Appunti per una prima lettura dell’art. 34, comma 1, lett. c), d) ed
e): le sentenze di condanna e condanna al risarcimento dei danni.[1]
di
Andreina Scognamiglio
Prof. Ass. di diritto processuale amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi del Molise
Sommario: 1. Il codice e i criteri direttivi
della legge delega. – 2. Generalità ed
atipicità della tutela ordinatoria nell’art. 34, comma 1°, lett. c): i
possibili contenuti della sentenza di condanna. -3. L’attuazione della pronuncia
di condanna tra cognizione ed esecuzione: le indicazioni desumibili dall’art.
34, comma 1, lett. d. -4. (Segue): Le indicazioni desumibili dall’art. 34,
comma 1, lett. e). -5. L’ambito della tutela adempitiva nei confronti della
pubblica
1. Il tema della tutela di condanna, disciplinata essenzialmente dall’art. 34, comma 1° lett. c), del codice, si collega con due questioni centrali per la interpretazione del nuovo testo normativo: quale modello di processo si è voluto realizzare, quali l’essenza ed i limiti ritenuti propri della giurisdizione amministrativa.
Entrambe sono state al centro di discussioni, che
hanno assunto toni quasi polemici, già nella fase della redazione del codice. La
prima, rimasta invero circoscritta alla cerchia degli addetti ai lavori, ha
portato alla riformulazione della norma relativa alla giurisdizione, da parte
della stessa Commissione incaricata di redigere il progetto del codice. La
originaria proposta dell’art. 11, intitolato “giurisdizione amministrativa”, prendeva
atto dell’avvenuto superamento del criterio di riparto fondato sulla natura
della situazione azionata e riconosceva alla giurisdizione amministrativa la
medesima latitudine della attività dell’
La seconda e più vivace, discussione è stata
sollevata dalla limatura governativa dell’articolato steso dalla Commissione e
dalla soppressione delle disposizioni che avevano introdotto l’azione di
accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza, del rapporto giuridico
contestato e l’azione di adempimento, per la condanna dell’
Le scelte, che hanno scandito la redazione definitiva del codice, vanno probabilmente nella stessa direzione: entrambe sembrano intese a costringere il processo amministrativo entro il solco, consegnato dalla tradizione, della verifica della legittimità dell’atto, su ricorso del titolare di un interesse legittimo leso, al fine di ottenere una pronuncia di annullamento.
Ci si potrebbe chiedere se tale soluzione corrisponda, o meno, alle indicazioni della legge delega, quali risultano dall’art. 44, comma 2, lett. b), n.4, della l. 59/2009. La risposta negativa pare scontata. L’art. 44, cit., pone, tra i criteri direttivi, la previsione di “pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa”. Il programma del legislatore delegante era dunque ben più ambizioso. L’intenzione era stata quella di modellare un processo che fosse in grado di fornire una tutela piena, ovvero tale da attribuire al ricorrente “tutto quello e proprio quello che il diritto sostanziale gli garantisce” – secondo la formula chiovendiana che bene esprime il principio della massima strumentalità del processo al diritto sostanziale[3].
I primi, e già numerosi, commenti al nuovo testo hanno evitato la questione, sottile, ma forse sterile, della legittimità costituzionale del decreto legislativo di attuazione: se cioè la non completa attuazione della delega abbia comportato o meno quella sostanziale elusione del programma e degli obiettivi fissati dal legislatore delegante, che può concretare il vizio di costituzionalità per difetto di delega.
La strada che si è scelto deliberatamente di percorrere è un’altra: quella di ricercare sotto traccia[4] o tra le pieghe dell’ordito normativo[5] indizi sufficienti a ritenere comunque vigenti quei principi della pluralità delle azioni e della strumentalità del processo al diritto sostanziale, la cui concreta realizzazione è carente nel testo definitivo del codice[6].
L’obiettivo è sicuramente favorito dall’art. 1, intitolato “Effettività”, per il quale “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva, secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo” e dall’art. 2, intitolato “Giusto processo”, che espressamente vuole il processo amministrativo conforme ai canoni dell’art. 111, comma 1°, della Costituzione.
Si tratta di norme di principio, che assumono un valore forte di orientamento interpretativo di tutte le disposizioni del codice poiché esprimono i valori dai quali lo stesso giudice non può prescindere nella gestione del processo.
Tuttavia l’enunciazione dei principi e anche l’affermazione che il processo li debba in concreto attuare non sono di per sé sufficienti ad assicurare l’obiettivo di un processo giusto. Si potrebbe difatti osservare che i principi della pienezza ed effettività della tutela sono già enunciati nella Costituzione, agli artt. 24, comma 1°, e 111[7].
2. E’ allora tra gli interstizi di alcune disposizioni del codice, che è sembrato preferibile andare a ricercare gli indizi del nuovo processo.
La norma che è finita sotto la lente di osservazione, è quella dell’art. 34, intesa a disciplinare i possibili contenuti delle sentenze di merito[8]. Secondo la disposizione contenuta nel comma 1°, lett. c): “In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda: (….) condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c.”.
