1. Premesse di carattere
generale.
Anche in un'opera esclusivamente civilistica non può essere pretermesso un capitolo dedicato all'attività contrattuale della pubblica amministrazione, atteso che già da molti anni si era affermato il principio – ora diventato diritto positivo- che anche i soggetti di diritto pubblico, in quanto dotati di autonomia negoziale al pari di ogni altro soggetto, possono fare uso del contratto e comunque , almeno potenzialmente, di tutti gli strumenti di diritto privato ritenuti di volta in volta tecnicamente idonei alla cura dell'interesse pubblico dato loro in attribuzione.
Peraltro l'attività
contrattuale delle pubbliche amministrazioni (basti pensare alle opere
pubbliche) costituisce un
fondamentale capitolo dell'economia generale del nostro Paese e comunque dei
traffici giuridici.
Sicuramente gioveranno
alcune premesse di carattere storico giuridico.
Alle origini dello Stato a
diritto amministrativo l'attività privata delle amministrazioni pubbliche era
quella con cui esse provvedevano a se stesse. Tale attività-che non va confusa
con l'attività di diritto privato, che è attività amministrativa in senso
proprio ,al pari di quella di
diritto amministrativo in senso stretto-non veniva impiegata per la cura di
interessi pubblici e pertanto veniva dispiegata sotto l'impero del diritto
comune.
Tuttavia, già nell'800,
essendosi molto ridotto il peso
delle entrate patrimoniali a tutto vantaggio di quelle tributarie, si ritenne
che anche l'attività privata delle amministrazioni pubbliche dovesse sottostare
alla disciplina cui era
assoggettata l'attività di diritto pubblico, in quanto in entrambi i casi vi era
spendita di pubblico danaro. Sicché anche questa attività gradualmente fu
attratta nell'area del diritto pubblico ed oggi si può dire che sia quasi
scomparsa, almeno nei termini in cui fu conosciuta ai primordi dell’ attività
amministrativa degli Stati continentali (il primo che ha attirato l'attenzione
sull'attività privata dell'amministrazione pubblica è stato l’AMORTH, Osservazioni sui limiti dell'attività
amministrativa di diritto privato, in Arch. Dir.
Pubbl.,1938,455.
Naturalmente non era agevole
dare carattere funzionale all'attività di diritto privato e tuttavia accadde che
si ebbe una pubblicizzazione dei rapporti originariamente privati: non a caso i
servizi di trasporto gestiti dai pubblici poteri furono configurati come
concessioni ,al pari di talune locazioni di immobili che divennero concessioni
su beni pubblici.
Come è stato autorevolmente
notato (GIANNINI, Diritto amministrativo, vol.II, Milano
1993,344), ciò che restava dell'attività di diritto privato era considerata
prevalentemente come un'attività alternativa all'attività di diritto
amministrativo in senso stretto; nel senso che, ad esempio, se l'amministrazione
pubblica aveva bisogno di un'area
la poteva acquistare o espropriare.
Successivamente, man mano
che l'organizzazione dello Stato andava modificandosi, attraverso l'introduzione
degli enti pubblici economici e delle imprese pubbliche, vaste aree di attività
di amministrazioni pubbliche furono
sottoposte al regime di diritto privato.
Le amministrazioni
sperimentarono che agire attraverso strumenti privatistici non comportava
nessuno scompenso. Sicché divenne lentamente normale che le amministrazioni
pubbliche svolgessero attività amministrativa di diritto pubblico e attività
amministrativa di diritto privato, indifferentemente.
La medesima dottrina ha
osservato che, in tempi ancora più vicini, sulla scorta di quanto accadeva negli
Stati Uniti, in Inghilterra , in Francia e in Germania, è stato introdotto anche
in Italia un impiego sempre più largo dello strumento convenzionale, nella
convinzione che strumenti fondati sul consenso siano preferibili a strumenti
fondati sull'autorità. Questo modo di procedere –osserva ancora GIANNINI- si è concretizzato soprattutto in due
vicende: a) l'introduzione di nuove figure di strumenti convenzionali, ossia nell'estensione dell'accordo e del
contratto anche ai rapporti non aventi contenuto patrimoniale ,bensì a rapporti
concernenti attività da svolgere ;b) la semplificazione dei procedimenti per la
contrattazione pubblica, laddove quest'ultima -consolidatasi nel contratto ad evidenza
pubblica, che è un procedimento contrattuale in parallelo con un procedimento
amministrativo- ha visto via via ridursi lo spazio di quest’ultimo a tutto
vantaggio del primo.
Certo è che per questa via
si è affermata la convinzione che la funzione pubblica non esaurisce le
possibili articolazioni dell'azione amministrativa ed è penetrata nel diritto
positivo l'idea che la pubblica amministrazione, oltre alla naturale posizione
di potestà, assume nell'ordinamento anche quella, propria di tutte le
associazioni private, di autonomia negoziale. Sicché essa svolge anche attività
articolata in moduli convenzionali , che è sempre espressione di potestà
pubblica al pari dell'attività amministrativa in senso stretto, nonostante usi degli
strumenti normativi privatistici, come già si è avvertito.
La migliore dottrina -
laddove ha risolto il complicato rapporto tra interesse pubblico, legalità e
diritti fondamentali in rapporto all'attività di diritto privato, nonché
l'annoso problema della legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni
- ha in un certo qual modo preparato il terreno alla fondamentale legge sul
procedimento amministrativo.
Il processo storico sembra
essersi compiuto soprattutto con l'ultima riforma introdotta dalla legge 19
febbraio 2005, n.15, laddove, nell'arricchire il novero dei principi generali
cui si deve uniformare l'attività amministrativa, stabilisce che la pubblica
amministrazione, nell'adottare atti di natura non autoritativa, deve agire
secondo le regole del diritto privato,
finendo cosi con l’invertire il principio che aveva governato per due
secoli l'attività amministrativa.
Con la medesima legge si è
riformato anche l'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, riguardante gli
accordi procedimentali, e su cui torneremo diffusamente.
Nella medesima direzione è
andata anche la riforma del titolo V della Costituzione, laddove ha introdotto
il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo
118.
Vanno ricordati anche i
principi e le norme del diritto comunitario, soprattutto quelle in materia di
appalti servizi e fornitura; e in particolare il processo di identificazione tra
l’istituto della concessione e quello dell’appalto.
Tuttavia il processo più
profondo, per chi voglia ricercare le cause del processo di privatizzazione dei
rapporti di diritto amministrativo, si è avuto a seguito della modifica
strutturale della soggettività pubblica. Con l’affermasi sia del principio della
neutralità delle formule organizzatorie - la figura introdotta dal diritto
comunitario “dell’organismo di diritto pubblico” è da considerarsi esemplare - e sia di
quello, anch’esso di derivazione comunitaria, della c. d. “pubblicità reale”,
diventa naturale assistere al fenomeno per cui società aventi forma privata, e
che agiscono quindi con lo strumento del contratto, curano legittimamente
l’interesse pubblico , usando il
procedimento dell’evidenza pubblica e soggiacendo alla giurisdizione del giudice
amministrativo ( chi voglia approfondire il tema degli attuali confini e il
superamento della dicotomia tra il diritto civile e il diritto amministrativo
veda l’intelligente e dotta disamina di G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel
diritto amministrativo, Milano, 2003; sul ruolo che ha avuto nel processo di
privatizzazione il diritto comunitario si veda l’ottimo studio di C. FRANCHINI,
Amministrazione italiana e
amministrazione comunitaria, Padova,1993).
2. Quadro generale dei
contratti delle amministrazioni pubbliche.
Il contratto rimane il
principale strumento utilizzato dalle amministrazioni nello svolgimento
dell'attività amministrativa di diritto privato.
Come insegna dottrina
autorevole (GIANNINI, op.cit.,356), i contratti conclusi dalle pubbliche
amministrazioni si dividono in tre grandi categorie.
La prima è costituita dai
cosiddetti contratti ordinari, o di diritto comune, e sono quei contratti che
non subiscono modificazioni per il fatto che una delle parti sia
un'amministrazione pubblica. I contraenti sono su un piano di perfetta
parità.
La seconda categoria è
costituita dai contratti cosiddetti speciali, nel senso che sono dei contratti
retti da norme di diritto privato,
in cui, accanto alle norme del
codice civile, vi è l'applicazione di norme pubblicistiche, con le quali
normalmente si attribuiscono poteri speciali alla pubblica amministrazione. Si
pensi all'appalto di opere pubbliche, all'appalto di servizi o al contratto di
fornitura. E’utile ricordare come fu proprio questo gruppo di contratti che, fin
dalla fine del 1800, cominciò a ricevere modificazioni rispetto ai
corrispondenti tipi contrattuali regolati dal codice civile. Non a caso qualcuno
ha dubitato che conservassero la specie contrattuale privatistica.
Tuttavia la giurisprudenza
della corte di Cassazione è stata sempre decisa nel riaffermarla.
Essi sono ora disciplinati
dal Codice dei contratti pubblici, contenuto nel decreto legislativo 11 aprile
2006, n.163.
La terza categoria è costituita dai contratti ad oggetto pubblico, o di diritto pubblico. E’ preferibile la prima espressione, suggerita da GIANNINI ed ora largamente entrata nell'uso del linguaggio comune, in quanto essa indica in maniera plastica l'idea di contratti che non possono essere conclusi che da amministrazioni pubbliche. La loro caratteristica fondamentale è che essi sono collegati a provvedimenti amministrativi, dei quali costituiscono un complemento necessario. Il provvedimento amministrativo può integrare il contratto o sostituirlo.
A loro volta i contratti ad
oggetto pubblico si ripartiscono in tre categorie: contratti accessivi a
provvedimenti, contratti ausiliari di provvedimenti, contratti sostitutivi di
provvedimenti.
