natura, impongono garanzie di
certezza che non possono essere soddisfatte dalla istruzione e dalla cognizione
della controversia in una fase meramente sommaria (come quelle avverso le
delibere assembleari delle società, significativamente condizionate, anche dopo
l’abrogazione delle nuove regole del processo societario, alla proposizione del
giudizio di merito).
La considerazione vale, sia pure
con qualche maggiore difficoltà, anche per le materie affidate alla
giurisdizione esclusiva che, al di là dell’uso distorto che possa farne il
legislatore, è legata alla stretta connessione con il potere pubblico e dunque
consente di giustificare, in nome della tutela di interessi di carattere
generale, la ritrosia del legislatore ad affidarne la definizione ad un
giudizio sommario[9].
Il Codice pertanto, in direzione
opposta a quella dell’autonomia della cautela, ha cercato un più stretto rapporto
tra cautela e merito, legando alla richiesta e soprattutto alla concessione
della prima la definizione completa della controversia, onde evitare che la
sorte di atti o comportamenti interferenti con interessi pubblici (generali e/o
particolari) sia sostanzialmente rimessa ad una fase di cognizione meramente
sommaria.
Tale conferma del necessario
legame tra cautela e merito non soltanto non incide evidentemente sulla
progressiva evoluzione della tutela cautelare da mera sospensione interinale
dell’efficacia del provvedimento impugnato a strumento atipico di salvaguardia immediata
delle posizioni soggettive con effetti in taluni casi anticipatori nelle more
della decisione di merito, ma ne è, in un certo senso, la necessaria
conseguenza. Proprio la possibilità che, in una fase di cognizione sommaria, il
Giudice abbia anche un potere conformativo (come avviene con la tecnica del remand) e che l’Amministrazione abbia
l’obbligo di adeguarsi alle relative statuizioni anche imprimendo agli
interessi coinvolti un assetto totalmente diverso da quello originariamente
stabilito, rende oltremodo opportuno uno stretto legame con il giudizio di
merito, che valga a fornire sollecitamente una parola definitiva sulla
questione giuridica controversa e, più in generale, a garantire una maggiore
certezza nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. La possibilità di
anticipare già in fase cautelare la decisione nel merito delle questioni di più
evidente soluzione (attraverso lo strumento della decisione in forma semplificata:
art. 60), pur con i limiti che il modello presenta e che ne impongono un
utilizzo estremamente prudente[10],
costituisce per altro verso una scelta ragionevolmente e proporzionatamente idonea
a soddisfare una inutile duplicazione di quei giudizi già perfettamente
suscettibili di essere espressi e definiti ad un “primo immediato esame”. Anche
sotto questo profilo, peraltro, il Codice, attraverso l’eliminazione
dell’obbligo di procedere in forma semplificata nei riti in materia di
contratti pubblici criticabilmente introdotto dal d. lg. 53 del 2010 e, in
termini più generali, attraverso il nuovo regime e la nuova tempistica della
fase cautelare, ha cercato di offrire maggiore garanzia di giusto e adeguato
processo, ad evitare che l’assetto “finale” degli interessi pubblici fosse
stabilito (sia pure attraverso una sentenza di merito) in una fase troppo
sommaria.
Sotto questo profilo, appare particolarmente interessante il confronto con la giurisprudenza comunitaria, che lega il bilanciamento dei diversi interessi alla proporzionalità rispetto all’interesse pubblico generale[11].
La sospensione del provvedimento impugnato – e più in generale l’adozione di misure cautelari - non deve costituire una tutela sproporzionata rispetto al pregiudizio che potrebbe derivare all’interesse pubblico (particolare, ma soprattutto generale, di cui l’Amministrazione – come i soggetti che in virtù delle loro peculiarità sono vincolati al rispetto di regole pubblicistiche deve comunque farsi carico): il giudice, se non deve all’evidenza ingiustamente privilegiare tale interesse, restando coerente allo spirito del giusto processo, non può per vero prescindere dall’operarne una valutazione particolarmente attenta, adeguatamente bilanciandolo con l’interesse privato e con le stesse esigenze di celerità della tutela, ricordando a quest’ultimo riguardo che la rapida conclusione del processo - e, all’interno di questo, la rapida decisione sulle richieste cautelari ed eventualmente, attraverso la sentenza in forma semplificata, anche sul merito, non devono in ogni caso collidere con l’adeguata cognizione della controversia.
La fretta, secondo un antico brocardo, è tendenzialmente nemica del bene e l’accelerazione del procedimento e del processo sono rispettivamente nemiche della buona amministrazione e della piena giustizia. L’espressione “ragionevole” durata del processo non si identifica del resto e anzi è antinomica a quella di processo iperaccelerato[12], che, fuori dalle ipotesi in cui l’ordinamento già prevede, nella ricorrenza di particolari condizioni, la decisione in forma semplificata o addirittura con decreto presidenziale, finisce per essere “irragionevolmente” accelerato, incidendo in senso negativo sul corretto esercizio della funzione giurisdizionale.
Tale profilo diventa ancora più delicato se si tiene conto dell’attuale situazione di crisi del potere legislativo, lucidamente denunciata proprio in questo contesto lo scorso anno dalla Relazione introduttiva al precedente 55° Convegno di Studi Amministrativi, che, evidenziando la sostanziale “abdicazione” del Sovrano all’esercizio del potere normativo, ha rilevato una progressiva trasformazione della funzione giurisdizionale da quella di applicazione della legge a quella di “soluzione imparziale dei conflitti”.
2. L’esigenza di peculiare
attenzione agli opposti interessi nella valutazione dell’istanza cautelare nel
processo amministrativo.
Come già evidenziato in precedenti occasioni, dalle esposte premesse discendono due fondamentali conseguenze:
(i) l’esigenza di prestare una particolare attenzione e considerazione alle istanze cautelari;
(ii) l’esigenza di prestare una particolare attenzione e considerazione alla posizione/interessi della p.A. resistente e, comunque, ai diversi interessi pubblici (generali e particolari) coinvolti.
Assume massimo rilievo in tal senso quanto affermato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 8 del 1982, la quale ha proprio in quest’ottica affermato la necessità del doppio grado di giudizio, ponendo specificamente l’accento sull’incidenza dell’accoglimento dell’istanza sul pubblico interesse.
Proprio la diversa posizione di una delle parti impone invero particolari “attenzioni” che operano in senso divergente.
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In un precedente studio avevo svolto a questi fini un rapido excursus sulla giurisprudenza dell’Unione europea, nella quale si registra una tendenza opposta a seconda che la richiesta cautelare investa atti dell’Unione ovvero atti degli Stati membri.
Nel primo caso la posizione dei giudici dell’Unione si rivela tendenzialmente rigida, prestando il fianco a pesanti critiche, anche sotto il profilo del diniego di giustizia. In particolare, essi operano un giudizio preliminare sulla gravità, che deve essere comunque tale da derogare al principio di presunzione di validità dell’atto amministrativo europeo. Risulta quindi difficilissima la sospensione di danni economici, salvi i ricorsi in materia di concorrenza o di dumping, fallimento di imprese o perdita di quote rilevanti di mercato. Il danno è peraltro considerato irreparabile solo se è assolutamente insuscettibile di risarcimento, senza che rilevi l’estrema difficoltà del giudizio risarcitorio.
Si può quindi affermare che, in sintesi, all’interno dell’ordinamento comunitario la tutela cautelare è vista come un rimedio estremo (con l’unica deroga dei casi in cui si deduca la violazione di principi generali dei Trattati o l’inesistenza dell’atto).