La disciplina generale della tutela di condanna è
senz’altro una novità significativa del codice. La novità non è rappresentata
tanto dalle previsioni relative alla condanna al pagamento di somme di denaro,
anche a titolo di risarcimento, e alla condanna al risarcimento in forma
specifica, quanto dalla disposizione che attribuisce al giudice il potere di
ingiungere alla
Invero il sistema normativo previgente conosceva alcune pronunce ordinatorie, in particolare nel giudizio sul silenzio rifiuto o nel giudizio per l’accesso ai documenti amministrativi[9]. Si trattava però di figure singolari, ammesse in quanto previste da una specifica norma, e non era sembrato possibile dedurre da quelle disposizioni speciali la vigenza di una forma generale di tutela di condanna.
L’art. 34, comma 1°, lett. c), positivizza il principio della generalità e della atipicità della tutela di condanna. Sotto questo profilo, la norma assume anche una rilevanza di sistema. Implicitamente, il legislatore ha preso le distanze dalla posizione favorevole a stabilire una correlazione necessaria o normale tra condanna e titolo esecutivo e dunque ad includere tra le sentenze di condanna solo quelle che hanno ad oggetto l’adempimento di obblighi patrimoniali, suscettibili di esecuzione forzata[10]. Nel codice del processo amministrativo, la tutela di condanna è una forma generale di tutela giurisdizionale, tramite la quale il giudice può imporre espressamente alla parte soccombente una condotta idonea a soddisfare la pretesa dedotta in giudizio, in ogni caso in cui ne abbia accertato la fondatezza.
Una prima osservazione mi pare possa essere
formulata con certezza. La previsione di una tutela di condanna nei confronti
della pubblica
La ragione è semplice. L’accertamento rappresenta un momento logicamente necessario ed ineliminabile della sentenza che condanna la parte ad attuare l’obbligo corrispondente alla pretesa accertata[12].
Dunque, se le sentenze di condanna sono ammesse, è possibile (e anzi necessario) che nel processo si svolga un momento preliminare di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio o dell’esistenza del diritto.
Per sostenere la tesi, non mi sembra invece necessario ricorrere ad una interpretazione estensiva dell’art. 31, comma 3, e dunque ad una esigenza di simmetria con i poteri del giudice il quale, quando è chiamato a decidere del silenzio rifiuto, può pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza – secondo le previsioni della disposizione citata[13].
L’argomento, desumibile dall’art. 31, comma 3, rafforza una conclusione alla quale sarebbe comunque possibile giungere anche se mancasse la norma sul silenzio, perché la possibilità di una statuizione di accertamento è implicita nella stessa possibilità della sentenza di condanna.
Ciò premesso, la previsione di una tutela generale di condanna solleva due problemi: il possibile contenuto della condanna, i modi di concreta attuazione dell’obbligo corrispondente alla pretesa accertata.
Per l’art. 34,
comma 1, lett. c), il giudice può condannare l’
Nella individuazione dei possibili e concreti
contenuti delle misure, che il giudice può ordinare all’
Il cerchio così si chiude. Una interpretazione
costituzionalmente orientata delle disposizioni entrate in vigore nel settembre
scorso consente di immettere nella formula generica impiegata dal legislatore,
“le misure idonee”, la condanna ad un facere
specifico rappresentato dal compimento di tutte le attività necessarie a
soddisfare la pretesa dedotta in giudizio. In particolare, la sentenza che
annulla un decreto di occupazione o di espropriazione, può contenere la contestuale
condanna alla restituzione del bene. La sentenza che annulla un diniego, e che
abbia accertato la sussistenza dei presupposti o l’assenza di cause impeditive
al rilascio del provvedimento richiesto, può condannare l’
La lettura favorevole ad assegnare alle sentenze di condanna dell’art. 34, comma 1°, lett. c), i medesimi contenuti propri di quelle pronunce di adempimento, non più previste nella stesura definitiva del codice, è diffusa nei primi commenti al nuovo testo normativo[15].
Resta da vedere come si atteggerà la
giurisprudenza pratica; ovvero se prevarrà un atteggiamento di prudenza del
giudice nell’adottare pronunce che possano risultare in qualche modo
sostitutive di atti dell’
Il quesito è se il giudice possa adottare, già in sede di cognizione, statuizioni sostanzialmente surrogatorie, dirette cioè alla produzione di effetti giuridici corrispondenti a quelli che il doveroso e legittimo esercizio dell’attività amministrativa avrebbe dovuto produrre, a vantaggio del ricorrente; se, in buona sostanza, possa disporre egli stesso le misure sostitutive, anziché limitarsi ad ordinarle.
In questo caso, le indicazioni, desumibili dal codice, non sono univoche. Da un lato, l’art. 34, comma 1°, lett. d), riserva l’esercizio di poteri sostitutivi alla giurisdizione di merito. E’ sempre nella sede dell’ottemperanza – o nella fase di esecuzione – che il giudice potrà adottare un nuovo atto legittimo, in luogo di quello illegittimo a viziato, ovvero modificare l’atto, così da emendare il vizio.
