Gianpiero Paolo Cirillo

 

I CONTRATTI E GLI ACCORDI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE*

 

 

 

1. Premesse di carattere generale.

Anche in un'opera esclusivamente civilistica non può essere pretermesso un capitolo dedicato all'attività contrattuale della pubblica amministrazione, atteso che già da molti anni si era affermato il principio – ora  diventato diritto positivo- che anche i  soggetti di diritto pubblico, in quanto dotati di autonomia negoziale al pari di ogni altro soggetto, possono fare uso del  contratto e comunque , almeno potenzialmente, di tutti gli strumenti di diritto privato ritenuti di volta in volta tecnicamente idonei  alla cura dell'interesse pubblico dato loro in attribuzione.

Peraltro l'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni (basti pensare alle opere pubbliche)  costituisce un fondamentale capitolo dell'economia generale del nostro Paese e comunque dei traffici giuridici.

Sicuramente gioveranno alcune premesse di carattere storico giuridico.

Alle origini dello Stato a diritto amministrativo l'attività privata delle amministrazioni pubbliche era quella con cui esse provvedevano a se stesse. Tale attività-che non va confusa con l'attività di diritto privato, che è attività amministrativa in senso proprio ,al pari di quella  di diritto amministrativo in senso stretto-non veniva impiegata per la cura di interessi pubblici e pertanto veniva dispiegata sotto l'impero del diritto comune.

Tuttavia, già nell'800, essendosi molto ridotto  il peso delle entrate patrimoniali a tutto vantaggio di quelle tributarie, si ritenne che anche l'attività privata delle amministrazioni pubbliche dovesse sottostare alla disciplina  cui era assoggettata l'attività di diritto pubblico, in quanto in entrambi i casi vi era spendita di pubblico danaro. Sicché anche questa attività gradualmente fu attratta nell'area del diritto pubblico ed oggi si può dire che sia quasi scomparsa, almeno nei termini in cui fu conosciuta ai primordi dell’ attività amministrativa degli Stati continentali (il primo che ha attirato l'attenzione sull'attività privata dell'amministrazione pubblica è stato l’AMORTH, Osservazioni sui limiti dell'attività amministrativa di diritto privato, in Arch. Dir. Pubbl.,1938,455.

Naturalmente non era agevole dare carattere funzionale all'attività di diritto privato e tuttavia accadde che si ebbe una pubblicizzazione dei rapporti originariamente privati: non a caso i servizi di trasporto gestiti dai pubblici poteri furono configurati come concessioni ,al pari di talune locazioni di immobili che divennero concessioni su beni  pubblici.

Come è stato autorevolmente notato (GIANNINI, Diritto amministrativo, vol.II, Milano 1993,344), ciò che restava dell'attività di diritto privato era considerata prevalentemente come un'attività alternativa all'attività di diritto amministrativo in senso stretto; nel senso che, ad esempio, se l'amministrazione pubblica  aveva bisogno di un'area la poteva acquistare o espropriare.

Successivamente, man mano che l'organizzazione dello Stato andava modificandosi, attraverso l'introduzione degli enti pubblici economici e delle imprese pubbliche, vaste aree di attività di amministrazioni pubbliche  furono sottoposte al regime di diritto privato.

Le amministrazioni sperimentarono che agire attraverso strumenti privatistici non comportava nessuno scompenso. Sicché divenne lentamente normale che le amministrazioni pubbliche svolgessero attività amministrativa di diritto pubblico e attività amministrativa di diritto privato, indifferentemente.

La medesima dottrina ha osservato che, in tempi ancora più vicini, sulla scorta di quanto accadeva negli Stati Uniti, in Inghilterra , in Francia e in Germania, è stato introdotto anche in Italia un impiego sempre più largo dello strumento convenzionale, nella convinzione che strumenti fondati sul consenso siano preferibili a strumenti fondati sull'autorità. Questo modo di procedere –osserva ancora GIANNINI-  si è concretizzato soprattutto in due vicende: a) l'introduzione di nuove figure di strumenti convenzionali,  ossia nell'estensione dell'accordo e del contratto anche ai rapporti non aventi contenuto patrimoniale ,bensì a rapporti concernenti attività da svolgere ;b) la semplificazione dei procedimenti per la contrattazione pubblica, laddove quest'ultima  -consolidatasi nel contratto ad evidenza pubblica, che è un procedimento contrattuale in parallelo con un procedimento amministrativo- ha visto via via ridursi lo spazio di quest’ultimo a tutto vantaggio del primo.

Certo è che per questa via si è affermata la convinzione che la funzione pubblica non esaurisce le possibili articolazioni dell'azione amministrativa ed è penetrata nel diritto positivo l'idea che la pubblica amministrazione, oltre alla naturale posizione di potestà, assume nell'ordinamento anche quella, propria di tutte le associazioni private, di autonomia negoziale. Sicché essa svolge anche attività articolata in moduli convenzionali , che è sempre espressione di potestà pubblica al pari dell'attività amministrativa  in senso stretto, nonostante usi degli strumenti normativi privatistici, come già si è avvertito.

La migliore dottrina - laddove ha risolto il complicato rapporto tra interesse pubblico, legalità e diritti fondamentali in rapporto all'attività di diritto privato, nonché l'annoso problema della legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni - ha in un certo qual modo preparato il terreno alla fondamentale legge sul procedimento amministrativo.

Il processo storico sembra essersi compiuto soprattutto con l'ultima riforma introdotta dalla legge 19 febbraio 2005, n.15, laddove, nell'arricchire il novero dei principi generali cui si deve uniformare l'attività amministrativa,  stabilisce che la pubblica amministrazione, nell'adottare atti di natura non autoritativa, deve agire secondo le regole del diritto privato,  finendo cosi con l’invertire il principio che aveva governato per due secoli l'attività amministrativa.

Con la medesima legge si è riformato anche l'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, riguardante gli accordi procedimentali, e su cui torneremo diffusamente.

Nella medesima direzione è andata anche la riforma del titolo V della Costituzione, laddove ha introdotto il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo 118.

Vanno ricordati anche i principi e le norme del diritto comunitario, soprattutto quelle in materia di appalti servizi e fornitura; e in particolare il processo di identificazione tra l’istituto della concessione e quello dell’appalto.

Tuttavia il processo più profondo, per chi voglia ricercare le cause del processo di privatizzazione dei rapporti di diritto amministrativo, si è avuto a seguito della modifica strutturale della soggettività pubblica. Con l’affermasi sia del principio della neutralità delle formule organizzatorie - la figura introdotta dal diritto comunitario “dell’organismo di diritto pubblico” è  da considerarsi esemplare - e sia di quello, anch’esso di derivazione comunitaria, della c. d. “pubblicità reale”, diventa naturale assistere al fenomeno per cui società aventi forma privata, e che agiscono quindi con lo strumento del contratto, curano legittimamente l’interesse pubblico  , usando il procedimento dell’evidenza pubblica e soggiacendo alla giurisdizione del giudice amministrativo ( chi voglia approfondire il tema degli attuali confini e il superamento della dicotomia tra il diritto civile e il diritto amministrativo veda l’intelligente e dotta disamina di G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003; sul ruolo che ha avuto nel processo di privatizzazione il diritto comunitario si veda l’ottimo studio di C. FRANCHINI, Amministrazione italiana e amministrazione comunitaria, Padova,1993).

 

 

 

2.      Quadro generale dei contratti delle amministrazioni pubbliche.

Il contratto rimane il principale strumento utilizzato dalle amministrazioni nello svolgimento dell'attività amministrativa di diritto privato.

Come insegna dottrina autorevole (GIANNINI, op.cit.,356), i contratti conclusi dalle pubbliche amministrazioni si dividono in tre grandi categorie.

La prima è costituita dai cosiddetti contratti ordinari, o di diritto comune, e sono quei contratti che non subiscono modificazioni per il fatto che una delle parti sia un'amministrazione pubblica. I contraenti sono su un piano di perfetta parità.

La seconda categoria è costituita dai contratti cosiddetti speciali, nel senso che sono dei contratti retti da norme  di diritto privato, in cui, accanto alle norme  del codice civile, vi è l'applicazione di norme pubblicistiche, con le quali normalmente si attribuiscono poteri speciali alla pubblica amministrazione. Si pensi all'appalto di opere pubbliche, all'appalto di servizi o al contratto di fornitura. E’utile ricordare come fu proprio questo gruppo di contratti che, fin dalla fine del 1800, cominciò a ricevere modificazioni rispetto ai corrispondenti tipi contrattuali regolati dal codice civile. Non a caso qualcuno ha dubitato che conservassero la specie contrattuale privatistica.

Tuttavia la giurisprudenza della corte di Cassazione è stata sempre decisa nel riaffermarla.

Essi sono ora disciplinati dal Codice dei contratti pubblici, contenuto nel decreto legislativo 11 aprile 2006, n.163.

La terza categoria è costituita dai contratti ad oggetto pubblico, o di diritto pubblico. E’ preferibile la prima espressione, suggerita da GIANNINI ed ora largamente entrata nell'uso del linguaggio comune, in quanto essa indica in maniera plastica l'idea di contratti che non possono essere conclusi che da amministrazioni pubbliche. La loro caratteristica fondamentale è che essi sono collegati a provvedimenti amministrativi, dei quali costituiscono un complemento necessario. Il provvedimento amministrativo può integrare il contratto o sostituirlo.