In termini opposti, la medesima
giurisprudenza appare molto aperta all’accoglimento delle istanze cautelari nei
ricorsi tesi a contestare presunti inadempimenti agli obblighi comunitari da
parte degli Stati membri. In alcuni casi
Il maggior rigore riscontrabile nella concessione della tutela cautelare contro gli atti comunitari emerge del resto anche nella considerazione dei danni che la sospensione potrebbe arrecare ai terzi. La ponderazione dei contrapposti interessi assume per vero un notevole rilievo: ciò che aumenta sensibilmente anche la discrezionalità del giudice, che precede lo stesso giudizio sulla gravità e irreparabilità e tiene conto dell’entità del danno che la cautela potrebbe provocare alle controparti e ai terzi (devono essere della stessa entità di quello del ricorrente, ma non necessariamente certi).
In particolare, si dà grande rilevanza alla tutela dell’interesse pubblico delle Istituzioni dell’Unione (le esigenze di buon funzionamento del servizio superano gli interessi del personale; analoga prevalenza sembrerebbe riservata alle misure antidumping). Si riscontra al riguardo un sostanziale inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente, che deve dimostrare la prevalenza del proprio interesse alla cautela.
Analogamente, si riconosce un ruolo molto importante all’interesse pubblico (generale) degli Stati: un’attenzione particolare è quindi ad esempio riservata agli utenti dei trasporti pubblici, alla sanità, agli obiettivi sociali, alla concorrenza.
I Giudici dell’Unione sono poi particolarmente attenti a garantire la reversibilità degli effetti della decisione cautelare ad opera della pronuncia di merito.
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3. Le questioni aperte affrontate dal Codice.
Dall’esposto quadro di riferimento emerge che i profili più delicati che il Codice era chiamato ad affrontare in ordine alla tutela cautelare investivano in particolare (i) il vincolo di strumentalità della tutela cautelare e la sua compatibilità con le più moderne forme di tutela sostitutiva/ordinatoria che l’ordinamento è teso a soddisfare; (ii) la tutela del contraddittorio, con specifica attenzione al rito immediato e ai c.d. riti abbreviati; (iii) la presunzione di prevalenza del c.d. interesse pubblico nazionale nelle controversie sulle c.d. infrastrutture strategiche o, più in generale, sui grandi investimenti pubblici.
Prima di esaminare più in dettaglio tali profili occorre invero rimarcare che l’adeguata considerazione dei diversi interessi sui quali la tutela cautelare – in senso favorevole o sfavorevole – incide deve guidare innanzi tutto la disciplina dello svolgimento del processo. Le regole processuali devono in altri termini tenere costantemente conto di tale esigenza e l’intervento del giudice deve essere sempre rigorosamente guidato dal principio di proporzionalità. Il legislatore lo ha avuto chiaro quando ha previsto la cauzione come possibile temperamento degli effetti irreversibili conseguenti all’accoglimento o al rigetto della richiesta cautelare. Ma il pregiudizio all’interesse pubblico può essere ben più grave di quello “garantibile” con la cauzione. Si pensi ad esempio ai rischi di pregiudizio derivanti al pubblico interesse dalla sospensione cautelare dell’ordine di chiusura di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande disposto per ragioni igienico-sanitarie; o dalla sospensione di un bando di gara o di un concorso pubblico di rilevanza nazionale, come potrebbe essere quello per l’accesso ai ruoli della magistratura ordinaria o agli albi dei notai nell’imminenza del termine di scadenza per la presentazione delle domande (che naturalmente il ricorrente ha evitato di presentare, precludendo in tal modo la facile strada dell’ammissione con riserva). La successiva reiezione in camera di consiglio dell’istanza cautelare provvisoriamente accolta non potrebbe più riparare il gravissimo pregiudizio arrecato al pubblico interesse da una cautela non adeguatamente ponderata: nel primo caso alla salute, nel secondo ad un uso efficiente delle risorse pubbliche (sicuramente pregiudicato dalla necessità di rimodulare l’intera procedura, con ineludibile protrazione dei termini delle relative fasi e, per l’effetto, di utilizzo delle risorse umane, nuovi oneri di pubblicità, nuove ricerche di sedi per le prove, ecc.). Tornerò comunque sull’argomento nel corso della Relazione.
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3.1. L’evoluzione del ruolo della
tutela cautelare e il suo rapporto con il giudizio di merito.
Con riguardo al primo profilo, si è in certo senso anticipato che l’evoluzione del quadro normativo del processo amministrativo ha segnato una progressiva attenuazione del principio di strumentalità della tutela cautelare rispetto all’effettività della tutela di merito, da cui l’assioma (ripetutamente affermato dai giudici amministrativi) secondo il quale la prima “non può, di regola, comportare effetti ulteriori rispetto a quelli determinati dall’esito positivo del giudizio di merito” (tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2006, n. 1791).
L’art. 21 della l. TAR, come novellato dalla l. n. 205 del 2000, rivelava infatti incontestabilmente una significativa attenuazione del limite della irreversibilità, tradizionalmente frapposto a molte richieste di cautela “positiva”, sostituito dalla previsione della cauzione, in analogia al modello adottato dalla Commissione UE per la riscossione delle ammende (si segnala in proposito che il giudice cautelare europeo tende a negarne la sospensione).
La nuova formula dell’art. 21, che faceva riferimento alla strumentalità/interinalità della cautela rispetto agli “effetti della decisione sul ricorso”, è stata intesa dalla dottrina più autorevole (F.G. Scoca[14], A. Romano[15]) come riferita anche al giudizio di ottemperanza, aprendo perciò lo spazio anche a misure sostitutive-ordinatorie. Come sottolineato da F. Satta[16], con l’ammissione delle misure cautelari atipiche, l’asse della tutela si era spostata dal provvedimento da sospendere alla sentenza da emanare.
Si richiama in primis il c.d. remand, con cui il giudice cautelare instaura un vero e proprio dialogo con la p.A. mirante ad orientare l’atto discrezionale nella direzione da esso indicata, aprendo in tal modo la strada a giungere, in sede di esecuzione, dove non può arrivare nelle ordinanze sostitutive senza sconfinare in un’area di esclusiva pertinenza della p.A. (significativa in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 2007, n. 833).
Un ruolo importante è stato assunto poi evidentemente dalle misure sostitutive: si pensi in particolare a quelle assunte nei giudizi sul silenzio (Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2006, n. 4239). Il potere cautelare atipico può spingersi fino alla sostituzione alla p.A. nella fattispecie in cui lo si ritenga ammesso, come nei casi di attività a contenuto vincolato o a bassa discrezionalità[17].
Significative anche le indicazioni/direttive alle stazioni appaltanti per correggere le procedure di selezione dei contraenti pubblici prima che la violazione delle relative regole produca i suoi effetti.
Si è dunque giustamente parlato di “rivoluzione” della funzione dello strumento cautelare, da mezzo di mera conservazione dello status quo a mezzo con cui viene conseguita la tutela
Con la l. 205 del 2000, il giudice cautelare aveva assunto più che mai un ruolo di interlocutore necessario per la p.A., un vero e proprio regolatore della funzione amministrativa verso il rispetto di quei principi che, tradotti o meno in puntuali disposizioni di legge, devono comunque informarne l’operato e arginarne i potenziali arbitri[18].