Il codice sembra dunque voler ribadire la
necessaria scansione bifasica del processo e della tutela. Se anche
l’accertamento ha posto alla
Secondo alcuni, la soluzione, dettata dalla
lettera dell’art. 34, comma 1°, lett. d),
è del tutto insoddisfacente. Si è osservato che “non è in linea con un sistema
che si propone solennemente di assicurare effettività e celerità della tutela
un processo nel quale il giudice si limita a rinviare alla
Se l’accertamento ha posto un vincolo non più
eludibile, che investe lo stesso contenuto del provvedimento, non ha senso
rimettere l’adozione dell’atto alla
I principi di celerità ed effettività della tutela imporrebbero un’altra scelta. Il processo si dovrebbe chiudere con una sentenza la quale si ponga esse stessa come fonte autonoma di quel bene, che il giudice all’esito dell’accertamento svolto, ha ritenuto spettare al ricorrente. Così ad esempio, nel caso dell’autorizzazione all’apertura di un istituto di credito – atto a presupposto vincolato – il giudice, una volta accertata la sussistenza del diritto a svolgere l’attività, dovrebbe emanare lui stesso il provvedimento richiesto ed illegittimamente negato.
Al fondo, la convinzione che l’obbligo di rilasciare una dichiarazione di volontà (sottoscrivere un contratto o emanare un atto amministrativo) sia un obbligo fungibile e che, in quanto tale, la dichiarazione di volontà possa essere surrogata da un provvedimento del giudice, rivolto a produrre esso stesso gli effetti giuridici della dichiarazione di volontà non resa spontaneamente[21].
Probabilmente il punto debole della tesi per la quale il processo deve potersi concludere con una sentenza a struttura cognitiva e funzione esecutiva, sta proprio in questa premessa, e cioè nell’idea che la dichiarazione di volontà delle parti possa essere surrogata dal giudice.
Si tratta di un postulato, che a mio avviso, non
è pienamente condivisibile. Quando il soggetto obbligato è un privato e la
dichiarazione di volontà consiste in un contratto, osta a questa conclusione la
titolarità in capo al privato di una posizione di autonomia privata. L’art.
2932 c.c., che autorizza il giudice a produrre gli effetti giuridici della
dichiarazione di volontà non resa spontaneamente, è difatti norma speciale e si
riferisce all’ipotesi del tutto particolare dell’inadempimento dell’obbligo,
volontariamente assunto, di concludere un contratto. Quando l’obbligato è una
pubblica
Incoercibilità dell’autonomia privata e principio di responsabilità stanno alla base della regola della tipicità della tutela costitutiva[24] e cioè della regola per la quale il giudice può costituire, modificare o estinguere rapporti, sostituendo la sua sentenza alla dichiarazione di volontà non resa dalla parte, solo quando una norma espressa glielo consente. Principio che è espresso dall’art. 2908 c.c. e dall’art. 113 Cost., e che trova la sua conferma nel carattere eccezionale e tassativo delle ipotesi di giurisdizione di merito.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto se, nel processo amministrativo, la sentenza non possa mai porsi come fonte del bene che il giudice, all’esito dell’accertamento, ha ritenuto spettare al ricorrente.
A ben vedere, tale evenienza si può verificare in ogni caso in cui la legge collega direttamente al fatto il sorgere degli effetti voluti e la produzione di questi opera secondo lo schema norma- fatto- effetto, senza la necessaria intermediazione dell’esercizio di un potere amministrativo (sia pure vincolato). Si tratta delle ipotesi che, nel nostro diritto positivo, sono regolate dagli articoli 19 e 20 della legge generale sul procedimento ( dia – o scia – e silenzio assenso) e che la disciplina sostanziale riconduce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tutti i casi in cui la produzione dell’effetto, corrispondente alla fattispecie legale, è contestata, su istanza di chi vi ha interesse il giudice può accertare l’esistenza del diritto ed i termini del rapporto giuridico, intorno al quale esiste incertezza tra le parti. La pronuncia dichiarativa, ponendo fine alla situazione di incertezza, è essa stessa idonea a soddisfare l’interesse dedotto in giudizio[25].
Tornando alla ipotesi nella quale la produzione degli effetti opera secondo lo schema norma – potere (sia pure vincolato) – effetto, la scelta del codice, quale emerge dall’ art. 34, comma 1°, lett. d), è stata dunque quella di rinviare alla fase propriamente esecutiva l’impiego di tecniche di tutela costitutive e l’utilizzo da parte del giudice di poteri sostitutivi per soddisfare in concreto la pretesa, la cui fondatezza sia stata accertata nel corso del giudizio.
4. La lett. e) dello stesso art. 34, comma 1, offre, al tempo stesso, indizi sufficienti per una diversa lettura del rapporto tra fase della cognizione e fase della esecuzione[26]. La disposizione citata autorizza il giudice a fissare, anche in sede di cognizione, “ le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle sentenze non sospese”. In particolare, il giudice può assegnare un termine per l’adempimento e nominare un commissario ad acta, il quale assumerà le funzioni automaticamente alla scadenza del termine stabilito.
Ci si potrebbe allora chiedere quale sia la struttura e al funzione di queste misure, che puntano ad assicurare l’attuazione dell’obbligo, nella realtà concreta, ma che non hanno quel carattere sostitutivo, proprio delle misure che il giudice può adottare nella fase esecutiva.
Può essere utile, a questo punto, ricordare che, accanto alle tecniche di coercizione diretta[27], la disciplina generale del processo conosce tecniche di coercizione indiretta, per la esecuzione delle sentenza di condanna. Queste ultime sono utilizzabili anche per l’esecuzione di quegli obblighi di fare infungibile, che le prime sono inidonee ad attuare. Esse difatti consistono nella minaccia di una lesione dell’interesse dell’obbligato più grave di quella che gli cagioni l’adempimento, allo scopo di influire sulla sua volontà ed indurlo ad adempiere spontaneamente l’obbligo al quale è tenuto[28].
