La tutela cautelare nel codice del processo amministrativo
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a cura di
Paola Maria Zerman
Avvocato dello Stato
Pubblicato sul sito il 17 novembre 2010
Se è vero che “bis dat qui cito dat” (chi dà presto dà due volte), a maggior ragione questo vale per il processo, dove il fattore tempo costituisce un fondamentale indice dell’efficacia della tutela prestata dall’ordinamento a chi agisce in giudizio.
Si deve, dunque, riconoscere che l’accelerazione del tempo del processo di merito, impressa dal meccanismo cautelare disciplinato dal codice del processo amministrativo, offre al cittadino una tutela ancor più rapida del riformato processo civile e finanche di quello del lavoro, concepito dal legislatore come un rito particolarmente accelerato.
La previsione, in tal senso, di una
generalizzata tutela ante causam -
dapprima prevista solo per gli appalti in attuazione della normativa europea-
realizza una tutela tanto più anticipata per il cittadino, quanto più
grave è il pregiudizio sofferto a causa dell’atto amministrativo che si assume
illegittimo.
Contestualmente l’Amministrazione
pubblica dovrà perfezionare le tecniche di
motivazione dell’atto e di rappresentazione dell’iter procedimentale che
ne costituisce il presupposto, oltre a rendere sempre più funzionale l’
organizzazione nella cura dei rapporti con gli organi deputati alla difesa. E ciò per consentire al Giudice di
rendere una pronuncia più sattisfattiva degli interessi della parte e
dell’Amministrazione.
Il sistema cautelare nel codice del processo amministrativo.
Il procedimento cautelare collegiale permane lo strumento cardine del processo amministrativo, come è dimostrato dalla collocazione nel codice, il cui titolo II si apre con la disciplina della stesso (art. 55).
Il presupposto è costituito
dall’esistenza di un pregiudizio grave e irreparabile a carico del
ricorrente, che può chiedere al collegio l’emanazione delle “misure cautelari
che appaiono secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli
effetti della decisione sul ricorso.” Oltre all’esistenza del fumus boni
iuris che attiene ai “profili , che, ad un sommario esame, inducono ad una
ragionevole previsione sull’esito del ricorso”.(art. 55 comma
9).
Il tempo per la decisione dell’istanza
cautelare: il codice del processo, anche in considerazione della previsione
della tutela ante causam, ha ampliato il termine dilatorio per la fissazione
dell’udienza cautelare. La stessa viene automaticamente fissata alla
prima camera di consiglio successiva al 20 giorno dalla notifica del ricorso con
l’istanza cautelare (e ciò per meglio tutelare la possibilità di difesa della
p.a.) e altresì al 10 giorno dal deposito dello stesso (e ciò per tutelare la
possibilità di esame da parte del giudice). In sostanza il tempo in cui la parte
potrà avere esaminata e decisa la sua istanza è di circa un mese dalla notifica
del ricorso. Tempo breve, se si considera che può essere lo stesso di
definizione della controversia, ove si adotti la decisione in forma
semplificata.
L’emanazione di un’ordinanza
cautelare di accoglimento o di rigetto, in sede di sospensiva, non è infatti
l’unica evenienza possibile, potendosi verificare tre distinte
ipotesi:
1.
Il
collegio non emana un’ordinanza cautelare, ma fissa l’udienza di
merito per la sollecita definizione del ricorso (art. 55, comma 10),
ritenendo che le esigenze del ricorrente siano “apprezzabili favorevolmente e
tutelabili adeguatamente” in tal modo. Nelle specifiche materie sottoposte a
rito abbreviato dall’art. 119, poi, il Tar se ritiene “la sussistenza di profili
di fondatezza del ricorso” fissa con ordinanza la data di discussione del merito
del ricorso in tempi assai brevi (prima udienza successiva alla scadenza del
termine di 30 giorni dal deposito dell’ordinanza). In tali materie, l’emanazione
di un’eventuale ordinanza cautelare è subordinata ai casi di “estreme gravità e
urgenza”;
2.