L’analisi della giurisprudenza degli ultimi anni conferma la funzione conformativa rimessa alla (e spesso assolta dalla) tutela cautelare in vista di una più effettiva garanzia del buon andamento della p.A., quale strumento che, più che a bloccarne l’azione, rallentando il perseguimento dell’interesse pubblico, tenda, per quanto possibile, a consentirne in tempo utile la correzione e, per l’effetto, un più legittimo svolgimento[19]. Il frutto tangibile di questa evoluzione della tutela cautelare è ravvisabile nella possibilità, sempre più frequentemente emergente, che essa produca, direttamente o indirettamente (in esito al remand o all’autotutela) effetti irreversibili, che non possono più essere travolti dall’esito negativo del giudizio di merito (si pensi, oltre che all’ipotesi classica della sospensione di un ordine di chiusura di un esercizio commerciale in periodo natalizio, a quella del diniego di un permesso di soggiorno o agli esiti degli accertamenti sanitari presupposti al riconoscimento di una causa di servizio, ma soprattutto a quelli degli esami di abilitazione all’esercizio di un’attività professionale o, più in generale, dell’ammissione agli esami di maturità o di licenza media).
Può essere discriminante a tale riguardo stabilire se il comportamento della p.A. a seguito della decisione cautelare dia luogo ad una vicenda procedimentale autonoma da quella originaria, riconducibile come tale ad una scelta “discrezionale”, sia pure ricollegabile nei presupposti all’esito dell’istanza cautelare, o costituisca una mera esecuzione – dovuta – di quanto imposto dal giudice.
Il problema si pone infatti evidentemente in termini affatto diversi nelle ipotesi in cui le pp.AA. (o i soggetti ad esse equiparati), agendo in esito alla decisione cautelare, abbiano comunque realizzato l’obiettivo prefissato senza una sostanziale modifica dei presupposti a tal fine individuati (es. accertamento dell’idoneità del candidato attraverso la ripetizione delle prove; riesame dell’istanza alla luce di una più accurata istruttoria o in esito ad una più effettiva partecipazione dell’interessato) rispetto alle ipotesi in cui il giudice abbia “corretto/suggerito di correggere” le regole di procedura inizialmente individuate dalla p.A. (es., regole per l’ammissione delle offerte o la valutazione delle prove) o si sia sostituito a quest’ultima nell’adozione di un provvedimento favorevole (rilascio di un permesso di costruire, immissione di un farmaco in commercio, ancorché in esito al parere favorevole del CTS).
E’ significativo al riguardo che il legislatore sia specificamente
intervenuto per affermare l’irreversibilità degli effetti del superamento delle
prove (scritte e orali) degli esami di abilitazione all’esercizio della
professione forense in esito a provvedimento giurisdizionale, pure cautelare,
che abbia disposto l’ammissione alle medesime o la relativa ripetizione (cfr.
d.l. n. 115 del 2005, conv. nella l. n. 168 dello stesso anno), confermando un
principio già espresso in ordine agli esami di maturità e valido a maggior
ragione per gli esami universitari sostenuti in seguito all’ammissione con
riserva alle facoltà a numero chiuso. La riferita previsione legislativa, se da
un lato può essere intesa come conferma dell’eccezionalità del principio,
dall’altro ne costituisce per la prima volta chiara affermazione, dimostrandone
la compatibilità col sistema. E’ decisivo in questo senso il giudizio di
compatibilità costituzionale espresso dalla Corte costituzionale con la nota
sentenza 108 del 2009. L’argomento dirimente è stato che l’interesse pubblico
all’accertamento, una volta soddisfatto, supera quello della definizione del
processo.
Come accennato in premessa, il Codice ha comunque confermato – e, anzi rafforzato – il rapporto di necessaria interrelazione tra cautela e merito, ribadendo che le misure cautelari presuppongono l’allegazione di “un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso” e, dunque, escludendo che, a prescindere dai casi limite in cui, come in quello sopra considerato, l’interesse pubblico sia comunque assicurato attraverso un sostanziale riesercizio del potere non condizionato nei contenuti dalle prescrizioni del giudice, e – fuori dai casi in cui sia la stessa amministrazione a decidere di reintervenire in sede di autotutela (coperta quindi, ma non imposta dalla decisione cautelare) – la pronuncia cautelare possa protrarre i suoi effetti a tempo indeterminato a prescindere dal giudizio di merito. Proprio in considerazione della rilevanza che assumono nel giudizio amministrativo gli interessi pubblici (particolari e generali) si è voluto cioè escludere che essi potessero trovare la loro definizione all’esito di una fase sommaria che, per sua stessa natura, non è adeguatamente approfondita.
Sotto altro profilo, ma nella medesima attenzione per una tutela meno “sommaria”, il Codice ha cercato di assicurare una più piena cognizione della controversia anche nella fase cautelare, ciò che potrà peraltro consentire, ove opportuno e ove ne ricorrano le condizioni, un più ampio ricorso alla decisione contestuale del merito in forma semplificata. Quest’ultimo strumento, estraneo al giudizio civile, costituisce invero (con tutti i suoi limiti) il modo più idoneo a sostituire, laddove la vicenda non richieda una più accurata cognizione e valutazione delle diverse posizioni ed interessi, una composizione di questi ultimi attraverso una autonoma tutela di merito. Quando ciò non sia possibile, perché le questioni sollevate richiedono maggiore approfondimento, la natura stessa degli interessi coinvolti impone che essi siano più accuratamente valutati nei tempi e con le garanzie che caratterizzano il giudizio ordinario di merito e, anzi, il Codice ne persegue la sollecita definizione.
Oltre alla previsione dell’istanza di fissazione dell’udienza di merito come condizione di procedibilità della domanda cautelare, si è a tal fine imposto che l’ordinanza con cui è concessa una misura cautelare fissi anche la data per la discussione del merito, istituzionalizzando per atro la possibilità di risolvere la tutela cautelare attraverso una rapida fissazione del merito (che nei riti abbreviati è confermata come forma principale e ordinaria di cautela solo eccezionalmente accompagnata dalla concessione di misure di tipo sostanziale).
La fase cautelare assume così nel Codice un ruolo che, senza nulla sottrarre al valore conformativo delle misure adottate ed, anzi, proprio in ragione di quest’ultimo, appare sempre più finalizzato a garantire una sollecita definizione dell’intero processo. Ad entrambi questi obiettivi mirano le nuove disposizioni che segnano la tempistica e le modalità di presentazione e trattazione dell’istanza cautelare e l’espressa previsione della possibilità di rappresentare in questa fase eventuali istanze istruttorie e di integrazione del contraddittorio.
3.2. Il problema dell’effettività
del contraddittorio e dell’adeguata cognizione della controversia da parte del
Giudice.
Il secondo – e non meno rilevante – profilo di cui il Codice si è fatto carico attiene, come già anticipato, alla garanzia del contraddittorio nella fase cautelare, particolarmente delicato in quelle di “estrema urgenza” (ante o intra causam).
Si ricorda in proposito ancora una volta che le pp.AA. (originarie resistenti per eccellenza) sono portatrici di interessi pubblici e comunque garante del loro migliore contemperamento con gli altri interessi, particolari e generali. Le limitazioni al principio del contraddittorio, che, come è stato anche recentemente ricordato[21], ostano per se stesse ad un giudizio completo e “giusto”[22], integrano, nei confronti dell’Amministrazione, un rischio di lesione dell’interesse pubblico che nella maggior parte dei casi non si rivela adeguatamente proporzionato con le ragioni che supportano la richiesta di tutela immediata.
Il Codice ha dedicato particolare attenzione a questo tema.