Gli esempi di mezzi di questo tipo sono le astreintes del diritto francese[29], il contempt of court (disprezzo della corte) del diritto inglese[30], la condanna al pagamento di somme di denaro, di cui all’art. 614 bis c.p.c.[31].
Sul modello delle astreintes, l’art. 614 bis c.p.c. prevede che già nella sentenza di condanna all’adempimento di obblighi di fare infungibile o di non fare il giudice possa fissare la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
In questo quadro, è possibile dare un significato alla previsione relativa alle misure di esecuzione, quale possibile contenuto della sentenza di merito, ed individuare un contenuto di queste che sia coerente con il divieto per il giudice di adottare statuizioni costitutive, in una sede diversa da quella della esecuzione, ribadito dalla lett. e) dell’art. 34.
La sentenza, con la quale il giudice ordina all’
Si deve dunque ritenere che assolve ad una funzione di coercizione indiretta, la nomina del commissario ad acta, prevista dall’art. 34, comma 1, lett. e), “con effetto dalla scadenza del termine assegnato per l’ottemperanza”. Il ruolo del commissario è, in questo caso, diverso da quello che gli compete nell’ambito del giudizio di ottemperanza. L’utilizzo della figura può sembrare anzi anomalo in questa sede perché il giudice, della fase di merito o di cognizione, non è ancora titolare di quei poteri sostitutivi che dovrebbe delegare al commissario.
Qui il legislatore avrebbe forse potuto prevedere una misura diversa da quella, invero un po’ abusata, della nomina del commissario. In particolare avrebbe potuto adottare la soluzione dell’astreint, che meglio si presta ad anticipare misure di esecuzione alla fase della cognizione.
A questo risultato, non esplicitato dunque nel testo normativo, sembra tuttavia possibile giungere anche in via interpretativa. L’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore (misure idonee ad assicurare l’esecuzione della sentenza), il rinvio aperto alle norme del codice di rito, nonché la oramai riconosciuta responsabilità da ritardo ed i criteri equitativi nella individuazione della somma dovuta a titolo di risarcimento aprono una strada in questo senso.
Su domanda di parte, la sentenza di condanna
dell’
5. La condanna dell’
Non mi convince l’idea che il codice abbia
riconosciuto al giudice il potere di sostituirsi alla
Mi sembra, invece, che l’art. 31, comma 1°, renda esplicito un limite che è intrinseco alla natura stessa della funzione giurisdizionale. Rappresenta ancora un dato positivo di sistema l’idea che non sia compito del giudice disporre degli interessi pubblici, “come un gestore o un amministratore”. E che “alla risoluzione del problema amministrativo il giudice possa, e debba, concorrere solo indirettamente, in quanto è tenuto a definire le questioni giuridiche insorte tra le parti, dichiarando ciò che il diritto vuole riguardo al caso”[35].
Circoscrivere alle ipotesi di attività vincolata
l’ammissibilità di una pronuncia ordinatoria specifica, per l’adozione del
provvedimento richiesto e negato, non significa svilire la portata della norma.
Quella della attività vincolata non è una ipotesi residuale o di scarsa
importanza. L’attività vincolata è anzi sempre più frequente sia per effetto
del diritto comunitario[36] sia
per effetto della distinzione tra competenze politiche ed amministrative[37]. Il
diritto europeo vuole imporre l’uniformità
e perciò tende ad elidere la discrezionalità. La distinzione tra
politica e
La previsione della giurisdizione amministrativa sugli atti vincolati, e dunque su atti che fronteggiano diritti, implicita dunque nella tutela di condanna[38], sancisce il massiccio ingresso dei diritti soggettivi nella giurisdizione generale del giudice amministrativo[39].
Questa constatazione rende del tutto astratta la previsione del citato art. 7, che si preoccupa di ribadire il carattere eccezionale e tassativo delle ipotesi di devoluzione di diritti al giudice amministrativo.
In realtà, al di là delle enunciazioni di principio e nella concretezza delle sue disposizioni, il codice segna una ulteriore e forse decisiva tappa verso il superamento del riparto per situazioni giuridiche soggettive e per l’affermazione del criterio della normativa applicabile alla controversia[40].
6. Costituisce una ulteriore e decisiva conferma di questa conclusione, la disciplina della giurisdizione sulle domande di risarcimento dei danni cagionati dall’esercizio del potere amministrativo.
Quella del risarcimento dei danni rappresenta una ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[41]. Non era così nel regime precedente, dove l’art. 7 della legge tar [42] si limitava ad attribuire al giudice amministrativo - già investito della giurisdizione – il potere di somministrare una ulteriore forma di tutela, quella risarcitoria.
Oggi la giurisdizione sulle domande di risarcimento dei danni è riservata al giudice amministrativo.