A loro volta i contratti ad oggetto pubblico si ripartiscono in tre categorie: contratti accessivi a provvedimenti, contratti ausiliari di provvedimenti, contratti sostitutivi di provvedimenti.

Premesso che su questo torneremo, è utile ricordare l‘avvertenza di GIANNINI, ossia che i contratti ad evidenza pubblica non formano una categoria come quelle or ora dette. Il contratto ad evidenza pubblica costituisce una categoria procedimentale, contraddistinta da una particolare procedura di conclusione del contratto, che può essere applicata ai contratti ordinari, speciali e ad oggetto pubblico.

In questa sede non ci occuperemo ovviamente del contratto (meglio del procedimento) ad evidenza pubblica, che costituisce un fondamentale capitolo del diritto amministrativo.

Invece verranno presi in esame  degli istituti che più di altri costituiscono l'espressione della partecipazione del privato all’ attività amministrativa, ossia il cosiddetto contratto di diritto pubblico e  gli accordi tra il privato e la pubblica amministrazione, nonché il complicato rapporto tra i due istituti che sembra essere andato nella direzione di una sostanziale identificazione. Ovviamente sullo sfondo si stagliano le tematiche legate alle interconnessioni tra l'atto amministrativo e il negozio giuridico.

 

 

 

3.      La vicenda delle concessioni- contratto .

Chiunque voglia indagare la storia della “ contrattualità amministrativa” deve necessariamente fare riferimento alla storia delle concessioni amministrative, e in particolare all'istituto della cosiddetta concessione-contratto; figura, questa, interamente creata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.

La concessione - contratto costituisce anche l'istituto, dove più che in altri, la giurisprudenza pratica la dottrina e la prassi delle amministrazioni hanno modellato, talvolta con sapiente fantasia, il rapporto tra atto amministrativo e contratto, ora inclinando per una prevalenza assoluta del primo sul secondo, ora riducendo la concessione ad una mera clausola contrattuale contenente la condizione di efficacia del negozio.

Nella sistemazione di GIANNINI, di cui al paragrafo precedente, le concessioni- contratto rientrano nei cosiddetti contratti di diritto pubblico accessivi e sono ‘costituiti da quei  moduli convenzionali nei quali il provvedimento sarebbe di per sé fonte di obbligazioni, e per meglio disciplinare questi, al provvedimento si usa accompagnare un contratto che contiene la disciplina di specie delle obbligazioni’(GIANNINI, op. cit.,431).

Questo modulo convenzionale è stato utilizzato soprattutto nelle concessioni a privati di beni pubblici e nelle concessioni di servizi pubblici.

Questo istituto è caratterizzato dalla compresenza di un provvedimento di concessione, in cui l'amministrazione conserva il suo carattere di autorità, ed una convenzione collegata al provvedimento, che può essere precedente concomitante o successiva all'emanazione della concessione.

La dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto indagare sulla natura del collegamento tra provvedimento e contratto. Sostanzialmente sono arrivate alla conclusione che il primo condiziona l'esistenza del secondo e non viceversa.  Anche se le controversie hanno riguardato, almeno in passato, piu’ che gli effetti della declaratoria di nullità o l'annullamento di clausole del contratto sul provvedimento, questioni legate ai canoni da versare all'amministrazione o all'esercizio illegittimo della revoca della concessione da parte di quest’ultima, con le relative questioni di giurisdizione,che ora non possono essere nemmeno ricordate.

E’utile segnalare che nella prassi amministrativa contratto e provvedimento costituiscono ora fattispecie separate, sia pure collegate ( si pensi ai mutui agevolati concessi solo in presenza di autorizzazioni amministrative), ora fattispecie in cui il ruolo del contratto è assolutamente dominante (si pensi alle concessioni di servizi pubblici, in cui il cosiddetto contratto di servizio finisce con il disciplinare l'intero rapporto, laddove prevede una serie disparata di prestazioni dell'impresa concessionaria a fronte dell'amministrazione che si limita a riscuotere le contribuzioni).

Mentre in Francia, sulla base di precise disposizioni di diritto positivo, sia i contratti di uso di beni che i contratti di servizio vengono inclusi tra i contrats administrafs, in Italia è prevalsa, per lungo tempo, la dottrina , facente capo a RANELLETTI, secondo cui le concessioni erano da ritenere atti amministrativi ad effetti bilaterali.

Fortunatamente la giurisprudenza dei giudici civili non ha seguito questa impostazione ed ha applicato al rapporto patrimoniale le norme sulle obbligazioni e sui contratti, fino a delineare la figura della concessione -contratto, come già ricordato.

All'inizio il problema del riparto delle giurisdizioni è stato risolto nel senso che al giudice civile spettavano le controversie concernenti il rapporto contrattuale, mentre al giudice amministrativo quelle concernenti provvedimenti amministrativi emessi nel rapporto amministrativo, anche se direttamente incidenti sul contenuto del rapporto contrattuale. In particolare le controversie relative alla revoca della concessione spettavano alla giurisdizione amministrativa ,mentre invece quelle relative alla declaratoria di decadenza per grave inadempimento al giudice civile, trattandosi di atto che interessa materia di adempimento di obbligazioni. Ora il diritto positivo è mutato.

Va comunque ricordato che la dottrina ha finito col ripudiare l'impostazione del RANELLETTI e, trovando più convincente la costruzione giurisprudenziale, ha tentato di elaborare una dogmatica degli atti negoziali della pubblica amministrazione e del rapporto tra l ‘atto amministrativo e il contratto (si veda :G. LANDI, La concessione amministrativa con clausola di esclusiva, Milano, 1956 ; F. GULLO, Provvedimento e contratto nelle concessioni amministrative, Padova,1965 e ,più recentemente, L.V. MOSCARINI, Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, Milano1988.

Rimane comunque fondamentale uno studio, quello di M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, Napoli, 1981, con una splendida prefazione di Pietro  Rescigno, dove l'autore prende in considerazione le specifiche concessioni praticate dalle amministrazioni, cui unisce una puntuale disamina storica  della dottrina e della giurisprudenza pratica, fondando cosi’ sull’analisi della prassi un'ipotesi di ricostruzione dogmatica.

Lo studio di D’ALBERTI è importante, in quanto dimostra ,da un'analisi concreta della pratica amministrativa ,che il termine” contratto ad oggetto pubblico” può essere si’ utilizzato per denominare i contratti di concessione, dato che esso non può essere utilizzato nelle contrattazioni private, essendo appunto l'oggetto riservato all'amministrazione concedente. Tuttavia, esso non costituisce una categoria concettuale giuridica , in quanto nella maggior parte dei casi le fattispecie non sono composte da contratto e provvedimento  - cosa, che nelle più autorevoli ricostruzioni dottrinarie sembrava essere il tratto caratteristico dell ‘istituto - , poiché nel concreto il contratto finiva con l’essere  l'unico atto costitutivo dei principali rapporti di concessione.

Da qui, come dopo vedremo, l'incontro tra il contratto di diritto pubblico e gli accordi procedimentali.

 

 

 

4.      Il contratto di diritto pubblico.

Occorre prima  dire del contratto di diritto pubblico.

Per molti anni la dottrina amministrativa ha ragionato intorno all'istituto, arrivando a formulare le costruzioni più diverse.

Anzi se si guarda all'amministrazione per accordi nel suo insieme, si nota che essa comprende una notevole varietà di figure, tipizzate proprio attraverso un lavoro assiduo della dottrina e della giurisprudenza. Tali figure sono : patti politici, patti amministrativi, accordi organizzativi, accordi procedimentali, contratti di diritto comune ,contratti ad evidenza pubblica, contratti ad oggetto pubblico, contratti sostitutivi di provvedimenti. Se poi a ciò si aggiunge anche il fenomeno della cosiddetta contrattualizzazione semplificata, cioè quella in cui il procedimento di evidenza pubblica è molto ridotto (si pensi alla concessioni di costruzione e gestione e alla nuova figura del contraente generale) il quadro diventa davvero molto variegato.

Nel quadro vanno ricomprese tutte quelle forme associative realizzate dagli enti locali mediante convenzioni e accordi, disciplinate negli articoli 30-35 del  T.U. sugli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267.

Tornando al contratto di diritto pubblico, la ricostruzione migliore rimane ancora quella di GIANNINI; tanto più se si considera che essa è stata proposta prima della legge sul procedimento amministrativo e, in particolare, prima della riforma dell'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, avvenuta il 2005, come già ricordato.

Il grande studioso sostiene che quella del contratto di diritto pubblico è un problema di teoria generale del diritto.

Infatti, essa, accanto ai contratti, conosce anche la categoria dei patti; categoria, questa, rimasta inevoluta, se si esclude il diritto internazionale dove invece essi - sia pure variamente denominati: protocolli convenzioni accordi -  hanno ricevuto un'elaborazione notevole.

La ragione di questa mancata evoluzione è da ricercare nel fatto che dai patti più che obbligazioni in senso tecnico, ossia vicende patrimoniali, nascono obblighi, ossia situazioni giuridiche soggettive comportamentali, che non sempre hanno il carattere della patrimonialità.

Certo è che, come si è visto nel paragrafo precedente, nella storia del diritto amministrativo si sono incontrati accordi, tra amministrazioni o tra queste e soggetti privati, che non possono essere considerati se non contratti, pur mancando loro un tratto tipico di questo fondamentale istituto, ossia la parità tra i contraenti.