Premesso che su questo
torneremo, è utile ricordare l‘avvertenza di GIANNINI, ossia che i contratti ad
evidenza pubblica non formano una categoria come quelle or ora dette. Il
contratto ad evidenza pubblica costituisce una categoria procedimentale,
contraddistinta da una particolare procedura di conclusione del contratto, che
può essere applicata ai contratti ordinari, speciali e ad oggetto
pubblico.
In questa sede non ci
occuperemo ovviamente del contratto (meglio del procedimento) ad evidenza
pubblica, che costituisce un fondamentale capitolo del diritto amministrativo.
Invece verranno presi in
esame degli istituti che più di
altri costituiscono l'espressione della partecipazione del privato all’ attività
amministrativa, ossia il cosiddetto contratto di diritto pubblico e gli accordi tra il privato e la pubblica
amministrazione, nonché il complicato rapporto tra i due istituti che sembra
essere andato nella direzione di una sostanziale identificazione. Ovviamente
sullo sfondo si stagliano le tematiche legate alle interconnessioni tra l'atto
amministrativo e il negozio giuridico.
3. La vicenda delle
concessioni- contratto .
Chiunque voglia indagare la storia della “ contrattualità amministrativa” deve necessariamente fare riferimento alla storia delle concessioni amministrative, e in particolare all'istituto della cosiddetta concessione-contratto; figura, questa, interamente creata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
La concessione - contratto
costituisce anche l'istituto, dove più che in altri, la giurisprudenza pratica
la dottrina e la prassi delle amministrazioni hanno modellato, talvolta con
sapiente fantasia, il rapporto tra atto amministrativo e contratto, ora
inclinando per una prevalenza assoluta del primo sul secondo, ora riducendo la
concessione ad una mera clausola contrattuale contenente la condizione di
efficacia del negozio.
Nella sistemazione di
GIANNINI, di cui al paragrafo precedente, le concessioni- contratto rientrano
nei cosiddetti contratti di diritto pubblico accessivi e sono ‘costituiti da
quei moduli convenzionali nei quali
il provvedimento sarebbe di per sé fonte di obbligazioni, e per meglio
disciplinare questi, al provvedimento si usa accompagnare un contratto che
contiene la disciplina di specie delle obbligazioni’(GIANNINI, op.
cit.,431).
Questo modulo convenzionale
è stato utilizzato soprattutto nelle concessioni a privati di beni pubblici e
nelle concessioni di servizi pubblici.
Questo istituto è
caratterizzato dalla compresenza di un provvedimento di concessione, in cui
l'amministrazione conserva il suo carattere di autorità, ed una convenzione
collegata al provvedimento, che può essere precedente concomitante o successiva
all'emanazione della concessione.
La dottrina e la
giurisprudenza hanno dovuto indagare sulla natura del collegamento tra
provvedimento e contratto. Sostanzialmente sono arrivate alla conclusione che il
primo condiziona l'esistenza del secondo e non viceversa. Anche se le controversie hanno
riguardato, almeno in passato, piu’ che gli effetti della declaratoria di
nullità o l'annullamento di clausole del contratto sul provvedimento, questioni
legate ai canoni da versare all'amministrazione o all'esercizio illegittimo
della revoca della concessione da parte di quest’ultima, con le relative
questioni di giurisdizione,che ora non possono essere nemmeno
ricordate.
E’utile segnalare che nella
prassi amministrativa contratto e provvedimento costituiscono ora fattispecie
separate, sia pure collegate ( si pensi ai mutui agevolati concessi solo in
presenza di autorizzazioni amministrative), ora fattispecie in cui il ruolo del
contratto è assolutamente dominante (si pensi alle concessioni di servizi
pubblici, in cui il cosiddetto contratto di servizio finisce con il disciplinare
l'intero rapporto, laddove prevede una serie disparata di prestazioni
dell'impresa concessionaria a fronte dell'amministrazione che si limita a
riscuotere le contribuzioni).
Mentre in Francia, sulla
base di precise disposizioni di diritto positivo, sia i contratti di uso di beni
che i contratti di servizio vengono inclusi tra i contrats administrafs,
in Italia è prevalsa, per lungo tempo, la dottrina , facente capo a RANELLETTI,
secondo cui le concessioni erano da ritenere atti amministrativi ad effetti
bilaterali.
Fortunatamente la
giurisprudenza dei giudici civili non ha seguito questa impostazione ed ha
applicato al rapporto patrimoniale le norme sulle obbligazioni e sui contratti,
fino a delineare la figura della concessione -contratto, come già
ricordato.
All'inizio il problema del
riparto delle giurisdizioni è stato risolto nel senso che al giudice civile
spettavano le controversie concernenti il rapporto contrattuale, mentre al
giudice amministrativo quelle concernenti provvedimenti amministrativi emessi
nel rapporto amministrativo, anche se direttamente incidenti sul contenuto del
rapporto contrattuale. In particolare le controversie relative alla revoca della
concessione spettavano alla giurisdizione amministrativa ,mentre invece quelle
relative alla declaratoria di decadenza per grave inadempimento al giudice
civile, trattandosi di atto che interessa materia di adempimento di
obbligazioni. Ora il diritto positivo è mutato.
Va comunque ricordato che la
dottrina ha finito col ripudiare l'impostazione del RANELLETTI e, trovando più
convincente la costruzione giurisprudenziale, ha tentato di elaborare una
dogmatica degli atti negoziali della pubblica amministrazione e del rapporto tra
l ‘atto amministrativo e il contratto (si veda :G. LANDI, La concessione
amministrativa con clausola di esclusiva, Milano, 1956 ; F. GULLO,
Provvedimento e contratto nelle concessioni amministrative,
Padova,1965 e ,più recentemente, L.V. MOSCARINI, Profili civilistici
del contratto di diritto pubblico, Milano1988.
Rimane comunque fondamentale
uno studio, quello di M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, Napoli,
1981, con una splendida prefazione di Pietro Rescigno, dove l'autore prende in
considerazione le specifiche concessioni praticate dalle amministrazioni, cui
unisce una puntuale disamina storica
della dottrina e della giurisprudenza pratica, fondando cosi’
sull’analisi della prassi un'ipotesi di ricostruzione
dogmatica.
Lo studio di D’ALBERTI è importante, in quanto dimostra ,da un'analisi concreta della pratica amministrativa ,che il termine” contratto ad oggetto pubblico” può essere si’ utilizzato per denominare i contratti di concessione, dato che esso non può essere utilizzato nelle contrattazioni private, essendo appunto l'oggetto riservato all'amministrazione concedente. Tuttavia, esso non costituisce una categoria concettuale giuridica , in quanto nella maggior parte dei casi le fattispecie non sono composte da contratto e provvedimento - cosa, che nelle più autorevoli ricostruzioni dottrinarie sembrava essere il tratto caratteristico dell ‘istituto - , poiché nel concreto il contratto finiva con l’essere l'unico atto costitutivo dei principali rapporti di concessione.
Da qui, come dopo vedremo,
l'incontro tra il contratto di diritto pubblico e gli accordi
procedimentali.
4. Il contratto di diritto
pubblico.
Occorre prima dire del contratto di diritto
pubblico.
Per molti anni la dottrina
amministrativa ha ragionato intorno all'istituto, arrivando a formulare le
costruzioni più diverse.
Anzi se si guarda
all'amministrazione per accordi nel suo insieme, si nota che essa comprende una
notevole varietà di figure, tipizzate proprio attraverso un lavoro assiduo della
dottrina e della giurisprudenza. Tali figure sono : patti politici, patti
amministrativi, accordi organizzativi, accordi procedimentali, contratti di
diritto comune ,contratti ad evidenza pubblica, contratti ad oggetto pubblico,
contratti sostitutivi di provvedimenti. Se poi a ciò si aggiunge anche il
fenomeno della cosiddetta contrattualizzazione semplificata, cioè quella in cui
il procedimento di evidenza pubblica è molto ridotto (si pensi alla concessioni
di costruzione e gestione e alla nuova figura del contraente generale) il quadro
diventa davvero molto variegato.
Nel quadro vanno ricomprese
tutte quelle forme associative realizzate dagli enti locali mediante convenzioni
e accordi, disciplinate negli articoli 30-35 del T.U. sugli enti locali, di cui al
decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267.
Tornando al contratto di
diritto pubblico, la ricostruzione migliore rimane ancora quella di GIANNINI;
tanto più se si considera che essa è stata proposta prima della legge sul
procedimento amministrativo e, in particolare, prima della riforma dell'articolo
11 della legge n. 241 del 1990, avvenuta il 2005, come già
ricordato.
Il grande studioso sostiene
che quella del contratto di diritto pubblico è un problema di teoria generale
del diritto.
Infatti, essa, accanto ai
contratti, conosce anche la categoria dei patti; categoria, questa, rimasta
inevoluta, se si esclude il diritto internazionale dove invece essi - sia pure
variamente denominati: protocolli convenzioni accordi - hanno ricevuto un'elaborazione
notevole.
La ragione di questa mancata
evoluzione è da ricercare nel fatto che dai patti più che obbligazioni in senso
tecnico, ossia vicende patrimoniali, nascono obblighi, ossia situazioni
giuridiche soggettive comportamentali, che non sempre hanno il carattere della
patrimonialità.
Certo è che, come si è visto
nel paragrafo precedente, nella storia del diritto amministrativo si sono
incontrati accordi, tra amministrazioni o tra queste e soggetti privati, che non
possono essere considerati se non contratti, pur mancando loro un tratto tipico
di questo fondamentale istituto, ossia la parità tra i
contraenti.