Non è convincente l’opinione contraria[43], che trae argomento dalla mancata inclusione delle controversie in materia di risarcimento dei danni, nell’elenco dell’art. 133. L’elenco dell’art. 133, che raggruppa oltre trenta ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha solo un valore ricognitivo, come risulta dall’inciso iniziale, che fa salve le “ulteriori previsioni di legge”. L’inciso lascia intendere che se una norma di legge qualifica la giurisdizione esclusiva, questa è tale, anche se la materia non è compresa nell’elenco dell’art. 133 c.p.a.. Nel caso del risarcimento dei danni, la previsione normativa espressa è inclusa nello stesso codice ed è contenuta nel comma 6 dell’art. 30, c.p.a., il quale afferma che “di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesione di interessi legittimi e, nelle materie di giurisdizione esclusiva di diritti soggettivi, conosce esclusivamente il giudice amministrativo”.
Mi sembra, però, che la ragione, per la quale il risarcimento del danno è oggi da ricomprendere tra le materie di giurisdizione esclusiva, travalichi la stessa espressa previsione del comma 6, dell’articolo 30. La connota come tale la disciplina speciale introdotta dallo stesso articolo 30[44].
Il contrasto tra pregiudiziale amministrativa e
autonomia della domanda risarcitoria è stato risolto con una soluzione di
compromesso e il compromesso è rappresentato dalla specialità del regime della
responsabilità dell’
Di fronte al regime speciale della responsabilità della p.a. tracciato dall’art. 30, se anche mancasse una qualificazione normativa espressa, dovremmo sempre arrivare alla conclusione che si tratta di una ipotesi di giurisdizione esclusiva.
La ragione è che non avrebbe senso prevedere una disciplina speciale scandita da un termine breve dinanzi al giudice amministrativo se poi fosse possibile per la parte rivolgersi al giudice ordinario entro il termine di prescrizione.
Il quesito che ci si può semmai porre è se la forza
centripeta della specialità della disciplina non sarà tale da riuscire ad attrarre
nell’ambito del regime speciale e della giurisdizione amministrativa anche quei
(pochi) casi di responsabilità della pubblica
D’altro canto la ratio che sostiene le ragioni della specialità del regime della
responsabilità da illecito esercizio del potere, di evitare che il bilancio
pubblico resti troppo a lungo assoggettato a pretese patrimoniali altrui, dovrebbe
valere per tutti i casi in cui una pretesa risarcitoria è avanzata nei
confronti della pubblica
7. Secondo l’espressa previsione dell’art. 34, comma 1, lett. c) le sentenze di condanna al risarcimento rientrano nella categoria più ampia delle sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro. Costituiscono una sub categoria di queste. Difatti recita l’art. 34, comma 1 lett. c) “il giudice condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno”-
La norma si riferisce evidentemente alla
possibilità per il giudice di emanare sentenze di condanna al pagamento di
somme di denaro di cui l’
Una lettura congiunta dell’art. 34, comma 1°, lett. c), e dell’art. 30, comma 1°, per il quale “l’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad ogni altra azione o, nei casi di giurisdizione esclusiva (oltre che nel caso del presente articolo che tratta del risarcimento del danno) anche in via autonoma” sembra suggerire che la domanda per la condanna al pagamento di somme di denaro è proponibile, in ogni caso, congiuntamente ad altra domanda e, nei casi di giurisdizione esclusiva, anche in via autonoma.
Quest’ultima conclusione sembrerebbe avvalorata dall’art. 118 che contempla la possibilità di proporre al giudice amministrativo un ricorso per decreto ingiuntivo, attingendo poi al codice di procedura civile per la disciplina.
Se il codice non dicesse null’altro, dovremmo pensare che il legislatore abbia voluto sanare quella improvvida frattura tra gli aspetti patrimoniali e quelli non patrimoniali del rapporto introdotta dall’art. 5 della legge Tar[48] e ribadita dalla sentenza 204 del 2004 della Corte costituzionale.
E dovremmo anche ritenere che il legislatore abbia previsto la possibilità di una tutela autonoma dei diritti soggettivi di credito dinanzi al giudice amministrativo.
Questa conclusione è però immediatamente smentita
dall’art. 133 comma 1°, lett. b) e c)
che – con formula analoga a quella dell’art.
Stando così le cose, non è però chiaro quale
potrà essere il possibile ambito di applicazione dell’istituto; se la domanda
per la condanna al pagamento di indennità canoni ed altri corrispettivi possa (
o debba) essere proposta dinanzi al giudice amministrativo, ove questo sia
comunque investito della cognizione del rapporto; se, e in quali casi, potrà
essere proposta una domanda autonoma di condanna al pagamento di somme di cui
l’
Anche in questo caso, spetterà alla giurisprudenza ricondurre a sistema le norme, seguendo il criterio direttivo della concentrazione delle tutele, conformemente alle regole del giusto processo[49].
8. Forse un testo normativo che si afferma ispirato al principio del giusto processo regolato dalla legge e che si propone di far progredire la certezza delle regole processuali, avrebbe dovuto elaborare scelte più esplicite[50]. Le disposizioni che regolano il nuovo processo sono a volte lacunose e non del tutto coerenti tra di loro. Si presentano spesso con la modestia di un “riassunto delle precedenti puntate legislative e giurisprudenziali”, più che con l’ambizione e l’apertura delle disposizioni di un codice[51].