Il Codice dedica l’intero Titolo II del Libro II (art. 55-62) al procedimento cautelare, disciplinandolo in modo organico e unitario (fatte salve le peculiarità dei riti abbreviati di cui agli art. 119–125, su cui vedi infra) in riferimento alle diverse fasi di trattazione, sia in sede collegiale, secondo il rito camerale che tradizionalmente caratterizza la trattazione delle istanze cautelari nel giudizio amministrativo, sia in sede monocratica, nella duplice forma delle misure cautelari provvisorie concesse con decreto presidenziale e della tutela ante causam propriamente detta, estesa, come sopra anticipato e come richiesto dalla legge delega, a tutte le materie.
Merita sin da ora ricordare che per la tutela cautelare nei giudizi di impugnazione avverso le sentenze l’art. 98, comma 2, del Codice rinvia agli articoli 55, commi da 2 a 10, 56 e 57.
Le misure cautelari collegiali.
L’articolo 55 disciplina la richiesta “ordinaria” di tutela cautelare (destinata alla trattazione in sede collegiale) confermando il carattere atipico dei relativi provvedimenti (ivi compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria), liberamente articolabili tra le parti e il Giudice nella prospettiva del miglior contemperamento tra le diverse esigenze (non viene quindi imposta la previa indicazione della specifica misura richiesta).
Sono parimenti confermati i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora) tradizionalmente richiesti, in necessario concorso tra loro, per la concessione della tutela. E’ significativa in particolare l’insistenza del co. 9 sul contenuto del provvedimento cautelare assunto dal Collegio, al quale si richiede specificamente di motivare “in ordine alla valutazione del pregiudizio (grave ed irreparabile che può derivare al ricorrente durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso) allegato” e di indicare i profili che “ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso”.
Si richiede cioè
una vera e propria prevalutazione sommaria della fondatezza delle censure al
fine di limitare (rectius evitare) la
concessione della cautela sulla base esclusivamente del danno. A questo
obiettivo di “giusto processo cautelare” tendono anche i nuovi termini
introdotti dal Codice a difesa delle parti. In particolare, premesso che la
domanda cautelare può essere incorporata nel ricorso di merito o presentata con
distinto ricorso notificato alle altri parti, il Codice prevede un allungamento
dei termini minimi per la trattazione dell’istanza in sede collegiale rispetto
a quelli stabiliti nel sistema previgente. A norma dell’art. 55, co. 5, il
Collegio si pronuncia infatti sulla domanda cautelare nella prima camera di
consiglio utile, decorsi almeno venti giorni dal perfezionamento
dell’ultima notificazione del ricorso ai relativi destinatari, e comunque
non prima di dieci giorni dal deposito del ricorso, con la prova delle eseguite
notificazioni[24], presso la segreteria
dell’organo giurisdizionale adito. In tal modo si assicura alla parte resistente
e agli eventuali controinteressati un più adeguato termine per predisporre le
proprie difese, e al collegio giudicante un più adeguato arco temporale per la
relativa disamina. In considerazione delle particolari esigenze di speditezza
dei giudizi relativi ad alcune materie, anche detti termini seguono peraltro la
regola generale di dimidiazione (art. 119, co. 2), che impone comunque (anche
nelle controversie in materia di appalti: art. 120) il decorso di almeno dieci
giorni dal ricevimento dell’ultima notifica e di almeno cinque giorni dal
deposito.
In ogni caso, il medesimo art. 55, co. 5, opportunamente precisa che le parti possono depositare memorie e documenti soltanto fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio (uno nei riti abbreviati), termini che, se per un verso, in ragione della riferita protrazione dei tempi per la trattazione dell’istanza, sono comunque più ampi di quelli attuali, (con conseguente abrogazione anche dei termini iugulatori irragionevolmente previsti dal d.lgs. n. 53 del 2010 nei giudizi in materia di appalti), per l’altro valgono a regolare in modo certo ed univoco un profilo essenziale per l’esercizio dei diritti di difesa delle parti (nonché per una più piena consapevolezza del collegio in ordine alle questioni di cui è causa), prima rimesso alle diverse prassi di ciascun organo giurisdizionale (quando non addirittura alla discrezione di ciascun collegio giudicante o delle cancellerie delle relative sezioni).
La garanzia è completata dalla previsione, all’art. 5 dell’All. 2, dell’obbligo di depositare nella segreteria un numero di copie di atti (da intendersi riferito anche ai documenti) corrispondente ai componenti del collegio e alle parti costituite (da intendersi, per atti del ricorrente, necessariamente intimate) in difetto delle quali, almeno se il contraddittorio e la piena cognizione degli atti da parte dell’intero Collegio non saranno pienamente garantiti dalla possibilità di prenderne visione ed estrarne copia attraverso il fascicolo d’ufficio trattenuto in segreteria, il deposito stesso non potrà considerarsi ritualmente avvenuto fino alla relativa integrazione. Ogni diversa chiave di lettura si pone infatti in gravissimo contrasto con i più volte richiamati principi di giusto processo.
Nell’ottica tradizionale dell’assunzione delle prove secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, la tassatività della regola è infine temperata dalla facoltà, rimessa al Collegio giudicante, di autorizzare “fino all’inizio della discussione”, “per gravi ed eccezionali ragioni”, la produzione alla camera di Consiglio di documenti (ma non di memorie), con consegna di copia alle altre parti.
E’ fatta inoltre comunque salva la possibilità per il difensore ritualmente designato dalla parte interessata di costituirsi in camera di consiglio e di illustrare oralmente (ma sinteticamente) le proprie difese. Il riferimento alla sinteticità dovrebbe escludere la possibilità, paventata in taluni casi, di leggere in udienza camerale la memoria non più depositabile.
Come anticipato, nella surrichiamata esaltazione del rapporto di strumentalità tra cautela e merito, il Codice, oltre a subordinare la decisione sull’istanza cautelare alla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza e a prescrivere la fissazione di quest’ultima contestualmente alla concessione delle eventuali misure cautelari, prevede in via generale la possibilità che il Collegio, in sede di esame della domanda cautelare, allorché ritenga che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio, stabilisca direttamente la data di discussione del ricorso nel merito senza adottare alcuna ulteriore misura di cautela (art. 55 co. 10).
Sempre in riferimento alla necessaria connessione tra provvedimenti cautelari e decisione del merito del ricorso, e in linea con il nuovo regime di inderogabilità dell’incompetenza, il Codice ha stabilito (art. 55, co. 13) che il TAR adito può concedere misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza, dovendo in caso contrario promuovere d’ufficio il relativo regolamento, indicando il diverso Tribunale che ritiene competente.
Una novità importante riguarda poi il regime delle spese della fase cautelare, in ordine alla quale il Codice dispone che, nell’ordinanza con cui si pronuncia sulla domanda cautelare, il collegio deve sempre provvedere (ancorché, se lo ritenga, mediante la compensazione tra le parti) in ordine alle spese di tale fase processuale (art. 57) e, in coerenza al doppio presupposto che presiede alla concessione della cautela (fumus e danno), aggiunge espressamente che, salvo diversa statuizione del Giudice all’esito della decisione sul merito del ricorso, detta pronuncia sulle spese “conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio”: l’accoglimento del ricorso nel merito potrebbe invero lasciare inalterata la valutazione sull’inesistenza del danno, anche se sarà difficile escluderne in termini assoluti la configurabilità pure nella minor misura necessaria alla forma di tutela consistente nella sollecita fissazione dell’udienza di merito. Resta, inoltre, qualche dubbio sulla coerenza della disposizione con la previsione della possibilità di utilizzare la fase cautelare per formulare istanze istruttorie o di integrazione del contraddittorio.