Bisogna considerare che
questo tipo di contratti risalgono a tempi assai lontani; tant'è che già
nell'800 si rinvengono convenzioni tra amministratori e imprenditori privati per
il disimpegno di servizi pubblici.
Sicché la giurisprudenza e
la dottrina se ne dovettero occupare, dividendosi in due gruppi di opinioni: la
prima, secondo cui i rapporti nascenti dalle convenzioni erano da intendere come
nascenti unicamente da provvedimenti amministrativi; la seconda, secondo cui si
trattava di veri e propri rapporti contrattuali ,sia pure non di diritto privato
ma di diritto pubblico ,e tuttavia caratterizzati da un vero e proprio incontro
di volontà.
Come già detto,la prima
corrente di pensiero proponeva le più svariate spiegazioni, ossia che i
provvedimenti amministrativi erano semplicemente preceduti da “atti di
sottomissione “di privati ,oppure che nascessero da provvedimenti amministrativi
unilaterali produttivi di effetti bilaterali a contenuto patrimoniale, oppure
che fossero rapporti nascenti da provvedimenti amministrativi puri e semplici,
che si limitavano a recepire nelle proprie clausole il contenuto di atti
predisposti da privati (la tesi anticontrattualistica viene fatta risalire a O.
MAYER e in Italia fu sostenuta da F. CAMMEO e da RANELLETTI. Poi il tema è stato
ripreso da ZANOBINI, con un ‘impostazione più civilistica).
La seconda corrente di
pensiero tendeva a dimostrare, invece, che anche il diritto pubblico potesse
adottare strutture contrattuali, con la particolarità che il contratto era “di
diritto pubblico”, poiché comunque era l'espressione dell'autorità del potere
amministrativo ( se si eccettua la posizione di P. VIRGA, che nega in radice
l'ammissibilità del contratto ad oggetto pubblico, prevalgono gli autori che
tendono ad ammettere la figura: M. GALLO, Contratto di diritto pubblico,
in Nov. Dig. It.; G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche, Milano,
1984).
Tornando all'impostazione di
GIANNINI, egli ritiene che la
spiegazione per tali tipi di contratti vada ricercata in un'altra direzione, ed
esattamente nel fatto che le “fattispecie globali” in cui essi si pongono sono
composte di contratti e di provvedimenti amministrativi insieme. Il modo come
essi si collegano determinano appunto le tre categorie -contratti accessivi, ausiliari e
sostitutivi di provvedimenti - ed
hanno in comune il fatto di avere un oggetto pubblico, di cui solo
l'amministrazione dispone.
Le tre categorie di
contratti indicate sono state nella sostanza accettate anche in giurisprudenza.
Pertanto conviene soffermarsi ancora un momento su di
esse.
I contratti
accessivi di provvedimenti sono
moduli convenzionali che accedono a provvedimenti, i quali sono già fonte di
obbligazioni per il privato e possono produrre effetti unilaterali, quando
stabiliscono obblighi solo per lui, o bilaterali, quando determinano obblighi
anche per la pubblica amministrazione. Inoltre il collegamento ,come si diceva,
è unilaterale, nel senso che è solo il provvedimento a determinare la sorte del
contratto e non viceversa.
I contratti
ausiliari di provvedimenti si
inseriscono all'interno di procedimenti amministrativi e vengono utilizzati
qualora ricorra l'esigenza di
disciplinare aspetti patrimoniali. La caratteristica fondamentale di essi è
costituita dal fatto che se il privato non adempia, l'amministrazione può agire
o in via contrattuale dinanzi al giudice ordinario oppure in sede
procedimentale, proseguendo oltre nel procedimento fino all'emanazione del
provvedimento finale.
I contratti
sostitutivi di provvedimenti , invece,
hanno avuto larga applicazione sia nel campo della pianificazione urbanistica
(si pensi alle convenzioni di urbanizzazione, alle convenzioni di lottizzazione,
alle convenzioni edilizie) e sia della programmazione economica. La loro
caratteristica consiste nel fatto
che essi sostituiscono completamente il provvedimenti. Tuttavia sembrerebbe che
gli obblighi assunti dal privato derivino direttamente dalla legge, mentre la
convenzione serve solo a disciplinare
in maniera puntuale gli obblighi medesimi.
Tornando all’elaborazione dottrinale, il punto più alto e innovativo è stato quello di ritenere che i contratti ad oggetto pubblico costituiscano “una figura generale”, ossia sono possibili “ ogni volta che vi sia un aspetto patrimoniale, nell'esercizio di potestà pubbliche, che possa formare oggetto di disciplina negoziata e regolabile mediante obbligazioni; non è necessario che vi sia una norma che ogni volta facoltizzi l'amministrazione pubblica al contratto” (GIANNINI, op. cit.,429).
Questa concezione viene qui
riportata, quasi alla lettera, non solo per un doveroso omaggio al grande
maestro, ma perché si è convinti che essa è penetrata nel diritto positivo, come
vedremo più avanti ( In ogni caso un sistemazione aggiornata della materia si
può ora vedere in R. CHIEPPA e V. LOPILATO, Studi di diritto amministrativo, Milano,
2007).
5. La vicenda degli
accordi procedimentali prima della loro disciplina
positiva.
Prima dell'emanazione della legge generale sul procedimento amministrativo, la dottrina ha molto indagato il tema degli atti del privato nel procedimento ( sul tema in generale si può vedere: G. BERGONZINI, L'attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova,1975. Ma la letteratura in materia è molto copiosa: G. MIELE, Le manifestazioni di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931; G. BARONE, L'intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano1969; S. CASSESE, Il privato e il procedimento amministrativo, in Arch. Giur., 1970,56; R. FERRARA, Gli accordi tra privato e pubblica amministrazione, Milano,1985; G. CORREALE, Urbanistica, iniziativa economica, proprietà privata i poteri dell'autorità, Padova, 1984; S. COGNETTI, La tutela delle situazioni soggettive tra procedimento il processo, ESI,1987).
Tuttavia, quando gli
studiosi dovevano occuparsi del potere del privato della fase decisionale del
procedimento amministrativo, erano costretti a riconoscere che tale potere era
assai scarso, essendo l'amministrazione l'unica abilitata, per via della sua
posizione di supremazia, a decidere circa il “volere” e il “voluto” di cui si
compone la fase decisoria del procedimento amministrativo
.
Nella pratica, però si verificava che
molti funzionari di uffici dell'amministrazione e privati, soprattutto quando si
trattava materie particolarmente complesse come sistemazioni urbanistiche o attuazione di programmi economici,
svolgevano delle vere e proprie trattative, che spesso si concludevano con la
redazione di documenti , nella prassi chiamati “accordi
ufficiosi”.
Essi spesso si traducevano
in dichiarazioni scritte ed erano variamente denominati: atti di sottomissione,
atti d'obbligo, atti di assoggettamento.
Consistevano in una dichiarazione con cui il privato, in vista
dell'adozione di un provvedimento amministrativo, prometteva il compimento di
una prestazione, normalmente a contenuto patrimoniale.
Oltre agli atti di
sottomissione, la pratica amministrativa conosceva anche gli “ accordi preliminari”, consistenti
in una dichiarazione sottoscritta dalle parti, in cui l'amministrazione
dichiarava di essere disposta ad
adottare un dato provvedimento ,
oppure in cui essa si dichiarava d'accordo sul provvedimento suggerito dal
privato, che talvolta veniva richiamato nel preambolo dell’atto. L'espressione
più macroscopica di questo modo di amministrare si è avuto in materia di
concordati tributari.
Tuttavia, quando si è trattato di indagare la natura giuridica di queste figure, si è ritenuto che esse fossero pressoché irrilevanti sul piano giuridico. Anche se la giurisprudenza lentamente ha finito col considerarle giuridicamente rilevanti, sia pure nel limitato senso che l'amministrazione potesse discostarsi dagli accordi presi purché motivasse sulle ragioni di pubblico interesse che l'avevano indotta a disattenderli. Secondo questa impostazione, quindi, se l’atto concordato non veniva adottato gli accordi perdevano efficacia e comunque non erano suscettibili di impugnazione diretta, potendosi impugnare solo gli atti in cui essi erano confluiti o in cui erano richiamati.
6. Gli accordi
disciplinati nella legge generale sul procedimento
amministrativo.
Con la legge generale sul
procedimento amministrativo, che, come tutti sanno, è del 1990, all'articolo
11(l.n.241/1990), vengono per la prima volta disciplinati gli accordi,
distinguendosi tra accordi integrativi e accordi sostitutivi di provvedimento. I
primi sono quelli conclusi tra l'amministrazione e “gli interessati al fine di
determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale”, mentre i
secondi sono emanati “in sostituzione di questo”.
Le altre regole contenute
nella disciplina di cui all'articolo 11, nella sua versione originaria, sono:
-gli accordi devono essere stipulati ,a pena di nullità, per atto scritto;-che
ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti “in quanto compatibili”;-che gli
accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli
previsti per questi ultimi;-che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse,
l'amministrazione può recedere unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di
provvedere alla corresponsione di un indennizzo per i pregiudizi verificatisi in
danno del privato;-che le controversie in materia di formazione conclusione ed
esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo .
Tutti i commentatori al primo apparire della norma, pur
sottolineando l'importanza di aver
dato dignità legislativa al tipico modo di amministrare mediante il consenso
anziché in via autoritativa, hanno osservato che il legislatore era stato,
tuttavia, troppo timido nell'affermare i nuovi principi (G. BERTI, Il
principio contrattuale nell’attività amministrativa, in Scritti per Giannini
Milano,1998; S. GIACCHETTI, Gli accordi dell’art. 11 della legge n 241
del 1990 tra realtà virtuale e realtà reale, in lexitalia.it; E. BRUTI
LIBERATI, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico, tra
amministrazione e privati, Milano, 1996; G.P. CIRILLO, La tutela in via
arbitrale delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla lesione dell’interesse
legittimo, in For Ammin., 2001, 2205) la riprova era data proprio dal fatto che
esso aveva inserito tra gli strumenti a disposizione dell'amministrazione i
cosiddetti accordi sostitutivi, però ne aveva consentito l’uso solo nei casi
previsti dalla legge . Sicché non era possibile ritenere, sulla base del
congegno legislativo indicato, che l'amministrazione potesse usare del negozio
giuridico ogni qualvolta lo richiedesse la situazione da amministrare. Gli
accordi, così come disciplinati, finivano con l'essere una semplice modalità
della formazione della volontà dell'amministrazione nel
procedimento.
Successivamente, la legge
n.15 del 2005, nell'introdurre modifiche notevoli alla legge n. 241 del 1990,
interviene in maniera vistosa anche sull'articolo 11, stabilendo: la
soppressione dell'inciso in base al quale gli accordi sostitutivi erano ammessi
nei soli casi previsti dalla legge;- al comma 1 bis, che il responsabile del
procedimento, al fine di favorire la conclusione degli accordi può predisporre un calendario di
incontri, cui invita il destinatario del provvedimento e gli eventuali contro
interessati;-che, al comma 4 bis, a garanzia dell'imparzialità e del buon
andamento dell'azione amministrativa, gli accordi debbono essere sempre
preceduti da una “determinazione dell'organo che sarebbe competente per
l'adozione del provvedimento”.
Come risulta evidente, il
legislatore, pur avendo finalmente eliminato il limite originariamente apposto
all'uso dell'accordo sostitutivo, rendendolo così atipico al pari di quello
integrativo, ha compensato quella che sembrava essere una libertà eccessiva per
le amministrazioni con il prevedere che tutti gli accordi debbano essere
preceduti da una determinazione amministrativa allorquando si intende
concluderli.
7. Il problema della
natura giuridica degli accordi
La dottrina si è molto
soffermata sulla natura giuridica degli accordi, anche dopo la riforma del 2005
( per tutti vedasi C. CACCIAVILLANI, Il nuovo regime di atipicità degli
accordi, in atti del convegno 15/4/2005 pubbl. dal Centro Studi di Diritto
Amministrativo),.
Essa sembra dividersi in due
filoni fondamentali: quello privatistico e quello
pubblicistico.
Entrambi i filoni adducono,
a conforto della propria tesi, argomenti robusti e degni di attenzione.
In questa sede, più che
riportare il numero delle teorie prospettate, interessano quegli argomenti che
più si avvicinano alla soluzione
di quello che, a nostro avviso, costituisce problema di fondo, ossia il
limite e le forme dell'autonomia
negoziale dei soggetti pubblici, e che prenderemo in considerazione nel
paragrafo successivo.
È noto che, secondo una
teorica, denominata panprivatistica, gli accordi di cui all'articolo 11 non sono
niente altro che contratti di
diritto privato comune, in cui le amministrazioni dismettono il proprio potere
pubblico, assoggettandosi alle regole e ai principi del codice civile in materia
di obbligazioni e contratti. L’individuazione della natura giuridica
contrattuale determina il regime giuridico applicabile, ossia quello proprio di
tutti i soggetti dell'attività giuridica.
Tuttavia, tale teorica
omette di considerare che la norma adotta una duplice cautela, nell'ammettere
l'uso dello strumento consensuale, laddove stabilisce che le norme civilistiche
sono applicabili “ove non diversamente previsto” ed “in quanto
compatibili”.
La tesi non sembra tenere
adeguatamente conto del fatto che tendenzialmente ogni atto dell'amministrazione
pubblica è in funzione del perseguimento del pubblico interesse e quindi tutto
ciò che essa compie diventa rilevante alla luce del principio di legalità.
Sicché non si può spogliare della propria potestà sol che decida di farlo,
soprattutto quando non cura un interesse proprio, ma quello pubblico che gli è stato dato in
attribuzione dalla legge, e che va a formare l'interesse pubblico
generale.
Più rispettosa di quanto
testè affermato è la tesi secondo cui gli accordi sarebbero da ricondurre alla
già individuata categoria dei contratti di diritto privato speciale, dove vive
un'autonomia ristretta e l'amministrazione non perderebbe mai il potere
pubblico, e quindi la capacità di unilateralmente incidere sul rapporto. Anche
secondo questa impostazione la normativa applicabile sarebbe tendenzialmente
quella privatistica.
Secondo altra impostazione
l'accordo si risolve in un contratto di diritto pubblico in cui vi è la
compresenza di provvedimento e contratto, la materia regolata è di tipo
pubblicistico, i vizi sono quelli propri dell'atto amministrativo . Quindi la
disciplina privatistica è puramente aggiuntiva rispetto a quella pubblicistica.
In altri termini gli accordi vengono assimilati ai contrats administratifs
dell'ordinamento francese.
Secondo questa impostazione
l'ordinamento non consente la piena fungibilità fra potestà amministrativa ed
autonomia privata, poiché anche quest'ultima incontra i medesimi limiti cui
soggiace il potere amministrativo.
In proposito una dottrina
attenta( G. GRECO, Commento all’art. 11, in AAVV, L’azione amministrativa,
Milano, 2005) osserva che il quadro offerto dalla normativa non consente una
prospettazione di una teorica diversa da quella del contratto di diritto
pubblico.
Infatti gli accordi, siano
essi sostitutivi o integrativi sono disciplinati allo stesso modo e quindi hanno
la stessa natura . Hanno ad oggetto un provvedimento e quindi sono il risultato
dell'esercizio di potere amministrativo, rispetto al quale è predicabile il
vizio di eccesso di potere.
Dall'osservazione del
diritto positivo si ricava facilmente che la disciplina privatistica è solo
integrativa ed aggiuntiva, atteso che le norme pubblicistiche prevalgono sia
nella fase dell'esecuzione, sia nel regime del recesso, sia nell'esercizio dello
ius variandi e dell'annullamento
d'ufficio. Inoltre, non senza importanza è l'inclusione nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia di
accordi.
La tesi del contratto di
diritto pubblico, o comunque la cosiddetta tesi pubblicistica, sembra essere
quella posta a base della sentenza
n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, laddove - nel ritenere non
consentito dal nostro ordinamento estendere la giurisdizione amministrativa
esclusiva a tutte le condotte paritetiche ( ossia privatistiche) della pubblica
amministrazione e che anche nella materia esclusiva il sindacato riguarda
l'azione autoritativa della pubblica amministrazione - considera espressamente l'accordo, ai
sensi dell'articolo 11 legge n. 241/1990 come un semplice strumento sostitutivo
del modello autoritativo classico. Esso presuppone l'esistenza del potere
autoritativo, in quanto solo così
si giustifica la giurisdizione esclusiva prevista nel medesimo articolo,
estensibile anche alla fase esecutiva dell'accordo.
L'impostazione appare oggi
confermata dalla legge di riforma n. 15 del 2005, laddove viene introdotto un
regime, in materia di recesso dai contratti della pubblica amministrazione in
generale, profondamente diverso dal recesso dagli accordi di cui all'articolo
11.
Infatti il recesso dai
contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge
o dal contratto, mentre il recesso dall'accordo costituisce un potere generale,
esplicativo della potestà di autotutela, che non necessita di una previsione
espressa e comporta un obbligo di indennizzo simile a quello previsto per la
revoca prevista dall'articolo 21 quinquies della legge n. 241 del
1990.
La giurisprudenza del
Consiglio di Stato sembra avere ricostruito l'istituto secondo la logica che si
tratterebbe di un contratto in cui l'amministrazione può esercitare un'autonomia
limitata (Cons. Stat., 15
maggio2002 n. 2636). L'impostazione viene confermata dall'estensore della
sentenza indicata in un pregevole scritto (G: MONTEDORO, La nuova disciplina
degli accordi, in /,
voce documentazione), in cui, valorizzandosi al massimo grado la riforma
dell'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 apportata dalla legge n. 15 del
2005, e in particolare la previsione della necessaria previa determinazione a
procedere mediante lo strumento consensuale e della calendarizzazione degli
incontri con l’interessato da parte del responsabile del procedimento, riconduce
gli accordi ai contratti, anche se di diritto privato speciale; speciale, solo
per via del contenuto pubblicistico della materia
regolata.
8. Un tentativo di
rilettura del sistema.
I - Certamente il legislatore
- in questo caso un legislatore
particolarmente attrezzato, che ben conosceva la tematica del contratto ad
oggetto pubblico e la storia delle concessioni contratto -
non ha espressamente adoperato il termine “contratto”, nel dettare la
norma fondamentale di cui all'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, né ha
dettato una disposizione apposita per disciplinare il contratto pubblico in
generale; a differenza di quanto
avvenuto in Germania per il contratto di diritto pubblico, che è stato
compiutamente disciplinato dalla legge generale sul procedimento
amministrativo(&& 54 ss.).
Anche se è
quanto mai opportuno segnalare che la legge generale sul procedimento
amministrativo dedica una norma ai
“contratti della pubblica amministrazione”, laddove stabilisce che il recesso
unilaterale da essi è ammesso nei
casi previsti dalla legge e dal contratto (art.21 sexies).
L’omissione forse era giustificabile nel 1990, data l'incertezza
(all'epoca maggiore) sulla natura dell'istituto disciplinato. Non è
giustificabile nel 2005, soprattutto se si considera che è stato inserito il
comma 1 bis all'articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo,
che, come già ricordato, fissa la regola che l'amministrazione deve usare gli
strumenti privatistici quando non è diversamente stabilito; senza dimenticare
che già l'originaria disposizione stabiliva la regola dell'applicabilità agli
accordi dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e
contratti.