Tuttavia una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni in tema di tutela di condanna, conferma la possibilità di rinvenire nel codice, sia pure sotto traccia e tra le pieghe dell’ordito normativo, agganci normativi sufficienti a colmare gli spazi lasciati vuoti dal legislatore, immettendo nelle disposizioni entrate in vigore il 16 settembre scorso contenuti coerenti la direttiva della massima strumentalità del processo rispetto al diritto sostanziale, imposta dal principio del giusto processo.
L’attesa di molti è che la giurisprudenza sappia farsi interprete dei principi, per completare l’opera del legislatore, o, magari, per correggerla[52]. .
[1] Testo, rielaborato e corredato di note, della relazione al convegno “Incontro di studio: prime riflessioni sulla riforma del processo amministrativo”, Campobasso, 24 novembre 2010, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli studi del Molise.
[1] L’attribuzione al giudice amministrativo del
potere di condannare l’
[2]
Cfr. MERUSI, “In viaggio con Laband…”,
in www.giustamm.it, 19.4.2010; ROMANO
TASSONE, Così non serve a niente, ivi, 15.4.2010; SAITTA, Il codice che poteva essere, ivi, 16.4.2010.
[3] Sul canone della effettività della tutela giurisdizionale come massima espressione della strumentalità del processo nei confronti del diritto sostanziale, cfr.: CAPONI, La riforma del processo amministrativo: primi appunti per una riflessione, in Foro it., 2010 V, 271
[4] CLARICH, Le azioni, in Giorn. Dir. amm., 11/2010, 1121
[5] CAPONI, La riforma, cit., 271.
[6] A favore della possibilità di una interpretazione adeguatrice ed evolutiva delle disposizioni del codice anche PATRONI GRIFFI, Riflessioni sul sistema delle tutele nel processo amministrativo riformato, in www.giustizia-amministrativa.it, 14.12.2010.
[7] In altre parole, già la completa realizzazione del diritto di azione e di difesa sancito dall’art. 24 “esige che il sistema di tutela giurisdizionale sia organizzato in modo da garantire il pieno giudizio sul “bene della vita” intorno al quale si contende e da consentire al vincitore di conseguirlo”, così F. SATTA, Giustizia amministrativa, cit., 419.
[8] Valorizzano la disposizione di cui all’art. 34, comma 1°, lett. c), GISONDI, La disciplina dell’azione di condanna nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it;2010; CLARICH, Le azioni, cit. e Le azioni nel processo ammnistrativo tra reticenze del codice e aperture a nuove tutele, in www.giustizia-amministrativa.it; CINTIOLI, Il sindacato sulla discrezionalità nel codice del processo amministrativo, Relazione al Convegno Il codice del processo amministrativo. Prime analisi dei profili problematici, Tar Lazio, 4 novembre 2010.
[9]
Non è forse un caso che alcune forme di tutela adempitiva siano state in primo luogo introdotte per assicurare la
tutela piena dei diritti garantiti all’amministrato – nei confronti dell’
[10] La critica alla tesi della necessaria o normale correlazione tra sentenza di condanna ed esecuzione forzata e le premesse per la costruzione di una figura generale di tutela di condanna, in PROTO PISANI , Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir .proc. civ., 1976, spec. 1143 ss e Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), in Foro it., 10/2010, V, 257.
[11] La soppressione dell’art. 36, dell’articolato steso dalla Commissione, non autorizza a revocare le conclusioni già raggiunte dalla giurisprudenza favorevole ad ammettere le azioni di accertamento, destinate a sfociare in pronunce dichiarative, ove alla situazione di incertezza, che concreta l’interesse ad agire in mero accertamento, sia possibile porre rimedio tramite la pronuncia dichiarativa del giudice, cfr. TONOLETTI, Mero accertamento e processo amministrativo: analisi di casi concreti, in dir. proc. amm., 2002, 595 ss..
[12] Sull’accertamento della fondatezza della pretesa come elemento centrale ed insopprimibile della sentenza di condanna, cfr.: POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, vol. II, Padova, 2001, 173-174.
[13]
L’argomento della simmetria con i poteri attribuiti al giudice nel giudizio
contro il silenzio mi sembra sia utilizzato anche da CINTIOLI, cit. Nello
stesso senso, TRAVI, Lezioni di giustizia
amministrativa, Nona edizione, Torino, 2010, 212, il quale non sembra
ritenere superabile in via interpretativa l’argomento deducibile dalla “volontà espressa dal Governo nel testo
finale del codice di non introdurre un’azione
di adempimento a carattere generale”, e tuttavia osserva che la
previsione di una pronuncia di adempimento nel giudizio contro il silenzio
determina una incoerenza di fondo del codice. Osserva l’A.,“non si capisce
perché il giudice possa conoscere della fondatezza dell’istanza nel caso del
ricorso contro il silenzio, e non invece nel caso in cui sia impugnato un
provvedimento dell’
[14] Valorizzano la soppressione dell’inciso “salvi gli ulteriori provvedimenti”, al fine di accentuare il carattere doveroso della attività amministrativa che segue la sentenza di annullamento e definire il possibile contenuto della statuizione di condanna, CLARICH, Le azioni, cit. e FOLLIERI, Le azioni di annullamento e di adempimento nel codice del processo amministrativo, in www.giustamm.it 29.11.2010.