Bisogna considerare che questo tipo di contratti risalgono a tempi assai lontani; tant'è che già nell'800 si rinvengono convenzioni tra amministratori e imprenditori privati per il disimpegno di servizi pubblici.

Sicché la giurisprudenza e la dottrina se ne dovettero occupare, dividendosi in due gruppi di opinioni: la prima, secondo cui i rapporti nascenti dalle convenzioni erano da intendere come nascenti unicamente da provvedimenti amministrativi; la seconda, secondo cui si trattava di veri e propri rapporti contrattuali ,sia pure non di diritto privato ma di diritto pubblico ,e tuttavia caratterizzati da un vero e proprio incontro di volontà.

Come già detto,la prima corrente di pensiero proponeva le più svariate spiegazioni, ossia che i provvedimenti amministrativi erano semplicemente preceduti da “atti di sottomissione “di privati ,oppure che nascessero da provvedimenti amministrativi unilaterali produttivi di effetti bilaterali a contenuto patrimoniale, oppure che fossero rapporti nascenti da provvedimenti amministrativi puri e semplici, che si limitavano a recepire nelle proprie clausole il contenuto di atti predisposti da privati (la tesi anticontrattualistica viene fatta risalire a O. MAYER e in Italia fu sostenuta da F. CAMMEO e da RANELLETTI. Poi il tema è stato ripreso da ZANOBINI, con un ‘impostazione più civilistica).   

La seconda corrente di pensiero tendeva a dimostrare, invece, che anche il diritto pubblico potesse adottare strutture contrattuali, con la particolarità che il contratto era “di diritto pubblico”, poiché comunque era l'espressione dell'autorità del potere amministrativo ( se si eccettua la posizione di P. VIRGA, che nega in radice l'ammissibilità del contratto ad oggetto pubblico, prevalgono gli autori che tendono ad ammettere la figura: M. GALLO, Contratto di diritto pubblico, in Nov. Dig. It.; G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1984).

Tornando all'impostazione di GIANNINI, egli  ritiene che la spiegazione per tali tipi di contratti vada ricercata in un'altra direzione, ed esattamente nel fatto che le “fattispecie globali” in cui essi si pongono sono composte di contratti e di provvedimenti amministrativi insieme. Il modo come essi si collegano determinano appunto le tre categorie  -contratti accessivi, ausiliari e sostitutivi di provvedimenti  - ed hanno in comune il fatto di avere un oggetto pubblico, di cui solo l'amministrazione dispone.

Le tre categorie di contratti indicate sono state nella sostanza accettate anche in giurisprudenza. Pertanto conviene soffermarsi ancora un momento su di esse.

I contratti accessivi di provvedimenti sono moduli convenzionali che accedono a provvedimenti, i quali sono già fonte di obbligazioni per il privato e possono produrre effetti unilaterali, quando stabiliscono obblighi solo per lui, o bilaterali, quando determinano obblighi anche per la pubblica amministrazione. Inoltre il collegamento ,come si diceva, è unilaterale, nel senso che è solo il provvedimento a determinare la sorte del contratto e non viceversa.

I contratti ausiliari di provvedimenti si inseriscono all'interno di procedimenti amministrativi e vengono utilizzati qualora  ricorra l'esigenza di disciplinare aspetti patrimoniali. La caratteristica fondamentale di essi è costituita dal fatto che se il privato non adempia, l'amministrazione può agire o in via contrattuale dinanzi al giudice ordinario oppure in sede procedimentale, proseguendo oltre nel procedimento fino all'emanazione del provvedimento finale.

I contratti sostitutivi di provvedimenti , invece, hanno avuto larga applicazione sia nel campo della pianificazione urbanistica (si pensi alle convenzioni di urbanizzazione, alle convenzioni di lottizzazione, alle convenzioni edilizie) e sia della programmazione economica. La loro caratteristica  consiste nel fatto che essi sostituiscono completamente il provvedimenti. Tuttavia sembrerebbe che gli obblighi assunti dal privato derivino direttamente dalla legge, mentre la convenzione serve solo a disciplinare  in maniera puntuale gli obblighi medesimi.

Tornando all’elaborazione dottrinale, il punto più alto e innovativo è stato quello di ritenere che i contratti ad oggetto pubblico costituiscano “una figura generale”, ossia sono possibili “ ogni volta che vi sia un aspetto patrimoniale, nell'esercizio di potestà pubbliche, che possa formare oggetto di disciplina negoziata e regolabile mediante obbligazioni; non è necessario che vi sia una norma che ogni volta facoltizzi l'amministrazione pubblica al contratto” (GIANNINI, op. cit.,429).

Questa concezione viene qui riportata, quasi alla lettera, non solo per un doveroso omaggio al grande maestro, ma perché si è convinti che essa è penetrata nel diritto positivo, come vedremo più avanti ( In ogni caso un sistemazione aggiornata della materia si può ora vedere in R. CHIEPPA e V. LOPILATO, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007).

 

 

 

5.      La vicenda degli accordi procedimentali prima della loro disciplina positiva.

Prima dell'emanazione della legge generale sul procedimento amministrativo, la dottrina ha molto indagato il tema degli atti del privato nel procedimento ( sul tema in generale si può vedere: G. BERGONZINI, L'attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova,1975. Ma la letteratura in materia è molto copiosa: G. MIELE, Le manifestazioni di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931; G. BARONE, L'intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano1969; S. CASSESE, Il privato e il procedimento amministrativo, in Arch. Giur., 1970,56; R. FERRARA, Gli accordi tra privato e pubblica amministrazione, Milano,1985; G. CORREALE, Urbanistica, iniziativa economica, proprietà privata i poteri dell'autorità, Padova, 1984; S. COGNETTI, La tutela delle situazioni soggettive tra procedimento il processo, ESI,1987).

Tuttavia, quando gli studiosi dovevano occuparsi del potere del privato della fase decisionale del procedimento amministrativo, erano costretti a riconoscere che tale potere era assai scarso, essendo l'amministrazione l'unica abilitata, per via della sua posizione di supremazia, a decidere circa il “volere” e il “voluto” di cui si compone la fase decisoria del procedimento amministrativo .

 Nella pratica, però si verificava che molti funzionari di uffici dell'amministrazione e privati, soprattutto quando si trattava materie particolarmente complesse come  sistemazioni urbanistiche o  attuazione di programmi economici, svolgevano delle vere e proprie trattative, che spesso si concludevano con la redazione di documenti , nella prassi chiamati “accordi ufficiosi”.

Essi spesso si traducevano in dichiarazioni scritte ed erano variamente denominati: atti di sottomissione, atti d'obbligo, atti di assoggettamento.  Consistevano in una dichiarazione con cui il privato, in vista dell'adozione di un provvedimento amministrativo, prometteva il compimento di una prestazione, normalmente a contenuto patrimoniale.

Oltre agli atti di sottomissione, la pratica amministrativa conosceva anche  gli “ accordi preliminari”, consistenti in una dichiarazione sottoscritta dalle parti, in cui l'amministrazione dichiarava di essere disposta  ad adottare un dato provvedimento  , oppure in cui essa si dichiarava d'accordo sul provvedimento suggerito dal privato, che talvolta veniva richiamato nel preambolo dell’atto. L'espressione più macroscopica di questo modo di amministrare si è avuto in materia di concordati tributari.

Tuttavia, quando si è trattato di indagare la natura giuridica di queste figure, si è ritenuto che esse fossero pressoché irrilevanti sul piano giuridico. Anche se la giurisprudenza lentamente ha finito col considerarle giuridicamente rilevanti, sia pure nel limitato senso che l'amministrazione potesse discostarsi dagli accordi presi  purché motivasse sulle ragioni di pubblico interesse che l'avevano indotta a disattenderli. Secondo questa impostazione, quindi, se l’atto concordato non veniva adottato gli accordi perdevano efficacia e comunque non erano suscettibili di impugnazione diretta, potendosi impugnare solo gli atti in cui essi erano confluiti o in cui erano richiamati.

 

 

 

6.      Gli accordi disciplinati nella legge generale sul procedimento amministrativo.

Con la legge generale sul procedimento amministrativo, che, come tutti sanno, è del 1990, all'articolo 11(l.n.241/1990), vengono per la prima volta disciplinati gli accordi, distinguendosi tra accordi integrativi e accordi sostitutivi di provvedimento. I primi sono quelli conclusi tra l'amministrazione e “gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale”, mentre i secondi sono emanati “in sostituzione di questo”.

Le altre regole contenute nella disciplina di cui all'articolo 11, nella sua versione originaria, sono: -gli accordi devono essere stipulati ,a pena di nullità, per atto scritto;-che ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti “in quanto compatibili”;-che gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi;-che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, l'amministrazione può recedere unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla corresponsione di un indennizzo per i pregiudizi verificatisi in danno del privato;-che le controversie in materia di formazione conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo .

Tutti i commentatori  al primo apparire della norma, pur sottolineando l'importanza  di aver dato dignità legislativa al tipico modo di amministrare mediante il consenso anziché in via autoritativa, hanno osservato che il legislatore era stato, tuttavia, troppo timido nell'affermare i nuovi principi (G. BERTI, Il principio contrattuale nell’attività amministrativa, in Scritti per Giannini Milano,1998; S. GIACCHETTI, Gli accordi dell’art. 11 della legge n 241 del 1990 tra realtà virtuale e realtà reale, in lexitalia.it; E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico, tra amministrazione e privati, Milano, 1996; G.P. CIRILLO, La tutela in via arbitrale delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, in For Ammin., 2001, 2205) la  riprova era data proprio dal fatto che esso aveva inserito tra gli strumenti a disposizione dell'amministrazione i cosiddetti accordi sostitutivi, però ne aveva consentito l’uso solo nei casi previsti dalla legge . Sicché non era possibile ritenere, sulla base del congegno legislativo indicato, che l'amministrazione potesse usare del negozio giuridico ogni qualvolta lo richiedesse la situazione da amministrare. Gli accordi, così come disciplinati, finivano con l'essere una semplice modalità della formazione della volontà dell'amministrazione nel procedimento.

Successivamente, la legge n.15 del 2005, nell'introdurre modifiche notevoli alla legge n. 241 del 1990, interviene in maniera vistosa anche sull'articolo 11, stabilendo: la soppressione dell'inciso in base al quale gli accordi sostitutivi erano ammessi nei soli casi previsti dalla legge;- al comma 1 bis, che il responsabile del procedimento, al fine di favorire la conclusione degli accordi  può predisporre un calendario di incontri, cui invita il destinatario del provvedimento e gli eventuali contro interessati;-che, al comma 4 bis, a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, gli accordi debbono essere sempre preceduti da una “determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento”.

Come risulta evidente, il legislatore, pur avendo finalmente eliminato il limite originariamente apposto all'uso dell'accordo sostitutivo, rendendolo così atipico al pari di quello integrativo, ha compensato quella che sembrava essere una libertà eccessiva per le amministrazioni con il prevedere che tutti gli accordi debbano essere preceduti da una determinazione amministrativa allorquando si intende concluderli.

 

 

 

7.      Il problema della natura giuridica degli accordi

La dottrina si è molto soffermata sulla natura giuridica degli accordi, anche dopo la riforma del 2005 ( per tutti vedasi C. CACCIAVILLANI, Il   nuovo regime di atipicità degli accordi, in atti del convegno 15/4/2005 pubbl. dal Centro Studi di Diritto Amministrativo),.

Essa sembra dividersi in due filoni fondamentali: quello privatistico e quello pubblicistico.

Entrambi i filoni adducono, a conforto della propria tesi, argomenti robusti e degni di attenzione.

In questa sede, più che riportare il numero delle teorie prospettate, interessano quegli argomenti che più si avvicinano alla soluzione   di quello che, a nostro avviso, costituisce problema di fondo, ossia il limite  e le forme dell'autonomia negoziale dei soggetti pubblici, e che prenderemo in considerazione nel paragrafo successivo.

È noto che, secondo una teorica, denominata panprivatistica, gli accordi di cui all'articolo 11 non sono niente altro che  contratti di diritto privato comune, in cui le amministrazioni dismettono il proprio potere pubblico, assoggettandosi alle regole e ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti. L’individuazione della natura giuridica contrattuale determina il regime giuridico applicabile, ossia quello proprio di tutti i soggetti dell'attività giuridica.

Tuttavia, tale teorica omette di considerare che la norma adotta una duplice cautela, nell'ammettere l'uso dello strumento consensuale, laddove stabilisce che le norme civilistiche sono applicabili “ove non diversamente previsto” ed “in quanto compatibili”.

La tesi non sembra tenere adeguatamente conto del fatto che tendenzialmente ogni atto dell'amministrazione pubblica è in funzione del perseguimento del pubblico interesse e quindi tutto ciò che essa compie diventa rilevante alla luce del principio di legalità. Sicché non si può spogliare della propria potestà sol che decida di farlo, soprattutto quando non cura un interesse proprio, ma quello  pubblico che gli è stato dato in attribuzione dalla legge, e che va a formare l'interesse pubblico generale.

Più rispettosa di quanto testè affermato è la tesi secondo cui gli accordi sarebbero da ricondurre alla già individuata categoria dei contratti di diritto privato speciale, dove vive un'autonomia ristretta e l'amministrazione non perderebbe mai il potere pubblico, e quindi la capacità di unilateralmente incidere sul rapporto. Anche secondo questa impostazione la normativa applicabile sarebbe tendenzialmente quella privatistica.

Secondo altra impostazione l'accordo si risolve in un contratto di diritto pubblico in cui vi è la compresenza di provvedimento e contratto, la materia regolata è di tipo pubblicistico, i vizi sono quelli propri dell'atto amministrativo . Quindi la disciplina privatistica è puramente aggiuntiva rispetto a quella pubblicistica. In altri termini gli accordi vengono assimilati ai contrats administratifs dell'ordinamento francese.

Secondo questa impostazione l'ordinamento non consente la piena fungibilità fra potestà amministrativa ed autonomia privata, poiché anche quest'ultima incontra i medesimi limiti cui soggiace il potere amministrativo.

In proposito una dottrina attenta( G. GRECO, Commento all’art. 11, in AAVV, L’azione amministrativa, Milano, 2005) osserva che il quadro offerto dalla normativa non consente una prospettazione di una teorica diversa da quella del contratto di diritto pubblico.

Infatti gli accordi, siano essi sostitutivi o integrativi sono disciplinati allo stesso modo e quindi hanno la stessa natura . Hanno ad oggetto un provvedimento e quindi sono il risultato dell'esercizio di potere amministrativo, rispetto al quale è predicabile il vizio di eccesso di potere.

Dall'osservazione del diritto positivo si ricava facilmente che la disciplina privatistica è solo integrativa ed aggiuntiva, atteso che le norme pubblicistiche prevalgono sia nella fase dell'esecuzione, sia nel regime del recesso, sia nell'esercizio dello ius variandi e dell'annullamento d'ufficio. Inoltre, non senza importanza è l'inclusione nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia di accordi.

La tesi del contratto di diritto pubblico, o comunque la cosiddetta tesi pubblicistica, sembra essere quella posta a base della sentenza  n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, laddove - nel ritenere non consentito dal nostro ordinamento estendere la giurisdizione amministrativa esclusiva a tutte le condotte paritetiche ( ossia privatistiche) della pubblica amministrazione e che anche nella materia esclusiva il sindacato riguarda l'azione autoritativa della pubblica amministrazione -  considera espressamente l'accordo, ai sensi dell'articolo 11 legge n. 241/1990 come un semplice strumento sostitutivo del modello autoritativo classico. Esso presuppone l'esistenza del potere autoritativo, in quanto solo così  si giustifica la giurisdizione esclusiva prevista nel medesimo articolo, estensibile anche alla fase esecutiva dell'accordo.

L'impostazione appare oggi confermata dalla legge di riforma n. 15 del 2005, laddove viene introdotto un regime, in materia di recesso dai contratti della pubblica amministrazione in generale, profondamente diverso dal recesso dagli accordi di cui all'articolo 11.

Infatti il recesso dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto, mentre il recesso dall'accordo costituisce un potere generale, esplicativo della potestà di autotutela, che non necessita di una previsione espressa e comporta un obbligo di indennizzo simile a quello previsto per la revoca prevista dall'articolo 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato sembra avere ricostruito l'istituto secondo la logica che si tratterebbe di un contratto in cui l'amministrazione può esercitare un'autonomia limitata (Cons. Stat.,  15 maggio2002 n. 2636). L'impostazione viene confermata dall'estensore della sentenza indicata in un pregevole scritto (G: MONTEDORO, La nuova disciplina degli accordi, in /, voce documentazione), in cui, valorizzandosi al massimo grado la riforma dell'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 apportata dalla legge n. 15 del 2005, e in particolare la previsione della necessaria previa determinazione a procedere mediante lo strumento consensuale e della calendarizzazione degli incontri con l’interessato da parte del responsabile del procedimento, riconduce gli accordi ai contratti, anche se di diritto privato speciale; speciale, solo per via del contenuto pubblicistico della materia regolata.

 

 

 

8.      Un tentativo di rilettura del sistema.

I -     Certamente il legislatore -  in questo caso un legislatore particolarmente attrezzato, che ben conosceva la tematica del contratto ad oggetto pubblico e la storia delle concessioni  contratto  -  non ha espressamente adoperato il termine “contratto”, nel dettare la norma fondamentale di cui all'articolo 11 della legge n. 241 del 1990, né ha dettato una disposizione apposita per disciplinare il contratto pubblico in generale;  a differenza di quanto avvenuto in Germania per il contratto di diritto pubblico, che è stato compiutamente disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo(&& 54 ss.).

         Anche se è quanto mai opportuno segnalare che la legge generale sul procedimento amministrativo dedica  una norma ai “contratti della pubblica amministrazione”, laddove stabilisce che il recesso unilaterale da essi  è ammesso nei casi previsti dalla legge e dal contratto (art.21 sexies).

         L’omissione forse era giustificabile nel 1990, data l'incertezza (all'epoca maggiore) sulla natura dell'istituto disciplinato. Non è giustificabile nel 2005, soprattutto se si considera che è stato inserito il comma 1 bis all'articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, che, come già ricordato, fissa la regola che l'amministrazione deve usare gli strumenti privatistici quando non è diversamente stabilito; senza dimenticare che già l'originaria disposizione stabiliva la regola dell'applicabilità agli accordi dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti.

         Evidentemente la doppia omissione è voluta , in quanto ritenuta non necessaria nell'economia generale del sistema, nell’ambito del quale si inscrive la disposizione in esame.