Evidentemente la doppia omissione è voluta , in quanto ritenuta non
necessaria nell'economia generale del sistema, nell’ambito del quale si inscrive
la disposizione in esame.
Essa non va interpretata in maniera isolata dal sistema generale,
rispetto al quale può svolgere un ruolo di semplice conferma o dettare una
disciplina aggiuntiva , necessaria
per allargarne l’ambito operativo oppure semplicemente
derogatoria.
II. Riprendendo in parte quanto
già esposto e richiamando quanto ritenuto più o meno pacifico in dottrina e in giurisprudenza, alla luce della
legislazione attuale, il sistema dell’attività di diritto privato delle
amministrazioni pubbliche sembra presentarsi nei termini che
seguono.
Giova premettere che una parte importante delle amministrazioni pubbliche
adopera, nello svolgimento della propria attività, il contratto e non il
provvedimento amministrativo.
E’ stato notato che “statisticamente i contratti ad evidenza pubblica
sono una minoranza nell'insieme dei contratti delle amministrazioni pubbliche e
anche sotto l'aspetto qualitativo non sempre sono più importanti. È richiesta la
procedura dell'evidenza pubblica per un contratto di pochi milioni per un ente
locale, mentre non la si richiede per un contratto di molti miliardi di un
grande ente pubblico –impresa”(GIANNINI, op, cit,366). Tant’è che
l'illustre scrittore - nel
suddividere le amministrazioni pubbliche, quanto all'attività di diritto
privato, in tre grandi settori, ossia amministrazioni che agiscono solo con
contratti di diritto privato, amministrazioni che agiscono con contratti e
provvedimenti amministrativi e amministrazioni che agiscono quasi esclusivamente
mediante atti amministrativi - si limita a constatare che in alcuni casi
l'attività di diritto privato è
attività istituzionale, nel senso che è ordinata al raggiungimento di fini
istituzionali di una certa amministrazione; in altri casi i fini istituzionali
si possono conseguire sia con attività rette dal diritto privato e sia con
attività rette dal diritto amministrativo, in posizioni di concorso o di
alternativa. Sicché alla fin fine il problema è quello di vedere quale sia la
situazione giuridica soggettiva del privato quando l'amministrazione agisce con
strumenti privatistici e quali siano in concreto i rimedi
apprestati.
Se già questa era la situazione di fatto, va da se che, soprattutto a
seguito delle modifiche legislative intervenute nel 2005 con la legge n. 15, la
posizione naturale dei soggetti pubblici nell'ordinamento non è più solamente
quella propria della potestà pubblica ma anche quella di autonomia negoziale,
anzi questa viene prima di quella( G. P. CIRILLO, Lezioni di diritto civile
pubblico, Direkta, 68 ss.).
La legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni , non solo è
la stessa che si pone per tutte le
persone giuridiche -
rispetto alla quale la dottrina e la giurisprudenza ormai non esitano ad
affermare che è una capacità giuridica generale - , ma è addirittura più forte,
se non altro perché l'amministrazione, non trovando nessun divieto di legge
(anzi), può scegliere di usare gli strumenti privatistici in alternativa a
quelli pubblicistici e , quindi, anche per questo si presenta come il soggetto
forte della negoziazione.
III. Il quadro generale offerto
consente ora di affrontare il problema specifico, che non è tanto quello di
stabilire l’ ammissibilità o meno del contratto ad oggetto pubblico come figura generale
- ossia la non necessità di una
norma che di volta in volta dia facoltà all'amministrazione pubblica ad usare il
contratto - , quanto piuttosto quello di comprendere se questa figura è
contenuta nella disciplina di cui all'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, oppure essa sia da rinvenire
nel sistema della legge, come
conseguenza della generale capacità di diritto privato della persona giuridica
pubblica; e quindi la disciplina sia quella del contratto in generale contenuta
nel codice civile, adattata alla particolare natura del soggetto
pubblico.
Come già ricordato, l'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 adopera
l’espressione “accordo” e non quella di “contratto”.
E’ a tutti noto che l'accordo è l’in sé del contratto. Tant è che non solo costituisce uno degli elementi
costitutivi del contratto (art.1325
n.1 cod.civ.) , ma rientra nella stessa nozione dell'istituto: <<il
contratto è l’accordo…(art. 1321 cod.civ.). Inoltre la formazione e i vizi del
consenso costituiscono una parte fondamentale del diritto
contrattuale.
Pertanto, si sarebbe tentati di sostenere che la norma in esame
costituisce lo strumento che
introduce nel diritto amministrativo l'istituto del contratto pubblico,
puramente e semplicemente.
Tuttavia non sembra che le cose siano così
semplici.
Infatti l'istituto dell'accordo viene disciplinato nell'ambito del
procedimento amministrativo, che, non solo è stato sempre considerato come
l'unica forma della funzione amministrativa, ma costituisce anche il luogo e la forma di esercizio della potestà
pubblica e dell'interesse legittimo.
Anzi l’accordo è il punto massimo cui si può spingere l’esercizio
dell’interesse legittimo, che è l’insieme dei poteri e delle facoltà predisposti
per l’ottenimento del provvedimento favorevole (G.P. CIRILLO, Il danno da
illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova,
2003, 92).
Pertanto appare semplicistico ritenere che in quell'ambito si è inserita
una norma avulsa dal contesto generale.
Inoltre bisogna considerare che la dottrina migliore ( M. S. GIANNINI,
op. cit, 423 ; E. STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale
e accordi di programma, Milano, 1992) non ha mancato di osservare che
l'accordo procedimentale, ossia quello inserito in una sequenza autoritativa
quale è il procedimento, comporta che la decisione si formi mediante un modulo
consensuale e non, come normalmente accade, mediante la determinazione
unilaterale dell'autorità.
Esso, assumendo rilievo nella fase decisoria , ossia della formazione del
contenuto dell’atto , finisce con l’avere, nel diritto amministrativo, una
valenza e una collocazione specifica, diversa da quella del diritto
civile.
A ciò va aggiunto che nella disciplina pubblicistica l'accordo è
piuttosto sinonimo di patto o convenzione; uno strumento largamente adoperato
nell'ambito di questa disciplina, come già ricordato.
Da esso scaturiscono situazioni giuridiche di obbligo, ossia situazioni
che impongono doveri comportamentali tra i più vari , non sempre predeterminati
rispetto allo scopo comune che si intende raggiungere – lo strumento è adoperato
soprattutto tra amministrazioni - e
non riconducibili alla nozione
tecnica di prestazione, propria dell'obbligazione patrimoniale scaturente dal
contratto di diritto civile, come più volte ricordato.
Tutto questo impedisce di seguire l'opzione, alquanto semplicistica, che
nel caso di specie o si tratterebbe
di un contratto a tutti gli effetti oppure che si tratterebbe di un atto
amministrativo il cui contenuto sia stato negoziato, con la conseguenza che il
regime applicabile sarà o quello proprio del primo o quello proprio del
secondo.
IV. Se si analizza la norma senza
i condizionamenti derivanti dal largo dibattito che l'ha preceduta, e poi
continuato dopo la sua prima versione del 1990, ci si accorge che lo scenario è
completamente mutato.
Infatti , bisogna considerare che l'amministrazione anche quando ha
aperto un procedimento amministrativo non dismette l'altra sua posizioni
giuridica di autonomia collettiva, essendo questa una posizioni naturale
nell'ordinamento generale, al pari di quella potestativa, che è aggiuntiva ed è
propria dei soggetti pubblici.
Questo viene confermato proprio dal fatto che il comma 1 bis, dell’art.11
in esame, consente al responsabile del procedimento di predisporre un calendario
di incontri informali e quindi non procedimentalizzati per concludere gli
accordi di cui al precedente comma 1.
Pertanto nella logica del legislatore il procedimento può diventare
solamente l'occasione, o se si vuole il luogo, dove l'amministrazione matura in
concreto la decisione se esercitare l'autonomia negoziale o la potestà
pubblica.
In questa logica anche il fatto che l'accordo deve essere preceduto da
una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del
provvedimento assume un rilievo diverso.
Infatti il comma 4 bis, dell'articolo 11 in esame, sembra voler salvaguardare sia le competenze
spettanti a ciascun organo rispetto al responsabile del procedimento che agisce
e sia impedire che questi sfugga ad ogni controllo nella scelta di usare
l'accordo anziché il provvedimento, o viceversa.
Inoltre va considerato che il comma in esame, laddove fa riferimento sia
agli accordi integrativi che a quelli sostitutivi , per entrambi i quali
richiede la necessità della previa determinazione dell'organo competente ad
emanare il provvedimento amministrativo, entra parzialmente in contraddizione
con l'impianto generale dell'intera disposizione. Infatti, nel momento in cui
consente l'emanazione degli accordi sostitutivi anche nei casi in cui non vi è
una espressa norma di legge che li preveda, non ha molto senso fare riferimento
all'autorità competente all'emanazione del provvedimento, dato che vi può essere
accordo anche quando non vi sia in concreto la possibilità di una soluzione
provvedimentale.
In altri termini, l'accordo sostitutivo non presuppone necessariamente il
provvedimento sostituito, ma può essere adoperato anche quando non è possibile
ipotizzare nemmeno in astratto il provvedimento. Altrimenti esso finirebbe con
l'essere solamente una forma diversa dell'atto o al massimo una semplice
modalità di formazione di esso, che, nel caso dell'accordo integrativo, si
accompagna o si fonde nell'atto medesimo e, nel caso dell'accordo sostitutivo,
si evita la (tutto sommato inutile) trasposizione di esso nel
provvedimento.