L’art. 58 disciplina infine le condizioni e le modalità per chiedere la revoca o la modifica dei provvedimenti cautelari, sempre possibile, oltre che nei casi in cui si siano verificati mutamenti nelle circostanze precedentemente oggetto di valutazione o vengano allegati fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare (opportunamente, il Codice prescrive che, in tal caso, l'istante debba fornire la prova del momento in cui è venuto a conoscenza di tali fatti), nei casi in cui l’articolo 395 c.p.c. ammette l’impugnazione per revocazione delle sentenze pronunciate in grado d’appello o in un unico grado.
Le misure cautelari
monocratiche.
L’attenzione al rispetto delle regole del giusto processo è come sopra avvertito particolarmente sentita dal Codice anche nella disciplina delle misure cautelari monocratiche, assumibili, secondo il modello introdotto dalla legge 205 del 2000, dal Presidente o da un magistrato dallo stesso delegato, su richiesta specificamente notificata, a fronte di situazioni di estrema gravità e urgenza tali da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio.
Il legislatore ha cercato di superare i problemi causati da un utilizzo spesso distorto dello strumento – che ha visto frequentemente precedere la notifica della decisione cautelare, prontamente eseguita a mezzo fax, a quella del ricorso, artatamente affidata alla lentezza degli uffici giudiziari – cercando, per quanto possibile, di garantire il potenziale contraddittorio davanti al Presidente o al magistrato delegato investito della questione.
A tal fine, il Codice dispone innanzitutto che, prima di pronunciarsi, il predetto organo giudicante è tenuto a verificare che la notificazione del ricorso, che può essere a questo scopo validamente effettuata anche a mezzo fax (senza necessità di previa autorizzazione), si sia perfezionata nei confronti dei destinatari o almeno della parte pubblica e di uno dei controinteressati, i quali sono così posti in grado di far valere, anche informalmente, le proprie ragioni. In difetto, ma soltanto se l’esigenza cautelare sia tale da non consentire la verifica delle avvenute notifiche (per cause non imputabili al ricorrente[25]), il Giudice può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca, che non è in questo caso subordinato alla sopravvenienza di fatti nuovi e deve essere sollecitato con istanza di parte con le stesse forme dell’istanza cautelare. Si cerca così di contemperare le esigenze di massima effettività della tutela cautelare con quelle del giusto processo. In questo spirito è in particolare precisato che, se il Giudice ritiene che l’istanza sia stata proposta a un TAR incompetente, deve in ogni caso respingerla e rimettere le parti al collegio, che dovrà pronunciarsi sulla proposizione del regolamento di competenza.
Per non aggravare eccessivamente il carico degli organi giudiziari, nella stesura definitiva del Codice, ferma restando naturalmente la possibilità delle parti resistenti e controinteressate di fare pervenire sollecitamente (e informalmente) le proprie controdeduzioni, cui dovrebbe corrispondere l’onere del Giudice, laddove possibile, di offrire a tal fine un sia pur minimo spazio temporale prima della decisione, si è invece preferito lasciare al Presidente (o al magistrato delegato) la valutazione della “necessità” (significativamente nella stesura definitiva del Codice si usa la formula “ove necessario”) di sentire, fuori udienza e senza formalità, anche separatamente, le parti che si siano rese a ciò disponibili.
L’attenzione al giusto processo amministrativo, ostativo per quanto sopra detto ad una decisione definitiva di natura sommaria, informa peraltro, per un verso, la previsione, anche in questo caso, della presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza di merito come condizione di procedibilità della domanda cautelare e, per altro verso, la prescrizione che le misure cautelari provvisorie sono concesse con decreto motivato, non impugnabile, mediante il quale deve essere altresì fissata la data della camera di consiglio nei termini fissati dall’art. 55. Ferma restando la loro revocabilità o modificabilità su istanza delle parti resistenti o contro interessate, l’efficacia di tali misure è invero rigidamente circoscritta nel tempo e viene comunque a cessare se il collegio non provvede in camera di consiglio sulla domanda cautelare. In questa luce, per evitare un uso distorto dello strumento della notifica a mezzo fax (per rallentare i tempi di celebrazione della camera di consiglio, legata comunque a quella ordinaria), il Codice ha stabilito che le misure cautelari concesse in relazione a un ricorso notificato a mezzo fax perdono efficacia se il ricorso non viene notificato per via ordinaria entro i cinque giorni successivi alla richiesta della misura cautelare.
Si è poi espressamente precisato che, come già per le misure cautelari collegiali e per quelle ante causam, il Giudice possa subordinare la concessione della misura al versamento di una cauzione e l’uso che verrà fatto di tale strumento potrà costituire un importante elemento di garanzia della serietà della richiesta.
Le misure cautelari anteriori
alla causa.
Il modello di garanzia del contraddittorio e l’attenzione all’interesse pubblico che connotano la disciplina delle misure cautelari monocratiche sono ripresi per quella delle misure ante causam. In caso di eccezionale gravità e urgenza (quindi in una situazione di periculum rafforzato anche rispetto alle misure presidenziali in corso di causa), tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa.
Come anticipato in premessa, l’art. 61 del Codice ha così esteso alla generalità dei giudizi dinanzi al TAR la previsione dell’art. 245 del D.lgs. 163/2006 in materia di appalti, mutuandone in gran parte la formulazione, e ha consentito la presentazione di una richiesta cautelare prima ancora della compiuta formulazione dei motivi di ricorso (i quali si ritiene debbano purtuttavia essere almeno indicati nella relativa istanza, in modo da consentire una – sia pur estremamente sommaria – delibazione dei profili attinenti il fumus da parte del presidente del TAR – come del resto avviene in sede civile nei procedimenti ex art. 700 c.p.c.).
Il procedimento è sostanzialmente analogo a quello appena esaminato relativo alla richiesta di misure cautelari provvisorie.
L’istanza, che deve essere notificata con le forme prescritte per il ricorso (ivi incluso l’eventuale uso del fax ad opera del difensore), deve essere proposta al presidente del tribunale amministrativo competente.
Una volta accertato il perfezionamento della notificazione, il presidente (o il magistrato delegato) provvede sull’istanza con decreto, sentite ove necessario le parti e omessa ogni altra formalità; l’eventuale incompetenza del TAR adito è anche in questo caso, rilevabile d’ufficio. Come per le misure monocratiche in corso di causa, se l’esigenza cautelare non consente di accertare il perfezionamento delle notificazioni (per cause non imputabili al ricorrente), il presidente può comunque provvedere, fatto salvo il potere di revoca.
Il decreto che rigetta l’istanza non è impugnabile, ma la stessa è riproponibile una volta iniziato il giudizio di merito con le forme delle domande cautelari in corso di causa.
In vista delle surriferite esigenze di stretta correlazione tra cautela e merito, se la misura cautelare viene concessa, il decreto di accoglimento deve essere notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio stabilito dal Giudice, che non deve in ogni caso superare i cinque giorni, e l’efficacia della misura (che è comunque revocabile o modificabile su istanza della parte cui è stata notificata da presentarsi con le forme dell’istanza di cautela monocratica) è comunque subordinata alla notifica del ricorso, corredato di domanda cautelare, entro quindici giorni dall’adozione delle misure ante causam e al relativo deposito nei successivi cinque giorni, unitamente all’istanza di fissazione dell’udienza di merito.