         Essa non va interpretata in maniera isolata dal sistema generale, rispetto al quale può svolgere un ruolo di semplice conferma o dettare una disciplina aggiuntiva ,  necessaria per allargarne l’ambito operativo oppure semplicemente derogatoria.

II.     Riprendendo in parte quanto già esposto e richiamando quanto ritenuto più o meno pacifico in dottrina  e in giurisprudenza, alla luce della legislazione attuale, il sistema dell’attività di diritto privato delle amministrazioni pubbliche sembra presentarsi nei termini che seguono.

         Giova premettere che una parte importante delle amministrazioni pubbliche adopera, nello svolgimento della propria attività, il contratto e non il provvedimento amministrativo. 

         E’ stato notato che “statisticamente i contratti ad evidenza pubblica sono una minoranza nell'insieme dei contratti delle amministrazioni pubbliche e anche sotto l'aspetto qualitativo non sempre sono più importanti. È richiesta la procedura dell'evidenza pubblica per un contratto di pochi milioni per un ente locale, mentre non la si richiede per un contratto di molti miliardi di un grande ente pubblico –impresa”(GIANNINI, op, cit,366). Tant’è che l'illustre scrittore -  nel suddividere le amministrazioni pubbliche, quanto all'attività di diritto privato, in tre grandi settori, ossia amministrazioni che agiscono solo con contratti di diritto privato, amministrazioni che agiscono con contratti e provvedimenti amministrativi e amministrazioni che agiscono quasi esclusivamente mediante atti amministrativi - si limita a constatare che in alcuni casi l'attività di diritto privato  è attività istituzionale, nel senso che è ordinata al raggiungimento di fini istituzionali di una certa amministrazione; in altri casi i fini istituzionali si possono conseguire sia con attività rette dal diritto privato e sia con attività rette dal diritto amministrativo, in posizioni di concorso o di alternativa. Sicché alla fin fine il problema è quello di vedere quale sia la situazione giuridica soggettiva del privato quando l'amministrazione agisce con strumenti privatistici e quali siano in concreto i rimedi apprestati.

         Se già questa era la situazione di fatto, va da se che, soprattutto a seguito delle modifiche legislative intervenute nel 2005 con la legge n. 15, la posizione naturale dei soggetti pubblici nell'ordinamento non è più solamente quella propria della potestà pubblica ma anche quella di autonomia negoziale, anzi questa viene prima di quella( G. P. CIRILLO, Lezioni di diritto civile pubblico, Direkta, 68 ss.).

         La legittimazione negoziale delle pubbliche amministrazioni , non solo è la stessa che si pone per tutte le  persone giuridiche -  rispetto alla quale la dottrina e la giurisprudenza ormai non esitano ad affermare che è una capacità giuridica generale - , ma è addirittura più forte, se non altro perché l'amministrazione, non trovando nessun divieto di legge (anzi), può scegliere di usare gli strumenti privatistici in alternativa a quelli pubblicistici e , quindi, anche per questo si presenta come il soggetto forte della negoziazione.

III.    Il quadro generale offerto consente ora di affrontare il problema specifico, che non è tanto quello di stabilire l’ ammissibilità o meno del contratto  ad oggetto pubblico come figura generale - ossia la non  necessità di una norma che di volta in volta dia facoltà all'amministrazione pubblica ad usare il contratto - , quanto piuttosto quello di comprendere se questa figura è contenuta nella disciplina di cui all'articolo 11 della legge n. 241  del 1990, oppure essa sia da rinvenire nel sistema  della legge, come conseguenza della generale capacità di diritto privato della persona giuridica pubblica; e quindi la disciplina sia quella del contratto in generale contenuta nel codice civile, adattata alla particolare natura del soggetto pubblico.

         Come già ricordato, l'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 adopera l’espressione “accordo” e non quella di “contratto”.

         E’ a tutti noto che l'accordo è l’in sé del contratto. Tant è che  non solo costituisce uno degli elementi costitutivi del contratto (art.1325  n.1 cod.civ.) , ma rientra nella stessa nozione dell'istituto: <<il contratto è l’accordo…(art. 1321 cod.civ.). Inoltre la formazione e i vizi del consenso costituiscono una parte fondamentale del diritto contrattuale.

         Pertanto, si sarebbe tentati di sostenere che la norma in esame costituisce  lo strumento che introduce nel diritto amministrativo l'istituto del contratto pubblico, puramente e semplicemente.

         Tuttavia non sembra che le cose siano così semplici.

         Infatti l'istituto dell'accordo viene disciplinato nell'ambito del procedimento amministrativo, che, non solo è stato sempre considerato come l'unica forma della funzione amministrativa, ma costituisce anche il luogo  e la forma di esercizio della potestà pubblica e dell'interesse legittimo.

         Anzi l’accordo è il punto massimo cui si può spingere l’esercizio dell’interesse legittimo, che è l’insieme dei poteri e delle facoltà predisposti per l’ottenimento del provvedimento favorevole (G.P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell’azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, Padova, 2003, 92).

         Pertanto appare semplicistico ritenere che in quell'ambito si è inserita una norma avulsa dal contesto generale.

         Inoltre bisogna considerare che la dottrina migliore ( M. S. GIANNINI, op. cit, 423 ; E. STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992) non ha mancato di osservare che l'accordo procedimentale, ossia quello inserito in una sequenza autoritativa quale è il procedimento, comporta che la decisione si formi mediante un modulo consensuale e non, come normalmente accade, mediante la determinazione unilaterale dell'autorità.

         Esso, assumendo rilievo nella fase decisoria , ossia della formazione del contenuto dell’atto , finisce con l’avere, nel diritto amministrativo, una valenza e una collocazione specifica, diversa da quella del diritto civile.

         A ciò va aggiunto che nella disciplina pubblicistica l'accordo è piuttosto sinonimo di patto o convenzione; uno strumento largamente adoperato nell'ambito di questa disciplina, come già ricordato.

         Da esso scaturiscono situazioni giuridiche di obbligo, ossia situazioni che impongono doveri comportamentali tra i più vari , non sempre predeterminati rispetto allo scopo comune che si intende raggiungere – lo strumento è adoperato soprattutto tra amministrazioni -  e non  riconducibili alla nozione tecnica di prestazione, propria dell'obbligazione patrimoniale scaturente dal contratto di diritto civile, come più volte ricordato.

         Tutto questo impedisce di seguire l'opzione, alquanto semplicistica, che nel caso di specie o si tratterebbe  di un contratto a tutti gli effetti oppure che si tratterebbe di un atto amministrativo il cui contenuto sia stato negoziato, con la conseguenza che il regime applicabile sarà o quello proprio del primo o quello proprio del secondo.

IV.    Se si analizza la norma senza i condizionamenti derivanti dal largo dibattito che l'ha preceduta, e poi continuato dopo la sua prima versione del 1990, ci si accorge che lo scenario è completamente mutato.

         Infatti , bisogna considerare che l'amministrazione anche quando ha aperto un procedimento amministrativo non dismette l'altra sua posizioni giuridica di autonomia collettiva, essendo questa una posizioni naturale nell'ordinamento generale, al pari di quella potestativa, che è aggiuntiva ed è propria dei soggetti pubblici.

         Questo viene confermato proprio dal fatto che il comma 1 bis, dell’art.11 in esame, consente al responsabile del procedimento di predisporre un calendario di incontri informali e quindi non procedimentalizzati per concludere gli accordi di cui al precedente comma 1.

         Pertanto nella logica del legislatore il procedimento può diventare solamente l'occasione, o se si vuole il luogo, dove l'amministrazione matura in concreto la decisione se esercitare l'autonomia negoziale o la potestà pubblica.

         In questa logica anche il fatto che l'accordo deve essere preceduto da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento assume un rilievo diverso.

         Infatti il comma 4 bis, dell'articolo 11 in esame,  sembra  voler salvaguardare sia le competenze spettanti a ciascun organo rispetto al responsabile del procedimento che agisce e sia impedire che questi sfugga ad ogni controllo nella scelta di usare l'accordo anziché il provvedimento, o viceversa.

         Inoltre va considerato che il comma in esame, laddove fa riferimento sia agli accordi integrativi che a quelli sostitutivi , per entrambi i quali richiede la necessità della previa determinazione dell'organo competente ad emanare il provvedimento amministrativo, entra parzialmente in contraddizione con l'impianto generale dell'intera disposizione. Infatti, nel momento in cui consente l'emanazione degli accordi sostitutivi anche nei casi in cui non vi è una espressa norma di legge che li preveda, non ha molto senso fare riferimento all'autorità competente all'emanazione del provvedimento, dato che vi può essere accordo anche quando non vi sia in concreto la possibilità di una soluzione provvedimentale.

         In altri termini, l'accordo sostitutivo non presuppone necessariamente il provvedimento sostituito, ma può essere adoperato anche quando non è possibile ipotizzare nemmeno in astratto il provvedimento. Altrimenti esso finirebbe con l'essere solamente una forma diversa dell'atto o al massimo una semplice modalità di formazione di esso, che, nel caso dell'accordo integrativo, si accompagna o si fonde nell'atto medesimo e, nel caso dell'accordo sostitutivo, si evita la (tutto sommato inutile) trasposizione di esso nel provvedimento. 