Anzi la soluzione dell'accordo dovrebbe essere adottata proprio laddove
il provvedimento non consente di ottenere il risultato più conveniente per
l'amministrazione, essendo la sfera giuridica coinvolta completamente attratta nell'area della
negoziazione, ossia laddove il provvedimento non può
arrivare.
V. L'ultima notazione
porta direttamente al problema centrale, ossia quello di comprendere la vera
natura del cosiddetto accordo sostitutivo.
Si è già riferito di come la dottrina abbia ritenuto che entrambi gli
accordi disciplinati nel primo comma dell'articolo 11 della legge n. 241 del
1990 abbiano la medesima natura pubblicistica (GRECO, op. cit.,431).
Questo forse è stato dovuto al fatto che l'accordo è stato sempre visto come una
reversibile alternativa al provvedimento, in cui cioè l'amministrazione può
sempre riprendere il procedimento iniziato ed emanare il
provvedimento.
Così come si è già riferito del fatto che il legislatore del 1990
“maneggiò”l’istituto con un certo timore; tant'è che, consentendone l’esercizio solamente nei
casi previsti dalla legge, voleva dire rendere la norma
inutile.
Ora l'eliminazione del limite rende la norma centrale nell'economia del
sistema.
Il fatto che la legge consenta l'uso a tutto campo dell'accordo sostitutivo determina
sul piano operativo che il responsabile del procedimento , qualora valuti che
esso costituisce lo strumento più idoneo per la composizione degli interessi
coinvolti nell'azione amministrativa, e sia stato preventivamente “autorizzato”
dall'autorità competente(e quando già non lo sia egli stesso), può concludere
accordi, che, nella maggior parte dei casi, generano obblighi (reciproci o
unilaterali), ma che possono riguardare profili strettamente patrimoniali e
quindi generare obbligazioni in senso tecnico.
Va da sé che in quest'ultimo caso l'accordo diventa “nelle cose”
contratto in senso tecnico. Senza dire del fatto che, come già visto, molte
amministrazioni usano solo il contratto per l’esercizio delle proprie finalità
istituzionali. Non sono le parti che stabiliscono se l'attività giuridica
compiuta sia da qualificarsi come contratto e se questo sia di diritto privato o
di diritto pubblico, ma è l'ordinamento che ricollega determinati effetti a una data attività
.
In altri termini, costituisce aprioristico schematismo chiedersi se
l'accordo si identifichi con il
contratto di diritto pubblico oppure sia
un contratto di diritto privato, in quanto esso li comprende
entrambi.
Più
semplicemente, il legislatore ha individuato nell'accordo la categoria giuridica
più ampia ed innocua possibile, dalla quale possono nascere obblighi e
obbligazioni; e che può vivere nell'ordinamento isolatamente oppure accompagnato
ad un provvedimento amministrativo.
Naturalmente questo comporta che il giudice debba di volta in volta
qualificare la fattispecie,
individuare la disciplina applicabile e gli strumenti rimediali
adottabili
Il compito ovviamente non è facile, dato che in questa materia le
fattispecie possono essere molto variegate: si pensi al provvedimento il cui
contenuto è interamente desunto da un accordo preliminare; ad un provvedimento che si accompagna ad
una convenzione; ad un accordo isolato da cui nascano doveri in cui viene definito soltanto
l'obiettivo da raggiungere oppure doveri comportamentali specifici; infine, ad
accordi da cui nascano obbligazioni in senso tecnico e che , quindi, sia un
contratto a tutti gli effetti.
Per tutte queste fattispecie c'è una disciplina applicabile comune, ma
anche diversa per ciascuna di esse.
La disciplina comune purtroppo non può essere rinvenuta nelle
disposizioni del codice civile sul contratto e sulle obbligazioni in generale, dato
che l'articolo 11 della legge 241 del 1990 stabilisce che, anziché le norme, si
applicano solamente “i principi del codice civile in materia di obbligazioni e
contratti in quanto compatibili”.
Sicché l'operazione ermeneutica che il giudice deve compiere a fronte di
una fattispecie consensuale pubblica è più complicata, poiché, come per ogni
operazione interpretativa rivolta alla qualificazione di una fattispecie, deve
distinguere la fase formativa , quella della struttura, quella degli effetti e
quella della tutela applicabile.
La fase formativa dell'accordo sembra essere dominata dall'idea che,
essendo il potere amministrativo
irrinunciabile e quindi immanentemente presente, trasfiguri i modi consueti di formazione
e manifestazione del consenso da parte dei soggetti dell'attività
giuridica.
Questo è solo in parte vero, soprattutto se si considera quanto dicemmo a
proposito della vicenda delle concessioni contratto, ossia che fin dall'inizio
esse hanno avuto come centro il contratto e non il provvedimento, sia per la
fase formativa che per quella regolativa del rapporto
concessorio.
Tenendo presente le modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, e in
particolare la calendarizzazione informale degli incontri tra l'amministrazione
e i privati - che può avvenire a
procedimento aperto ma anche in una fase preprocedimentale - è agevole desumere che si può addivenire
all'accordo prescindendo completamente dal procedimento. Questo non significa
che l'amministrazione dismetta la
potestà pubblica di cui è attributaria, bensì che, una volta che c'è stata la
determinazione preliminare all'accordo, può distribuire e calibrare come più gli
conviene la potestà e l'autonomia, tenendo però presente che da quella
distribuzione scaturiscono fattispecie diverse di accordi, che possono giungere
fino al contratto di diritto comune.
Non solo, ma l'amministrazione deve essere consapevole che il principio
fondamentale in materia di contratti, per legge richiamabile,è costituito
proprio dal fatto che l’ accordo genera un vincolo giuridico da cui non ci si
può unilateralmente sciogliere e che il recesso unilaterale è possibile
solamente ove sia previsto dalle stesse parti o dalla legge. Nel caso di specie
la legge stabilisce che questo è possibile solamente per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse e che il suo esercizio comporta l'obbligo di liquidare un
indennizzo per i pregiudizi che si verifichino nella sfera giuridica del
privato. Senza dimenticare la norma, già richiamata, di cui all'articolo 21
sexies, che per i contratti della
pubblica amministrazione fissa la
stessa regola, valevole per i contratti di diritto comune, di cui all'articolo
1373 del codice civile.
VI. Con la caduta del limite
posto agli accordi sostitutivi ad opera della legge n. 15 del 2005, sembra
essersi annullata la distinzione che il GIANNINI stabiliva tra il contratto
sostitutivo e il contratto alternativo ( op. cit.,443).
Come è noto, per il grande scrittore nel primo caso vi è una
determinazione discrezionale dell'amministrazione di scegliere la strada
contrattuale anziché quella procedimentale e quindi agisce come privato; mentre
invece il secondo si fonda sulla determinazione amministrativa di non escludere
l’esercizio della potestà pubblica - peraltro irrinunciabile - di cui è titolare
quando usa lo strumento contrattuale, con la possibilità quindi di poterla
esercitare, nonostante l'impegno assunto nell'accordo, ogni qualvolta è
richiesto da un pubblico interesse
Infatti, se è vero che la
potestà pubblica non è
rinunciabile, essa non lo è mai, neanche a fronte del cosiddetto
contratto alternativo.
In altri termini “l'alternatività” è determinata non dal fatto che
l'amministrazione sceglie di non esercitare la potestà pubblica, bensì dalla
forza giuridica intrinseca dello
strumento prescelto, ossia in
ragione del fatto che “ l’accordo” -
si traduca o meno in contratto - genera un vincolo giuridico da cui non è
possibile sciogliersi unilateralmente.
In questo quadro la persistenza nell’amministrazione della possibilità di esercitare la
potestà pubblica è una mera circostanza di fatto, che incontra il limite del
vincolo giuridico cui si è consensualmente sottoposta.
In conclusione, la vigenza della
regola espressa secondo cui l'accordo sostitutivo è possibile ogni
qualvolta l'amministrazione lo ritiene opportuno;di quella secondo cui i
contratti della pubblica amministrazione sono rescindibili solo quando lo
stabilisce il contratto medesimo o la legge; di quella secondo cui l'accordo è
rescindibili soltanto quando lo richieda la sopravvenienza di un interesse
pubblico, sembrano chiudere il cerchio intorno all'idea che l'accordo
sostitutivo diventa il centro delle relazioni giuridiche amministrative di tipo
consensuale, atteso che esso ricomprende in sé anche il contratto qualora
vengano regolamentati profili patrimonialistici, generanti obbligazioni in senso
tecnico.
9. La struttura e le
condizioni di efficacia dell’ accordo di diritto
pubblico.
I - Gli elementi che compongono
la struttura dell'accordo di diritto pubblico – espressione, questa, che può
sostituire quella contratto di diritto pubblico, in presenza di una norma di
legge che disciplina gli accordi come categoria generale- debbono essere
ricavati sia dall'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 e sia dall'articolo
1325 del codice civile.
Essi sono agevolmente individuabili: a) nel consenso delle parti; b)
nell'oggetto;c) nella forma scritta; d) nel perseguimento del pubblico
interesse.
I primi due sono ricavati dalla seconda disposizione, mentre gli ultimi
due sono ricavati dalla prima.
E’ sufficiente osservare che la forma della manifestazione del consenso è
legata alla natura del soggetto, a seconda che sia pubblico o privato; che
l'oggetto può essere costituito da obbligazioni di diritto privato o da obblighi
di tipo pubblicistico; che la forma scritta è prevista ai fini della validità
dell'accordo ed è soggetta a trascrizione, secondo quanto già accade per le
convenzioni di lottizzazione.
Quanto al perseguimento del pubblico interesse, previsto dall'articolo
11, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il confronto con la causa del
contratto di diritto privato è inevitabile.