L’art. 61, co. 5, precisa inoltre che la misura cautelare concessa anteriormente all’instaurazione della causa perde in ogni caso effetto con il decorso di sessanta giorni dalla sua emissione, dopo di che restano efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa, confermando anche in questo caso, il potere/dovere del giudice di accompagnare alla concessione di misure irreversibili lo strumento della cauzione. In questa più che in ogni altra ipotesi, la cauzione può costituire invero l’unico deterrente all’uso strumentale della cautela ante causam per l’accoglimento di richieste non pienamente fondate e l’unica garanzia per l’effettiva verifica delle medesime in sede di merito in tutti i casi in cui la misura cautelare possa essere ex se pienamente satisfattiva e la perdita della relativa efficacia non sia suscettibile di produrre conseguenze concrete o di revertirne gli effetti negativi già provocati (si pensi alla sospensione dell’ordine di chiusura di un esercizio commerciale per giorni prestabiliti, di particolare afflusso o all’assenso al commercio di un farmaco pericoloso sin dalle prime dosi).
L’esecuzione delle misure
cautelari.
Il Codice (art. 59) ha cercato inoltre di garantire l’effettività delle misure cautelari, confermando la possibilità di chiederne l’esecuzione allo stesso Giudice (al quale anche l’Amministrazione può chiedere indicazioni per l’esecuzione, ai sensi dell’art. 112, comma 5 del Codice) e prescrivendo a quest’ultimo di emettere un’autonoma pronuncia sulle spese, la cui liquidazione (come per le spese sulla richiesta cautelare) prescinde da quella conseguente al giudizio di merito, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza che definisce il giudizio.
L’appello sulle pronunce
cautelari e le misure cautelari nei giudizi di impugnazione.
Il predetto quadro normativo si
completa con gli artt. 62, 98 e 111, che rispettivamente disciplinano l’appello
avverso le decisioni cautelari (ammesso soltanto contro le ordinanze collegiali
e correntemente definito “appello cautelare” e proponibile entro il termine di
trenta giorni dalla relativa notificazione o, in difetto, entro sessanta giorni
dalla pubblicazione) e le fasi cautelari – collegiale e monocratica – interinali
ai giudizi di impugnazione, la cui disciplina è interamente mutuata da quella
del processo di primo grado (a cui i suddetti articoli fanno testualmente
rinvio). Resta in proposito tuttavia da
segnalare l’anomalia della previsione che lascia al Consiglio di Stato la decisione
cautelare sulle proprie sentenze, proposta interinalmente al ricorso in
Cassazione con il quale se ne contesta la giurisdizione: la previsione, nella
quale si fa peraltro significativamente esclusivo riferimento alla gravità e
irreparabilità del danno, riprende infatti evidentemente quella per i ricorsi
sulle sentenze della Corte d’Appello, che, tuttavia, appartengono al medesimo
plesso giurisdizionale.
Con specifico riferimento all’appello cautelare, merita sottolineare il ruolo di garanzia della corretta osservanza delle regole di stretta interrelazione tra cautela e merito affidato al Consiglio di Stato. In particolare, il Codice dispone che qualora quest’ultimo, in riforma dell’ordinanza del TAR, adotta misure cautelari ovvero ritiene che le esigenze del ricorrente possano essere adeguatamente soddisfatte con la sollecita definizione del giudizio nel merito, deve trasmettere la decisione al TAR per la sollecita fissazione dell'udienza di merito (art. 55, co. 10 e art. 62, co. 3).
Analogamente, nel caso in cui il TAR, nell’accogliere la richiesta cautelare, non abbia provveduto alla contestuale fissazione dell’udienza di merito, se il giudice di appello conferma la misura cautelare, deve disporre che il TAR vi provveda con priorità (art. 55, co. 11).
A tutela del rispetto del principio del giudice naturale, l’art. 62, co. 4 dispone in ultimo che, in sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato rileva d’ufficio l’eventuale violazione delle norme sulla giurisdizione e sulla competenza da parte del TAR; in quest’ultimo caso, sottopone la questione di competenza rilevata d’ufficio al contraddittorio delle parti e, sempre d’ufficio, si pronuncia con ordinanza, indicando il TAR competente ai sensi dell’art. 15, co. 4 e annullando le misure cautelari eventualmente emanate dal tribunale incompetente.
A chiusura dell’analisi sulla fase cautelare nel nuovo processo, una specifica attenzione deve essere infine dedicata alle modifiche introdotte alla disciplina della tutela cautelare nei riti abbreviati comuni a determinate materie (già art. 23 bis l. TAR), tra cui, salve alcune peculiarità, quella degli appalti pubblici.
Nell’eliminare l’irragionevole regime iperaccelarato introdotto per questi ultimi dal d. lg. 53 del 2010, il Codice (fermo restando il termine di 30 giorni per la notificazione del ricorso) ne riuniforma la disciplina della cautela a quella comune agli altri riti abbreviati, per i quali conferma la dimidiazione dei termini previsti dagli artt. 55 ss. per la trattazione delle istanze, escludendola tuttavia per la notificazione dell’appello cautelare, che resta così soggetta ai termini (trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza e sessanta dal relativo deposito) previsti nel rito ordinario.
Si è del pari colta l’occasione per chiarire che l’appello a fini cautelari sul dispositivo di sentenza non è un onere, ma una facoltà, il cui mancato esercizio non preclude la richiesta cautelare in sede di appello sui motivi della decisione o, eventualmente, successivamente a quest’ultimo.
Un’ulteriore novità investe i presupposti per la concessione delle misure cautelari, che la l. 205 del 2000 ancorava ad una più forte prospettiva di buon esito del ricorso. Alla luce della maggiore attenzione per il fumus boni juris come requisito minimo essenziale all’accoglimento di tutte le istanze cautelari e nel riferito spirito di giusto bilanciamento dei diversi interessi senza una pregiudiziale e aprioristica prevalenza per l’interesse pubblico, il Codice, ferma restando l’identificazione della cautela ordinaria nella immediata fissazione del merito, subordina la concessione delle misure cautelari in senso stretto esclusivamente alla sussistenza di circostanze di estrema gravità e urgenza.
Con specifico riferimento all’aggiudicazione degli appalti pubblici, l’istanza cautelare assume, come noto, un ruolo affatto particolare, determinandone in via assolutamente eccezionale la sospensione automatica fino alla decisione collegiale di primo grado, con conseguente inversione dell’interesse alla sollecita pronuncia giurisdizionale (che preme alle parti resistenti e contro interessate). Corre l’obbligo a tale proposito di segnalare il contrasto della disposizione con la legge delega, che imponeva di attendere la pubblicazione del provvedimento cautelare definitivo ovvero della prima decisione di merito.
In questa materia (in ragione della particolare rilevanza degli interessi coinvolti) il collegamento tra cautela e merito, che, come si è visto, costituisce importante garanzia di effettività della tutela e di giusto processo, è peraltro ancora più stretto, imponendosi in ogni caso – e dunque a prescindere dall’esito della richiesta cautelare – la fissazione del merito con assoluta priorità. La disposizione, che costituisce l’esito del compromesso per l’abrogazione dell’obbligo di fissazione del merito entro sei mesi previsto dal d. lg. 53, laddove effettivamente rispettata, avrebbe tuttavia l’abnorme e ingiusto risultato di rallentare – in favore della mega materia degli appalti – tutti gli altri processi, con evidente violazione degli artt. 3, 24, 100, 111 e 113 Cost..
3.3. Le limitazioni alla tutela
cautelare nelle controversie sulle “grandi infrastrutture”.