il
collegio emana un’ordinanza cautelare: di rigetto o accoglimento. In
quest’ultimo caso fissa la data di discussione del merito del ricorso. Il
codice riduce i tempi per l’appello dell’ordinanza: trenta giorni dalla sua
notificazione o 60 dalla sua pubblicazione;
3.
il
collegio emana una sentenza in forma semplificata, “sentite sul punto le
parti costituite” (art. 60), con ciò definendo il giudizio, ove ravvisi la
manifesta fondatezza o infondatezza, improcedibilità o inammissibilità del
ricorso (art. 74)
La disciplina sinteticamente esposta
evidenzia la possibilità per le parti di ottenere in tempi molto brevi
la decisione nel merito del ricorso, sia in caso di decisione in forma
semplificata che in caso di accoglimento dell’istanza cautelare, dove il
legislatore si preoccupa di rafforzare il raccordo con il merito, ponendo
l’obbligo di indicazione dell’udienza di merito, che, sebbene non scritto, si
assume fissata con priorità rispetto alle altre. Raccordo assai importante per
superare i gravi problemi sorti sia a danno del ricorrente che
dell’amministrazione in seguito a pronunce di merito di segno opposto
intervenute dopo anni da una sospensiva accolta, con l’inevitabile affidamento
del privato e con difficili problemi organizzativi da parte della
p.a..
Problemi che, tra l’altro avevano
indotto il legislatore ad intervenire con apposita norma per rendere definitiva
l’ammissione con riserva ad esami, per il conseguimento di abilitazioni
professionali, in caso di superamento delle prove scritte e orali (d.l. 115/2005
art.4 c.2 bis conv. in l. 168/2005
).
·
La
tutela cautelare monocratica
Può avvenire che il pregiudizio sofferto dal privato sia tale da non potersi attendere nemmeno il tempo, per la verità breve, per l’udienza cautelare.
Danno quindi che assume un connotato
di ancora maggiore intensità e cioè di “estrema gravità e urgenza” (art.
56) .
In tale caso il ricorrente dovrà
notificare comunque il ricorso con la richiesta di domanda cautelare, ma potrà
ottenere, prima dell’udienza cautelare collegiale, da parte del Presidente del
Tar o del Collegio cui è assegnato il ricorso, “misure cautelari
provvisorie”.
La decisione, adottata con decreto,
indica la data della camera di consiglio:
la fase monocratica viene quindi assorbita da quella collegiale.
Il decreto di accoglimento è, infatti,
efficace solo fino alla camera di consiglio, per essere poi sostituito,
se confermato, dall’ ordinanza collegiale.
·
La
tutela ante causam
L’esposizione sintetica della già
nota disciplina cautelare, consente di meglio considerare la novità della tutela
ante causam, ritenuta da
alcuni, superflua, e inserita nel codice più per adempiere un obbligo
comunitario che per reale necessità.
Innanzitutto il presupposto è
costituito da un ulteriore aggravamento dell’intensità del pregiudizio risentito
dal privato, rappresentato da una situazione di eccezionale gravità e urgenza
(art.61).
Invero non sembra così immediato
poter contraddistinguere, nell’ambito dell’urgenza, quella che è
“estrema” e tale da legittimare la tutela monocratica ai sensi dell’art.
56, rispetto a quella che è “eccezionale” e che quindi dispensa il
ricorrente dalla proposizione del ricorso.
In tale ipotesi il privato, senza dover redigere e notificare un ricorso (come richiesto comunque per la tutela monocratica), ma con una semplice istanza (e quindi anteriormente alla causa), chiede al Presidente del Tar le “misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili” durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso nel merito e della domanda cautelare in corso di causa.
La legge impone successivi
adempimenti in termini perentori molto brevi perché la misura cautelare, se
adottata, non perda efficacia: la notifica del provvedimento di accoglimento
entro 5 giorni; la notifica del ricorso con l’istanza cautelate entro 15 giorni
dall’emanazione del provvedimento. Anche in tale caso, è previsto
l’assorbimento di questa fase anticipata in quella del successivo
giudizio cautelare (che deve confermare o riformare la pronuncia che prevede la
misura cautelare, la quale rimane però efficace per sessanta giorni dalla sua
emissione).