Sono note le discussioni della dottrina meno recente se la causa
rientrasse o meno tra gli elementi costitutivi del provvedimento amministrativo
e di come la dottrina più recente sembra averlo definitivamente
escluso.
Naturalmente l'accordo non è un provvedimento amministrativo. Anzi, in
quanto sembra avvicinarsi al contratto, pur assurgendo a istituto avente dignità
di categoria generale, impone qualche considerazione sul rapporto tra causa e
pubblico interesse.
La dottrina che si è occupata del tema sembra aver escluso ogni
accostamento tra i due istituti, senza averne spiegato troppo le ragioni
(F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano 2005,
2204).
Indubbiamente il tema è molto spinoso e merita uno studio
specifico.
L’impressione è che, quale che sia la concezione da preferire
sull'istituto della causa, ogni accostamento appare incongruo, atteso che quando
entra in gioco il pubblico interesse viene in rilievo il motivo, ossia la
ragione per cui l'amministrazione si è determinata ad agire. Ed è noto che nella
scienza civilistica esso si differenzia dalla causa ed è normalmente
irrilevante. Così come è noto che la migliore dottrina amministrativistica ,a
proposito del provvedimento amministrativo, ritiene che il motivo di pubblico
interesse “non è un elemento esterno al provvedimento, ma un modo di essere
relazionale dell’oggetto” (GIANNINI, op. cit.,251).
A noi sembra che anche in tema di accordi, l’oggetto, ossia il suo
contento, diventa l'elemento centrale, non solo per stabilire quale sia il
concreto contenuto e i conseguenti effetti giuridici, ma soprattutto per
verificare se è stato realizzato interesse pubblico primario dato in
attribuzione all'amministrazione che ha agito.
Sicchè, l'unica notazione che allo stato dell'elaborazione dottrinaria si
può fare consiste in ciò, che l'accordo si può definire completo solamente
se in esso è riscontrabile
l’effettiva esistenza di un pubblico interesse concreto, cosi come fissato dalla
norma quando ne ha attribuito la
cura all'amministrazione che agisce.
II - Sorge il problema degli effetti
dell'accordo rispetto ai terzi.
L'articolo 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce
espressamente che l’ amministrazione può concludere accordi “senza pregiudizio
dei diritti dei terzi”.
Allo stato la dottrina sembra dividersi in due orientamenti: quella che,
ritenendo la natura pubblicistica degli accordi, fa discendere direttamente
dall'inciso di legge la limitazione degli effetti ai soli sottoscrittori
dell'accordo, con la conseguenza che la sua inosservanza genera in ogni caso
illegittimità, tutelabile innanzi al giudice amministrativo entro il termine
decadenziale; e quella che, sostenendo la natura privatistica degli accordi,
ritiene che l'inosservanza del precetto conduce, in caso di accordo integrativo,
alla nullità dello stesso per violazione di norme imperative di legge, ai sensi
dell’art. 1418 del codice civile, mentre nel caso di accordo sostitutivo la
sanzione sarà quella dell'inefficacia rispetto ai terzi degli effetti negativi,
ai sensi degli artt. 1372 e 1411 del codice civile.
A nostro parere, si è data eccessiva importanza all'inciso contenuto
nella norma , in quanto, anche se la legge avesse taciuto,costituisce principio
di carattere generale che sia il provvedimento amministrativo e sia il contratto non producono effetti
rispetto ai soggetti che non siano stati ,rispettivamente, coinvolti nella
negoziazione o nel procedimento amministrativo; e che l'articolo 1372, comma 2,
del codice civile è solo l'espressione di tale principio generale e serve
unicamente ad avvertire l'interprete che in taluni casi la regola subisce eccezioni.
Quanto alla tutela possibile,
diventa centrale stabilire la natura della situazione giuridica
soggettiva lesa dall'accordo, ossia se il terzo sia titolare di un interesse
qualificato o di un diritto soggettivo, dovendosi comunque aprire il giudizio in
via esclusiva, nell'ambito del quale continua ad operare la distinzione tra
diritti e interessi, ai fini della determinazione del termine decadenziale
o prescrizionale. Sembra esserci
giurisdizione esclusiva anche
quando ad impugnare l'accordo siano i terzi, dato che comunque essi subiscono
concreto nocumento solo quando vi è l’ esecuzione dell’accordo, che, in virtù
dell'articolo 11, comma 5 , della
legge n. 241 del 1990, rientra pacificamente in quella
giurisdizione.
Qualora il nocumento derivi direttamente dall'accordo sembra preferibile
ritenere che esso semplicemente non abbia efficacia per il
terzo.
Diverso è il caso in cui dall’accordo derivino effetti
favorevoli.
Va premesso che, secondo l’impostazione da noi data, l’accordo
rappresenta una categoria generale e quindi bisogna guardare al suo contenuto
concreto, che può essere rappresentato da un vero e proprio contratto o da un
semplice programma da realizzare in futuro da parte dei sottoscrittori.
Così procedendo, se gli effetti sono diretti la vicenda è quella propria
del contratto a favore di terzo (art. 1411 cod. civ.), essendo questi titolare
di un diritto ; viceversa nel caso di effetti indiretti, dove la vicenda sembra
essere quella propria dell’ interesse pretensivo.
10. La preventiva determinazione
amministrativa all'uso dell'accordo da parte del responsabile del procedimento
.
Occorre brevemente dire del
nuovo istituto introdotto dall’art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990,
già ad altro fine ricordato.
La norma stabilisce:
<<A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione
amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude
accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è
preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l
‘adozione del provvedimento>>.
Il nuovo istituto è stato
previsto in ragione del fatto che l’uso
indiscriminato dell'accordo sostitutivo potesse costituire un attentato
all'imparzialità e alla trasparenza dell'azione
amministrativa.
Esso non sembra rientrare
gli elementi costitutivi dell'accordo, nè sembra che la sua presenza determini
anche quella della sussistenza dell'interesse pubblico perseguito, che invece va
desunto dal concreto contenuto dell'accordo realizzato.
Pertanto sembra da
collocarsi tra i presupposti soggettivi dell’atto.
Presenta molte analogie con
la deliberazione a contrattare prevista dalla procedura per la stipula di
contratti ad evidenza pubblica, che però ha rilevanza meramente interna, al
contrario dell'istituto in esame, che, in quanto atto proprio dell’autorità che
sarebbe competente per l'adozione del provvedimento – ossia attinente la persona
che agisce o dovrebbe agire -, finisce con l'assumere rilievo già nella fase
della negoziazione dell'accordo. Quindi anticipa le possibilità di tutela del
privato già nella fase precedente la conclusione dell'accordo
medesimo.
Sembra potersi richiamare a
proposito della natura di tale istituto
quello del negozio concluso dal falsus procurator , la cui assenza determina l'inefficacia
accordo, con il vantaggio che, ove
comunque sussista la realizzazione dell'interesse pubblico, è
suscettibile di ratifica da parte dell'autorità competente (peraltro questo
inquadramento risale ad una dottrina autorevole, manifestatasi a proposito
dell'istituto della deliberazione a contrattare, ossia A.M. SANDULLI, Deliberazione di negoziare e negozio di
diritto privato della pubblica amministrazione, in Riv.trim. dir. e
proc. civ.,1965 ,1). Anche se sul punto va registrato l'orientamento
della Corte di cassazione – Cass. 9 gennaio 2002, n.193, in Rass. Loc., fasc. 2,166 – in base al quale il venir meno della
deliberazione attraverso cui si è manifestata la volontà dell’ente rende nullo
il contratto per assenza del requisito dell'accordo delle parti. Si afferma così
la nullità e non la semplice annullabilità del contratto concluso dalla pubblica
amministrazione, qualora la delibera a contrarre sia stata annullata in sede di
controllo.
La ratio dell'istituto sembra non escludere
una capacità lesiva diretta dell’interesse del privato, laddove il responsabile
del procedimento ometta di iniziare la negoziazione in presenza di una istanza espressa dello stesso. Le
controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
versandosi nella fase della conclusione dell’ accordo.
11. L'inadempimento dell'accordo
e la tutela giurisdizionale
Anche a proposito della
patologia dell'accordo, la dottrina, oscillando tra coloro che ne ravvisano la
natura pubblicistica e coloro che ne ravvisano la natura privatistica, si divide
tra i primi, che ritengono gli
strumenti di tutela siano gli stessi del provvedimento amministrativo, e i
secondi, che ritengono siano gli stessi del contratto.
In realtà l'analisi è
viziata da aprioristico schematismo, dovuto soprattutto al fatto che
l'amministrazione non ha avuto modo di concludere molti accordi sostitutivi ,e
quindi chi scrive di essi non può fare affidamento sull'esperienza concreta,
così come accade per i contratti di diritto privato .
Invece la sia pur scarsa
esperienza concreta dimostra come il contenuto dell’accordo possa essere vario
ed articolato.
Normalmente esso non prevede
prestazioni da obbligazioni in senso tecnico, bensì obblighi in capo ai vari
sottoscrittori, che, ove adempiuti, realizzano il perseguimento del pubblico
interesse per il soggetto pubblico e il conseguimento del bene della vita in
attribuzione della pubblica amministrazione per il
privato.
L’ accordo si atteggia a
strumento neutro, con il quale si può conseguire lo stesso risultato che si può
ottenere con il contratto o con il provvedimento.
Da ciò discende che, non
avendo la legge previsto - tranne il recesso per ragioni di pubblico interesse
- strumenti di tutela specifici,
essi non potranno che essere gli stessi dell’uno o dell’altro, a seconda del
concreto contenuto dell'accordo. In tal caso il giudice dovrà muoversi alla luce
sia del principio costituzionale della effettività della tutela – e quindi
accordare lo strumento più adatto a far conseguire il bene della vita al
soggetto adempiente – e sia della regola che anche l'amministrazione, una volta
concluso l'accordo, è sottoposta al vincolo giuridico che da esso nasce, ed è
tenuta all'adempimento dell’obbligo suo proprio.