[15] Cfr: M. A. SANDULLI, Anche il processo amministrativo ha finalmente un codice, in www.federalismi.it, 14 luglio 2010, MERUSI, “In viaggio con Laband…” in www.giustamm.it, 19.4.2010; oltre agli Autori citati supra a nt. 7.
[16]
Sottolinea questo aspetto, che poi riflette l’esigenza “sempre assai desta
nella sensibilità del giudice amministrativo, di mantenersi giudice dell’
[17] Cioè tale da attribuire al ricorrente vittorioso in giudizio tutto quello che il diritto sostanziale gli attribuisce.
[18]
Cons. Stato, Ad. Plen., 10 marzo 1978, n.
[19] Conformemente ad una esigenza di satisfattività della tutela da tempo sottolineata dalla dottrina, cfr: MERUSI, Verso un’azione di adempimento?, in Il processo amministrativo, Scritti in onore di MIELE, Milano, 1979, 331 ss.; M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 6° ed., Bologna, 2002, 89 ss.
[20]
Così VERDE, Sguardo panoramico al libro
primo e in particolare alle tutele e ai poteri del giudice, Relazione al
Convegno della Associazione fra gli studiosi del processo amministrativo “Verso
il nuovo processo amministrativo”, Perugia, 14-15 maggio
[21] L’obbligo di rilasciare una dichiarazione di volontà è una obbligazione fungibile e surrogabile da un provvedimento del giudice ( a struttura cognitiva, ma a funzione esecutiva), secondo PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), cit., 266.
[22] Per VERDE, Sguardo panoramico, cit., 799 la scelta del codice di non delegare al giudice del merito il compimento di attività amministrativa si radica, al fondo, sul principio della divisione dei poteri o su di una malintesa accezione di questo.
[23]
Rinviene nel principio di responsabilità il limite al riconoscimento di poteri
sostitutivi in capo al giudice, LEDDA, La
giurisdizione amministrativa raccontata ai nipoti, in Scritti giuridici, Padova, 2002, spec. 394 ss., il quale sottolinea
come al giudice non possa essere addossata la responsabilità dell’
[24]
Merita di essere ricordata sul punto l’opinione di CAVALLO PERIN, La tutela cautelare nel processo avanti al
giudice amministrativo, in Dir. proc.
amm., 2010, 1168, per il quale la tipicità della tutela costitutiva trova
in ogni caso la sua giustificazione nella “garanzia dell’autonomia giuridica
riconosciuta ai soggetti”. La spiegazione del carattere eccezionale della
tutela costitutiva sarebbe cioè la stessa per i soggetti privati o pubblici. Al
tempo stesso l’A. rinviene la ragione della attribuzione al giudice
amministrativo dei soli poteri costitutivi rivolti alla estinzione dei rapporti ( e non alla loro
costituzione o modificazione) nella minore invadenza della sentenza meramente
demolitoria rispetto alla autonomia giuridica dell’
[25] Nelle ipotesi disciplinate dagli articoli 19
e
[26]
Cfr. LIPARI, L’effettività della
decisione tra cognizione ed ottemperanza, Relazione al 56° Convegno di
Studi di Varenna, 23-25 settembre
[27] Tramite l’esecuzione forzata è possibile l’esecuzione degli obblighi consistenti nel pagamento di una somma di denaro, nel rilascio di una cosa immobile o mobile determinata fungibile, in un fare fungibile. L’esecuzione forzata si rivela invece inadeguata per la esecuzione degli obblighi di fare infungibile, e di quegli obblighi di fare che, pur potendo essere considerati fungibili, presentino tuttavia caratteristiche tali da poter essere difficilmente eseguiti da parte di un terzo, nonché per la esecuzione degli obblighi di non fare.
[28] Cfr. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim dir. proc. civ., 1976, 1142.
[29] La misura dell’astreinte consiste nell’autorizzare il giudice, allorché emana una sentenza di condanna ad un fare o ad un non fare, a fissare la somma di denaro che l’obbligato sarà tenuto a pagare per ogni giorno di ritardo. La somma è commisurata all’entità ritenuta dal giudice idonea a privare l’obbligato dell’interesse ad adempiere.
[30] Il contempt of court consiste nel consentire al creditore di fare istanza allo stesso giudice che pronunciò la sentenza allo scopo di far dichiarare il convenuto colpevole di contempt e farlo condannare all’arresto.
[31] Articolo aggiunto al codice di rito dall’art. 49, comma 1° della l. 18 giugno 2009, n. 69.
[32]
Così, invece, TORCHIA, Le nuove pronunce
nel codice del processo amministrativo, Relazione al 56° Convegno di studi
amministrativi, Varenna 23-25 settembre
[33] Nega il carattere discrezionale dei poteri attribuiti al giudice amministrativo dagli artt. 121, co. 2, 122 e 125, co. 2, c.p.a., F.G. SCOCA, Considerazioni sul nuovo processo amministrativo (relazione tenuta a Lecce il 9 luglio 2010), in www.giustamm.it, 9.2.2011.
[34] Sulla specialità del rito, cfr: FOLLIERI, I poteri del giudice amministrativo nel decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 e negli artt. 120-124 del codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 1067 ss..