Nel quadro di maggiore garanzia che il Codice ha cercato di assicurare al diritto di difesa di tutte le parti processuali, residua tuttavia inopinatamente, in termini di cui non può non essere denunciata ancora una volta l’incostituzionalità, il regime di ingiustificato favore per l’interesse pubblico che svilisce e sostanzialmente annulla la tutela cautelare nei giudizi che riguardano le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle c.d. infrastrutture strategiche, in riferimento alle quali il Codice, confermando il modello tracciato nel 2002 e ripreso dal Codice dei contratti pubblici e, da ultimo, dall’art. 20 co. 8 d. l. 185 del 2008, conv. nella l. 2 del 2009, nel fare esplicito riferimento alla necessità di operare in sede cautelare un attento bilanciamento dei diversi interessi, afferma l’aprioristica “preminenza” dell’interesse nazionale alla realizzazione dell’opera (imponendo per l’effetto un maggiore rigore e uno specifico onere di motivazione sulle ragioni che, nonostante tale presunzione di preminenza, giustifichino, nel pur doveroso bilanciamento, l’eventuale adozione di misure cautelari) e dispone che, pur dovendosi valutare “anche” l’irreparabilità del pregiudizio per il ricorrente, l’interesse di quest’ultimo a conseguire la tutela cautelare “va comunque comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure”,.
La disposizione, come già in varie occasioni, fin dall’origine, denunciato[26], crea delicati problemi di compatibilità con l’ordinamento costituzionale ed europeo, in rapporto tanto al diritto di difesa e al giusto processo, quanto all’interesse generale alla concorrenza (primario valore costituzionale e comunitario), tanto più che la direttiva ricorsi, sia pure in riferimento alle possibili deroghe alla privazione di effetti del contratto, delimita l’interesse pubblico – necessariamente generale e mai identificabile con quello economico della stazione appaltante – suscettibile di prevalere su quello alla concorrenza, rimettendo in ogni caso all’organo giudicante (e mai ad una aprioristica scelta legislativa degli Stati membri) la valutazione di tale prevalenza.
Ferma l’inderogabilità dello standstill period – espressamente affermata dall’art. 11 del Codice dei contratti pubblici per questi interventi – appare invece più giustificabile la disposizione secondo cui, fuori dai casi di violazioni più gravi in cui è sempre prevista la cessazione di efficacia del contratto (che resta quindi anche in questi casi assicurata) e ferma restando l’applicazione delle sanzioni alternative di cui all’art. 123, nelle predette controversie “la sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”. In altri termini, il legislatore, in nome della particolare rilevanza dell’interesse pubblico coinvolto, effettua in via preventiva e generale la valutazione di opportunità che nella normalità dei casi gli artt. 121 e 122 del Codice rimettono al potere discrezionale giudice. Resta tuttavia anche in questo caso il problema della compatibilità comunitaria, posto che la medesima direttiva 66/2007/CE prevede che tale potere sia rimesso al giudice.
4. Conclusioni.
Tornando, in chiusura, ai profili generali della fase cautelare, la complessità della tematica affrontata e il diretto coinvolgimento nella redazione del testo normativo appena illustrato mi esime dal cercare di trarre ulteriori conclusioni, restando piuttosto in attesa della prova che il nuovo regime darà nell’applicazione pratica.
Grazie per
l’attenzione.
[1] Su cui si rinvia a M.A. Sandulli, La giustizia cautelare sugli interessi legittimi “apre” all’art. 700 c.p.c.? in Giust. Civ. 1998.
[2] La notissima Direttiva ricorsi in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, intervenuta a modificare le Direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per assicurare un più effettivo rispetto delle Direttive sostanziali in subiecta materia.
[3] S. Raimondi, Profili processuali ed effetti sostanziali della tutela cautelare tra giudizio di merito e giudizio di ottemperanza, in Dir. proc.. amm.,2007. 609 ss..
[4] Nonostante i richiami operativi dalla Corte di Cassazione nelle note pronunce del 13-15 giugno 2006 e 22 dicembre 2008, la norma non costituisce invero una mera applicazione dell’art. 1227 c.c., di cui, fuori dalle citate pronunce, la giurisprudenza della Suprema Corte aveva tradizionalmente escluso l’invocabilità per il mancato esperimento di azioni giurisdizionali: sia consentito rinviare sul punto a M. A. Sandulli, Osservazioni conclusive al Convegno su Il ruolo del giudice: le magistrature supreme, svoltosi all’Università di Roma Tre, nei giorni 18 e 19 maggio 2007, in Quaderno n. 2 del Foro Amm.- TAR, 2007.
[5] Cfr.
sul punto,
[6] Sulla perdurante attualità di tale funzione (già sottolineata in precedenti scritti: da ultimo, M.A. Sandulli, I principi costituzionali e comunitari in materia di giurisdizione amministrativa. in Foro Amm.-TAR., Osservatorio di giustizia amministrativa, fasc. 7-8/2009 e in www.federalismi.it, 17/2009) si ricordano, Cass., Sez. I,, 23 gennaio 2009 n. 1732, in Foro Amm.- CdS, 2009, 1, 35ss., con nota di G. Mari, La durata ragionevole del processo amministrativo: giudizio di cognizione e giudizio di ottemperanza come fasi distinte o congiuntamente valutabili? Considerazioni alla luce delle peculiarità del giudizio di ottemperanza rispetto all’esecuzione civile; TAR Lazio, 22 settembre 2009, n. 9171, in www.giustizia-amministrativa.it, in riferimento all’idoneità delle pronunce del g.a. a indirizzare il riesame della vicenda controversa (abuso di posizione dominante da parte dei gestori aeroportuali) da parte dell’AGCM.
[7] Riguardo al dibattito sulla strumentalità cfr. P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 21 ss. in cui è negata l’autonomia dei provvedimenti cautelari rispetto a quelli di merito: i primi sono infatti definiti “strumenti dello strumento”, in quanto emanati in vista della decisione di merito a differenza di quelli di carattere sommario volti ad evitare che la tutela sia ottenuta soltanto a seguito di un lungo processo di cognizione ordinario; per opposte conclusioni cfr. F. Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Padova, 1939, 43 e ss., in cui si afferma che il processo cautelare sarebbe autonomo rispetto al processo di cognizione volto all’accertamento del diritto del quale nel primo si domanda tutela in via urgente, la quale si caratterizzerebbe, invero, per una finalità propria e potrebbe essere così distintamente collocato nel sistema delle azioni.
[8] R. Cavallo Perin, Relazione al Convegno “Esame del progetto di Codice amministrativo”, svoltosi a Pisa il 4 febbraio 2010.
[9] Questa impostazione, che non può che essere definita in “controtendenza” rispetto all’evoluzione avvenuta in ambito civilistico, permette di superare le critiche di quella parte della dottrina che definiva “arcaico” il modello di tutela cautelare scelto dal legislatore in materia amministrativa, in contrapposizione al modello “avanzato” civilistico, caratterizzato da una tutela anticipatoria con caratteristiche di definitività, sempre più svincolata dal presupposto del periculum in mora e sempre più legata ad un giudizio preciso e completo sulla fondatezza della domanda (cfr. E.Ricci, La nuova tutela cautelare nel processo amministrativo: prime osservazioni alla luce dell’esperienza nel processo civile, intervento nell’incontro di studio sulla “Nuova tutela cautelare nel processo amministrativo”, Roma, 2001, in www.giustamm.it); e, analogamente, le argomentazioni di coloro che individuano nel solo modello di strumentalità “funzionale” (che prescinde dalla correlazione necessaria tra procedimento cautelare e merito diversamente dal modello “strutturale”) lo schema idoneo al fine di garantire un’effettiva tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei singoli.
[10] M.A. Sandulli, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in Foro Amm. – TAR, 2009, 9, LV e ss. e in www.federalismi.it..