         Anzi la soluzione dell'accordo dovrebbe essere adottata proprio laddove il provvedimento non consente di ottenere il risultato più conveniente per l'amministrazione, essendo la sfera giuridica coinvolta  completamente attratta nell'area della negoziazione, ossia laddove il provvedimento non può arrivare.

V.     L'ultima notazione porta direttamente al problema centrale, ossia quello di comprendere la vera natura del cosiddetto accordo sostitutivo.

         Si è già riferito di come la dottrina abbia ritenuto che entrambi gli accordi disciplinati nel primo comma dell'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 abbiano la medesima natura pubblicistica (GRECO, op. cit.,431). Questo forse è stato dovuto al fatto che l'accordo è stato sempre visto come una reversibile alternativa al provvedimento, in cui cioè l'amministrazione può sempre riprendere il procedimento iniziato ed emanare il provvedimento.

         Così come si è già riferito del fatto che il legislatore del 1990 “maneggiò”l’istituto con un certo timore; tant'è che,  consentendone l’esercizio solamente nei casi previsti dalla legge, voleva dire rendere la norma inutile.

         Ora l'eliminazione del limite rende la norma centrale nell'economia del sistema.

         Il fatto che la legge consenta l'uso a tutto  campo dell'accordo sostitutivo determina sul piano operativo che il responsabile del procedimento , qualora valuti che esso costituisce lo strumento più idoneo per la composizione degli interessi coinvolti nell'azione amministrativa, e sia stato preventivamente “autorizzato” dall'autorità competente(e quando già non lo sia egli stesso), può concludere accordi, che, nella maggior parte dei casi, generano obblighi (reciproci o unilaterali), ma che possono riguardare profili strettamente patrimoniali e quindi generare obbligazioni in senso tecnico.

         Va da sé che in quest'ultimo caso l'accordo diventa “nelle cose” contratto in senso tecnico. Senza dire del fatto che, come già visto, molte amministrazioni usano solo il contratto per l’esercizio delle proprie finalità istituzionali. Non sono le parti che stabiliscono se l'attività giuridica compiuta sia da qualificarsi come contratto e se questo sia di diritto privato o di diritto pubblico, ma è l'ordinamento che ricollega determinati effetti  a una data attività .

         In altri termini, costituisce aprioristico schematismo chiedersi se l'accordo si identifichi con  il contratto di diritto pubblico oppure sia  un contratto di diritto privato, in quanto esso li comprende entrambi.         

        Più semplicemente, il legislatore ha individuato nell'accordo la categoria giuridica più ampia ed innocua possibile, dalla quale possono nascere obblighi e obbligazioni; e che può vivere nell'ordinamento isolatamente oppure accompagnato ad un provvedimento amministrativo.

         Naturalmente questo comporta che il giudice debba di volta in volta qualificare la fattispecie,  individuare la disciplina applicabile e gli strumenti rimediali adottabili

         Il compito ovviamente non è facile, dato che in questa materia le fattispecie possono essere molto variegate: si pensi al provvedimento il cui contenuto è interamente desunto da un accordo preliminare;  ad un provvedimento che si accompagna ad una convenzione; ad un accordo isolato da cui nascano doveri  in cui viene definito soltanto l'obiettivo da raggiungere oppure doveri comportamentali specifici; infine, ad accordi da cui nascano obbligazioni in senso tecnico e che , quindi, sia un contratto a tutti gli effetti.

         Per tutte queste fattispecie c'è una disciplina applicabile comune, ma anche diversa per ciascuna di esse.

         La disciplina comune purtroppo non può essere rinvenuta nelle disposizioni del codice civile sul contratto  e sulle obbligazioni in generale, dato che l'articolo 11 della legge 241 del 1990 stabilisce che, anziché le norme, si applicano solamente “i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”.

         Sicché l'operazione ermeneutica che il giudice deve compiere a fronte di una fattispecie consensuale pubblica è più complicata, poiché, come per ogni operazione interpretativa rivolta alla qualificazione di una fattispecie, deve distinguere la fase formativa , quella della struttura, quella degli effetti e quella della tutela applicabile.

         La fase formativa dell'accordo sembra essere dominata dall'idea che, essendo il potere  amministrativo irrinunciabile e quindi immanentemente presente,  trasfiguri i modi consueti di formazione e manifestazione del consenso da parte dei soggetti dell'attività giuridica.

         Questo è solo in parte vero, soprattutto se si considera quanto dicemmo a proposito della vicenda delle concessioni contratto, ossia che fin dall'inizio esse hanno avuto come centro il contratto e non il provvedimento, sia per la fase formativa che per quella regolativa del rapporto concessorio.

         Tenendo presente le modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, e in particolare la calendarizzazione informale degli incontri tra l'amministrazione e i privati -  che può avvenire a procedimento aperto ma anche in una fase preprocedimentale -  è agevole desumere che si può addivenire all'accordo prescindendo completamente dal procedimento. Questo non significa che l'amministrazione  dismetta la potestà pubblica di cui è attributaria, bensì che, una volta che c'è stata la determinazione preliminare all'accordo, può distribuire e calibrare come più gli conviene la potestà e l'autonomia, tenendo però presente che da quella distribuzione scaturiscono fattispecie diverse di accordi, che possono giungere fino al contratto di diritto comune.

         Non solo, ma l'amministrazione deve essere consapevole che il principio fondamentale in materia di contratti, per legge richiamabile,è costituito proprio dal fatto che l’ accordo genera un vincolo giuridico da cui non ci si può unilateralmente sciogliere e che il recesso unilaterale è possibile solamente ove sia previsto dalle stesse parti o dalla legge. Nel caso di specie la legge stabilisce che questo è possibile solamente per sopravvenuti motivi di pubblico interesse e che il suo esercizio comporta l'obbligo di liquidare un indennizzo per i pregiudizi che si verifichino nella sfera giuridica del privato. Senza dimenticare la norma, già richiamata, di cui all'articolo 21 sexies, che  per i contratti della pubblica amministrazione  fissa la stessa regola, valevole per i contratti di diritto comune, di cui all'articolo 1373 del codice civile.

VI.    Con la caduta del limite posto agli accordi sostitutivi ad opera della legge n. 15 del 2005, sembra essersi annullata la distinzione che il GIANNINI stabiliva tra il contratto sostitutivo e il contratto alternativo ( op. cit.,443).

         Come è noto, per il grande scrittore nel primo caso vi è una determinazione discrezionale dell'amministrazione di scegliere la strada contrattuale anziché quella procedimentale e quindi agisce come privato; mentre invece il secondo si fonda sulla determinazione amministrativa di non escludere l’esercizio della potestà pubblica - peraltro irrinunciabile - di cui è titolare quando usa lo strumento contrattuale, con la possibilità quindi di poterla esercitare, nonostante l'impegno assunto nell'accordo, ogni qualvolta è richiesto da un pubblico interesse

         Infatti,  se è vero che la potestà pubblica non è  rinunciabile, essa non lo è mai, neanche a fronte del cosiddetto contratto alternativo.

         In altri termini “l'alternatività” è determinata non dal fatto che l'amministrazione sceglie di non esercitare la potestà pubblica, bensì dalla forza giuridica  intrinseca dello strumento prescelto, ossia  in ragione del fatto che “ l’accordo” -  si traduca o meno in contratto - genera un vincolo giuridico da cui non è possibile sciogliersi unilateralmente.

         In questo quadro la persistenza nell’amministrazione  della possibilità di esercitare la potestà pubblica è una mera circostanza di fatto, che incontra il limite del vincolo giuridico cui si è consensualmente sottoposta.

         In conclusione, la vigenza della  regola espressa secondo cui l'accordo sostitutivo è possibile ogni qualvolta l'amministrazione lo ritiene opportuno;di quella secondo cui i contratti della pubblica amministrazione sono rescindibili solo quando lo stabilisce il contratto medesimo o la legge; di quella secondo cui l'accordo è rescindibili soltanto quando lo richieda la sopravvenienza di un interesse pubblico, sembrano chiudere il cerchio intorno all'idea che l'accordo sostitutivo diventa il centro delle relazioni giuridiche amministrative di tipo consensuale, atteso che esso ricomprende in sé anche il contratto qualora vengano regolamentati profili patrimonialistici, generanti obbligazioni in senso tecnico.

 

 

 

9.      La struttura e le condizioni di efficacia dell’ accordo di diritto pubblico.

I -     Gli elementi che compongono la struttura dell'accordo di diritto pubblico – espressione, questa, che può sostituire quella contratto di diritto pubblico, in presenza di una norma di legge che disciplina gli accordi come categoria generale- debbono essere ricavati sia dall'articolo 11 della legge n. 241 del 1990 e sia dall'articolo 1325 del codice civile.

         Essi sono agevolmente individuabili: a) nel consenso delle parti; b) nell'oggetto;c) nella forma scritta; d) nel perseguimento del pubblico interesse.

         I primi due sono ricavati dalla seconda disposizione, mentre gli ultimi due sono ricavati dalla prima.

         E’ sufficiente osservare che la forma della manifestazione del consenso è legata alla natura del soggetto, a seconda che sia pubblico o privato; che l'oggetto può essere costituito da obbligazioni di diritto privato o da obblighi di tipo pubblicistico; che la forma scritta è prevista ai fini della validità dell'accordo ed è soggetta a trascrizione, secondo quanto già accade per le convenzioni di lottizzazione.

         Quanto al perseguimento del pubblico interesse, previsto dall'articolo 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il confronto con la causa del contratto di diritto privato è inevitabile.