La rapida sintesi del sistema cautelare
consente di apprezzare la disciplina della sua incidenza sui tempi del
processo, unitariamente inteso, e comprensivo quindi anche della fase
decisoria.
A fronte di un’istanza cautelare
accolta o comunque “favorevolmente apprezzata” dal giudice, il ricorrente gode
di una corsia preferenziale per ottenere in tempi assai brevi l’udienza per la
trattazione nel merito e la definizione della causa. Egualmente in caso in cui
in sede cautelare il Tar decida in forma semplificata.
Se l’ istanza cautelare viene,
invece, respinta, il ricorrente comunque avrà la consapevolezza –salvo la
riforma in appello, assoggettata dal codice a termini più brevi- di dover dare
un assetto diverso ai suoi interessi, in ragione della prevedibile lontananza
nel tempo della discussione della causa.
La fase di merito, considerata dal
legislatore come essenziale, al punto che senza l’istanza di trattazione nel
merito la domanda cautelare è improcedibile, viene attratta temporalmente
dall’esito del giudizio cautelare, oltre che, in ordine alla fondatezza, dal
positivo giudizio sul fumus boni iuris .
Sembra così che la fase cautelare -
superando il limite suo proprio di strumentalità e provvisorietà- si attesti sempre più come lo strumento determinante per la soluzione definitiva e
rapida della controversia. Non a caso il codice prevede (art. 57) la
pronuncia sulle spese della fase cautelare.
La previsione, poi, della tutela
ante causam, introduce
l’evenienza di un’ulteriore fase processuale, sia pure assorbita da
quella collegiale, che necessariamente anticiperà temporalmente l’intero asse
del processo con la possibilità che si determini tra la fase monocratica
ante causam e quella successiva collegiale, di più ampia cognizione ai fini
della conferma della misura cautelare, un rapporto simile a quello
sospensiva-merito.
L’equilibrio tra fase cautelare e di
merito, sarà quindi necessariamente inciso dallo spazio che il g.a. darà alla tutela cautelare ante causam,
e quindi dal significato che verrà, in concreto, attribuito al presupposto di
“eccezionale gravità e urgenza”che ne contrassegna il
rilascio.
Efficacia della tutela ed efficacia
della difesa della p.a.
L’accelerazione della tutela cautelare con l’ampia gamma di strumenti anticipatori a tutela del cittadino e la possibilità che in tale fase si decidano anche con sentenza le sorti del processo, pone il fondato problema dell’effettività della difesa della p.a.
Occorre infatti tenere presente che,
a differenza di quella privata che più agilmente può rappresentare le sue
posizioni, la parte pubblica ha istituzionalmente tempi assai più lunghi per
predisporre le proprie difese, in considerazione della complessità degli
apparati burocratico-amministrativi, fattore che non di rado comporta su piano
pratico l’impossibilità di rappresentare, nei tempi adeguati, la situazione agli
organi tecnici deputati alla difesa (quali, per lo Stato, l’Avvocatura dello
Stato).
Tale situazione può ripercuotersi
sulla effettività di tutela dello stesso ricorrente, considerato che il Tar, non
potendo decidere “al buio”, non di rado deve ricorrere ad ordinanze
interlocutorie (e pertanto dilatorie della tutela) dirette ad acquisire la
necessaria istruttoria sul caso.
Consapevole di ciò, il codice ha
prolungato i termini per l’ordinario processo cautelare, che però rimangono
assai brevi per la parte pubblica.
Ai soli fini della tutela cautelare poi,
il legislatore, sempre nell’ottica dell’immediatezza ed urgenza, si accontenta
di forme di notifica semplificate (il comma 6 dell’art. 55 ritiene sufficiente,
per la prova dell’avvenuta notifica
per posta, l’attestazione del sito internet postale; per le misure monocratiche,
anche ante causam, è prevista poi la
possibilità di notifica via fax da parte
del difensore o la -invero residuale- possibilità, da parte del Presidente
del Tar, di provvedere comunque inaudita
altera parte, ove non sia consentita, -per le esigenze cautelari e cause non
imputabili al ricorrente,- la verifica del perfezionamento della notifica, salva
la possibilità di revoca del provvedimento).