[35]
Così LEDDA, Efficacia del processo e
ipoteca degli schemi, in Scritti,
cit., 308. L’affermazione che il giudice può determinare compiutamente tutti
gli aspetti dell’atto amministrativo solo quando l’atto è vincolato, cioè
voluto con quel contenuto dalla legge, corrisponde ad un orientamento costante
nella interpretazione dei rapporti tra giudice amministrativo ed
[36] Quello elisione della discrezionalità, come portato della uniformità imposta dal diritto europeo, è un aspetto sul quale MERUSI, ha richiamato l’attenzione, in numerosi scritti, tra cui Variazioni su tecnica e processo, in Dir. proc. amm., 2004, 974.
[37] Così VERDE, Sguardo panoramico, cit., 799.
[38] E difatti ricorda E. FERRARI, op. cit., 726, come in origine “l’esclusione delle sentenze di condanna da quelle ammissibili nel processo amministrativo fosse interpretata dalla giurisprudenza non come una limitazione ai poteri della Quarta sezione, quanto come un logico corollario della riserva al giudice ordinario delle questioni attinenti a diritti”.
[39] Si ha qui il sovvertimento di un altro postulato della giustizia amministrativa classica, e cioè dell’idea per la quale sui diritti, che fronteggiano l’attività amministrativa non discrezionale o vincolata, è competente il giudice ordinario, mentre la giurisdizione amministrativa sarebbe limitata all’attività discrezionale e quindi alle situazioni di interesse. Non c’è dubbio, peraltro, che il sistema si sarebbe potuto sviluppare in una direzione diversa da quella seguita dal legislatore. L’alternativa avrebbe potuto essere quella indicata da A. ROMANO, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, spec. 294 ss.: la rivitalizzazione del ruolo del giudice ordinario nelle controversie inerenti a diritti e poteri vincolati dalla legge sostanziale e la riserva al giudice amministrativo del sindacato sulla discrezionalità pura. E’ una alternativa che si sarebbe posta in linea con il criterio tradizionale di riparto, fondato sulla natura della situazione dedotta in giudizio, e con il principio della giurisdizione unica del giudice ordinario sui diritti soggettivi. La diversa evoluzione del sistema forse non è casuale e trova la sua spiegazione proprio nei limiti del criterio tradizionale di riparto, nelle sue difficoltà applicative, nella sua atipicità, nel quadro europeo.
[40] Cfr. nota 2.
[41] Secondo la tesi, ampiamente condivisibile, sostenuta da VILLATA, L’azione di risarcimento dei danni nel nuovo processo amministrativo, Relazione al Convegno Il Codice del processo amministrativo. Tar Lazio, 4 novembre 2010.
[42]
Per il quale “In ogni caso in cui ha giurisdizione il giudice amministrativo
può condannare l’
[43]
Sostenuta da FANTINI, sub art.
[44]
Qualifica speciale il regime della
responsabilità amministrativa, quale risulta dalla disciplina del codice,
PORTALURI, Le “macchine grigie ed il
codice ben temperato, Relazione al Convegno “Il codice del processo
amministrativo”, Tar Lecce, 12-13 novembre
[45] La questione non è nominalistica. Se si tratta di prescrizione vale ad interromperne il decorso, non solo la proposizione dell’azione di annullamento (così come espressamente previsto dall’art. 30, comma 5), ma – si deve ritenere - l’esperimento di ogni altra forma di tutela prevista dall’ordinamento (ad esempio la proposizione del ricorso gerarchico).
[46] Contra: SORICELLI, Il punto sulla disciplina legislativa della pregiudiziale amministrativa alla luce del Codice del Processo Amministrativo, in www.giustamm.it, 26.8.2010, per il quale “la decadenza dell’azione risarcitoria degli interessi legittimi sembra essere stata prevista dal legislatore per raggiungere lo scopo dell’interesse pubblico della stabilità dell’azione amministrativa”. Ma la tesi non tiene conto del fatto che la tutela risarcitoria per equivalente monetario non incide sulla stabilità dell’atto, a differenza della tutela costitutiva demolitoria.
[47]
Con il conseguente obbligo dell’
[48]
Esprime accenti fortemente critici sull’art. 5 e sulla scissione che la norma
determina tra gli aspetti non patrimoniale e quelli patrimoniali del rapporto,
deducibile dinanzi al giudice amministrativo, E. CANNADA BARTOLI, La legge sui tribunali amministrativi
regionali ed i limiti alla giurisdizione amministrativa,in Riv.
trim. dir. pubbl., 1972, 1970ss.
[49] Cfr. Cass., Sez. Un., ord. 10 febbraio 2010, n. 2906.
[50]
MERUSI, Giurisdizione e
[51] Cfr. CAPONI, La riforma del processo amministrativo, cit., 267.
[52] Così non mi sembra che si possa assegnare un peso
decisivo alla volontà chiaramente espressa dal Governo nel testo finale del
codice di non introdurre una azione di adempimento. Una certa discrepanza tra
le intenzioni del legislatore ed il concreto funzionamento del processo sembra
rappresentare, del resto, una costante delle leggi di giustizia
amministrativa., come osserva GIANNINI, in una pagina del Discorso generale sulla giustizia amministrativa,in Riv. dir. proc. 1964, così come è una
costante della evoluzione del sistema quel ruolo creativo della giurisprudenza,
che il giudice amministrativo orgogliosamente rivendica, da ultimo DE LISE, Relazione sullo stato della giustizia
amministrativa, 11 febbraio 2011..