         Sono note le discussioni della dottrina meno recente se la causa rientrasse o meno tra gli elementi costitutivi del provvedimento amministrativo e di come la dottrina più recente sembra averlo definitivamente escluso.

         Naturalmente l'accordo non è un provvedimento amministrativo. Anzi, in quanto sembra avvicinarsi al contratto, pur assurgendo a istituto avente dignità di categoria generale, impone qualche considerazione sul rapporto tra causa e pubblico interesse.

         La dottrina che si è occupata del tema sembra aver escluso ogni accostamento tra i due istituti, senza averne spiegato troppo le ragioni (F.CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano 2005, 2204).

         Indubbiamente il tema è molto spinoso e merita uno studio specifico.

         L’impressione è che, quale che sia la concezione da preferire sull'istituto della causa, ogni accostamento appare incongruo, atteso che quando entra in gioco il pubblico interesse viene in rilievo il motivo, ossia la ragione per cui l'amministrazione si è determinata ad agire. Ed è noto che nella scienza civilistica esso si differenzia dalla causa ed è normalmente irrilevante. Così come è noto che la migliore dottrina amministrativistica ,a proposito del provvedimento amministrativo, ritiene che il motivo di pubblico interesse “non è un elemento esterno al provvedimento, ma un modo di essere relazionale dell’oggetto” (GIANNINI, op. cit.,251).

         A noi sembra che anche in tema di accordi, l’oggetto, ossia il suo contento, diventa l'elemento centrale, non solo per stabilire quale sia il concreto contenuto e i conseguenti effetti giuridici, ma soprattutto per verificare se è stato realizzato interesse pubblico primario dato in attribuzione all'amministrazione che ha agito.

         Sicchè, l'unica notazione che allo stato dell'elaborazione dottrinaria si può fare consiste in ciò, che l'accordo si può definire completo solamente se  in esso è riscontrabile l’effettiva esistenza di un pubblico interesse concreto, cosi come fissato dalla norma quando ne ha  attribuito la cura all'amministrazione che agisce.

II -    Sorge il problema degli effetti dell'accordo rispetto ai terzi.

         L'articolo 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce espressamente che l’ amministrazione può concludere accordi “senza pregiudizio dei diritti dei terzi”.

         Allo stato la dottrina sembra dividersi in due orientamenti: quella che, ritenendo la natura pubblicistica degli accordi, fa discendere direttamente dall'inciso di legge la limitazione degli effetti ai soli sottoscrittori dell'accordo, con la conseguenza che la sua inosservanza genera in ogni caso illegittimità, tutelabile innanzi al giudice amministrativo entro il termine decadenziale; e quella che, sostenendo la natura privatistica degli accordi, ritiene che l'inosservanza del precetto conduce, in caso di accordo integrativo, alla nullità dello stesso per violazione di norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418 del codice civile, mentre nel caso di accordo sostitutivo la sanzione sarà quella dell'inefficacia rispetto ai terzi degli effetti negativi, ai sensi degli artt. 1372 e 1411 del codice civile.

         A nostro parere, si è data eccessiva importanza all'inciso contenuto nella norma , in quanto, anche se la legge avesse taciuto,costituisce principio di carattere generale che sia il provvedimento amministrativo  e sia il contratto non producono effetti rispetto ai soggetti che non siano stati ,rispettivamente, coinvolti nella negoziazione o nel procedimento amministrativo; e che l'articolo 1372, comma 2, del codice civile è solo l'espressione di tale principio generale e serve unicamente ad avvertire l'interprete che in taluni casi la regola  subisce eccezioni.

         Quanto alla tutela possibile,  diventa centrale stabilire la natura della situazione giuridica soggettiva lesa dall'accordo, ossia se il terzo sia titolare di un interesse qualificato o di un diritto soggettivo, dovendosi comunque aprire il giudizio in via esclusiva, nell'ambito del quale continua ad operare la distinzione tra diritti e interessi, ai fini della determinazione del termine decadenziale o  prescrizionale. Sembra esserci giurisdizione esclusiva  anche quando ad impugnare l'accordo siano i terzi, dato che comunque essi subiscono concreto nocumento solo quando vi è l’ esecuzione dell’accordo, che, in virtù dell'articolo 11,  comma 5 , della legge n. 241 del 1990, rientra pacificamente in quella giurisdizione.

         Qualora il nocumento derivi direttamente dall'accordo sembra preferibile ritenere che esso semplicemente non abbia efficacia per il terzo.

         Diverso è il caso in cui dall’accordo derivino effetti favorevoli.

         Va premesso che, secondo l’impostazione da noi data, l’accordo rappresenta una categoria generale e quindi bisogna guardare al suo contenuto concreto, che può essere rappresentato da un vero e proprio contratto o da un semplice programma da realizzare in futuro da parte dei sottoscrittori.

         Così procedendo, se gli effetti sono diretti la vicenda è quella propria del contratto a favore di terzo (art. 1411 cod. civ.), essendo questi titolare di un diritto ; viceversa nel caso di effetti indiretti, dove la vicenda sembra essere quella propria dell’ interesse pretensivo.

 

 

 

10.    La preventiva determinazione amministrativa all'uso dell'accordo da parte del responsabile del procedimento .

Occorre brevemente dire del nuovo istituto introdotto dall’art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990, già ad altro fine ricordato.

La norma stabilisce: <<A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l ‘adozione del provvedimento>>.

Il nuovo istituto è stato previsto in ragione del fatto che l’uso  indiscriminato dell'accordo sostitutivo potesse costituire un attentato all'imparzialità e alla trasparenza dell'azione amministrativa.

Esso non sembra rientrare gli elementi costitutivi dell'accordo, nè sembra che la sua presenza determini anche quella della sussistenza dell'interesse pubblico perseguito, che invece va desunto dal concreto contenuto dell'accordo realizzato.

Pertanto sembra da collocarsi tra i presupposti soggettivi dell’atto.

Presenta molte analogie con la deliberazione a contrattare prevista dalla procedura per la stipula di contratti ad evidenza pubblica, che però ha rilevanza meramente interna, al contrario dell'istituto in esame, che, in quanto atto proprio dell’autorità che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento – ossia attinente la persona che agisce o dovrebbe agire -, finisce con l'assumere rilievo già nella fase della negoziazione dell'accordo. Quindi anticipa le possibilità di tutela del privato già nella fase precedente la conclusione dell'accordo medesimo.

Sembra potersi richiamare a proposito della natura di tale istituto  quello del negozio concluso dal falsus procurator  , la cui assenza determina l'inefficacia accordo, con il vantaggio che, ove  comunque sussista la realizzazione dell'interesse pubblico, è suscettibile di ratifica da parte dell'autorità competente (peraltro questo inquadramento risale ad una dottrina autorevole, manifestatasi a proposito dell'istituto della deliberazione a contrattare, ossia A.M. SANDULLI, Deliberazione di negoziare e negozio di diritto privato della pubblica amministrazione, in Riv.trim. dir. e  proc. civ.,1965 ,1). Anche se sul punto va registrato l'orientamento della Corte di cassazione – Cass. 9 gennaio 2002, n.193, in Rass. Loc., fasc. 2,166 –  in base al quale il venir meno della deliberazione attraverso cui si è manifestata la volontà dell’ente rende nullo il contratto per assenza del requisito dell'accordo delle parti. Si afferma così la nullità e non la semplice annullabilità del contratto concluso dalla pubblica amministrazione, qualora la delibera a contrarre sia stata annullata in sede di controllo.

La ratio dell'istituto sembra non escludere una capacità lesiva diretta dell’interesse del privato, laddove il responsabile del procedimento ometta di iniziare la negoziazione in presenza di una  istanza espressa dello stesso. Le controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, versandosi nella fase della conclusione dell’ accordo.

 

 

 

11.    L'inadempimento dell'accordo e la tutela giurisdizionale

Anche a proposito della patologia dell'accordo, la dottrina, oscillando tra coloro che ne ravvisano la natura pubblicistica e coloro che ne ravvisano la natura privatistica, si divide tra i primi, che ritengono  gli strumenti di tutela siano gli stessi del provvedimento amministrativo, e i secondi, che ritengono siano gli stessi del contratto.

In realtà l'analisi è viziata da aprioristico schematismo, dovuto soprattutto al fatto che l'amministrazione non ha avuto modo di concludere molti accordi sostitutivi ,e quindi chi scrive di essi non può fare affidamento sull'esperienza concreta, così come accade per i contratti di diritto privato .

Invece la sia pur scarsa esperienza concreta dimostra come il contenuto dell’accordo possa essere vario ed articolato.

Normalmente esso non prevede prestazioni da obbligazioni in senso tecnico, bensì obblighi in capo ai vari sottoscrittori, che, ove adempiuti, realizzano il perseguimento del pubblico interesse per il soggetto pubblico e il conseguimento del bene della vita in attribuzione della pubblica amministrazione per il privato.

L’ accordo si atteggia a strumento neutro, con il quale si può conseguire lo stesso risultato che si può ottenere con il contratto o con il provvedimento.