In definitiva sembra necessario che
sempre più la p.a. sappia rendere conto del proprio operato, prima di
tutto attraverso un’idonea e congrua motivazione dell’atto, dalla quale
emergano con chiarezza tutti i presupposti, valutazioni ed istruttoria compiute
in vista dell’interesse perseguito, e poi migliorando l’assetto organizzativo
per dare ragione delle scelte operate in tempi rapidi e in modo
esaustivo. In definitiva, l’accelerazione dei tempi del processo impone un
cambiamento organizzativo e culturale della p.a.
La battuta d’arresto: l
’incompetenza del Tar adito.
Se il procedimento cautelare è concepito per raggiungere la conclusione in tempi assai rapidi, il legislatore però prevede che lo stesso si attivi solo se si assolve all’onere di esatta individuazione del Tar adito.
La competenza, infatti, diventa con il codice, un presupposto inderogabile anche per la fase cautelare (art. 16 comma 1), e questo non solo per le misure cautelari collegiali (art. 55 comma 13), ma anche per la tutela monocratica (art. 56 comma 1) e quella ante causam (art. 61 comma 3)
Tale circostanza può determinare una battuta d’arresto che vanifica i ritmi rapidi del processo, come si può ben verificare dall’articolato meccanismo che si pone in essere se il Tar adito si ritiene incompetente.
In tal caso, il Giudice non potrà decidere sulla domanda
cautelare (art. 15 comma 5) e dovrà, alternativamente:
Ø Emanare un’ordinanza con cui si dichiara incompetente e indicare
il giudice competente. Due, allora, sono le evenienze
possibili:
1) il ricorrente riassume la causa davanti al giudice
dichiarato competente, nel termine perentorio di 30 giorni e il processo
prosegue davanti a tale giudice, diversamente si estingue. Il Tar davanti al
quale il processo è stato riassunto, però, può non concordare con l’indicazione
di quello che si è spogliato della causa, e può richiedere d’ufficio il regolamento
di competenza al Consiglio di Stato.
2) il ricorrente impugna l’ordinanza (30 giorni dalla
notifica o 60 dalla comunicazione) con regolamento di competenza avanti il
Consiglio di Stato, che decide in camera di Consiglio con ordinanza e indica
il Tar competente. Se è diverso da quello adito il processo deve essere
riassunto nel termine perentorio di 30 giorni. Tuttavia in tal caso la
Ø Emanare un’ordinanza con cui ex officio richiede direttamente il
regolamento di competenza al Consiglio di Stato, indicando però il Tribunale
che reputa competente. (art.15 comma 5).
In tutti e tre i casi in cui sia stato
richiesto il regolamento di competenza (ex officio da parte del Tar adito, dal
ricorrente su impugnazione dell’ordinanza che dichiara la incompetenza, o dal
giudice davanti al quale la causa è riassunta), il provvedimento cautelare richiesto dal
ricorrente dovrà essere esaminato e deciso provvisoriamente dal giudice indicato
come competente dal Tar adito (art. 16 comma 4 ).
Se all’esito del regolamento di
competenza, ove anche quest’ultimo sia dichiarato incompetente, la pronuncia
perderà efficacia dopo 30 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza che regola
la competenza. Ma anche in tale caso il ricorrente potrà ottenere una nuova
pronuncia dal giudice risultato competente.
Verificati i presupposti per
l’emanazione del provvedimento cautelare, il G.A. dovrà quindi emanare le misure
ritenute più idonee per la tutela dell’interesse del
ricorrente.
Il contenuto delle misure cautelari,
come già previsto dalla riforma 205/2000 è atipico e ben si attaglia quindi alla
tutela della variegata gamma di interessi non solo oppositivi, ma pretensivi e
quindi diretti all’ampliamento della sfera giuridica del
privato.