[11] È tuttora valida, anche alla luce della successiva evoluzione giurisprudenziale, la ricostruzione svolta nella monografia di C. Morviducci, Le misure cautelari nel processo amministrativo comunitario, Padova, 2004.
[12] Françoise
Capez, magistrato francese, autore di uno studio sulla durata dei procedimenti
giudiziari in Europa, alla luce della giurisprudenza CEDU, commissionato e
pubblicato dalla CEPEJ (Commissione europea per l'efficienza della giustizia),
scrive: "le temps est aussi
indispensable à la qualité des enquêtes, à la décantation de toutes les
questions de droit, à l’apaisement des relations entre les parties, à la
réflexion du juge. Le délai raisonnable est donc un concept élicat.".
E ancora: "A l’inverse, des délais
très rapides ne sont pas toujours la garantie d’une bonne justice: certaines
rocédures expéditives, conduites sans respect des droits de la défense, font
pencher dangereusement la balance en faveur de la rapidité mais au détriment de
la qualité de la justice. Or,
justifi er des choix procéduraux moins rapides mais
plus justes." Link al
documento completo
http://www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/Delais/Calvez_fr.pdf
[13] Mi sia consentito rinviare sul punto a M.A. Sandulli, Introduzione al tema nel Convegno su Le nuove frontiere del giudice amministrativo tra tutela cautelare ante causam e confini della giurisdizione esclusiva,Università di Roma Tre, 20 ottobre 2004, in Foro Amm.-TAR, supplemento al n. 12/2004, 7 ss..
[14] F.G.
Scoca, Prospettive della tutela cautelare, in
[15] A. Romano, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito, in Foro it., 1987, III, 2491.
[16] F. Satta, I riti abbreviati: tra giurisdizione e amministrazione, in www.giustamm.it.
[17] Sul tema, si veda da ultimo la lucida e completa Relazione di G. Montedoro, Assenza del provvedimento e tutela degli interessi, al 55° Convegno di Studi amministrativi “Nuovi poteri e dialettica degli interessi”, svoltosi a Varenna (Lecco) nei giorni 24-26 settembre 2009.
[18]Appare
pertanto frutto di un evidente errore interpretativo la sentenza della Corte di
Cassazione, Sezioni Unite, n. 11750 del 2004, secondo cui il nuovo art.
[19]C. Calabrò, Inaugurazione dell’anno giudiziario del TAR Lazio, 2004, in www.giustizia-amministrativa.it, sottolineava l’importanza della necessaria contemporaneità tra processo amministrativo e correzione dell’attività procedimentale; in ciò anche la differenza della missione del g.a. rispetto a quella del g.o..
[20] Si ritiene opportuno riportare i passaggi sostanziali
della sentenza“Il legislatore ha ritenuto
di contemperare i diversi interessi rilevanti, accordando una particolare
tutela all'affidamento del cittadino. Questo comporta indubbiamente una certa
compressione del diritto di difesa, in quanto si introduce una dissimmetria tra
le due parti del processo amministrativo eventualmente avviato: al ricorrente,
che soccomba in primo grado o nel giudizio cautelare, è assicurata la
possibilità di ricorso o di esame nel merito; se, invece, è l'amministrazione a
soccombere, è possibile che il giudizio di secondo grado o di merito non abbia
luogo, perché il superamento delle prove può determinare l'estinzione del
processo.
Queste
conseguenze vanno valutate alla luce dei principi costituzionali, che non
escludono una ragionevole limitazione del diritto di difesa
dell'amministrazione.
Come
osservato da questa Corte con riferimento al processo penale, ma con argomenti
che possono essere parzialmente estesi al processo amministrativo, il principio
di parità tra le parti nel processo non comporta necessariamente l'identità dei
rispettivi poteri processuali: «stanti le differenze fisiologiche fra le due
parti, dissimmetrie sono, così, ammissibili anche con riferimento alla
disciplina delle impugnazioni, ma debbono trovare adeguata giustificazione ed
essere contenute nei limiti della ragionevolezza» (sentenza n. 26 del 2007).
Simili limitazioni – è stato ribadito – per essere rispettose dei princìpi di
parità delle parti, eguaglianza e ragionevolezza e del diritto di difesa,
devono essere sorrette da una razionale giustificazione (sentenza n. 85 del
2008).
Con
specifico riferimento al processo amministrativo, una ragionevole dissimmetria
può essere giustificata alla luce dell'art. 113 Cost. Questo parametro,
invocato dal rimettente a tutela del diritto di difesa dell'amministrazione, è
in effetti rivolto – all'inverso – a garantire il cittadino contro gli atti
della pubblica amministrazione.
Alla luce di questi princìpi, il bilanciamento di interessi operato dal legislatore, con la disposizione denunciata, non è irragionevole. Il diritto di difesa dell'amministrazione è sì compresso, ma non eliminato, in quanto esso può comunque esplicarsi fino all'eventuale superamento delle prove. E la sua compressione è giustificata dal fatto che dell'interesse pubblico all'accertamento dell'idoneità del candidato, di cui l'amministrazione stessa è portatrice, la disposizione si fa comunque carico, richiedendo il superamento della prova: è solo a seguito della ripetizione della stessa o della nuova valutazione, con esito positivo – e non semplicemente sulla base di un provvedimento giurisdizionale – che il candidato consegue l'abilitazione. Vi è, quindi, comunque un accertamento dell'idoneità del candidato, affidato alla stessa amministrazione o ad altra egualmente portatrice dello stesso interesse pubblico”.
[21] R. Chieppa, Le nuove forme di esercizio del potere e l’ordinamento comunitario, Relazione al 55° Convegno di Varenna, cit.
[22] Si
richiamano sul punto alcune significative sentenze della Corte di Strasburgo: sent. NIDERHÖST-HUBER c./ SVIZZERA, ric. n.
18990/91 (sent. del 18/2/97), in cui testualmente si legge: "30.
Sans doute le dépôt
d'observations du genre de celles en question en l'espèce poursuit-il un
but d'économie et d'accélération de la procédure. Comme en témoigne sa jurisprudence,
[23] Il modello adottato sviluppa le considerazioni svolte in M.A. Sandulli, La tutela cautelare nel processo amministrativo, in Foro Amm. – TAR, 2009, 9, LV e ss.
[24] A quest’ultimo riguardo il Codice (art. 55, co. 6) ha peraltro espressamente cura di disporre che, agli esclusivi fini del giudizio cautelare, se la notificazione è effettuata a mezzo del servizio postale e non sia ancora stato recapitato l’avviso di ricevimento, se ne potrà dar prova “producendo copia dell’attestazione di consegna del servizio di monitoraggio della corrispondenza del sito internet delle poste” (i destinatari potranno, eventualmente, produrre la prova contraria) – art. 55, co. 6.
[25] Quale potrebbe invece essere la strumentale attesa dell’ultimo momento utile per impugnare un atto che si conosceva da tempo.
[26] M.A. Sandulli, Brevi riflessioni su alcune recenti tendenze all’incertezza del diritto, in Rass. parl., 2003, 125 ss..; La nuova tutela giurisdizionale in tema di contratti pubblici (note a margine degli artt. 244-246 del Codice de Lise), in in Foro Amm. TAR, 2006, 3375; Il processo amministrativo superaccelerato e i nuovi contratti ricorso-resistenti (Testo rielaborato della Relazione tenuta al Convegno dell’IGI del 26 febbraio 2009), in www. giustamm.it e www.federalismi.it e sull’Osservatorio di giustizia amministrativa, in Foro Amm.-TAR, 2009, 1, p. XLV, (curato con M. Lipari).