Da ciò discende che, non avendo la legge previsto - tranne il recesso per ragioni di pubblico interesse -  strumenti di tutela specifici, essi non potranno che essere gli stessi dell’uno o dell’altro, a seconda del concreto contenuto dell'accordo. In tal caso il giudice dovrà muoversi alla luce sia del principio costituzionale della effettività della tutela – e quindi accordare lo strumento più adatto a far conseguire il bene della vita al soggetto adempiente – e sia della regola che anche l'amministrazione, una volta concluso l'accordo, è sottoposta al vincolo giuridico che da esso nasce, ed è tenuta all'adempimento dell’obbligo suo proprio.

Potenzialmente sono azionabili tutti gli strumenti di tutela compatibili con il concreto assetto degli interessi così come composti nell'accordo, ossia l'azione di adempimento, l'azione di risoluzione, l’azione di risarcimento del danno da inadempimento o da provvedimento illegittimo, l’azione di adempimento in forma specifica dell'obbligo discendente dall'accordo preparatorio ad adottare il provvedimento, l'azione di nullità e di annullamento per vizi intrinseci dell’atto, l'azione di responsabilità precontrattuale, l'azione di annullamento per l'esercizio illegittimo del recesso e delle altre forme di autotutela. Senza dimenticare che è il soggetto leso ad individuare lo strumento che più gli conviene azionare.

La tutela giurisdizionale non può che essere quella esclusiva del giudice amministrativo, fissata per legge, sia a tutela delle parti e sia a tutela dei terzi, come già visto. La struttura dell'accordo può comportare che l’ azione venga proposta dall’amministrazione e il privato o altra amministrazione resistano. Ciò è compatibile con la natura della giurisdizione esclusiva, dove vi può essere un giudizio non a parte pubblica necessaria.

E’ compatibile anche il giudizio arbitrale in presenza di un diritto soggettivo e a fronte di una domanda risarcitoria.

In realtà il giudizio arbitrale sembra potersi estendere a tutte le altre forme di tutela, tranne quelle  in cui si tratta di stabilire della legittimità dell'azione amministrativa, in quanto  il comportamento dell'amministrazione rimasto inadempiuto, essendo predefinito  nella clausola fissata nell’accordo, non comporta l'invasione da parte del giudice nel campo riservato all'amministrazione; e questo anche quando l'adempimento si sarebbe dovuto realizzare attraverso l'emanazione di atti amministrativi, essendo venuta meno , con la nascita dell'obbligo, ogni discrezionalità, quanto meno in riferimento all’an del provvedimento.

Peraltro le ragioni or ora indicate a proposito dell’arbitrato sono le stesse poste a base della convinzione, precedentemente espressa, che l'ordinamento consenta in materia di accordi la più ampia tutela possibile, ossia quella di poter usare sia gli strumenti del diritto civile che quelli del diritto amministrativo, essendo definitivamente venute meno le ragioni che dividevano in  compartimenti, separati e non comunicanti, i due settori dell’ordinamento.

 

 

 

12.    Il collegamento funzionale tra il provvedimento amministrativo e il contratto nella vicenda relativa agli effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione di gara sulla sorte del contratto.

Se il presente lavoro fosse da inserire in un'opera di diritto amministrativo si dovrebbero ora prendere in considerazione anche gli istituti degli accordi tra amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 15 della legge n. 241 del 1990, e degli accordi di programma, di cui all'articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000 sugli enti locali. Ma la disamina può essere omessa, sia perché essi appartengono tradizionalmente  al diritto amministrativo in senso stretto e sia perché i problemi  di impostazione teorica sono gli stessi già visti a proposito degli accordi.

Invece, dopo aver analizzato possibile rapporto tra il provvedimento e il negozio e di come essi possono fondersi nell’unica figura dell'accordo, è molto più interessante svolgere alcune considerazioni sul rapporto che si instaura tra gli stessi istituti, nell'ipotesi in cui però rimangono completamente separati, producendo gli effetti giuridici loro propri, anche se in un rapporto di collegamento funzionale.

Si tratta della nota vicenda degli effetti derivanti dall'annullamento del decreto di aggiudicazione -  che conclude il procedimento della evidenza pubblica - sul successivo contratto di diritto privato (appalti,lavori, forniture e così via), concluso con il contraente privato e individuato mediante il suddetto procedimento.

Il problema è venuto alla ribalta della giurisprudenza degli ultimi anni.

Tradizionalmente la dottrina e la giurisprudenza della Corte di cassazione hanno ritenuto che gli atti amministrativi che precedono la stipulazione dei contratti di diritto privato della pubblica amministrazione sono mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente e pertanto i loro vizi si traducono in vizi della volontà e comportano l'annullabilità del contratto, deducibile soltanto dall'ente pubblico medesimo.

La tesi si fondava sul presupposto che il procedimento dell’ evidenza pubblica avesse come funzione quella di tutelare l'interesse della pubblica amministrazione e non del privato; da ciò la conseguenza della annullabilità relativa.

Dopo l'emanazione della legge n. 205 del 21 luglio 2000, la dottrina ha messo in discussione proprio il presupposto su cui si fondava la tesi tradizionale, ossia che il procedimento dell'evidenza pubblica avesse la funzione di tutelare unicamente il soggetto pubblico, mentre invece, così come già accadeva nell'ordinamento comunitario, esso era posto anche a tutela delle imprese che vi prendevano parte ( M. LIPARI, L’ annullamento dell'aggiudicazione e la sorte del contratto tra nullità, annullabilità ed inefficacia: la giurisdizione amministrativa e la reintegrazione in forma specifica, in Dir e formazione, 2003,245; L. VALLA, Annullamento della procedura di evidenza a monte e sorte del contratto a valle: patologia o inefficacia, in Urb. e app. n. 1, 2004; F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, 2005, 439).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ( Sentt. ,VI, 5 maggio 2003, n: 2332; 28 maggio 2004 n. 3465; 29 novembre 2003 n. 7470) ha recentemente abbandonato l’ormai ventennale orientamento dell'annullabilità del contratto.

Infatti ha ritenuto che le norme del procedimento amministrativo non solo avessero la funzione di proteggere tutti i  soggetti partecipanti, ma che fossero delle prescrizioni aventi carattere imperativo, la cui violazione da parte dell'amministrazione  terminerebbe una causa di nullità virtuale, i sensi dell'articolo 1418 , comma 1, del codice civile, con la conseguenza che anche i soggetti privati sarebbero legittimati a proporre l'azione ai sensi dell'articolo 1421 del medesimo codice.

Lo stesso giudice ha ritenuto che fosse più conforme ai principi comunitari e a quello della effettività della tutela l’impostazione secondo cui l'aggiudicazione costituisce il presupposto determinante della stipulazione. Quindi, l’inefficacia dell'atto amministrativo travolto dall'annullamento retroattivo giurisdizionale comporta la caducazione automatica degli effetti del negozio, non necessitante di alcuna pronuncia giurisdizionale costitutiva.

Il giudice ha chiarito, inoltre, che l'annullabilità pare ispirata ad un'artificiosa distinzione tra fase amministrativa di selezione del contraente e momento strettamente negoziale della vicenda; tanto che l'aggiudicazione potrebbe anche essere riguardata come manifestazione di volontà negoziale della pubblica amministrazione in ordine al contratto da stipulare e al soggetto con il quale concludere il contratto.

Delle impostazioni riferite appare più convincente  la soluzione dell'efficacia caducante , sia in quanto è difficile sostenere che il contratto sia nullo, non essendo affetto da vizio proprio, e sia perché il diritto amministrativo, da prima che si affermasse anche nel diritto civile, già conosceva il fenomeno del collegamento tra atto amministrativo e contratto,  facendo una larga applicazione della regola secondo cui le vicende relative al primo influissero sui destini del secondo, come già visto a proposito delle concessioni contratto.

In un'altra sentenza , il supremo giudice amministrativo, ponendosi il problema della tutela dei terzi che hanno fatto affidamento sul contratto inefficace, ha ritenuto che si tratti di inefficacia relativa, richiamando gli articoli 23 e 25 del codice civile, laddove, a proposito delle associazioni e fondazioni, stabiliscono che l'annullamento della deliberazione formativa della volontà contrattuale dell'ente “non pregiudica i diritti acquistati dei terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima”.

La questione della sorte del contratto di appalto a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, era stata deferita all’esame dell’adunanza plenaria. Essa non si è tuttavia finora pronunciata sulla questione della sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in quanto nel giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 3355/2004 vi è stata rinuncia al ricorso, mentre nel giudizio in cui è stata emessa l’ordinanza n. 104/2005 del Cons. giust. sic. la plenaria ha respinto il ricorso di primo grado avverso l’aggiudicazione (Comunque chi voglia approfondire la posizione della giurisprudenza, ivi compresa quella della Corte di cassazione, veda: F. CARINGELLA-R. DE NICTOLIS-R.GAROFOLI-V.POLI Il ripartodi giurisdizione,Milano 2008,part.II,cap.2, 2^ edizione, in corso di preparazione).

Il tema meriterebbe ben altri approfondimenti.

Tuttavia, a chiusura del capitolo, si è voluto offrire un quadro sommario del tema e delle soluzioni giurisprudenziali, non solo per la sua importanza, ma anche per offrire in maniera  plastica un esempio illuminante di come il diritto civile e il diritto amministrativo vadano sempre più fondendosi e trasformandosi.

 

G. Paolo Cirillo

(Consigliere di Stato)

 

*Lo scritto è destinato a confluire nel Manuale di diritto civile e commerciale,

diretto da N. LIPARI, P. RESCIGNO e C. ANGELICI di prossima pubblicazione per i tipi della Giuffrè.