L’insufficienza della sola sospensione dell’atto di diniego del
bene della vita, che, se efficace per la tutela dell’interesse oppositivo, alcun
vantaggio pratico fornisce al titolare dell’interesse pretensivo era già stata
superata dalla legge 205/2000, che inaugurava un sistema aperto di tutela
cautelare, diretto all’adozione di quelle misure che “appaiono, secondo le
circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione
del ricorso”.
Da qui la possibilità di emanare le
ordinanza c.d. propulsive o di remand con le quali si ordina alla p.a. la
riedizione del potere depurato dai vizi riscontrati. Il contenuto e i limiti
delle ordinanze propulsive o di remand sono però da molto tempo oggetto di
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ampliandosi o riducendosi gli spazi di intervento del giudice nei
confronti della p.a., a secondo della diversa sensibilità dei singoli Tar, come
ben si può verificare anche dalla recente pronuncia del Consiglio di Stato n.
537 del 2010: “Contrariamente
a quanto ritenuto dai primi giudici, infatti,
la circostanza per cui l'ordinanza di sospensione del primo diniego fosse stata
adottata attraverso la c.d. tecnica del remand
(i.e.: mediante la fissazione delle
coordinate operative e sistematiche cui informare la concreta riedizione del
potere) non consentiva in alcun modo
all'Amministrazione di limitare la propria attività conformativa alla mera
rimozione del provvedimento negativo oggetto di impugnativa. Ciò in quanto
un siffatto comportamento, in quanto incidente su un interesse di carattere
pretensivo, sortiva l'evidente effetto di frustrare nei fatti l'aspettativa ad
ottenere (anche per effetto del contenuto prescrittivo dell'ordinanza cautelare)
un provvedimento amministrativo espresso, da adottarsi tenendo nella debita
considerazione i vincoli (in positivo ed in negativo) impressi attraverso il
ricorso alla richiamata tecnica del remand”
Il fondamento della perplessità in ordine
al grado di incidenza della tecnica di remand, è legata, come è noto alla
duplice necessità di non oltrepassare il limite della sfera propria dell’agire
amministrativo, specie discrezionale, e di quello della strumentalità della
tutela cautelare, non potendo il provvedimento cautelare far ottenere utilità
maggiori rispetto alla pronuncia sul merito. Quest’ultima infatti aveva natura
essenzialmente caducatoria, discutendosi della possibilità di ammettere la
possibilità di tutela in forma specifica, attraverso la condanna ad un “facere”
dell’amministrazione e quindi all’emanazione dell’atto
richiesto.
Dubbio ora superato con la
possibilità della condanna della
p.a. all’”adozione delle misure idonee a
tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”(art. 34,
comma 1, lett. c).
Sebbene l’azione di adempimento,
così come quella generica di accertamento, sia stata espunta dal codice in sede
di passaggio governativo, si deve riconoscere tuttavia, stante la simmetria con la disciplina del
silenzio – in base alla quale “il giudice
può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando
si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti
istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione” (art.31 comma
2)- , che la generica dizione della norma, tra le misure idonee a tutelare la
situazione giuridica, comprenda innanzitutto la principale misura
rappresentata dalla condanna all’emanazione dell’atto.
Con i limiti, peraltro, indicati
dalla norma sul silenzio. E cioè
gli atti a contenuto vincolato o quando non residuino altri spazi di
discrezionalità e non sia necessaria ulteriore attività istruttoria da parte
della p.a..
Nel caso di attività discrezionale,
invece, solo mediante il giudizio di ottemperanza –in caso di persistente
inadempimento della p.a.-, in quanto esteso al merito, il giudice potrà
determinare il “contenuto del
provvedimento amministrativo” o provvedere “all’emanazione dello stesso in luogo
dell’amministrazione”(art. 114 comma 4 lettera a)).
In definitiva, cautela e merito si
sono allineati quanto al contenuto, per una tutela del privato non solo rapida,
ma anche effettivamente sattisfattiva della sua pretesa sostanziale.
* pubblicato su “Diritto e pratica
amministrativa”de Il sole 24 ore
novembre- 2010