Potenzialmente sono
azionabili tutti gli strumenti di tutela compatibili con il concreto assetto
degli interessi così come composti nell'accordo, ossia l'azione di adempimento,
l'azione di risoluzione, l’azione di risarcimento del danno da inadempimento o
da provvedimento illegittimo, l’azione di adempimento in forma specifica
dell'obbligo discendente dall'accordo preparatorio ad adottare il provvedimento,
l'azione di nullità e di annullamento per vizi intrinseci dell’atto, l'azione di
responsabilità precontrattuale, l'azione di annullamento per l'esercizio
illegittimo del recesso e delle altre forme di autotutela. Senza dimenticare che
è il soggetto leso ad individuare lo strumento che più gli conviene
azionare.
La tutela giurisdizionale
non può che essere quella esclusiva del giudice amministrativo, fissata per
legge, sia a tutela delle parti e sia a tutela dei terzi, come già visto. La
struttura dell'accordo può comportare che l’ azione venga proposta
dall’amministrazione e il privato o altra amministrazione resistano. Ciò è
compatibile con la natura della giurisdizione esclusiva, dove vi può essere un
giudizio non a parte pubblica necessaria.
E’ compatibile anche il
giudizio arbitrale in presenza di un diritto soggettivo e a fronte di una
domanda risarcitoria.
In realtà il giudizio
arbitrale sembra potersi estendere a tutte le altre forme di tutela, tranne
quelle in cui si tratta di
stabilire della legittimità dell'azione amministrativa, in quanto il comportamento dell'amministrazione
rimasto inadempiuto, essendo predefinito
nella clausola fissata nell’accordo, non comporta l'invasione da parte
del giudice nel campo riservato all'amministrazione; e questo anche quando
l'adempimento si sarebbe dovuto realizzare attraverso l'emanazione di atti
amministrativi, essendo venuta meno , con la nascita dell'obbligo, ogni
discrezionalità, quanto meno in riferimento all’an del
provvedimento.
Peraltro le ragioni or ora
indicate a proposito dell’arbitrato sono le stesse poste a base della
convinzione, precedentemente espressa, che l'ordinamento consenta in materia di
accordi la più ampia tutela possibile, ossia quella di poter usare sia gli
strumenti del diritto civile che quelli del diritto amministrativo, essendo
definitivamente venute meno le ragioni che dividevano in compartimenti, separati e non
comunicanti, i due settori dell’ordinamento.
12. Il collegamento funzionale
tra il provvedimento amministrativo e il contratto nella vicenda relativa agli
effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione di gara sulla sorte del
contratto.
Se il presente lavoro fosse
da inserire in un'opera di diritto amministrativo si dovrebbero ora prendere in
considerazione anche gli istituti degli accordi tra amministrazioni pubbliche,
di cui all'articolo 15 della legge n. 241 del 1990, e degli accordi di
programma, di cui all'articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000 sugli
enti locali. Ma la disamina può essere omessa, sia perché essi appartengono
tradizionalmente al diritto
amministrativo in senso stretto e sia perché i problemi di impostazione teorica sono gli stessi
già visti a proposito degli accordi.
Invece, dopo aver analizzato
possibile rapporto tra il provvedimento e il negozio e di come essi possono
fondersi nell’unica figura dell'accordo, è molto più interessante svolgere
alcune considerazioni sul rapporto che si instaura tra gli stessi istituti,
nell'ipotesi in cui però rimangono completamente separati, producendo gli
effetti giuridici loro propri, anche se in un rapporto di collegamento
funzionale.
Si tratta della nota vicenda
degli effetti derivanti dall'annullamento del decreto di aggiudicazione - che conclude il procedimento della
evidenza pubblica - sul successivo contratto di diritto privato (appalti,lavori,
forniture e così via), concluso con il contraente privato e individuato mediante
il suddetto procedimento.
Il problema è venuto alla
ribalta della giurisprudenza degli ultimi anni.
Tradizionalmente la dottrina
e la giurisprudenza della Corte di cassazione hanno ritenuto che gli atti
amministrativi che precedono la stipulazione dei contratti di diritto privato
della pubblica amministrazione sono mezzi di integrazione della capacità e della
volontà dell'ente e pertanto i loro vizi si traducono in vizi della volontà e
comportano l'annullabilità del contratto, deducibile soltanto dall'ente pubblico
medesimo.
La tesi si fondava sul
presupposto che il procedimento dell’ evidenza pubblica avesse come funzione
quella di tutelare l'interesse della pubblica amministrazione e non del privato;
da ciò la conseguenza della annullabilità relativa.
Dopo l'emanazione della
legge n. 205 del 21 luglio 2000, la dottrina ha messo in discussione proprio il
presupposto su cui si fondava la tesi tradizionale, ossia che il procedimento
dell'evidenza pubblica avesse la funzione di tutelare unicamente il soggetto
pubblico, mentre invece, così come già accadeva nell'ordinamento comunitario,
esso era posto anche a tutela delle imprese che vi prendevano parte ( M. LIPARI,
L’ annullamento dell'aggiudicazione e la
sorte del contratto tra nullità, annullabilità ed inefficacia: la giurisdizione
amministrativa e la reintegrazione in forma specifica, in Dir e formazione,
2003,245; L. VALLA, Annullamento della procedura di evidenza a monte e sorte
del contratto a valle: patologia o inefficacia, in Urb. e app. n. 1, 2004;
F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2005,
439).
La giurisprudenza del
Consiglio di Stato ( Sentt. ,VI, 5 maggio 2003, n: 2332; 28 maggio 2004 n. 3465;
29 novembre 2003 n. 7470) ha recentemente abbandonato l’ormai ventennale
orientamento dell'annullabilità del contratto.
Infatti ha ritenuto che le
norme del procedimento amministrativo non solo avessero la funzione di
proteggere tutti i soggetti
partecipanti, ma che fossero delle prescrizioni aventi carattere imperativo, la
cui violazione da parte dell'amministrazione terminerebbe una causa di nullità
virtuale, i sensi dell'articolo 1418 , comma 1, del codice civile, con la
conseguenza che anche i soggetti privati sarebbero legittimati a proporre
l'azione ai sensi dell'articolo 1421 del medesimo codice.
Lo stesso giudice ha
ritenuto che fosse più conforme ai principi comunitari e a quello della
effettività della tutela l’impostazione secondo cui l'aggiudicazione costituisce
il presupposto determinante della stipulazione. Quindi, l’inefficacia dell'atto
amministrativo travolto dall'annullamento retroattivo giurisdizionale comporta
la caducazione automatica degli effetti del negozio, non necessitante di alcuna
pronuncia giurisdizionale costitutiva.
Il giudice ha chiarito,
inoltre, che l'annullabilità pare ispirata ad un'artificiosa distinzione tra
fase amministrativa di selezione del contraente e momento strettamente negoziale
della vicenda; tanto che l'aggiudicazione potrebbe anche essere riguardata come
manifestazione di volontà negoziale della pubblica amministrazione in ordine al
contratto da stipulare e al soggetto con il quale concludere il
contratto.
Delle impostazioni riferite
appare più convincente la soluzione
dell'efficacia caducante , sia in quanto è difficile sostenere che il contratto
sia nullo, non essendo affetto da vizio proprio, e sia perché il diritto
amministrativo, da prima che si affermasse anche nel diritto civile, già
conosceva il fenomeno del collegamento tra atto amministrativo e contratto, facendo una larga applicazione della
regola secondo cui le vicende relative al primo influissero sui destini del
secondo, come già visto a proposito delle concessioni
contratto.
In un'altra sentenza , il
supremo giudice amministrativo, ponendosi il problema della tutela dei terzi che
hanno fatto affidamento sul contratto inefficace, ha ritenuto che si tratti di
inefficacia relativa, richiamando gli articoli 23 e 25 del codice civile,
laddove, a proposito delle associazioni e fondazioni, stabiliscono che
l'annullamento della deliberazione formativa della volontà contrattuale
dell'ente “non pregiudica i diritti acquistati dei terzi in buona fede in base
ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”.
La
questione della sorte del contratto di appalto a seguito dell’annullamento
giurisdizionale dell’aggiudicazione, era stata deferita all’esame dell’adunanza
plenaria. Essa non si è tuttavia finora pronunciata sulla questione della sorte
del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in quanto nel
giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 3355/2004 vi è stata rinuncia al
ricorso, mentre nel giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 104/2005 del
Cons. giust. sic. la plenaria ha respinto il ricorso di primo grado avverso
l’aggiudicazione (Comunque chi voglia approfondire la posizione della
giurisprudenza, ivi compresa quella della Corte di cassazione, veda: F.
CARINGELLA-R. DE NICTOLIS-R.GAROFOLI-V.POLI Il ripartodi giurisdizione,Milano
2008,part.II,cap.2, 2^ edizione, in corso di preparazione).
Il tema meriterebbe ben altri approfondimenti.
Tuttavia, a chiusura del
capitolo, si è voluto offrire un quadro sommario del tema e delle soluzioni
giurisprudenziali, non solo per la sua importanza, ma anche per offrire in
maniera plastica un esempio
illuminante di come il diritto civile e il diritto amministrativo vadano sempre
più fondendosi e trasformandosi.
(Consigliere di
Stato)
*Lo
scritto è destinato a confluire nel Manuale di diritto civile e commerciale,
diretto da N. LIPARI, P.
RESCIGNO e C. ANGELICI di prossima pubblicazione per i tipi della
Giuffrè.